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Autore: HeyAM    02/10/2016    0 recensioni
Quando lo vide la prima volta, nella sua uniforme, il sangue le si gelò nelle vene. Non era il primo tedesco che vedeva, ma lui era tutta un'altra cosa, quel teschio sul copricapo urlava morte.
Ha dato lui l'ordine lui di uccidere la moglie, vive per l'ideologia di Adolf Hitler, l'uniforme lo ha divorato.
Per lei il rosso è il colore dell'amore, per lui quello del sangue, ma cosa succede se si incontrano?
Dal prologo:
E lui era lì, guardava con sguardo freddo ciò che accadeva attorno a lui, dava l'impressione di essere alto anche se era seduto, le mani erano coperte dai guanti di pelle nera. Gli occhi azzurri dell'uomo la congelarono, sentì una strana sensazione dentro di sé, le cose sarebbero cambiate.
Genere: Guerra, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali, Novecento/Dittature
Capitoli:
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14 Gennaio 1944

Esattamente dieci giorni erano trascorsi da quando la Wehrmacht aveva abbandonato Rubiano e aveva lasciato spazio alle SS.
Che non erano come loro Elisabetta lo aveva capito subito. Avevano liberato il piccolo municipio, avevano perfino sfrattato il sindaco dal suo ufficio e vi si erano stanziati loro. Se i tedeschi della Heer, l’esercito regolare tedesco, si vedevano raramente per le strade, loro erano perennemente presenti, si atteggiavano con un’aria da padroni per le vie del paese ricordando a tutte le povere anime di Rubiano che chi comandava erano loro.
Inoltre avevano l’abitudine di perquisire le case, senza avvertimento e anche senza motivo. A casa loro non erano arrivati, non ancora almeno, ma da Tobia erano stati.
Tobia aveva l’età di suo fratello, cinque anni più di lei. Era partito insieme a lui per la guerra ma era stato rimandato indietro dopo tre mesi. Una pallottola lo aveva colpito alla gamba durante un assalto, la ferita non era stata curata subito e si era infettata costringendo il medico militare ad amputargliela.
Così era tornato indietro, senza una gamba, ma vivo. Nell’ultimo periodo veniva spesso a casa della sua famiglia, nonostante gli costasse molta fatica, per chiedere notizie dell’ex compagno di armi, anche se queste mancavano da tanto tempo pure a loro.
“Sono entrati dentro in casa nostra come se fossimo dei criminali.” Aveva raccontato due giorni fa a lei e ai loro genitori dentro la cucina della loro modesta casa. “Nessuno di loro parlava italiano, meno male che ricordavo qualcosa da quando ero al fronte. Mamma era disperata, hanno spostato tutto, mobili, letti.” Aveva scosso il capo Tobia e lei si era accorta del terrore negli occhi della madre.
Quel giorno era tornata in paese, ci andava tutti i giorni a dire il vero, in inverno c’era meno da fare nei campi e non c’era bisogno che aiutasse i suoi genitori, così ne approfittava per fare una camminata fino al centro. Una volta usava la bici, ma con l’avvento della guerra tutte le biciclette erano state requisite.
“Elisabetta.” La richiamò una voce, si voltò e si accorse di Letizia. Era quella che poteva definire la sua migliore amica, erano cresciute insieme ed erano rimaste insieme fino ad allora.
“Ciao.” Calma lei quando si girò. “Come stai?” Aggiunse poi, le mani che si allungavano a prendere le maniche del cappottino così da coprirsi con queste. “Non c’è male. Te?” Mentre l’altra posava la cesta che portava in mano. Si occupava di lavare i panni delle uniche due famiglie in paese che potevano permettersi una persona che lavorava per loro, ovvero quella del sindaco e i De Roberti, i proprietari dei terreni attorno al paese.
Elisabetta scrollò le spalle sperando che all’amica andasse bene come risposta. “Sai sono stata dai Roberti, sapevi che ospitano un tedesco?” La notizia la colse di sorpresa. “In casa? Sapevo che si erano presi la scuola per alloggiare.” L’altra fece un segno negativo col capo. “Non tutti, mi ha spiegato la signora che i soldati semplici sono lì, mentre i due ufficiali comandanti sono stati assegnati alla loro famiglia e a quella di Marchesi.” Emilio Marchesi, ovvero il sindaco del paese.
“Dovevi vederla, era disperata...” continuò lei. “Ha detto che si è presentato questo qui con un soldato che gli portava la valigia e una lettera in cui spiegava che sarebbe stato ospitato da loro. Gli hanno dovuto dare una stanza e si è preso lo studio di De Roberti.” Un’espressione spaventata sul volto di Elisabetta. “Sai cosa Letizia, siamo fortunate a non essere benestanti.” Accennando un sorriso sul finale.
Si salutarono così e lei silenziosa tornò verso casa. Solitamente la strada di ritorno prevedeva il passaggio davanti al municipio, ma in quegli ultimi dieci giorni aveva preferito scegliere una via, seppur più lunga, che le permetteva di mon transitare dinnanzi al nuovo comando delle forze di occupazione da poco arrivate in paese. 
Sapeva che era sciocca come cosa, ma se qualcosa bastava a farla sentire più sicura andava bene così.
 
