Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
Ricorda la storia  |      
Autore: keepcalmandwrite    04/10/2016    3 recensioni
Jon Snow, pugnalato a tradimento dai suoi stessi confratelli, i Guardiani della Notte, si accascia a terra sulla neve e muore. La sua anima compie un viaggio in una dimensione ultraterrena, dove qualcuno già da tempo lo stava aspettando per potersi ricongiungere a lui. Ma il destino di Jon Snow non è questo, la sua vita non finisce con la morte, e presto scoprirà che qualcosa di più grande lo attende.
[Nota: in questa fan fiction prendo per buona la teoria secondo cui il vero nome di Jon sia Jaehaerys, come si presume Lyanna abbia sussurrato a Ned nella scena della Torre della Gioia.]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jon Snow, Lyanna Stark, Rhaegar Targaryen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capì di essersi accasciato a terra sulla neve quando il gelo lo colpì d’improvviso sulla schiena e si protese poi lungo entrambe le gambe. La neve era fresca, appena caduta, ma fredda e per niente accogliente. Sul suo petto e fino al ventre, però, Jon sentiva come un incendio esplodergli dentro a causa delle coltellate. Il fuoco dentro di lui, e il ghiaccio al di sotto. Fuoco contro ghiaccio, in un’eterna e dolorosa lotta, finché non percepì i sensi venirgli meno. Esalò l’ultimo, silenzioso respiro, accompagnato da un lungo ululato di metalupo in sottofondo. Poi, Jon Snow morì.


Se fossero passati giorni, ore o solo pochi minuti, Jon non lo sapeva. Si ritrovò d’un tratto a camminare in mezzo al nulla, con addosso la stanchezza di chi camminava da una vita. I suoi passi erano svelti e decisi, come attratti verso qualcosa di importante che non poteva attendere oltre. Il giovane uomo si guardò intorno, chiedendosi dove i suoi stessi piedi lo stessero portando. La terra era fredda e desolata, la vegetazione rada. Jon pensò di trovarsi nel Nord da qualche parte, incredulo al fatto che avesse abbandonato la Barriera e la Confraternita.
D’improvviso, una voce attirò la sua attenzione: era la voce di Ned Stark. «La prossima volta che ci vedremo, parleremo di tua madre». Jon si guardò allora intorno, lo cercò, ma non vide il volto del Lord di Grande Inverno pronunciare quella frase. “Me l’avevi promesso, padre. Ma tu adesso te ne sei andato, e io sono ancora qui, senza risposta alcuna. Io voglio sapere.” Attese qualche attimo, ma la voce di Ned non si fece più sentire.
A quel punto, Jon sentì la rabbia crescergli dentro. Perché proprio lui doveva essere destinato ad un fato tanto crudele, al destino di un bastardo? Perché doveva indossare quell’etichetta per tutta la vita, senza potersene liberare in alcun modo? Aveva creduto che entrando nei Guardiani della Notte si sarebbe lasciato il passato alle spalle e che avrebbe ricominciato una nuova vita, stavolta senza nome. Ma si era sbagliato. Lord Snow, lo chiamavano alcuni per deriderlo. Il bastardo figlio di un Lord. Nella sua testa risuonarono le voci di tutti coloro che lo avevano chiamato in quel modo fino a quel giorno: Catelyn Stark, per rimarcare la differenza tra i suoi figli e lui; Theon Greyjoy, perché si divertiva nel farlo arrabbiare, persino Sansa Stark lo aveva chiamato in quel modo più di una volta, senza mai nascondere un lieve ribrezzo. A loro si andavano ad aggiungere tutti i castellani di Grande Inverno, a cui piaceva ridere alle sue spalle e spettegolare sull’identità della donna che lo aveva messo al mondo. Poi fu la volta di Ser Alliser e dei Guardiani della Notte, ma a quel punto della sua vita Jon aveva deciso che quella parola non l’avrebbe più ferito, o perlomeno non lo avrebbe mai più dato a vedere.
Stava ancora camminando, stavolta spinto dalla rabbia a causa di quei pensieri, quando alzò lo sguardo e notò un grosso albero diga di fronte a lui. Osservò il volto inciso nella corteccia, piegato in una spaventosa smorfia di dolore, e lo specchio d’acqua calda alle sue pendici. Si rese presto conto che quel luogo gli era familiare: si trovava nel Parco degli Dei di Grande Inverno. Ma intorno ad esso non vi era nient’altro del parco, solo la grande distesa di terra su cui aveva camminato fino a quel momento. In che modo ci fosse arrivato a Jon sfuggiva, ma non ci volle pensare. D’un tratto si sentì stanco e dolorante come se non avesse riposato da diversi giorni. Inoltre, una voce dentro di lui gli diceva che doveva avvicinarsi. Così fece: proseguì fino al laghetto, poi s’inginocchiò e si sciacquò il viso.
