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Autore: Ladyhawke83    04/10/2016    4 recensioni
Non sapeva per quanto avesse camminato in quella distesa di sabbia rovente, conosceva solo vagamente la direzione da prendere, per tutto il resto si affidava all'istinto e alla provvidenza.
Doveva raggiungere il mare, il castello e Joseph suo padre, non poteva permettersi di perderlo, non voleva arrendersi all'idea che quell'uomo che tanto amava, avesse abbandonato lui e la madre per un'altra famiglia, un'altra donna, un'altra vita. Una vita migliore, una vita da nobile, lontano da loro, dalle amate montagne, con il deserto in mezzo a separarli.
OS sulla famiglia Vargas vista dal passato di Ala'kai.
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Genere: Avventura, Fantasy, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Prequel de “La promessa del mago”'
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Fratelli per sempre
 

Non sapeva per quanto avesse camminato in quella distesa di sabbia rovente, conosceva solo vagamente la direzione da prendere, per tutto il resto si affidava all'istinto e alla provvidenza.
Doveva raggiungere il mare, il castello e Joseph suo padre, non poteva permettersi di perderlo, non voleva arrendersi all'idea che quell'uomo che tanto amava, avesse abbandonato lui e la madre per un'altra famiglia, un'altra donna, un'altra vita. Una vita migliore, una vita da nobile, lontano da loro, dalle amate montagne, con il deserto in mezzo a separarli.
"Forza, Ala'kai, forza, un piede avanti all'altro... Sempre avanti..." Questo si ripeteva continuamente il ragazzino per darsi coraggio, nessun essere umano che lo avesse visto affrontare una simile impresa da solo, in mezzo alla natura ostile di Ardivestra, avrebbe scommesso un soldo bucato sulla riuscita di quel viaggio suicida. Ma quello che in molti non sapevano era che Ala'kai non era un semplice bambino di dieci anni, lui era molto di più, era il primogenito di Joseph Vargas, sangue potente gli scorreva nelle vene, solo che lui lo ignorava, lo avrebbe scoperto solo molti anni più tardi, e a caro prezzo.
Il sole si faceva sempre più bruciante ed inesorabile, Ala'kai prima di partire, o per meglio dire, "fuggire" dalla madre dopo l'ennesimo litigio, aveva preso poche cose infilandole alla rinfusa in una sacca di pelle a tracolla, che ora pendeva pesante sul suo fianco destro. 
Si maledisse per non aver studiato meglio la mappa che aveva trafugato da un vecchio libro appartenuto al padre, in fondo su quel pezzo di carta consunto, quei pochi segni che indicavano la conformazione geografica del regno, non gli avevano fatto sembrare il deserto di Ardivestra poi così grande.
Il bambino dagli ondulati capelli castani legati in una coda scomposta, fissò di nuovo il mare di sabbia davanti a sé, pensando che di lì a poco sarebbe stato solo cibo per corvi, aveva terminato ormai da un po' le scorte di acqua e il caldo ora gli appariva ancor più opprimente ed insopportabile, sentiva le forze venirgli meno.
Il suo sguardo parve illuminarsi, quando credette di scorgere in lontananza una costruzione che aveva più o meno la forma del castello descritto dai suoi compaesani e dove, teoricamente, ora viveva suo padre con la nuova moglie di stirpe elfica.
"È un miraggio, non cedere, non ora... Ce la farai..." Si disse con determinazione il bambino con un atteggiamento da adulto, toccando la pesante e sproporzionata arma che portava legata alla cintola e che batteva sul fianco sinistro facendogli dolere tutta la gamba. Con estenuante lentezza e fatica tentò caparbiamente di proseguire la sua marcia, lasciando dietro di sé pesanti impronte di stivali nella sabbia fina. I suoi luminosi e fieri occhi bruni, ereditati dal padre, si chiusero prima che potesse raggiungere quella strana figura in lontananza e verificare se esso era un miraggio oppure realtà; Ala'kai perse i sensi e cadde sulla sabbia scompostamente, la mano destra ancora stretta intorno all'elsa di quella spada troppo grande per essere maneggiata da un bambino.
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Si svegliò di soprassalto, non ricordandosi di come fosse giunto lì, e chiedendosi come mai non aveva più con sé i propri abiti, né tantomeno la spada.
Si mise di scatto a sedere in quel grande letto, e solo allora si concesse di guardarsi intorno. Si trovava in una grande stanza da letto, luminosa e ben arredata, non troppo sfarzosa, ma sicuramente molto più curata di quanto non fosse la sua modesta casa nel paesello ai piedi della montagna. Dall'ampia finestra decorata, dalla forma arcuata, filtrava un leggero vento, che sapeva di sale, di sale e di mare.
Ala'kai si alzò cauto, poggiando i piedi nudi sulle assi del pavimento, non era sicuro di reggersi sulle gambe, si sentiva debole e con la bocca completamente secca.
Avvicinandosi alla finestra per osservarne il panorama, scorse poco lontano una brocca con dell'acqua, posata in bella vista su un tavolino di legno, il cui unico sostegno era formato da un possente drago intagliato che con gli artigli reggeva il piano d'appoggio.
Il ragazzino dovette ammettere che quello strano tavolo lo inquietava non poco e anche era diffidente verso quella offerta di acqua, ma ogni pensiero lucido fu  momentaneamente sostituito dall'unico ed impellente bisogno primario che era quello di bere.
Trangugiò il liquido trasparente un po' troppo in fretta, dimenticandosi del bruciore alla gola per le tante ore trascorse sotto il sole, iniziò a tossire violentemente e per quanto cercasse di trattenere l'acqua questa si spargeva intorno a lui ad ogni colpo di tosse.
Era doloroso bere, la gola si rifiutava di fare il proprio dovere ovvero inghiottite quell'acqua ristoratrice. Ala'kai si agitò per la stanza scosso da violenti conati, decise di avvicinarsi ad davanzale dell'ampia finestra per prendere un po' d'aria, cosa questa, che riuscì finalmente a calmarlo, soprattutto quando davanti agli occhi apparve il mare e capì di essere giunto proprio là dove voleva arrivare, quello era il castello di suo padre! 
