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Autore: Tetide    07/05/2009    3 recensioni
E' la mia seconda fanfic su "Rosa Alpina", questa volta ambientata al giorno d'oggi. Jeudi ha una vita in apparenza perfetta, ma che in realtà nasconde dubbi e... qualcos'altro! Dunque, cosa succede quando un evento inaspettato scompagina il castello di carte dell'apparente perfezione? Leggete e lo scoprirete!
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Alternate Universe (AU), OOC | Avvertimenti: nessuno
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Ultimo volo CAPITOLO 11
ULTIMO VOLO
Erano ormai passati quattro mesi dalla partenza di Leonhard di quel giorno. Lundi e Jeudi avevano deciso, di comune accordo, di divorziare; già separati, erano in attesa della sentenza definitiva.
Pierre aveva preso la cosa meglio del previsto, dato che stava col padre tre volte alla settimana dopo che Jeudi aveva ottenuto l’affidamento. Era tornato ad essere un bambino allegro, a casa ed a scuola, con grande sollievo di Jeudi.
Anche Jeudi si era ripresa: tornata al lavoro, era stata circondata dall’affetto dei colleghi ed aveva anche ricevuta un’importante promozione per l’ottimo lavoro svolto a Vienna. Era più tranquilla, e si vedeva.
Lei e Leòn si erano visti diverse volte nel corso di quei mesi, con lui che faceva la spola tra Ginevra e Vienna per poter stare con lei.
“Tu sei la dipendente di un giornale: non puoi allontanarti a tuo piacimento”, aveva risposto Leonhard alle offerte di lei di venire a Vienna qualche volta, per rendergli la cortesia “io, invece, sono un critico d’arte, un libero professionista, e posso spostarmi quando e dove mi piace, senza dover rendere conto a capi e superiori”,
“Ma Leonhard…”,
“Niente MA! Ti ricordi quanto hai studiato per diventare giornalista, e come ci hai creduto? Era il tuo sogno! Ed ora che si è realizzato, non permetterò che tu distrugga la tua carriera per me! Lo faccio perché ti amo, Jeudi!”.
Davanti a questi argomenti, Jeudi taceva. Le ragioni di lui erano più che valide.
“E potrei anche andare a lavorare dove voglio!” aggiungeva lui “Potrei addirittura collaborare con un giornale, e trasferirmi definitivamente altrove, se solo qualcuno mi chiedesse di andare a vivere con lei…”.
A queste parole, Jeudi arrossiva sempre. In cuor suo, avrebbe voluto dirgli di sì, ma in fondo a tutto, temeva ancora di farsi del male, come era successo con il marito; oppure temeva di perderlo, come tanti anni prima. Non sapeva cosa rispondere, ed accampava scuse.
“Io e Lundi non abbiamo ancora ottenuto il divorzio. E poi, non so come potrebbe prenderla Pierre…”.
In realtà, quest’ultima era una bugia, dato che il figlio le aveva dimostrato in più di un’occasione, di provare simpatia per Leonhard: “Mi piacerebbe che il signor Leonhard restasse con noi per sempre!”, aveva detto una sera a cena, all’improvviso, facendole andare di traverso il minestrone.
Dunque, il solo vero ostacolo sono io, pensava Jeudi. E la mia paura.

Ma adesso, si avvicinavano le Feste di Natale. Jeudi aveva rifiutato un insistente invito da parte di Françoise Tavernier di partecipare ad una megafesta di Capodanno a Courmayeur, ed aveva deciso invece di  festeggiare la Vigilia in famiglia con la sorella, il cognato e l’ex-marito, per il bene del bambino; a Capodanno, invece, sarebbe stato Leonhard a venire da lei, ed assieme ai suoi colleghi del giornale sarebbero andati tutti in discoteca a ballare fino all’alba; naturalmente, avrebbe affidato Pierre all’ex-marito, come al solito, per poter avere un po’ d’intimità con Leonhard.  
Certamente, i momenti passati assieme erano preziosi, perché erano pochi; le sarebbe piaciuto moltiplicarli, ma il rischio di veder frantumarsi quell’incanto come aveva visto frantumarsi il proprio matrimonio era un deterrente troppo grande.
Eppure, spesso ci pensava.