Quando finì, un’intensa sensazione di benessere avvolse il suo corpo e la sua anima. Jon si sentì d’improvviso così bene che gli sembrò di aver vissuto per tutto quel tempo con un fardello addosso, e che solo in quel momento se l’era scrollato di dosso.
Si alzò in piedi, e solo allora si rese conto di non essere più solo. Una giovane donna era seduta alle pendici dell’albero diga, intenta a girarsi tra le mani una corona di rose blu. Anche lei si accorse presto di essere in compagnia, ma non fu sorpresa. Quando alzò lo sguardo per posarlo su di lui, la ragazza gli riservò un caldo sorriso.
Jon sentì il cuore martellargli nel petto. Conosceva quegli occhi scuri e quel volto allungato: erano gli stessi che gli apparivano in sogno durante le fredde notti in cui si addormentava cacciando indietro le lacrime e pregando di poter ricevere un suo abbraccio. Quando tentò di pronunciare quella parola che sapeva di un sogno antico e che mai prima aveva pronunciato, la voce gli si spezzò in gola.
“Mamma...”, sussurrò appena, quasi impercettibilmente. Ma Lyanna lo sentì, perché erano anni ormai che sedeva in attesa di sentirglielo dire.
Jon la raggiunse e la strinse a sé, convinto che sarebbe svanita l’istante stesso in cui ci avesse provato. Al contrario, sua madre non sparì, bensì lo accolse tra le braccia magre e giovani che non avevano mai stretto un figlio prima. Quel contatto fu decisivo per Jon: i suoi occhi si bagnarono di calde lacrime che aveva a lungo tenuto nascoste. Lyanna le asciugò con le sue dita in un gesto affettuoso.
«Mamma» ripeté il giovane Stark, stavolta con coraggio.
«Sono orgogliosa di te, Jon», fu la prima cosa che gli disse. «Sei forte e temerario, e hai combattuto con onore.» A quel punto, Jon comprese l’amara verità. Capì dove si trovava e cosa gli era successo.
«Mi hanno ucciso, madre» singhiozzò, con voce tremante. «I miei stessi compagni mi hanno tradito e pugnalato.»
Lyanna accarezzò i suoi capelli con fare materno. «Ti hanno pugnalato, è vero, ma non ti hanno ucciso. Non possono ucciderti» gli sussurrò. Jon rimase ad ascoltare quelle parole credendo di sentire il suono più dolce del mondo. Non capì cosa davvero significassero, ma non gli importava: in quel momento, si sentiva in pace. “Se la morte mi ha portato a te, madre, allora avrei dovuto farmi pugnalare molti anni fa”. 
«Gli antichi dèi ti proteggono, Jon. Quando tornerai alla vita, non dovrai aver paura. Il sangue di lupo scorre nelle tue vene.»
Jon osservò la giovane donna di cui Ned Stark non voleva mai parlare: il viso sembrava una copia femminile del suo, stessa forma e carnagione. I suoi capelli erano lunghi e scuri. Addosso aveva una veste che doveva essere stata graziosa una volta, ma che in quel momento era sporca di sangue seccato dal ventre in giù. Jon pensò che per lei il tempo doveva essersi fermato al giorno stesso in cui lo diede alla luce. Si domandò se ciò succedesse per chiunque quando incontrava la morte o solo per qualcuno. Glielo volle chiedere, ma in quel momento un’altra, più urgente domanda gli balenò per la testa.
«Madre, adesso devo sapere. Chi è mio padre?» le chiese. Il desiderio di conoscenza iniziò a bruciargli dentro come un fuoco che lo divorava dall’interno. In risposta, Lyanna gli sorrise con affetto. Staccò una rosa d’inverno dalla corona che stringeva a sé e gliela mise tra le mani. Poi si alzò sulle punte per poterlo baciare in fronte.
«Va’ da lui Jon, e scoprilo da te. Ti sta aspettando.» gli disse. Ma Jon si fece d’un tratto triste: adesso che l’aveva finalmente incontrata e stretta a sé, non voleva lasciar andare sua madre. Dentro di lui una voce gli diceva che se si fosse allontanato da lei in quel momento, non l’avrebbe mai più rivista. Ma come avrebbe potuto continuare a vivere, o qualunque cosa stesse facendo in quella dimensione, senza avere una risposta, senza sapere?