Gioì rumorosamente, come solo un bambino di quell'età può fare, in maniera innocente e spontanea, senza minimamente pensare a quanto sua madre in quel momento potesse essere preoccupata della sua scomparsa e senza nemmeno chiedersi se suo padre lo volesse lì o meno. 
Non importava, ciò che contava era che lui, Alexandròs Vargas, avesse compiuto quel viaggio tutto da solo, aveva sconfitto il deserto e trovato suo padre ed era sicuro di poterlo convincere a ritornare a vivere sulle montagne con lui e con sua madre.
I pensieri e la esclamazioni di gioia vittoriosa furono interrotti da una cristallina risata alle sue spalle, Ala'kai si girò di scatto verso quel suono, vergognandosi di essere stato sorpreso a saltellare qua e là per la stanza tutto contento, quello che intravide fu solo una figura esile e luminosa che corse via, lungo il corridoio che separava la camera da letto dal resto del castello.
Incurante di essere a piedi scalzi, con indosso solo una tunica bianca e strani pantaloni non suoi, Ala'kai, testardo com'era ed incosciente, si mise all'inseguimento della spia, riecheggiava quella sua dolce e suadente voce lungo gli alti muri di pietra, ne udiva il tintinnio dei passi, si sentiva chiamare da lei, ma non comprendeva quelle parole, il loro suono gli era oscuro, come se lei parlasse un'altra lingua a lui preclusa.
Corse, inciampando un paio di volte sulle mattonelle del pavimento, quel luogo era incantato, magico, sfuggevole a qualsiasi legge fisica.
Poi la vide, o forse era lei ad essersi fermata per aspettarlo? Che strano gioco era quello?
La bambina stava ferma a pochi metri da lui, facendo dondolare il busto e con esso l'impalpabile vestito che indossava, sembrava intessuto di fili d'argento e stelle.
Gli sorrise, portandosi una mano a nascondere la bocca, il braccialetto che portava al polso tintinnò accompagnando quella risata innocente e cristallina, Ala'kai non seppe più se si trovava di fronte ad un evento reale, oppure se tutta quella situazione fosse solo il frutto della sua immaginazione, forse stava sognando, si sentiva confuso, stordito dalla bellezza e dalla purezza della bambina.
Lei gli fece segno di seguirla e lui, come ipnotizzato obbedì, muovendosi con cautela per timore che se avesse tentato di colmare la distanza che li separava, lei sarebbe svanita.
Con gli occhi di un verde intensissimo, carico di rugiada e primavera, e i capelli serici e fluenti, la bambina gli ricordava da vicino un angelo, come quelli che Ala'kai aveva visto raffigurati nella cappella del paese dove, sovente, sua madre si ritirava a pregare.
Sua madre, chissà se stava pregando anche in quel momento, oppure se non si era nemmeno accorta della sua assenza. Da quanto tempo era via dal villaggio? Aveva perso il conto, ma non importava, lui era lì e doveva sapere.
"Mani naa essa en lle?" Lei ad un tratto gli disse, girandosi verso di lui, ma Ala'kai non capì una sola parola, intuì solo che doveva trattarsi di una domanda.
"Mani naa essa en lle?" Ripeté lei più lentamente indicandosi.
Inutile, per lui era come se lei gli stesse parlando di conti e numeri, anch'essi un mistero per lui.
Lei si mosse un po' spazientita, gettando gli occhi al cielo, non le piaceva non essere compresa, eppure aveva solo posto una semplice domanda a quel bambino.
Ad un tratto, la sua incantevole espressione serena e divertita mutò, afferrò Ala'kai per un braccio e si mise a correre portandoselo appresso.
Incredibile quanto fosse agile pur essendo più piccola e minuta di lui e camminando a piedi scalzi, non sbagliava un passo, oltretutto non sembrava affatto che stesse scappando, piuttosto sembrava stesse danzando.
Il ragazzino dai capelli castani le era così vicino da poterne sentire il profumo, odorava di fiori, di mare e di pino marittimo, la stretta della bambina dai capelli biondo dorati era leggera ma salda, lo guidò attraverso una serie di corridoio per poi giungere ad una stanza e lì arrestarsi di colpo, tanto che quasi Ala'ksi non le finì addosso per forza d'inerzia, lui aveva il fiatone, lei no, sembrava invece, oltremodo entusiasta per quel diversivo.
"Mankoi naa lle sinome?" Gli chiese ancora, sperando questa volta di essere compresa.
"Non capisco una parola di quello che dici, ma che posto è questo?" Chiese lui, guardandosi attorno meravigliato, nella stanza, ampia e luminosa, erano appese al soffitto  e disposte qua e là una quantità di oggetti molto particolari. Alcuni li conosceva, altri no, c'erano giocattoli, modellini, riproduzioni di strumenti musicali e molti, molti disegni raffiguranti uccelli e pesci, attaccato qua e là o sparsi sul pavimento.
Ala'kai si spaventò, scartando di lato come un gatto, quando uno strano aggeggio con una corda a penzoloni, gli sfiorò la testa, rimanendo a mezz'aria.
Questo fece scoppiare in una risata chiassosa la bambina che si sedette a terra tenendosi la pancia dal tanto ridere.
"È solo un modellino di macchina volante..." Disse lei asciugandosi le lacrime dagli occhi e rassettandosi il candido vestitino.
"Macchina volante?" Chiese Ala'kai, non rendendosi conto che lei aveva parlato la sua lingua per un attimo.
"Ma... Ma tu parli la mia lingua allora?" Chiese poi con sincero stupore.
"No, sei tu che non parli la mia... Il Comune lo conoscono tutti, ma a me non piace usarlo, ha un suono troppo brutto, sembra di parlare come anatre starnazzanti... Qua... Qua...Qua.." disse lei, mimandogli gesto con le mani e il suono con la bocca, in quel momento, sembrò molto più matura della sua età.
"Vieni, ti mostro una cosa, non vengono mai molti stranieri qui, e sei il primo che vedo dopo tanto tempo, sai mio padre non vuole..." Non terminò la frase, ma si avviò rapida verso un ampio salone adiacente a quella bizzarra stanza.
"Guarda!" E la bambina col viso d'angelo indicò le pareti di quel salone, lasciando di nuovo a bocca aperta Ala'kai.
Appese al muro stavano file e file di spade, perlopiù di pregevole fattura, ma anche bastoni intarsiati, da combattimento e armi esotiche che Ala'kai non aveva mai visto  nella sua breve vita.