Leonhard ed io insieme
ci hanno spezzato il cuore
come Africa e Brasile abbracciati:
ma c’è di mezzo il mare tra noi!(1)

Ripensò a quei magici, indimenticabili momenti dell’estate precedente

Leonhard da solo, col suo sguardo perduto
E coi capelli lunghi annodati dal sole
Come intrecciati dal sale(1)

Leonhard ride, ride alla schiuma che s’alza,
al cielo,
al mio tuffo nel mare,
a quel sogno perduto per noi!(1)

Jeudi si intrecciò le mani sul petto.

Leonhard ed io insieme
come la notte al cuore(1)

Leonhard ed io insieme
sdraiati in una notte azzurra
al mistero scoperto di una fine d’estate
… divenne notte d’amore! (1)

Si sedette, e si mise a pensare. Loro erano una coppia, ormai: anche Lundi, il suo ex-marito, ne era contento “Devi rifarti una vita: te lo dico da amico”, le aveva detto.
E allora cosa le impediva di fidarsi di lui?

Fuori, aveva iniziato a piovere. Jeudi si alzò dalla scrivania del suo nuovo ufficio e si avvicinò alla finestra. Osservò i tetti di Ginevra avvolti dalla luminosità azzurrina di quel tramonto piovoso: sembravano riflettere il suo stato d’animo confuso.
Ricordò le mani calde di Leonhard su di sé, e d’istinto si massaggiò il collo, imbarazzata. Come le sarebbe piaciuto averlo accanto, ora!
Stupida scostumata, non puoi farti venire questi pensieri al lavoro!, pensò.
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(1)Credits: Amedeo Minghi, “Emanuela ed io”
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Ma subito dopo si mise a ridere. Proprio come ai tempi dell’Università, pensò.
Troppe volte, durante le lezioni, si sorprendeva a pensare a lui in atteggiamenti non proprio… casti! Ed ogni volta si voltava di scatto ed arrossiva se qualcuno le tossicchiava accanto o le rivolgeva una domanda, timorosa che i suoi pensieri potessero apparire palesi a tutti sulla sua faccia.
In quel momento, entrò Caterina, con un mazzo di fascicoli nelle mani.
“Ecco, devono essere tutti catalogati per domani”,
“Grazie, Kathy. Mettili pure lì, sulla mia scrivania”.
Caterina si avvicinò all’amica “A che punto è la preparazione della festa di Capodanno?”,
“Robert mi ha detto stamattina di avere già affittato la sala”,
“Splendido! La sala di una discoteca tutta per noi!”.
Le posò una mano sulla spalla ed abbassò la voce “E Leonhard?”.
Jeudi arrossì di nuovo, e per non farsi vedere piegò il viso in avanti.
“Verrà anche lui”,
“Quando vi deciderete ad andare a vivere insieme voi due?”,
“Caterina! Ma che dici!?!”,
“Dico che quando c’è lui sei un’altra persona! Ed anche adesso, dovresti vedere la tua faccia: hai gli occhi che brillano!”.
Jeudi si staccò dalla finestra, andandosi a sedere di nuovo alla scrivania.
“La verità è che… ho… paura!”,
“Di Leonhard?!?”,
“Ma no! Che ti viene in mente! Ho paura… di guastare tutto”,
“E perché dovresti guastare tutto?”,
“Perché con Lundi l’ho fatto”,
“Non dire sciocchezze! Innanzitutto, con Lundi non sei stata TU a guastare tutto, ma LUI; poi, con Leòn stai bene, e lui ti ama da impazzire, si vede. Dunque, cosa ti trattiene?”,
“Non lo so”.