Il giovane Stark osservò quindi il volto di sua madre per l’ultima volta, nella speranza che potesse rimanergli impresso nella mente il più a lungo possibile. Era deciso a voltarsi e, seppur a malincuore, ad andarsene quando la figura di Lyanna si fece sfocata, per poi lentamente svanire. L’ultimo particolare che attirò l’attenzione di Jon furono le lacrime di gioia che bagnavano gli occhi della donna.


Tornò quindi a vagare in quella distesa di terra senza fine. Jon in realtà non sapeva come avrebbe raggiunto suo padre. Se gli fosse apparso davanti da un momento all’altro, era sicuro che non l’avrebbe neanche riconosciuto. Aveva vissuto tutta la sua vita nella certezza di conoscere la sua identità: Ned Stark, l’uomo che lo portò con sé a Grande Inverno al ritorno dalla guerra. Ma quella certezza era caduta l’istante stesso in cui vide il volto di Lyanna.
«Tu non sai niente, Jon Snow» sentì pronunciare una voce che riaffiorava dal passato, ma che mai avrebbe dimenticato. Quella frase che Ygritte gli ripeteva spesso con fare canzonatorio, in quel momento aveva un ché di strano ed inquietante. “Avevi ragione, Ygritte. Non sapevo proprio niente.”
Perso in ricordi e pensieri, Jon non si era reso conto che intorno a lui stava iniziando a fare più caldo. Anche il paesaggio era cambiato: le terre erano più verdi, più accoglienti. Rigogliosi alberi da frutto gli apparvero tutt’intorno e fiori e rose sbocciarono in quel magnifico giardino.
Quando Jon alzò lo sguardo, capì di trovarsi all’ombra di un castello. Guardandosi intorno, pensò che si trattasse di una fortezza davvero incantevole: aveva i soffitti a volta, gli ingressi ad arco, e la luce del sole illuminava l’intera struttura. Tutta quella bellezza attirò la sua attenzione: Jon sentiva che doveva entrare. Non vi era un vero portale a condurre i visitatori all’interno, né guardie o abitanti del castello. Il ragazzo proseguì quindi indisturbato fino a raggiungere i maestosi interni, quando tutto cambiò.
Gran parte della struttura sparì e divenne oscura cenere a terra, mentre le mura che restarono in piedi furono d’un tratto ricoperte di nera fuliggine. Intorno a lui, Jon percepì il calore delle ceneri che si andavano man mano spegnendo. I magnifici giardini esterni oramai non erano altro che distese di campi bruciati. La fortezza era diventata il grigio fantasma di quello che era stata poco prima.
Jon fu percorso da brividi lungo la schiena. Uno strano senso di tristezza si impossessò di lui. Si chiese chi e perché avesse potuto voler distruggere un posto tanto incantevole. Camminò lungo la navata centrale di quella che doveva essere la sala grande del castello quando, tra le rovine spettrali e i resti inceneriti, un dolce suono ruppe il silenzio. Sembrava il suono di uno strumento musicale. Jon allora si aggirò in quel luogo cercando di capire da dove provenisse. Un’arpa, ipotizzò.
Seduto su mattoni bruciati, un uomo stava suonando un’arpa come intuito. Era voltato di spalle e i lunghi capelli argentati raccolti in una treccia gli ricadevano sulla schiena. Jon non voleva disturbarlo, così rimase in silenzio ad ascoltare quella triste melodia che lo rapì del tutto. Osservò l’uomo muovere abilmente le dita sulle corde dello strumento, mentre tra sé e sé canticchiava qualcosa: sembrava stesse componendo una canzone.
D’un tratto, quelle dita si fermarono. Lo sconosciuto mise da parte l’arpa, per poi voltarsi verso Jon. Probabilmente aveva percepito la sua presenza sin dall’inizio. Il giovane Stark poté finalmente vedere il suo volto: il primo particolare che lo colpì furono gli scintillanti occhi violetti. Notò inoltre che era ben vestito, con raso e velluto. “Deve essere un nobile”, pensò Jon.
«Chiedo perdono, mio Signore. La vostra musica mi ha ipnotizzato del tutto.» cercò di scusarsi. Solo in quel momento notò una specie di sorriso sul volto dell’uomo. Un sorriso strano, pensò.