"Questa è la sala dove mio padre si allena, cioè si allenava, alcune di queste spade sono vecchissime, appartengono alla nostra famiglia da tanto tempo. Vuoi provarle?" Gli chiese lei prendendo in mano un bastone di frassino da combattimento.
Ala'kai pensò che fosse ridicola con in mano quel coso, una bambina con un'arma troppo grande per le mani.
"Che c'è? Hai paura? Mi so difendere sai?" Lo provocò lei con quei suoi occhi meravigliosi.
"E va bene..." Poi rimase di sasso, quando vide la propria spada posta accanto alle altre, che avevano anch'esse la stessa fattura e incisione. La impugnò e di sentì subito più sereno.
"In guardia!" Entrambi i bambini si misero in posizione di difesa e iniziarono una specie di danza che mimava un vero e proprio combattimento.
La piccoletta dai capelli chiari si difendeva bene, ma anche lui non era male, anche se ad Ala'kai mancava una certa grazia ed una certa acutezza, doti che invece la sua avversaria aveva.
"Ti arrendi?" Le domandò lui dopo averla disarmata e gettata a terra.
"Mai..." Gli fece eco lei, con una espressione furba in viso.
In un lampo svanì e lui se la ritrovò alle spalle e cadde sotto il peso del bastone.
"Hai barato, che trucco è questo? Non puoi usare la magia!" Gli disse lui un po' ferito nell'orgoglio per la verità. -battuto da una femmina, una mocciosetta per giunta!-
"Perché no? In battaglia tutto è lecito, sei tu che sei lento come una tartaruga!" Lo derise lei,  ma senza malignità.
"Shhhhh..." Fece ad un tratto immobilizzandosi.
"Che c'è?" Disse sottovoce lui.
"Zitto, non farti sentire, se mio padre ci scopre sono guai, vieni" Gli rispose lei quasi sussurrando.
"Posso tenere la spada?" Chiese lui sempre bisbigliando.
"Sì, ma vieni, e fai presto!" Lei si allontanò lasciando a terra il bastone.
Quando furono sicuri di non essere stati scoperti si fermarono, ed erano in un'altra zona del castello.
"Non ti ho nemmeno chiesto come ti chiami" le disse lui.
"Erinn, mi chiamo Erinn. Io ti ho domandato come ti chiami, ma non mi hai risposto" lo rimbeccò lei.
"Mi chiamo Alexandròs, ma tutti abbreviano in Ala'kai" disse lui.
"Che nome buffo, suona strano detto nella lingua Comune" dichiarò lei.
"E così non parli l'elfico? Peccato. Io non parlo molto il comune ma per te posso fare un eccezione, in fondo ti ho battuto, ho vinto!" Chiocciò lei, tutta trionfante, ed in quel momento tornò ad essere la bambina che era, anche fisicamente.
"Sono io che ti ho fatto vincere" sbuffò Ala'kai, incrociando le braccia al petto.
Aveva pur sempre il suo orgoglio da difendere.
"Come vuoi..." Lo ignorò lei, andando vicino ad una culla posta accanto ad un letto, di cui Ala'kai non si era minimamente accorto.
"Ora fai piano, vieni, non lo svegliare, altrimenti chi li sente poi i miei genitori!" Gli disse lei prima di farlo avvicinare.
Nella culla di vimini intrecciato, stava un neonato addormentato, un po' bruttino per la verità, il viso paffuto, le orecchie lievemente appuntite e sparuti capelli neri in testa.
"Questo qui è mio fratello, Simenon, è nato da poco, è tranquillo solo quando dorme, ma io lo adoro lo stesso. Ero stufa di starmene in questo posto tutta da sola..."
Ala'kai lo osservò pensando che non poteva essere fratello di quella bambina così bella e intelligente. Lo toccò e il neonato si riscosse dal torpore.
"Cosa fai?" Disse lei, bloccandolo.
"Lo sveglio! Voglio vedere che faccia fa!" Disse innocentemente Ala'kai.
"Sei matto? Se piange poi arriveranno qui i miei genitori e..." Disse lei un po' allarmata.
"Ma dai cosa vuoi che ti facciano?" Rise Ala'kai dell'agitazione della piccola Erinn.
Simenon si svegliò, spalancando i grandi occhioni scuri, e per un secondo si guardò intorno sereno, per poi scoppiare subito dopo in un pianto a dirotto, le cui urla avrebbero potuto mandare in frantumi i vetri delle finestre.
"Fallo smettere!" Implorò Ala'kai, tappandosi le orecchie.
"Troppo tardi, te l'avevo detto..." Disse Erinn, prendendo in braccio il fratellino di pochi mesi, cercando di calmarlo.
"Cosa state facendo qui?" Tuonò una voce alle spalle dei bambini.
Ala'kai rimase di sasso trovandosi faccia a faccia con suo padre Joseph, erano anni che non lo vedeva, ma dovette ammettere come il tempo non avesse scalfito per nulla quella sua espressione austera e fiera.
"Padre... io ho cercato di avvisarlo, ma lo sciocco -Adan- non ha voluto ascoltarmi!" Si giustificò Erinn, tenendo stretto a sé il piccolo Simenon.
"Cerca di calmarlo, sai che se si risveglia sono guai, te l'ho spiegato..." Le intimò suo padre, prima di rivolgersi al figlio maggiore.
"E tu, vieni con me, adesso!". Il tono di Joseph fu talmente basso e secco che Ala'kai, pur non volendo, trasalì e non gli riuscì di rispondere, quindi si limitò a seguirlo col capo chino, sapeva di aver fatto una cosa sbagliata, ma non pensava fosse così grave da far arrabbiare così suo padre. Mentre il giovane Ala'kai si allontanava, vide Erinn incoraggiarlo con lo sguardo, non sapeva dirsi il perché, ma quella bambina lo aveva stregato, aveva il potere di calmarlo e agitarlo insieme.
Il piccolo Simenon intanto, cullato dalla cantilena della sorellina, si era riaddormentato e fortunatamente, i segni sul suo volto avevano iniziato già a scomparire, mentre si quietava. Anche per quella volta il pericolo che il demone si risvegliasse troppo presto, era scampato.