Quando uscì dal lavoro, Jeudi passò dal centro commerciale per gli ultimi acquisti; era il quindici di Dicembre, Natale era ormai alle porte, e in giro c’era quella frizzante ed allegra confusione tipica di questo periodo dell’anno; gente che andava e veniva con le braccia colme di pacchi, famiglie, gruppi di amici, coppie… si soffermò a guardare una coppia ferma davanti alla vetrina di un negozio di abbigliamento; si tenevano stretti l’uno all’altra, e parlavano.
“Guarda quel cravattino: potremmo prenderlo per tuo fratello, non ti pare?”,
“Sì, è una buona idea! E a tua madre hai pensato?”,
“Non ancora”,
“Non preoccuparti, ci ho pensato io: le ho regalato un fermacapelli colorato”,
“Caro, sei un tesoro!”.
Jeudi girò la testa ed abbassò lo sguardo. Perché si sentiva all’improvviso triste?
Girò i tacchi, e tornò verso la macchina. Aprì lo sportello e depose gli acquisti.
“Che scema sei, Jeudi. Sai benissimo perché vedere quei due ti ha rattristato!”, si disse salendo in macchina.
E tornò al suo pensiero fisso: Leòn.

Il giorno ventidue, Leonhard arrivò; lei era andata a prenderlo in aeroporto, come al solito, e come al solito, lui l’aveva salutata abbracciandola e baciandola con passione, nonostante si trovassero in pubblico.
Jeudi aveva ripreso fiato a fatica, quindi si era guardata intorno, scoprendo così di avere tutti gli occhi della sala arrivi puntati addosso: era diventata viola per l’imbarazzo.
“Ma non potevi aspettare di essere quantomeno in macchina?” gli aveva chiesto,
“Perché? Non posso abbracciare la donna che amo?”,
“Leòn!! In questo modo… e in pubblico!!”.
A questo punto, lui fece per abbracciarla di nuovo, ma Jeudi si scostò, arrossendo ancora di più, e si diresse verso l’uscita; Leòn, presa la sua valigia, la seguì.

In macchina, discutevano sulla festa di Capodanno.
“Sei sicura che a tuo figlio non dispiaccia la mia presenza?”,
“Assolutamente no. Anzi, mi chiede spesso del “simpatico signore che gli ha regalato il pappagallino”: gli sei piaciuto”.

La notte della Vigilia fu intima e tranquilla; tutti e cinque, Jeudi, Lundi, Pierre, Martha e Hans cenarono assieme, poi andarono alla messa di mezzanotte, infine si scambiarono i regali. Leòn, invece, passò la serata da un amico, che aveva conosciuto in una trasferta di lavoro a Ginevra.

Poi, intorno al ventinove, i preparativi per la “Big Night” si fecero più intensi; Jeudi andava e veniva dalla discoteca dove avevano prenotato la sala assieme a Robert, mentre Leòn era impegnato con Caterina a procurare i rinfreschi: quello avrebbe dovuto essere un Capodanno memorabile.
Ed eccoci finalmente alla mattina del trentuno Dicembre.
Leonhard usciva da un’agenzia viaggi, dove aveva acquistato il suo biglietto di ritorno per Vienna: volo OS 547, dell’Austrian Airlines.
Se solo mi chiedesse di restare, pensò. Tornerei a Vienna solo per prendere le mie cose e chiudere definitivamente la mia casa, prima di venderla: quanto vorrei che fosse così, quanto vorrei che questo fosse il mio ultimo volo!

