Anime & Manga > Inuyasha
Ricorda la storia  |      
Autore: sakura182blast    03/10/2016    5 recensioni
Un futuro quasi distopico per una ragazza che sognava solo di vivere appieno il suo amore.
Un'istantanea nell'ipotetica vita di una Kagome tornata nella sua epoca per cause di forza maggiore.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kagome
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Buonasera a tutti voi.
Non sono esattamente nuova del sito, ma mi sento come se lo fossi.
Ho un account qui su EFP dal 2007 (e questo spiega il mio tristissimo nome, povera me ahahah!) e sono esattamente sette anni che non pubblico nulla. Uno straccio di nulla.
È stato un lungo periodo difficile, caratterizzato soprattutto dalla nascita di mia figlia, una separazione ed un nuovo lavoro. Con tante cose, tanti pensieri per la testa non dovrei nemmeno avere il lusso di concedermi il tempo di dedicarmi ad una mia vecchia passione, eppure eppure... qualcosa è cambiato ultimamente. Perchè ho ricominciato a scrivere proprio con Inuyasha, mi chiedo, ma penso che galeotta fu la mia tardiva scoperta del Final Act, l'essermi sparata un loop infinito dell'episodio 26 che coronava finalmente il mio sogno di quando ero una bambina e seguivo le avventure di Inuyasha con attenzione febbrile, gioendo di ogni InuyashaxKagome moment neanche fosse stata una festa. Indi diciamocelo, cazzo!, quel bacio dell'episodio 26 mi ha fatto comunque commuovere fino alle lacrime nonostante la mia veneranda età che accarezza il quarto di secolo. E questo perchè, cristo, lo aspettavo da più di dieci anni. E, sopra ad ogni cosa, il primo amore non si scorda mai ;)
Tornando a noi, sto cercando di scrivere qualcosa di più dolce e tenerello, ma questa mi è uscita così, di getto, dal cuore (e questi momenti di improvvisa ispirazione mi mancavano così tanto da non poterlo descrivere) e mi son detta: perchè no? Proviamoci a battezzarci su EFP per la seconda volta con questa one-shot.
Vi chiedo scusa per la qualità della scrittura, ma, cercate di capirmi, dopo sette anni di stop devo tornare a fare pratica T.T
Il figliol prodigo torna all'ovile: uccidiamo l'agnello grasso!
Vi lascio alla shot, adesso. Grazie per l'attezione :)