«Mi chiamo Jon Snow» aggiunse poco dopo, avvicinandosi mentre gli porgeva una mano.
«Jon Snow» ripeté l’uomo in tono incredulo e disgustato allo stesso tempo. Jon allora ritirò la mano.
«Sì, mio Signore.» gli rispose, abbassando lo sguardo. Era abituato a quel tipo di reazione.
«Il nome di un bastardo. Un bastardo!» si alzò e gli si avvicinò. Afferrò il suo viso con una mano da sotto il mento e lo studiò per un lasso di tempo che a Jon sembrò infinito.
«Jaehaerys» gli sussurrò, per poi lasciarlo andare. Il ragazzo lo fissò confuso: chi era quell’uomo? Cosa voleva da lui? Desiderava fuggire e correre via, tornare da sua madre: quello sconosciuto lo spaventava.
«Non capisco.» gli rispose poco dopo. L’uomo di fronte a lui doveva aver percepito il suo disagio, per cui gli parlò in tono più cordiale.
«Tu sei il principe che fu promesso. Il tuo sangue è antico, Jon Snow.» pronunciò il suo nome in uno strano modo, come se fosse appartenuto ad un’altra lingua. «Sangue di drago.»
Jon rimase con il fiato sospeso. Solo dopo diverso tempo si ricordò di tornare a respirare. “Sangue di drago”, ripeté dentro di sé. Osservò lo stemma cucito sul petto dell’uomo e, a quel punto, fu tutto chiaro. Non voleva crederci. Per qualche strano motivo, non lo voleva e basta.
«Rhaegar Targaryen» pronunciò il nome di quell’uomo ad alta voce. Il nome di colui che non poteva essere altro se non suo padre. L’uomo tornò a sedersi sui resti bruciati della fortezza, per poi fargli segno con una mano di accomodarsi al suo fianco.
Jon inizialmente esitò. Sentiva il cuore martellargli nel petto e la crescente paura che potesse succedergli qualcosa. Ricordò che Ned Stark era sceso in guerra contro i Targaryen e li aveva combattuti per spodestare il Re Folle. “E se anche quest’uomo fosse un folle?” si chiese tra sé e sé. “Ma se è davvero mio padre, non potrà farmi del male.” Così, facendosi coraggio, Jon andò a sedersi al suo fianco come indicatogli.
Scrutò nuovamente il tessuto a forma di drago ricamato sul petto del giovane uomo, per poi salire con lo sguardo sugli zigomi alti e su quel suo portamento orgoglioso mentre era voltato ad ammirare il paesaggio tutt’attorno. Era di certo di bell’aspetto, constatò Jon, ma non trovò niente di familiare in lui. Niente, eccetto una misteriosa aria malinconica che sembrava avvolgerlo e che il giovane Stark non poté non notare. “Forse”, pensò, “siamo davvero simili sotto quest’aspetto”.  
«Conosci questo posto?» gli chiese l’uomo d’un tratto, rompendo il silenzio.
Jon rispose pieno di imbarazzo. «No.» “Io non so niente”, aggiunse nei suoi pensieri. Rhaegar allora glielo volle spiegare. Il tono gentile della sua voce contribuì a mettere Jon un po’ più a proprio agio.
«Sala dell’Estate. Si diceva fosse stata una fortezza splendida, prima che l’incendio la distruggesse del tutto. Molte persone incontrarono la morte qui, il sangue della mia stessa famiglia vi è stato versato. Ma nonostante ciò, questo posto continua ad avere un certo fascino.» Jon si guardò intorno. Aveva ragione: le rovine avevano un ché di suggestivo.
«Quale inutile sacrificio», continuò Rhaegar. «I draghi erano morti, tutti quanti. Ma ora...» si voltò verso di lui, con lo sguardo perso chissà dove e la voce un tono più alta. «Ora sono tornati a sorvolare la terra. Tre draghi.»
Jon, non appena udì quelle parole, sussultò visibilmente. “Tre draghi”, ripeté dentro di sé.
Rhaegar allora lo guardò dritto negli occhi. Sembrava voler scavare dentro di lui, come alla ricerca di una parte che Jon non sapeva neanche di avere: una parte che era rimasta sepolta da tempo, e che forse non si era mai risvegliata del tutto.
«Devi andare da loro, Jaehaerys. Devi raggiungere mia sorella.» Gli disse con la calma di chi sapeva bene ciò di cui parlava. Jon ebbe un brivido nell’udire di nuovo quel nome.     
