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Autore: Naoko_chan    02/10/2016    1 recensioni
Sì, fa male, ma non tanto, alla fine. Fidati, fa decisamente più male il tuo sorriso schietto, che non smette di bruciare, alla stregua di un tizzone ardente, il mio orgoglio.
{Dedicata a InsaneMonkey}
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dedicato alla mia adorabile scimmiotta insana per il suo compleanno. ~
Scusa per il ritardo, purtroppo all'ispirescion non si comanda; anche se è passato del tempo spero che la storia ti piaccia ugualmente, altrimenti sei libera di venire a casa mia a picchiarmi selvaggiamente con l'arma che preferisci. XD
Inizialmente avevo intenzione di dedicarti una KeroMois, ma, mentre mi rendevo conto che non procedeva, mi sono messa le mani nei capelli e sbattuto ripetutamente la testa contro il muro per farmi venire anche la minima idea per concluderla stavo al contempo scrivendo un'altra shot – nata quasi per svago, tra l'altro –, dai toni però più Angstosi. (?) Alla fine ho optato per la suddetta, altrimenti la fic dedica sarebbe arrivata come minimo l'anno prossimo e allora sì che mi avresti fatta fuori lol mentre la sottoscritta ci teneva a farti un regalo appositamente per il tuo compleanno. <3 <3








Detesto il tuo sorriso. Quel tuo piccolo, tranquillo stirare di labbra e nervi.
La prima volta che avevi osato abbozzarlo in mia presenza è montata in me un’irritazione tale da farmi venire una voglia matta di sputarti in un occhio. Troppo solare, troppo stucchevolmente positivo in mezzo a questo mare di grigia depressione.
Abbagliante.
Mi spieghi che senso ha andare controcorrente? A che pro, se non quello di suicidarsi? Cosa speri di ottenere? Chi conti che ti segua? Io no di certo.
Non ho mai ricoperto il ruolo di una persona che si illude e alla quale aggrada illudere chi le sta intorno. Sono realista, a differenza tua, nonostante tu continuassi ad etichettarmi come “pessimista della peggior specie”.
Non ha senso quel dannato sorriso, nemmeno se «Rilascia una buona quantità di endorfine, gli ormoni del benessere!», come mi ripetevi all’infinito, ogni sacrosanta volta, di fronte alla mia espressione scocciata. E allora? Quanto pensi che l’effetto possa durare? E, soprattutto, cosa credi che cambi?
Del perché rimanessi ad ascoltare i tuoi ridicoli sproloqui per me resta ancora un mistero. Sicuramente una buona parte della colpa bisognava attribuirla al tuo stupido sorriso. È per questo che la mia mente, dal non sopportarlo, è passata col tempo all’esecrarlo completamente.
Mi ipnotizzava, sai?
Più tentavo di puntare lo sguardo in altre direzioni che non comprendessero quel disgraziato e compromettente tratto di pelle, più finivo, in un modo o nell’altro, a buttarci comunque l’occhio. Una maledetta calamita.
Dovevo cercare di non soffermarmici troppo, onde evitare di non riprendermi mai più. Era come se esercitasse una forza propria, potente e magnetica, la quale agguantava i miei muscoli, costringendoli ad un’immobilità forzata. Patetico, ma pericoloso nella sua radiosa genuinità.
Radiosa, già. Un piccolo – ma intenso – scorcio di luce in un perenne buio.
Non l’hai mai perso, nonostante tutto, neppure in quel luogo asettico e fermo. «Passerà, vedrai» e ti ho odiato, perché in quei momenti ci ho creduto persino io.
Ciononostante non nascondo di ammirarti, mio malgrado; tra tutto ciò che è accaduto nella mia esistenza – e, fidati, ne ho visti di episodi, alcuni persino al limite del surreale – l'unica cosa che sia riuscita nell'impresa di disorientare i miei nervi gelidamente saldi è stata la tua presenza.
Sempre quel dannato calore spropositato che metteva fuori uso, in cinque secondi netti, tutte le barriere che erigevo con l'obiettivo di ripararmi da qualunque essere o luogo che non corrispondesse alla mia abitazione. E, ancora oggi, avverto i brividi a fior di pelle al ricordo della nonchalance disarmante con cui hai buttato sottosopra ogni insegnamento che mi era stato impartito, tutto ciò in cui avevo sempre creduto – e a cui, in parte, credo ancora –, frantumando una quantità incredibile delle mie sicurezze e facendone vacillare molte altre.
Per quanto mi ci sforzi non mi capacito ancora di come diamine tu abbia fatto, considerando che nessun individuo ne era stato in grado prima di te. O meglio, nessuno ci aveva mai provato.
  Probabilmente, se un giorno avessi intenzione di amare qualcuno, sceglierei te. Te e solo te, anche a distanza di giorni, mesi, anni, vite intere. Perché hai rappresentato – e continuerai a rappresentare – quanto di più vicino possa essere associato a una figura di rilievo nella vita di qualcuno.
Un cardine a cui, se ne avessi bisogno, ahimè, mi aggrapperei senza la minima esitazione, mettendo da parte la mia dignità. Vantati, giacché è un traguardo che hanno raggiunto in pochi. Vantatevi, tu e quel cavolo di sorriso che rivestiva il ruolo di protagonista indiscusso sulla tua faccia da schiaffi.
Anche se penso che tu lo stia già facendo senza il bisogno che te lo imponga io; ti sento già sghignazzare, trionfante, alla constatazione di aver strappato una vittoria sulla vita a chi credeva di averla in mano fin dalla sua nascita.
  Mi avevi detto che il futuro non si può prevedere, che alcune cose accadono e basta, senza che qualcuno possa metterci dei freni o provare ad arginare i fatti in anticipo. Io, da gran seguace di Machiavelli, non ti ho mai dato retta; sono una testa dura e lo sai bene, ma ho sempre avuto il timore che tu potessi essere peggio di me.
  Infatti avevi ragione, purtroppo. A volte gli eventi si rincorrono tutti insieme, in un vortice in cui lo spazio sembra fondersi col tempo e in cui la capacità di ragionare viene meno, stramazzando al suolo come una pila di libri troppo pesanti perché qualcuno possa fare in tempo ad afferrarli simultaneamente prima che raggiungano terra. E che appaiano i danni provocati dalla caduta.
Puoi solo chinarti, osservare impotente lo sfacelo e pregare che le lesioni non siano troppo rilevanti a occhio nudo, per poi iniziare a riporli uno per uno, con la massima attenzione, nello scaffale dal quale sono ruzzolati.
Sì, fa male, ma non tanto, alla fine. Fidati, fa decisamente più male il tuo sorriso schietto, che non smette di bruciare, alla stregua di un tizzone ardente, il mio orgoglio. E, per una persona innegabilmente insofferente al caldo, questo è un gran bel colpo basso, non c'è che dire: complimenti.
Ma non ne faccio un dramma.
  Mi limito a stringere i denti, come ho sempre fatto e come continuerò a fare fino alla fine dei miei giorni, senza sosta e senza scrupoli, vagando tra le ormai abitudinarie tenebre infinite, e osservando con rassegnazione quell'esile bagliore soffuso, reduce di un acceso scorcio di luce, che ancora resiste, a dispetto di tutto e di tutti.





E non posso fare a meno di accorgermi, maledicendomi per questo, che un microscopico frammento di quel malaugurato sfolgorio, di quel positivo, suicida, controcorrente e stucchevole sfolgorio che non ho mai smesso di ammirare e disprezzare allo stesso tempo, sembri ormai provenire un po' anche da me.
  
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