The Bitter End



Il vento la investiva. La pioggia fine, quasi ghiacciata, le si infilava dispettosa nel bavero del pesante giaccone facendola rabbrividire.
Si trascinava dietro un fagotto che, recalcitrante, la seguiva di malavoglia.
Quando arrivarono alla fermata del bus, si fermarono. Una aveva gli occhi fissi davanti a sé, lo sguardo stizzito; l'altra, piccola, teneva lo sguardo basso e le mani ora libere erano impegnate a tenere premuto sulla testa il cappuccio della sua felpa, fradicio.
Una donna le guardò, curiosa.
La bambina la notò e la sua presa sul cappuccio divenne più salda, tanto che la punta delle sue piccole dita si fece bianca, in netto contrasto col rossore delle sue mani infreddolite. Lo teneva talmente in tensione che all'improvviso, colpa delle ditina bagnate, la stoffa le scivolò dalle mani ed il lembo che le copriva la nuca schizzò all'indietro scoprendole il capo.
La donna mal soffocò un gemito inorridito: nascoste in mezzo alla zazzera corvina della bambina, svettavano due piccole orecchie canine di pelo scuro non del tutto ritte.
La piccina, conscia dello sbaglio appena commesso, si sbrigò a ricoprire il tutto e la guardò atona con i suoi occhi vispi: due pozze dorate malcelavano una tristezza vecchia, lunga anni.
La madre della bambina si accorse di tutto: fissò la donna, poi la piccola.
Le mise un braccio intorno alle spalle e la avvicinò a sé, lo sguardo incattivito figlio di anni di angherie e sguardi maledetti.
<< Stai qui vicino, Eiko. >>, sibilò allora fra i denti, la voce gutturale più simile ad un ringhio.
La presa che esercitava sulle braccia della bambina era ferrea, ma sapeva bene di non farle alcun male.
L'autobus arrivò. Le vecchie porte automatiche si aprirono con un fastidioso cigolio e le due si affrettarono a salire prendendo posto in fondo, lontano da tutti.
Una smorfia deturpò i lineamenti tesi della donna quando si accorse che l'altra signora, pallida, con le mani a serrare la cinghia della borsa a tracolla, era rimasta sotto la tettoia della fermata preferendo non condividere il viaggio con loro.
Si abbandonò sul sedile dell'autobus con un gesto stizzito; con la coda dell'occhio osservò la bambina incassare la testa fra le spalle, allentare leggermente la presa sul cappuccio.
La pioggia incessante, tramutatasi in nevischio, grattava contro i finestrini sporchi del mezzo confondendo le immagini, distorcendo le luci della città.
A Kagome piaceva concedersi il lusso di piangere quando pioveva. La pioggia camuffava le lacrime, sembrava celare un po' il dolore.
Ormai vomitava rabbia da ogni poro e la piccola Eiko lo aveva capito. Allungò una mano e la posò su quelle della donna, strette in una morsa sui pantaloni fradici.
<< Okaa-chan? >>, la chiamò timidamente, i grandi occhi persi sotto una frangia fin troppo lunga.
Kagome non le rispose e non la guardò.
Evitava quegli occhi di miele ogni qualvolta le era possibile. Si limitò ad allentare la presa sui jeans, distendendo le dita tremanti sopra le ginocchia.
Il tocco leggero della bambina la abbandonò e lei si sentì di nuovo morire dentro, una stilettata di ferro rovente la colpì appena sopra lo stomaco.
Eiko sapeva la verità, ma faceva finta di nulla.
Aveva una madre che non la amava, ma aveva imparato a convivere con quella maledetta consapevolezza nel corso degli anni. Anni, sì... perchè lei ne dimostrava sette, ma in realtà ne aveva più di quindici.
Questo era un regalo indesiderato da parte di suo padre, un dono diabolico del suo sangue da hanyou.
Kagome aveva sperato, aveva pregato gli dei e pure il diavolo, scongiurato che suo figlio potesse nascere umano. Umano in un mondo di umani. Ed invece, in una notte di luna nuova, dopo un parto doloroso e difficile, si era ritrovata fra le braccia una piccola mezzo demone.
In quel momento, vilmente, aveva sperato di morire.
Aveva dovuto partorire in casa per ovvi motivi, come una reietta, seguita unicamente da sua madre che si affaccendava intorno a lei. Era nata un'hanyou che di fatto, legalmente, in quel mondo non esisteva: non era stata presentata ad amici o parenti, non era mai andata a scuola, raramente metteva il naso fuori dal tempio. Non era nessuno.
Lo scorrere del tempo era diverso per lei, come per tutti i mezzo demoni, e si doveva celare agli occhi del mondo per non dare a vedere il suo modo di crescere, il suo modo di invecchiare al rallentatore.