«Daenerys è sola al mondo. Ha bisogno di te, sangue del suo sangue. La profezia si sta avverando.»
«Quale profezia?» riuscì a chiedergli con voce incerta, mentre mille altre domande gli affollavano la testa.
«Tra il fumo e il sale rinascerai e tornerai alla vita. Brandirai la tua spada per respingere i Non Morti e la Lunga Notte che porteranno con sé, e con il tuo sangue dominerai il drago.» Rhaegar sembrò parlare da un’altra dimensione, lo sguardo di nuovo lontano, come se stesse osservando lo svolgersi di quegli oscuri eventi di cui gli stava narrando.
«Ho già combattuto gli Estranei. È tutta la vita che combatto.» Jon sentì la stanchezza che si portava addosso da tempo. L’idea che avrebbe compiuto tali opere non lo entusiasmava affatto: sentiva soltanto il peso del dovere su di lui.
«Come potrò farcela?» gli chiese infine in tono disperato. Desiderava che quell’uomo gli mostrasse la strada da percorrere e che lo aiutasse a compiere quel destino di cui parlava. Voleva parlare con lui per ore ed ore, voleva conoscerlo per cancellare la paura e il senso di estraneità che gli faceva provare. Non voleva essere l’eroe di una qualche leggenda, voleva solo suo padre. Eppure, quell’uomo sembrava non avere occhi o orecchie per altro, se non profezie e destini.
«Tu sei il Prescelto.» gli rispose con naturalezza, appoggiandogli una mano su di una spalla. «È il tuo destino farcela. Ora vai, e rinasci.»
Jon non si sentiva pronto a rinascere. Non sapeva neanche come avrebbe fatto. Nel momento in cui tentò di chiedergli dell’altro ancora, Rhaegar si voltò dall’altra parte e riprese in mano la sua arpa.
«Io sarò qui ad attenderti mentre suonerò la tua canzone. La canzone del ghiaccio e del fuoco.» affermò, per poi intonare un dolce canto mentre le sue dita tornarono a muoversi abili e leggiadre tra le corde.
Jon, immobile, ascoltò. L’uomo cantava in una lingua antica che il ragazzo non conosceva, ma che comprese: qualcosa dentro di lui gli disse che quelle parole narravano delle sue grandi ed eroiche gesta, e dell’arrivo di una nuova estate.
“È tutto già scritto. Lo ha scritto lui per me. Devo solo seguire il mio destino” si rese conto, mentre osservava la figura di spalle sbiadire ed andarsene, avvolta nella stessa misteriosa aurea con cui era apparsa poco prima. La voce metallica che cantava in quella lingua antica continuava a risuonare tutt’intorno a lui, quando Jon si vide avvolgere dal buio più totale ed ogni cosa sparì.
Delle fiamme, non troppo tempo dopo, gli apparvero dinnanzi, come alimentate da quel dolce canto. Jon vi si avvicinò, il fuoco lo avvolse. Al centro dell’incendio riuscì ad intravedere un drago. Era una creatura enorme, con la pelle squamosa e gli occhi di un colore intenso. Era la prima volta che ne vedeva uno, ma sapeva di non dover esserne spaventato. Voleva avvicinarsi per poterlo toccare e sentire il calore che emanava, quando tutto ebbe fine.  

   
Riaprì gli occhi ed ebbe la sensazione di soffocare. Fece due respiri profondi, per poi alzarsi con la schiena. Il ritorno alla vita sulla terra fu doloroso: le ferite al torace continuavano a bruciargli. Con una mano le toccò appena, i segni del tradimento impressi sul suo corpo. Ma quando guardò dinnanzi a lui, poteva ancora sentire gli occhi del drago che lo fissavano, come se lo stessero silenziosamente chiamando. Alzò una mano nel tentativo di sfiorarlo, ma non ci riuscì. Deluso, la riabbassò. Le parole di Rhaegar gli risuonavano ancora nella testa. Allora si alzò, cercando con fatica di stare in piedi, deciso ad andare incontro al suo destino.
Di lì a poco, diverse persone lo raggiunsero, toccandolo incredule e facendogli domande sull’aldilà, ma Jon neanche vide i loro volti. Tutto ciò che vedeva era un drago e il suo destino. Un uomo nuovo era rinato al posto del Lord Comandante Jon Snow. Il Prescelto: lo Stark con il sangue di drago. 
   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones / Vai alla pagina dell'autore: keepcalmandwrite