Tornando a casa di Jeudi, vide che c’era dappertutto un gran daffare: Ophelie e Jean-Luc stavano caricando scatoloni in macchina.
“Cosa c’è in quelle scatole?”, chiese,
“Decorazioni per stanotte: le stiamo portando in discoteca”,
“Dov’è Jeudi?”,
“E’ di sopra. Sta provando il vestito per stasera”.
Leòn ringraziò e si diresse verso le scale; nel disimpegno incontrò Robert, con le cuffie per la musica in testa.
“If you’re going to San Francisco…”, stava canticchiando. Lo toccò su di una spalla, e quello si girò, togliendosi le cuffie.
“Oh, ciao Leonhard! Non ti ho sentito arrivare, scusa!”,
“Lo credo bene, con quelle in testa!”,
“Sì, è per la musica di stasera. Che ne dici di “San Francisco” di Scott McKenzie? E’ abbastanza allegra per iniziare, no?”,
“Sì, andrà benissimo. Scusa, devo andare da Jeudi”, e prese a salire le scale.
La trovò in camera da letto, con addosso l’abito scelto per quella sera, un vestito rosso stile sottoveste, con una lunga gonna che diveniva asimmetrica salendo verso destra.
“Allora? Che ne dici?”, gli chiese lei non appena lo vide.
Leonhard le si avvicinò da dietro, abbracciandola, e la baciò sul collo “Sei una sirena” le disse. Lei chiuse gli occhi, estasiata, e gli strinse le mani che lui le aveva avvolto intorno alla vita.
Leòn continuava a baciarla sulla schiena; adesso le sue carezze si stavano facendo audaci.
“Non abbiamo tempo, adesso”, gli sussurrò Jeudi, e si staccò da lui a fatica.
L’uomo lasciò ricadere le braccia lungo i propri fianchi, con aria rassegnata. Sorrise.
“Almeno non spogliarti davanti a me! Lascia che esca: potrei non resistere!”. Jeudi rise.
“Non preoccuparti, vado nel bagno!”. Uscì dalla stanza.
In quel momento, Caterina saliva le scale. “Jeudi, dove sei? Abbiamo il direttore della discoteca al telefono: cosa gli devo dire riguardo all’orario d’inizio?”.
Dalla stanza in fondo al corridoio rispose una voce “Alle nove e mezzo va bene”.
“O.K.” rispose l’altra, e tornò di sotto.
Leòn rientrò nella stanza da letto e prese la sua valigia, che aveva riposta su di un ripiano dell’armadio; l’aprì; prese il biglietto aereo che aveva in tasca e lo mise in valigia; sospirò. Poi richiuse la valigia e cercò di assumere di nuovo un’aria allegra.


Ore dieci e trenta: tutta l’allegra compagnia era in discoteca già da un’ora; l’atmosfera del Capodanno si respirava a pieni polmoni. L’allegria era palpabile.
Abbracciata a Leonhard, Jeudi rideva, tenendo in mano un bicchiere e parlava con Ophelie.
“Sono felice di vederti di nuovo ristabilita: la scorsa estate mi hai fatto molto preoccupare”,
“E’ tutto merito della mia medicina personale” e strinse il fianco di Leòn “e, mi spiace dirtelo, non me l’hai prescritta tu!”,
“Siete davvero una bella coppia! Complimenti!”.
Jeudi guardò il suo accompagnatore; si sorrisero reciprocamente.
Digli di restare, Jeudi!, le diceva una voce interiore; digli: rimani! Cosa ti costa? Sono solo due parole! Solo due parole! E’ facile!
La ragazza imprecò mentalmente contro la propria vigliaccheria; di cosa aveva paura? Leonhard non era Lundi! E loro si amavano: lei stava capendo fin troppo bene che averlo accanto la faceva vivere!

“Attenzione!”, fece la voce dello speaker “Mancano solo cinque secondi alla mezzanotte! Tra poco saremo nel 2009!”.
Le coppie si strinsero.
“Meno quattro, tre, due, uno… Buon anno a tutti!”.
Jeudi e Leonhard si baciarono. Lo stesso fecero tutte le coppie presenti.
“Buon 2009, amore! Che possa essere un anno migliore per entrambi” fece lui.
Vorrei che per noi due iniziasse una nuova vita: vorrei poter ripartire da dove ci eravamo lasciati tanto tempo fa, pensò lei.
Un amore interrotto che adesso esigeva di veder saldati i conti: perché non nella notte-del-tutto-è-possibile?
Guardò Leòn che scherzava con due sue colleghe; quell’aria perennemente sicura, ed al contempo dolce, che aveva da sempre e che un tempo le aveva fatto perdere la testa, non l’aveva di certo persa; era incredibile come dietro ad essa lui riuscisse a nascondere i suoi sentimenti più segreti, che forse proprio perché nascosti bruciavano ancora di più.
Cosa nascondi veramente Leonhard? pensò lei. Come posso entrare nei tuoi pensieri, nel tuo mondo, e fonderlo con il mio? Ti sento parte di me: è per questo che quando non ci sei sto male? Perché allora non ti chiedo di restare qui? Di cosa ho paura veramente? Di te o di me stessa?
Jeudi affogò i propri tormentosi dubbi nello spumante del suo bicchiere; ed in un attimo capì che Leonhard era come quello spumante: frizzante, travolgente, incontenibile, eppure dolce: la sua vera natura era di essere dolce. Come avrebbe fatto, una volta ancora, a resistere alla sua mancanza?