Quel marchio demoniaco che aveva al posto delle orecchie, poi, non faceva altro che allontanarla da una vita serena in un mondo normale.
Erano ostracizzate, reiette, ai margini della società e conducevano una vita di emarginazione e solitudine.
Kagome la reggeva a malapena, Eiko v'era abituata: non conosceva un modo di vivere al di fuori di quello che aveva affrontato fin'ora.
Con lo sguardo assente e gli occhi umidi, la donna fissava un punto indefinito davanti a sé con la mente che andava al di là di quel puzzo di mezzo pubblico, di quei neon smorti che sfarfallavano una luce fredda, oltretombale.
Ripercorreva, come spesso le capitava, quei pochi passi che l'avevano condotta dall'apparente vita felice nel sengoku jidai a quell'ignobile esistenza nell'era moderna e civilizzata. Il voto davanti al kami del tempio, la sua vita da miko accanto agli amici di sempre, la sua relazione con Inuyasha, la scoperta dell'attesa di un figlio, il ripudio dell'hanyou, l'emarginazione ai lati del villaggio, il suo forte desiderio di poter tornare dai suoi cari, il pozzo che, nuovamente, un'ultima volta tornava a funzionare solo per poterla sigillare nel ventunesimo secolo. E da lì non si mosse più.
Aveva spiegato le circostanze ad Eiko nel modo più chiaro possibile e la bambina, di rimando, non le aveva mai posto nessuna domanda. Chi fosse suo padre lo sapeva, seppur non lo avesse mai incontrato, e tanto bastava.
L'autobus si fermò di nuovo con un brontolio sommesso. Kagome diede un colpetto ad Eiko ed entrambe scesero lasciando sul mezzo un vago senso di disagio, un vuoto incolmabile.
Salirono lente le scale del tempio Higurashi senza proferire parola, l'una accanto all'altra, mentre la pioggia sferzava imperterrita sulle loro esili figure senza che nessuna delle due se ne lamentasse.
La giovane Eiko si voltò e scoccò uno sguardo rapido a quello che si stava lasciando alle spalle con un sospiro profondo che le veniva dritto dall'anima.
Chissà quando ancora sarebbe uscita da quel tempio?
Sua madre, ferma pochi passi avanti a lei, non si era voltata. Il suo corpo fin troppo magro, avvolto in quel cappotto decisamente troppo grande, era scosso da leggeri tremiti.
<< Andiamo, Eiko. >>, biascicò, e la bambina la seguì.
Quando passarono attraverso il grande giardino, Kagome lanciò un'occhiata distratta e fugace là dove un tempo c'era la capanna che celava il pozzo mangia ossa.
Dopo il suo ultimo viaggio, in un raptus di pura rabbia e follia, l'aveva incendiata rischiando di minare, con quell'incendio doloso, l'incolumità dei suoi cari e di tutto il resto del tempio sacro.
Dopo quell'episodio, la famiglia Higurashi decise di coprire il tutto con una gettata di terra, cementare e costruirvi a ridosso un deposito per gli attrezzi.
Un sorriso sghembo le si dipinse sul volto contratto in una smorfia sorniona.
<< Prova ancora a passare da questa parte del pozzo, hanyou. >>, sibilò a denti stretti.
La figlia la guardò di sottecchi, le mani in tasca, zuppa di pioggia. Eiko non si domandava nemmeno più perchè sua madre sputasse quella parola, hanyou, come un insulto, un boccone velenoso.
Lei stessa era un'hanyou. Sua figlia era un'hanyou.
La bambina affrettò il passo ed entrò in casa lasciando Kagome indietro, lontano.
Sorrise amareggiata. Kagome era sempre indietro, lontano.
Forse un giorno sua madre l'avrebbe perdonata per essere nata così simile a lui, chissà?
Nel frattempo le restava vicino per quanto le fosse concesso, sognando il suo amore, uno straccio di rapporto vecchio come il mondo stesso.



°°°°°°°



Ok... la fine non mi piace, questo breve scatto di vita non ha né capo, né coda e non ci si capisce dentro un'acca. Vi chiedo umilmente perdono... sono arrugginita e chiedo venia. Ho bisogno di esercizio.
Intanto ho in cantiere una cosina più caruccia e decisamente più felice.
Questa, ripeto, è proprio uscita di getto... noi ce stiamo a provà, ce stiamo a provà...
Grazie a chi ha avuto la pazienza di giungere fino a qui. Grazie davvero, per me è un momento particolare questo, con una sua (scusate il termine e l'uso improprio) sacralità, giurin giurello!
   
 
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Inuyasha / Vai alla pagina dell'autore: sakura182blast