Dopo un tempo che parve interminabile, soprattutto per un bambino di dieci anni, suo padre parlò di nuovo, senza guardarlo in volto.
"Perché sei venuto? Tua madre lo sa? Potevi morire nella traversata questo lo capisci? Non pensavo di aver generato un figlio tanto sciocco ed egoista da pensare solo a se stesso!" Joseph non voleva essere così duro, ma dentro di sé era combattuto tra l'essere un buon padre per Alexandròs e il proteggere gli altri suoi figli.
Ala'kai, non aspettandosi quel rimprovero, tentennò e trattenendo a stento le lacrime cercò di articolare una giustificazione.
"Padre... Io... Volevo vedervi, volevo sapere perché ve ne siete andato. È forse per colpa mia o di mia madre? Tornate da noi, oppure lasciatemi restare qui con voi, per favore..."
La figura alta e forte di Joseph fu scossa in maniera impercettibile dalle parole del figlio, ma non si girò verso Ala'kai, nonostante avesse un estremo bisogno di ricucire quello strappo, quella separazione costata anni, in cui non aveva mai smesso di pensare alla chioma castana e quegli occhi sinceri di bambino.
"Non posso tornare, e tu non dovresti essere qui. Farò venire tua madre per riportarti a casa, e non voglio più essere costretto a recuperarti esanime in mezzo al deserto, ci siamo capiti?" Chiese lo stregone Nephilim al bambino che annuì, pur sapendo di non esser visto dal padre.
Joseph si allontanò lungo il corridoio piano, facendo frusciare le grandi ali nere, che teneva ripiegate sulla schiena, lasciando Ala'kai immobile e con una grande rabbia nel petto.
"Io non voglio lasciarvi!" Gridò il bambino correndo incontro al padre e abbracciandolo da dietro, il viso premuto sulle grandi ali e le braccia strette strette intorno alla vita di Joseph, che lentamente si liberò da quella presa, inginocchiandosi verso il figlio.
"Ascoltami, lo dirò solo una volta, ed è importante" disse fissando i suoi occhi neri in quelli azzurri del figlio poggiandogli le grandi mani sulle spalle.
"Non ho mai voluto lasciarti, ma ho dovuto. Ora non posso spiegarti tutto, ma un giorno forse capirai". Lo disse con dolcezza, per la prima volta, sorrise quasi.
"La bambina con cui hai parlato è tua sorella Erinn, mentre il più piccolino è tuo fratello Simenon. Su di te e su di loro è stato gettato un brutto maleficio e io devo proteggervi, e per farlo ho dovuto separarmi da te, nasconderti, non far sapere loro che sei mio figlio, come lo sono loro, se tu restassi Alexandròs saresti in pericolo, tu e i tuoi fratelli più piccoli... Tu non vuoi che accada loro qualcosa vero?" Chiese, come per essere sicuro che il bambino avesse capito la gravità della situazione.
"No... non voglio, ma posso... Ecco posso proteggerli... sono bravo con la spada, non ho paura!" rispose risoluto Ala'kai portando la mano destra sull'impugnatura di quella spada troppo grande che portava al fianco.
Joseph scosse la testa e, nel farlo, una lunga ciocca di capelli nerissimi come la notte gli scivolò davanti al viso austero e segnato da una profonda cicatrice all'altezza del sopracciglio sinistro.
"So che non hai paura. Hai preso da me, sei talmente cocciuto da aver attraversato Ardivestra da solo, ma questa non è cosa da bambini, né si può combattere solo con l'acciaio di una spada..." Nel dire queste parole lo sguardo di Joseph fu oscurato da un pensiero, che corse veloce come un brivido, un oscuro presagio che aveva il sapore di una certezza; in cuor suo  lo stregone Nephilim sapeva che non avrebbe passato ancora molte lune con i suoi figli.
"Ti accompagno da Erinn così ti mostrerà il resto, potrai fermarti qui da noi finché non sarà giunta tua madre..." Ala'kai fu gentilmente sospinto dalle braccia forti del padre verso il corridoio da dove erano venuti. Ogni passo ora gli sembrava più pesante, intuiva di avere dei fratelli da qualche parte, ma ora quell'intuizione era divenuta realtà, una realtà triste, difficile da capire per un bambino come lui. Loro tre non sarebbero mai potuti crescere insieme e lui, Alexandròs Vargas, non sarebbe potuto stare con quel padre di cui tanto aveva sentito la mancanza.
"Non toccare i muri!" Fu l'avvertimento del padre, prima che Ala'kai potesse allungare una mano verso quegli strani esseri imprigionati nelle pietre, ma la curiosità del bambino ebbe la meglio e così risvegliato, uno dei quegli strani animali, umanoidi per metà e per metà animale cercò di aggredire colui che ne aveva disturbato il riposo.
Artigli corti, ma aguzzi cercavano di colpire il viso di Ala'kai, mentre la bocca del mostro, alto quanto lui, cercava di morderlo producendo versi gutturali e sgraziati. Il giovane spadaccino fu colto alla sprovvista e inciampò prima ancora di poter sguainare la spada, che nulla avrebbe comunque fatto contro un gargoyle di pietra.
"Lasciami bestiaccia!" Ala'kai si dimenava contro il suo assalitore, senza riuscire a liberarsi, quello lo ferì al braccio, proprio all'altezza di uno dei segni che si portava dietro dalla nascita, un leggero rivolo di sangue gli colò giù proprio su quella strana spirale nera che aveva, sulla sua pelle, una forma tribale.
Ala'kai, ad un tratto sentì suo padre gridare "Kela!", un ordine che non comprese, ma che ebbe l'immediato effetto di calmare quel dannato gargoyle che lentamente, ma senza mai staccare gli occhi dal ragazzino, sbuffando e ringhiando, ritornò al suo posto sul piedistallo della parete riprendendo la forma immobile di statua.
"Che il diavolo ti porti..." Imprecò Ala'kai dimenticando la buona educazione mentre si teneva il braccio ferito con l'altra mano.
"Ti ho detto di non toccare i muri!" Disse Joseph in tono irato, la cicatrice sul sopracciglio mise ancora più in soggezione Ala'kai che aprì la bocca, ma subito dopo la richiuse.
"Tu non ascolti mai eh?... Stai bene?" Chiese infine il padre, vedendo la ferita sul braccio del figlio.