Trascorsero tutta la notte nella discoteca, a ballare. Rientrarono che albeggiava; dovevano essere all’incirca le sette, pensò lei.
A casa, conclusero quello che quella mattina avevano lasciato in sospeso a causa dei preparativi.
Dopo, lui si addormentò; lei, invece, rimase sveglia a guardarlo dormire.
La prima notte dell’anno. Con te.

“Accidenti, ma che ore sono? Quanto ho dormito??”, Jeudi si era svegliata di soprassalto.
Entrando in quel momento nella stanza con un vassoio, Leòn le rispose: “E’ mezzogiorno passato, dormigliona. Ma non ti biasimo: io ho fatto lo stesso! Dopo tutto, abbiamo avuto da fare, stanotte!”.
Lei sorrise; poi spostò lo sguardo sul vassoio, dove si trovavano due porzioni di pancetta affumicata, delle uova strapazzate ed un bricco di caffè.
“E’ la colazione?” chiese lei,
“O il pranzo: fai tu”,
“Ti amo”, rispose lei dandogli un bacio.
Leòn depose il vassoio sul letto e si sedette. Accidenti, quant’era bello con i lunghi boccoli sciolti sul petto nudo, pensava lei.
Fecero colazione lì, sul letto, come una coppia di sposi che da lungo tempo stanno assieme. E per un attimo, lei desiderò che fosse davvero così.
Quella sera, andarono da Martha ed Hans, poi uscirono tutti e quattro a cena.
Ma Jeudi si sentiva triste, e sapeva anche perché: il giorno dopo, Leonhard sarebbe partito.

Mattina del due Gennaio.
“Sicuro che non vuoi che ti accompagni all’aeroporto?”,
“No, Jeudi, te l’ho già detto: non ce n’è bisogno, vado col pullmann; e poi, tu devi andare a riprendere Pierre, no?”,
“Lo andrò a prendere stasera. Sei davvero sicuro di non volere?”.
Per tutta risposta, lui la prese in uno dei suoi appassionati baci, e lei rinunciò: quando Leòn usava simili argomenti, non c’era nulla da replicare.
“Allora, ciao…”,
“Ciao”.
Lui si allontanò. Lei gli andò dietro di corsa “Quando pensi di tornare?”.
Leòn abbassò gli occhi sulla mano che lei aveva posato sul proprio braccio “Non lo so… tra un paio di settimane, forse”.
Jeudi lo lasciò andare “A presto, allora!”.
Lo accompagnò alla porta, guardandolo andar via verso la fermata del pullmann; poi richiuse la porta dietro le proprie spalle.
In fondo, era stato meglio così, pensava. Se lo avesse accompagnato all’aeroporto, non sarebbe riuscita a trattenere le lacrime.
Si diresse verso la cucina, cercando mentalmente qualche cosa da fare per non pensare.

Nel suo viaggio verso l’aeroporto, Leonhard era cupo quanto lei. Perché non aveva insistito per rimanere di più? Non aveva convegni d’arte in quei giorni, avrebbe potuto farlo benissimo. Ma non l’aveva fatto.
Giunse all’aeroporto, e scese. Effettuò il check-in, imbarcò il bagaglio, quindi si diresse alla sala attesa del gate.
Alzò gli occhi verso il tabellone: il suo volo era in perfetto orario: volo OS 547, delle ore 11,45. Si andò a sedere.
Si perse nei suoi pensieri. Immaginava di veder comparire all’improvviso Jeudi che gli chiedeva di rimanere; rimanere lì con lei e Pierre. “Sei un illuso, Leonhard!”, si disse.
Eppure, lo voleva, quanto lo voleva! Stava ad osservare ogni volto femminile che gli si avvicinava, credendo per un attimo di vedere lei.