Una volta lasciato il paese si addentrò per la strada sterrata che, circondata dai campi, si dirigeva verso casa sua. Con l'avvento dell'inverno non c'era quasi nessuno per i campi, in circostanze normali le avrebbe fatto piacere una tale quiete, ma con la guerra, i nuovi tedeschi in paese e i ribelli per i campi provava una certa angoscia. Cominciava a vedere la casa in lontananza quando da dietro di sè sentì il rombo, ben distinguibile, di un veicolo. Quando si voltò e nella polevere alzata dal mezzo vide la jeep che aveva visto giorni prima in piazza quel senso di angoscia divenne ancora più forte. Immobile si scostò ancora più in parte facendo finta di niente, ma chi sedeva nell'automobile non era dello stesso avviso.
Si fermarono affianco a lei e solo ora ebbe occasione di distinguere chi sedeva in questa. Accanto all'autista, un ragazzo che sembrava aver poco più della sua età, sedeva l'ufficiale dagli occhi azzurri e freddi che aveva già visto il giorno del loro arrivo. Un altro soldato sedeva dietro imbracciando una di quelle mitragliette che parevano così care ai soldati teutonici.
 
Istintivamente lei fece un passo indietro alternando lo sguardo tra questi.
"Signorina" iniziò l'ufficiale con un italiano fortemente marcato dall'accento tedesco. "Abita qui?" Chiese. Lei annuì con un cenno del capo incapace di mettere insieme una frase di senso compiuto. "Sì signore, qui avanti." Riuscì ad aggiungere solo dopo qualche istante. 
"Gut." Esclamò quindi lui, non c'era nulla nella voce dell'uomo che potesse tradire una qualche emozione, tanto che ripensandoci dopo Elisabetta si domandò perfino se quell'uomo fosse in grado di provarne, di emozioni. 
Osservandolo meglio ora notò che indossava ancora il cappotto di pelle grigio scuro, portava sempre il cappello con il teschio e un'aquila che teneva tra gli artigli quello che riconobbe essere il simbolo del partito nazional socialista. 
"Sa dove vivono i Rossini?" Tornò a chiedere lui, sempre atono.
Annuì di nuovo chiedendosi cosa potessero volere da quella famiglia che conosceva grazie alle giornate nei campi, ma ovviamente mai avrebbe rischiato di chiedere delucidazioni a riguardo. 
"Se proseguite per questa strada ci arriverete, non vivono così lontani da noi." Spiegò lei cercando di mantenere la calma nonostante a volte quasi annaspasse nel cercare le parole. Lui annuì, disse qualcosa in tedesco all'autista affianco a lui per poi tornare su di lei.
"Danke signorina..." lasciando intendere che non ne conosceva il nome. 
"Colli." Disse lei, non dicendo nulla di più di quanto richiesto.
"Avrà anche un nome?" Sempre quell'accento tedesco così marcato.
"Elisabetta, signore." Replicò lei. Le labbra di lui si piegarono in un sorriso vagamente accennato.
"È stato un piacere, Elizabeth." Convertendo il suo nome dal tedesco all'italiano. Lei accennò un gesto col capo, incapace nuovamente di muoversi o parlare e loro ripartirono lasciandola nella polvere.
 
Quando tornò a casa le cose sembravano andare come al solito, se non fosse stata per la mancanza del fratello non avrebbe sentito neanche così insistentemente il peso della guerra, ma dentro sé stessa sentiva ancora il peso dell'incontro avuto poco prima. Non avrebbe raccontato nulla ai suoi famigliari, ciò avrebbe causato ulteriore preoccupazione in sua madre e suo padre probabilmente non le avrebbe più permesso di andare al paese da sola, ma lei ne aveva assolutamente bisogno. 
Continuava a chiedersi per quale motivo a quell'uomo, che conosceva ora il suo nome ma di cui lei ignorava ancora l'identità, interessasse dei Rossini. 
Temeva per loro, anche se le era già stato parlato di quelle ispezioni casuali che sembravano capitare pian piano sempre a più gente in paese.
 
