I DON'T CARE




Non mi importa di niente. Mi importa soltanto di lui.

Persone. Inutili, insulse, fastidiose persone. Siedono intorno a me. Parlano. Scherzano. Si scambiano futili convenevoli e sciocchi sorrisi di cortesia.
Le odio. No, mi correggo. Ciò che provo non è propriamente odio. Ciò che provo è fastidio. Un intenso e soffocante fastidio che mi rode dall’interno, impedendomi di pensare.

Odore. Un odore forte, fastidioso. Odore di altri cani e della miriade di altre specie di animali, che si soffermano o si sono soffermati in questo luogo. Odore di disinfettante, che ti entra nelle narici e che ti arriva fin dentro la gola.

Occhi. I miei occhi, fissi su un punto ben definito davanti a me. Gli occhi dei miei genitori, che mi guardando, mi osservano con evidente preoccupazione. 

Non mi importa di niente. Non mi importa di nessuno. Non mi importa delle persone che mi stanno intorno. Non mi importa di ciò che pensano, di ciò che provano. Non mi importa, o più semplicemente non mi interessa.

C’è soltanto una cosa di cui mi importa in questo momento, e si trova al di là di quella porta bianca. Sono ore che la fisso immobile, incapace di formulare un qualche pensiero sensato.

Al di là di quella porta, così vicino eppure così lontano, si trova il mio unico e vero amico. Il mio migliore amico. Barbarossa.

“Faremo il possibile” aveva detto il veterinario prima di sparire all’interno di quella stanza, ma nel suo sguardo avevo già letto tutto ciò che c’era da sapere. Rassegnazione. Compassione. Dispiacere.

Sento la mano di mio fratello sulla mia spalla. La appoggia lentamente, in modo quasi impercettibile. Un lieve tocco delicato che fa male, più di ogni altra cosa al mondo.
Mycroft odia il contatto fisico e quell’inusuale gesto, carico di incertezza e indecisione, non è altro che un ulteriore conferma di ciò che sta accadendo, dell’inevitabile e terrificante tragedia che sta per abbattersi sulla mia vita.

Mi porto le gambe al petto e le stringo forte. Mi raggomitolo su quella scomoda seduta di metallo nel vano tentativo di proteggermi da tutto il dolore che mi sta avvolgendo.

Tremo e chiudo gli occhi, mentre una lacrima sfugge al mio controllo.

Vorrei solo svegliarmi e rendermi conto che si tratta semplicemente di un sogno, un terribile sogno.

Vorrei vederlo uscire da quella porta e correre scodinzolando verso di me.

Vorrei scappare via da questo posto.

Mi infastidisce ammetterlo, ma Mycroft aveva ragione. Soffrire non è mai un vantaggio. Amare non è mai un vantaggio.

Allora preferii non ascoltarlo e invece, ora, ho imparato la lezione sulla mia pelle.

Non commetterò più questo errore. Non permetterò più a nessuno di entrare nella mia vita. Non permetterò più a nessuno di farmi provare questo dolore.

Non mi importa di niente. Mi importava soltanto di lui. 










Angolo dell'autrice:
Salve! Non so di preciso come mi sia venuta questa cosa. So soltanto che ho passato parte della mia giornata dal veterinario, seduta nella saletta d'attesa, aspettando con ansia che facessero un delicato intervento al mio amato cagnolino e mi sono immaginata un piccolo Sherlock nella mia stessa condizione (anche se nel suo caso il risvolto è molto più drammatico).
Il mio piccolino adesso è a casa, anche se gli tocca una dura e dolorosa convalescenza. Per Barbarossa purtroppo le cose sono andate diversamente e non ho potuto fare a meno di pensare a come debba essersi sentito il piccolo Sherlock. Parte dei pensieri che ho messo in questa flashfic (soprattutto nella prima parte) appartengono anche a me. Diciamo che in parte c'è anche un mio piccolo sfogo. 
Ringrazio tutti quelli che l'hanno letta e chi volesse lasciare un commento. Alla prossima ;)