"S-si, è solo un graffio, ma cos'era quella -cosa-?" Chiese ancora un po' confuso.
"Quello è un Gargoyle incantato, è qui da molto prima che ci fossi io, in un qualche modo funge da trappola e da guardiano del castello, ce ne sono altri, così come ci sono molti incantesimi qui. Vuoi sapere quali?" Chiese lui al figlio.
"No, no, di magia ne ho già avuto abbastanza, però ecco... Avrei una certa fame..." Disse toccandosi lo stomaco che gorgogliava già da un po'. Joseph a quella richiesta rise e lo accompagnò da Erinn, mostrandogli le cucine, non prima però di avergli fatto medicare il braccio. I due bambini fecero una lauta merenda, senza troppi complimenti, Ala'kai si riempì la bocca di pane e marmellata, mentre la più piccola, Erinn, mangiò con molta più grazia e discrezione, tipica questa delle genti elfiche. 
Non potevano essere più diversi quei due fratelli, eppure c'era qualcosa che li accomunava, qualcosa che andava al di là delle differenze reciproche o delle somiglianze fisiche, era qualcosa che riguardava il loro futuro. Una grande responsabilità che inconsciamente avrebbero diviso e che li avrebbe separato per sempre.
Joseph li lasciò lì a discutere su chi fosse il più coraggioso dei due: la bimba dai capelli color oro sosteneva che avrebbe reso innocuo subito quel gargoyle, a differenza dello spadaccino che si era fatto "fregare". Alexandròs dal canto suo continuava ad insistere sul fatto che Erinn, senza aiuti, non se la sarebbe mai cavata nel deserto di Ardivestra, come invece aveva fatto lui, tutto da "solo"...
Il leggero sorriso sul viso di Joseph, fu subito adombrato dal pensiero di quello che avrebbe detto sua moglie Anuviel, al riguardo.
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Anuviel, stupenda, quanto ineffabile creatura, se ne stava come sempre rintanata  tra le foglie di quel meraviglioso giardino botanico che era stato fatto costruire apposta per lei. Joseph aveva fatto giungere piante e fiori da ogni parte del globo, per allestire quel piccolo angolo di paradiso terrestre.
Si poteva tranquillamente dire che sua moglie amasse più quei fiori degli esseri umani, e del resto come biasimarla? Era stata costretta a lasciare la sua gente per il suo dono, che più che un dono era considerato una disgrazia, ed è anche per il rapporto con lui, con Joseph Vargas, un Adhanedel e stregone per giunta. Uno smacco inaccettabile per la famiglia di Anuviel, così ella era stata mandata velatamente lontano da loro, un esilio forzato, mascherato da mera e futile esigenza familiare. La nobile e bellissima elfa, dal canto suo, aveva accettato di buon grado di lasciare la sua rassicurante dimora perché, grazie al particolare "dono" che possedeva, era in grado di scorgere parte del proprio futuro. E in quel futuro erano compresi Joseph, e i figli che sapeva avrebbe avuto da lui: Erinn e Simenon.
Purtroppo Anuviel non si era mai inserita bene nel nuovo contesto di vita, non riusciva a stare accanto alle persone comuni, ai "figli d'Adamo", a volte nemmeno al marito mezzelfo Joseph, e di questo lui era perfettamente consapevole, tanto che quando era nel giardino non osava disturbare il suo spazio quasi mai, quella volta però, fece un'eccezione.
"Quel andune Arwenamin" le si rivolse Joseph appena lei sollevò lo sguardo su di lui.
I suoi occhi smeraldo parvero attraversargli l'animo, ma Anuviel li riabbassò subito tornando a fissare il ricamo dorato che stava ultimando, quasi avesse timore di legarsi troppo a lui.
"Quel andune Heruamin..." gli rispose lei distaccata, come se fosse lì solo con il corpo, ma la sua mente fosse altrove.
"Lire?" Chiese nuovamente lei spiazzando il consorte.
"Mani?" Rispose sorpreso, non si aspettava che lei sapesse già, che avesse già intuito, ma del resto non poteva essere altrimenti, quella donna vedeva tutto, scorgeva ogni cosa ancora prima che di verificasse, era per questo che era fuggita anni prima.
"Presto, mia dolce Aranel, presto" In realtà Joseph non conosceva esattamente quando, ma era certo che la madre di Ala'kai fosse già in viaggio verso di loro per venire a recuperare il figlio, donna tenace senza dubbio.
"Lui non può restare qui" Anuviel lo disse senza esitazione, sapeva esattamente che i tre bambini non potevano stare così vicini per troppo tempo, o sarebbe stato un rischio grave per tutti loro.
"Lo so, ma lui non capirà..." Joseph, anche se aveva abbandonato il piccolo Ala'kai quando aveva solo tre anni, conosceva la determinazione del figlio. Se quel ragazzino di metteva in testa qualcosa non c'era verso di dissuaderlo. Se il padre lo avesse rimandato indietro con la madre, prima o poi avrebbe trovato il modo di riattraversare il deserto di Ardivestra per ritornare. A malincuore capì che non aveva alternative, serrò i pugni sui fianchi e sospirò guardando di nuovo la bellissima moglie seduta su quel muretto di pietra, l'edere correva su quelle pietre formando un intricato disegno, simile a quello del ricamo che stava intessendo Anuviel.
"Sai cosa devi fare" l'elfa accompagnò quelle parole con uno sguardo deciso verso il marito.
"Si, ma non mi piace per niente il doverlo fare" il mezzelfo non sopportava l'idea di separarsi di nuovo da Ala'kai, né tantomeno di separare lui da loro, da Erinn e da Simenon.
"E allora scegli. Puoi sempre andare con la donna umana e con Ala'kai, torna a casa, lasciaci pure, hai già fatto più di quel che dovevi, in fondo non sono nemmeno certa che il bersaglio sia il piccolo figlio d'Adamo". Anuviel stava ponendo Joseph di fronte ad una scelta difficile:  lasciarla lì, nel castello magicamente protetto e rinunciare così a stare accanto ai suoi due figli più piccoli, oppure restare, ma perdere per sempre Ala'kai.
"Non puoi chiedermi questo. Io ho già scelto anni fa' è solo che..."