 
 
Febbraio 1944
 
Se gennaio era stato clemente e le temperature erano state miti lo stesso non poteva dirsi di febbraio. Era arrivato il freddo, quello vero che entra nelle ossa e ti gela.
Elisabetta aveva ridotto le sue visite al paese proprio per quello e molto spesso si trovava in casa, proprio come quel giorno.
Suo padre era nel fienile che si occupava delle bestie che avevano e sua mamma invece era in camera a cucire. 
Lei invece era nella cucina della modesta casa che possedevano, con lei sua sorella Marina che disegnava.
Tra le sue mani un libro, ormai letto e riletto, ma sempre meglio che nulla, la noia la faceva da padrona.
La quiete della campagna venne interrotta dallo stesso rumore che aveva sentito un mese prima circa tornando a casa dal paese. Non si alzò dalla sua seduta, non cercò di scorgere dalla finestra chi si dirigeva verso casa sua, sperando che comunque questo proseguisse dritto.
Il rumore cessò all'improvviso, sua sorella ignara della cosa sbirciò fuori dalla finestra.
"Betta, arrivano i soldati." Sbiancò e tornò quella sensazione di angoscia che così frequentemente provava ultimamente.
"Stai qua Marina." La richiamò lei dirigendosi verso la porta ma stando lontana da questa, come se si aspettasse che potesse venir buttata giù da un momento all'altro.
Tuttavia ciò non accadde, ci fu solamente un bussare e lei che si avviava verso di questa come un condannato si avvia verso il cappio.
Quando la aprì si trovò le due sfere di ghiaccio dell'ufficiale, solo ora capì quanto questo fosse più alto di lei, e ciò non fece altro che farla sentire ancora più indifesa.
"Buongiorno fräulein Elizabeth." Si era ricordato di lei e insisteva ancora a chiamarla con l'equivalente teutonico del suo nome. 
"Speravo mi venisse ad aprire lei." Aggiunse con un sorriso tremendamente sinistro che fece congelare il sangue nelle vene della giovane. "Ci fa entrare?" Indicando i due soldati che lo seguivano.
Non era ancora riuscita a dire nulla e annaspò.
"Oh si sì..." si affrettò a rispondere scostandosi e tenendo la porta così che i tre tedeschi potessero entrare in casa sua.
"Signore, vuole che vada a chiamare mio padre o mia madre?" Lui scosse il capo. "No, non sarà necessario." Tagliò Corto lui aggirandosi per il piano più basso dei due che componevano la casa.
Lei li seguiva, si sentiva un'estranea in casa tua.
"Sai Elizabeth, fa freddo e abbiamo dei problemi con i rifornimenti." Sempre l'accento tedesco più che presente nelle sue parole. Lei si limitava ad ascoltarlo e quando questo entrò in cucina perse dieci di anni di vita vedendo lui che osservava sua sorella che, a sua volta, guardava curiosa.
"Ha una sorella?" Le domandò lui girandosi verso di lei. L'unica cosa che Elisabetta riuscì a fare fu annuire con un cenno del capo e l'ufficiale se la fece bastare come risposta mentre si toglieva guanti e cappello tenendoli poi tra le mani.
"Come le dicevo da qualche giorno non ci arriva legna e non possiamo lavorare al freddo." Un sorrisetto ironico, ma lei era troppo spaventata per accorgersene. "Quindi ci serve la legna, immagino che non sarà per voi un problema collaborare con noi." 
"Signore, io non mi occupo di questo, dovrebbe parlarne con mio padre. Marina" apostrofò la sorellina. "Vai a chiamare papà." Preferì rimanere lei sola con i tre piuttosto che lasciare da sola la piccola c'è si alzò e fece subito quanto richiesto, mentre lei rimaneva lì, preda delle occhiate dell'ufficiale tedesco.
 
 
-
 
Ecco qua il primo capitolo vero e proprio della storia, si capisce ancora molto poco dell’ufficiale dal nome sconosciuto, ma lasciamo tempo al tempo!
Come sempre vi ringrazio per prendervi del tempo per leggere le mie creaturine e vi invito a lasciarmi un vostro parere.
Alla prossima!
  
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