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Autore: Generale Capo di Urano    02/10/2016    2 recensioni
«Quid facis, Armini? Nonne cunctaris?»
Roma sta cadendo, con quello sguardo lo prega di far finire tutto prima di veder crollare ciò che in tanti secoli ha costruito – Arminio non si muove, il braccio che sorregge la spada abbandonato lungo i fianchi e il pugno sinistro stretto in un gesto di rabbia testarda.
«Quid facis, Luci? Nonne fles?»
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Antica Roma, Germania Magna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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N.B.: il praenomen "Lucio" riferito a Impero Romano è stato ideato dall'autrice Blacket (che ringrazio vivamente di avermi lasciato usare, ormai un anno fa- e a cui chiedo perdono se l'ho un po' interpretato ^^") 



Maximus
 

«Quid facis, Armini? Nonne cunctaris?»*
 
In piedi davanti a un vecchio tempio, troppo piccolo e insignificante per essere stato distrutto – dalla sua stessa gente, non dai barbari pallidi e sporchi – l’Impero non si piega. Si spezzerà presto, lo sa, ma ormai è da tempo che aspetta; sorride, ma in quagli occhi d’ambra il teutonico non ritrova lo splendore di colui che aveva sottomesso mille eserciti, che aveva conquistato mille terre.
E quell’uomo stanco dal volto rassegnato gli fa più paura di quanto non ne abbia mai avuta fissando il fuoco bruciare nelle iridi di un Impero conquistatore, o ascoltando le urla terrificanti di demoni piccoli e portatori di distruzione provenienti dalle foreste dell’Est.
Roma sta cadendo, con quello sguardo lo prega di far finire tutto prima di veder crollare ciò che in tanti secoli ha costruito – Arminio non si muove, il braccio che sorregge la spada abbandonato lungo i fianchi e il pugno sinistro stretto in un gesto di rabbia testarda.
 
«Quid facis, Luci? Nonne fles?»**
 
Le parole vengono sputate in un latino stentato che ha imparato ormai anni or sono.
Il vecchio – perché sì, il grande imperator ora è invecchiato e ha l’espressione stremata e indebolita di chi ormai non ce la fa più – sorride e inclina il capo di lato, come se gli domandasse perché quell’unico gesto gli costasse tanta fatica.
Era stato Lucius, e aveva brillato al di sopra di tutte le popolazioni del Mediterraneo e dell’intera Terra. Mirava allo splendore di un Impero universale, e i suoi occhi luccicavano nell’immaginare un futuro dorato e raggiante.
Silvius, per non dimenticare mai da dove proveniva, e Romanus, per indicare a tutti chi era veramente.
Roma non lo supplicherà mai, è troppo orgoglioso.
Germania ha capito da solo ciò che vuole, e non sa se esserne orgoglioso – perché il grande dominatore preferisce che a ucciderlo sia un vecchio nemico di cui riconosce la forza, piuttosto che un popolo sconosciuto atto solo a fare razzie.
 
Ha pianto, Lucio? Non lo sa.
Sa solo che fino alla fine è rimasto in piedi, sfidando le ferite e gli arti esausti. Sorridendo.
 
«Hai salutato i tuoi nipoti, Roma?»
«Mi dovranno perdonare anche per questo…»
 
Il riflesso di una rozza lama luccica sulle soglie di un bosco di collina. Un bambino, nascosto tra gli alberi, si tappa gli occhi con le manine tremanti.





*Che fai, Arminio? Esiti?
**Cosa fai, Lucio? Piagnucoli? 



Insignificanti note dell'autrice
Credo ci sia ben poco da dire...btw, se ve lo steste chiedendo sì, il bambino alla fine è Romano perché sono una persona molto brutta.
Luogo indefinito e tempo quasi(?) 
E nulla, festa dei nonni in allegria~ lo so, lo so. Perdonatemi. 

 
   
 
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