"... che ora dubiti, il tuo cuore è confuso, non credi più alla profezia, pensi che io ti abbia ingannato, che io mi sia legata a te solo per fuggire da una situazione scomoda..." Disse lei e, nel mentre, si alzò in piedi avvicinandosi al Nephilim. il tessuto delicatissimo dell'abito color indaco e argento che indossava, riflettè la luce del meriggio donando a tutta l'esile figura di Anuviel sfumature calde di rosso e arancione.
"Esistono forse altri motivi? So di non essere ciò che volevi..." Sottolineò Joseph abbassando lievemente lo sguardo sulle mani affusolate di lei.
"Neanche io sono colei che tu volevi... Siamo stati uniti per compiere un destino più grande. In tutto questo l'amore non ha mai avuto molto spazio, non è così?" Anuviel pronunciò quelle parole come se non ne soffrisse più di tanto, forse per lei era stato più facile vivere quella vita insieme senza amore, senza un legame profondo.
"Ti sbagli, almeno su questo ti sbagli... Tiro na nin..." Joseph non voleva certo ordinarglielo, ma lei non capendo la richiesta, prese quello come un comando. Lo guardò così come lui aveva chiesto e negli occhi smeraldo di Anuviel si rifletterono quelli scurissimi  di Joseph, in un gioco di riflessi crudele.
La verità era che lui l'amava, lasciare la madre di Ala'kai era stato difficile e doloroso, ma non doloroso quanto non vedere in quel momento alcuna emozione negli occhi della sua bellissima moglie Anuviel.
Lei non sapeva amare, non nel modo che Joseph bramava, così ben presto lui si era ritrovato a bramare anche il più piccolo gesto da lei, qualcosa che tradisse almeno un po' di affetto, di trasporto, di attrazione verso di lui. Invece tutto quello che aveva ottenuto negli ultimi sette anni erano solo azioni condiscendenti, obbedienza e soddisfacimento dei "doveri coniugali", nulla a che vedere con un legame amoroso che potesse definirsi tale. Joseph odiava quella situazione, era innamorato di una donna bellissima, ma totalmente inarrivabile, inesplicabile nella propria volontaria distanza.
"Ti prego guardami..." Chiese nuovamente lui, questa volta la richiesta suonò più come una supplica.
"Non è quello che sto facendo?" Domandò lei, non capendo perché lui fosse diventato di colpo così triste.
"No, tu mi stai guardando, ma in realtà non mi vedi... Credo che se io oggi stesso, andassi via con Ala'kai tu non ne soffriresti e questo mi addolora". Joseph girò il viso verso il sole al tramonto, non sopportava più quelle iridi profonde, ma distanti, su di sé.
"Sarebbe una tua scelta, perché dovrei soffrirne? Voglio che tu sia libero di decidere. Non è forse quello che ti ho detto anche quando ci siamo incontrati la prima volta? Hai scelto me, pur sapendo del futuro che ti prospettavo. Eri libero, non ti ho forzato a lasciare i tuoi affetti e la tua casa" lo rimproverò Anuviel, come se ricordare il passato la facesse sentire nel giusto.
"Se avessi saputo che amarti mi avrebbe fatto sentire così solo e disperato, forse non sarei venuto con te..." Confessò lui sempre tenendo il volto girato ad Ovest.
"Mi dispiace, è questo che vuoi che ti dica? Chiedi e io ti dirò quello che vuoi sentire" lei gli si fece più vicina, arrivando quasi a sfiorargli il dorso della mano, pur senza toccarlo.
Joseph si voltò bruscamente verso di lei, che gli arrivava a mala pena alle spalle e le mise una mano sul viso candido ed eternamente fanciullesco.
"Non funziona così mia Aranel, queste sono cose che non posso chiedere, devono venire da te, ma entrambi sappiamo che non verranno..." Disse con una punta di rassegnazione nella voce.
"Vuoi forse rimproverarmi di non essere stata una degna moglie? Di non aver condiviso il letto con te innumerevoli notti? Di non averti dato quello che chiedevi? Di non voler proteggere i nostri figli?" Chiese lei allo stregone mezzelfo, non c'era rabbia nella voce, forse solo una punta di risentimento.
"Nulla di tutto ciò, proprio non capisci. Non si tratta del fatto che io chieda, ma del fatto che non lo faccia mai tu" sottolineò Joseph.
"Cosa vuoi che ti chieda? Non mi occorre nulla, non sento il bisogno di ottenere qualcosa da te, ma se la cosa ti fa stare tanto male, allora imparerò a chiedere". Disse lei sempre misurando le parole, senza troppa emotività.
"Lascia perdere, davvero Anuviel, non importa... Torna pure al tuo ricamo, io vado dai bambini..." Scoraggiato il nephilim si staccò dalla consorte, voltandosi in direzione dell'ingresso del giardino verso il cortile interno del castello.
Non aveva fatto che qualche passo sul selciato di ghiaia fine, che si sentì chiamare indietro da lei.
"Joseph..." Disse il suo nome a mezza voce, evidentemente quello che stava per dire le costava grossa fatica. Anuviel non era abituata a quel genere di cose.
"Cosa c'è Anuviel?" Domandò lui, leggermente innervosito senza voltarsi.
"Miqula Amin..." Sussurrò lei, quasi avesse paura del suono di quella richiesta.
Lui si voltò indietro e percorse lentamente, ma in maniera decisa quei pochi metri di distanza da lei, si fermò quando le fu esattamente ad un palmo di distanza.
"Chiedilo di nuovo" lui la osservava senza distogliere lo sguardo stavolta.
"Miqula Amin..." Pronunciò lei con voce tremolante, non riusciva a spiegarsi quel turbamento, quel lieve imbarazzo che le era preso, il cuore non seguiva il ritmo tranquillo dei suoi respiri, ma sembrava pretendere maggiore spazio, batteva veloce, insolitamente veloce per Anuviel.
Joseph con esasperante lentezza mise una mano tra i capelli biondo dorati della sua sposa e, prendendole la nuca l'attirò a sé, chinandosi sul quel viso cesellato nella perfezione.
Lei ebbe un fremito, un improvviso moto di indecisione, si irrigidì leggermente.
Si erano già baciati molte altre volte, ma mai nessuno di quei baci aveva assunto quei contorni e quel significato, nemmeno il primo anni addietro, era stato Joseph a chiedere e lei lo aveva lasciato fare, poco convinta. Ora, invece, era stata Anuviel a farsi avanti, ad aprire un spiraglio seppur piccolo su quei sentimenti di cui Joseph parlava e che lei non aveva mai compreso.
"Ci hai ripensato?" Chiese il mezzelfo, mentre una sua ciocca di capelli neri scendeva a sfiorare il viso di lei.
"No... Però..." Farfugliò lei in preda alla confusione, il cuore sempre più veloce la distraeva e i suoi occhi si erano fatti più languidi, così come i respiri più corti.
"Non capisci vero?" Concluse lui per lei, Anuviel assunse un'espressione ancora più confusa, molto diversa dalla distaccata tranquillità che sempre la contraddistingueva.
"Tu senti qualcosa, ma non sai dare un nome a questo qualcosa. Quando saprai cosa è che ti fa battere così il cuore, torna da me e chiedilo di nuovo, io aspetterò" Joseph sciolse la stretta che aveva su di lei, sfilò la mano dai suoi serici capelli e si allontanò lasciandola lì, con la mente in subbuglio e un'emozione a fior di labbra che ancora non aveva nome, ma forse avrebbe assunto presto la forma dell'amore.
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Erano trascorsi tre giorni al castello dei Vargas, Erinn e Ala'kai avevano avuto modo di conoscersi e parlare un bel po'. Insieme avevano esplorato varie aree del castello, e il giovanissimo spadaccino si era tenuto a distanza da strane creature, muri, botole, sotterfugi, onde evitare altri spiacevoli incontri.
"Ti dico che non esistono!" Insisteva Ala'kai guardando una illustrazione a colori vividi su un grande e vecchio tomo rilegato che parlava di draghi e creature fantastiche.
"E invece sì che esistono, solo non si farebbero mai vedere da uno stolto come te!" Rispose Erinn incrociando le braccia al petto in segno di sfida.
"si vede che sei una bambina, solo le mocciose credono ancora a queste favole!" La schernì lui, prendendola in giro.
"A chi ha detto bambina? Sei solo uno stupido umano puzzolente e ignorante!" Gridò lei paonazza in viso all'indirizzo di Ala'kai, poi scattò cercando di colpirlo con una piccola data di legno.
"Zitta! Vuoi svegliare di nuovo il mostriciattolo?" La corresse Ala'kai bloccandole entrambe le braccia con una mossa abile.
"Quel mostriciattolo è mio fratello!" Sottolineò Erinn cercando di liberarsi da,la presa di Alexandros.
"Beh in un certo senso è anche il mio, non credi?" Ammise Ala'kai, seppur ancora stranito da quella situazione. Joseph aveva spiegato a lui e ad Erinn il loro legame, il loro essere fratelli da parte di padre, sapeva che non poteva durare quell'idillio, ma almeno per qualche giorno voleva che almeno loro si sentissero uniti come una famiglia.
"Fratellastro semmai..." Erinn non gliene lasciava passare una, ma Ala'kai aveva capito che non lo faceva con cattiveria, bensì per un eccesso di correttezza, che su una bambina di sette anni stonava un po', ma Erinn non era certo una bambina comune. Era tutto fuorché comune.
"Ah sì, allora sai cosa fanno i fratellastri alle sorellastre?" Senza aspettare risposta dalla piccola elfa Ala'kai iniziò a torturarla con il solletico, cosa che aveva scoperto lei non sopportava.
"È guerra!" Gridò fingendosi arrabbiato, mentre lei si dimenava cercando di farlo smettere.
"Smettila.. Sme..ti...la..." Farfugliò lei tra le lacrime e le risate, contorcendosi.
"Ti arrendi?" Chiese lui proponendo una tregua.
"No..." Disse lei ancora in preda agli spasmi del solletico.
"Ah sì?" Ala'kai le punzecchiava la pancia e la schiena facendola piangere dal ridere, ridendo lui stesso.
"Mi arrendo... Mi arrendo..." Disse Erinn senza più fiato.
Alexandros smise di infastidirla, lasciando che la sorella più piccola si ricomponesse.
"Sei proprio stupido!" Disse lei fingendosi offesa.
"E tu sei bellissima" Le parole uscirono dalla bocca del bambino di getto, spontanee e sincere "E sei petulante..." Concluse con una smorfia.
"Come?" Chiese lei dubbiosa sul significato di petulante.
"Lascia perdere, quello che conta è che non saremo più soli, io non sarò più solo perché ho voi, e voi avrete sempre me. Ma al mostriciattolo però ci pensi tu..." Sottolineò Ala'kai indirizzando lo sguardo verso la culla del piccolo Simenon.
"Certo! Cosa credi? Sono una brava sorella io! E comunque le sirene esistono ti dico e un giorno le vedrò spuntare dal mare..." Erinn persisteva in quella fissazione dei pesci mezzi umani, Ala'kai scrollò la testa un'ultima volta prima di richiudere il pesante tono che insieme stavano sfogliando.
"Come vuoi tu..." Disse, mentre si avviava verso il grande salone.
"Tu non vieni Erinn?" Chiamò la sorella.
"Si arrivo, aspettami..." Erinn si alzò e avvicinandosi alla culla dove riposava Simenon gli sussurrò nelle orecchie "Simenon non dar retta a quello stupido di nostro fratello! Le sirene esistono e un giorno te le farò vedere, anzi ci faremo portare insieme sul fondo del mare a vederne il tesoro e il loro bellissimo re..." 
Il neonato non rispose, ma fece una bolla e una smorfia nel sonno, agitando le minuscole e paffute manine rosa.
Nessuno dei tre poteva sapere che proprio colui che non credeva nell'esistenza delle sirene, un giorno ne avrebbe incontrate fugacemente addirittura tre, proprio nella baia poco distante da quel Castello.

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Quando la madre di Alexandros giunse a prenderlo erano trascorsi quasi sette giorni, il piccolo si stava ambientando e non aveva intenzione di andarsene. Avrebbe voluto vivere lì per sempre, ma presto le cose sarebbero cambiate.
Ala'kai, insieme a sua sorella Erinn osservò poco distante, la scena di suo padre e sua madre che discutevano animatamente.
"Leandra... Per favore sii ragionevole!" Insisteva Joseph, ma la donna non voleva sentirne di ragioni.
"Non se ne parla nemmeno, il bambino viene via con me adesso! Tu ci hai abbandonato e lui per venire da te è quasi morto in questo deserto maledetto!" Gridò Leandra, la madre di Ala'kai in faccia a Joseph, per nulla intimorita dalla presenza di Anuviel al fianco dell'ex compagno.
"Sai che non lo avrei mai permesso, l'ho percepito quasi subito e sono accorso a prenderlo, niente che attraversi il deserto sfugge a me o ad Anuviel, tantomeno mio figlio!" Rispose lui lievemente infastidito.
"Oh certo, la tua bella elfa, sei sempre certo di ciò che ti dice, dei suoi poteri? E se un giorno venissero a prendere Ala'kai? Ci hai pensato? Io devo proteggerlo, non posso lasciarlo qui un giorno di più. È troppo pericoloso che rimanga qui... Con te..." Leandra socchiuse leggermente gli occhi e la sfumatura di blu delle iridi si tinse di grigio.
"Ma se tu lo trascini via ora, che non vuole tornare, lui troverà il modo di scappare per venire ancora qui e sai che io non posso venire con voi..." Ammise a malincuore Joseph, ricordando la scelta fatta anni prima.
"Beh tu sai cosa fare, non è vero?" Con quell'ultima domanda Leandra si rivolse direttamente ad Anuviel che annui impercettibilmente.
"L'umana ha ragione Heruamin, devi farlo, per il bene suo e di tutti i tuoi figli. Non sappiamo quando attaccheranno, sappiamo solo che verrano, e verranno per Ala'kai e forse anche per Simenon. Tu devi separarli, e dev'essere per sempre" l'elfa parlò e quelle parole prive di emozione si depositarono sul cuore di Joseph come un macigno.
Non aveva più scelta, solo lui poteva separarli senza che potessero più ritrovarsi.
"Alexandros vieni qui" ordinò il padre al figlio, quest'ultimo, titubante, avanzò da dietro alla colonna da cui aveva spiato tutta la scena.
"Ascoltami, ora devi andare con tua madre, devi andare a casa e non dovrai mai più cercare di tornare qui. Io ti ho amato tanto e mi dispiace non poter stare con te, sei un bravo bambino, non cambiare mai e se puoi perdonami..." Disse Joseph, stringendo a se Ala'kai in un abbraccio che aveva il sapore di un doloroso addio.
"Ma padre... Ed Erinn e Simenon?" Chiese il giovane spadaccino.
"Dimenticali e ora va'!" Ordinò Joseph, mettendo il bambino di peso in sella al bel destriero di Leandra, lei salì subito dietro al figlio e rivolse uno sguardo risoluto al mezzelfo che era stato suo amante.
"Fallo. Non preoccuparti, noi ce la caveremo" La donna dai lunghi capelli castani raccolti in una treccia morbida, annuì, aveva il viso scavato nella durezza delle montagne e baciato dal sole.
"Padre, io non voglio lasciarvi!" Fu l'ultima supplica seguita da alcune lacrime fugaci sul viso di Ala'kai.
Anche la piccola Erinn guardava il padre confusa, sperando che cambiasse idea.
Lo stregone nephilim diede una pacca sul posteriore del cavallo che di mise al trotto. Leandra teneva le redini in maniera impeccabile, non si voltò neppure mentre Ala'kai implorava il padre di poter restare ancora un po'.
L'ultima immagine che Ala'kai vide fu quella di Joseph che, muovendo le mani, intonava una formula magica, un incantesimo di oblio della memoria, un sigillo che lo colpì in maniera inesorabile e, come su di lui, ebbe effetto anche su Erinn, e sul piccolo Simenon.
Tutti dimenticarono ciò che erano stati l'uno per l'altra, dimenticarono la propria reciproca esistenza. 
Alexandros tornò a credersi figlio unico e ad odiare quel padre tanto vigliacco da aver abbandonato lui e sua madre per rifarsi una nuova vita.
Erinn dimenticò di quel fratello maggiore chiassoso e spaccone, che tanto amava farle il solletico, e che non credeva nelle sirene.
Menzogne, illusioni, distorsioni della realtà, tutto fatto per proteggerli.
L'unico a custodire la verità sarebbe stato Joseph, insieme alla moglie Anuviel. 
Anche Leandra avrebbe dimenticato, ma col tempo, ora doveva ricordare ancora per proteggere il figlio.
"Hai fatto la scelta giusta" disse Anuviel posando le dita affusolate sul braccio del mezzelfo.
"Dici? E allora perché mi sento così male? Ho perso un figlio" nella voce di Joseph, per quanto esternamente non facesse trasparire emozioni, aleggiava molto dolore e molta rabbia.
"Non lo hai perso, lo hai solo allontanato da te" lo corresse lei.
"E non è forse lo stesso? Avrà ricordi distorti di un uomo che non sono io, crederà che non lo ami, che io non abbia mai amato sua madre" sottolineò lui al limite della sopportazione emotiva.
"Ma lo hai salvato e, forse, hai salvato tutti noi. Hai preso la decisione giusta" ribadì Anuviel con una punta di comprensione nella voce.
"Lo spero mia Aranel, lo spero" ammise lui scoraggiato, stringendosela al petto.
La vita però aveva in servo per i tre fratelli un destino ben diverso da quello che volevano Joseph, Anuviel e Leandra.
Alexandros, Erinn e Simenon erano come tre rami dello stesso albero e così sarebbe stato fino alla fine.
Sarebbero stati fratelli per sempre, seppur ignari, seppur divisi, seppur lontani.


NOTE DELL'AUTRICE:
Eccomi, alla fine di quest'ultimo sclero. È un po' lunga questa OS, ne ne rendo conto, ma dovevo sviscerare alcune tematiche che saranno poi centrali anche nella long "la promessa del mago". Purtroppo non riesco a postare le note di traduzione dell'elfico, non so che mai, l'html non collabora, ma lo farò presto, spero si capiscano comunque i dialoghi.
Ringrazio sin d'ora le mie lettrici fedelissime: celtica, Aishwarya, Michela, Juliet, Manto, Arianna Rose, Rachele, Tanny e chiunque vorrà leggere e recensire.... E anche chi solo è di passaggio.
Grazie a tutti!

A presto!
Ladyhawke83
   
 
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