“Ma cosa sto facendo?” Jeudi si riscosse all’improvviso dalla maionese impazzita che stava fingendo di preparare. Si sentiva mancare l’aria.
Si sedette, asciugandosi le mani. Provava un forte senso di vuoto, di oppressione.
“Ma che hai fatto?” disse a sé stessa “Perché lo hai lasciato andare via? Senza di lui, tu stai male, non vedi?”.
Ripensò alla mattina del giorno precedente, quando avevano fatto colazione assieme sul letto; realizzò che era stata bene, e capì perché: quella era una condizione normale, per loro! Erano naturalmente costretti a stare insieme: il loro stare insieme aveva un che di fisiologico, per entrambi.
“Che idiota che sei, Jeudi!” disse scattando in piedi “Stare insieme per voi è naturale, è come se fosse sempre stato così: non puoi distruggere niente!”.
Poi, un pensiero fulmineo “Devo dirglielo, devo fermarlo! Non deve partire, non può lasciarmi sola!”.
Corse in bagno, si lavò le mani, poi cercò le chiavi della macchina freneticamente “Dove siete, accidenti!”, pensava.
Le trovò e le prese. Guardò l’orologio: le 11,15. “Accidenti, devo far presto! Solo mezz’ora!”.
Indossò il soprabito, corse in garage. La macchina partì: si gettò nel traffico.
Jeudi si guardò le mani e vide che tremavano; accese la radio per calmarsi un poco; l’aeroporto non era lontano.
La radio trasmetteva Donna, donna, musica tu dei Collage.

Donna, donna, musica tu
Donna, donna, sei un po’ di più
Quando sono insieme a te
C’è un concerto dentro di me

In quel momento, le sembrava di sentire le parole dell’animo gentile di Leonhard.
Accelerò bruscamente, sterzando per evitare un altro veicolo; ad un incrocio mancò poco che si scontrasse con un camion; l’autista del camion diede un violento colpo di clacson “Ehi, bellezza, sei scema per caso?”.
Jeudi non lo sentì nemmeno. Guidava come impazzita. Passò ad un semaforo rosso, con il cuore a mille. “Avrò collezionato una decina di multe”, pensò. Non vedeva più nemmeno la strada; vedeva una cosa soltanto: il viso di Leonhard davanti a sé.

Donna, donna, musica tu
Hai sempre una marcia in più
 
Frenò all’improvviso, inchiodando, accorgendosi di una coda. Si accorse di una traversa, la imboccò. Prese il telefonino, digitò il numero di cellulare di Leonhard. Era spento.
“Accidenti, starà già all’imbarco!”, pensò. Giunse in vista dell’aeroporto.
Lasciò la macchina al parcheggiatore, che si preoccupò nel vedere una donna in quello stato: spettinata, scarmigliata e con il fiatone.
Corse verso la sala partenze. Erano le 11,40.


In effetti, Leonhard era già in fila al gate. C’era la solita successione di visi mogi e stanchi del dopo Capodanno, senza espressione e senza entusiasmi, che si accomodavano su quel volo come obbedendo ad un noioso dovere.
Anche lui teneva lo sguardo fisso a terra; fissava, senza vederle, le lastre di marmo del pavimento. Cosa avrebbe trovato, a casa? Il solito mucchio di giornali davanti alla porta, le erbacce in giardino, forse qualche convocazione da parte di una galleria d’arte…
Jeudi correva per le sale dell’aeroporto, sotto lo sguardo incuriosito della polizia di frontiera; a più di uno degli agenti aveva chiesto quale fosse il cancello di partenza del volo di Leòn, e finalmente era riuscita a trovarlo. Erano le 11,44.
Solo un minuto tra noi (2).

Era quasi arrivato all’imbarco. Anche le hostess avevano un’aria triste e mogia: strano, pensò.
Inforcò gli occhiali da sole.
Venne il suo turno. Si avvicinò al banco ed allungò il suo biglietto alla hostess.
In quel momento, una mano si posò sul suo braccio. “Secondo me non dovresti volare da nessuna parte”, disse una voce.
Leonhard alzò il viso “Jeudi!”. Lei gli stava sorridendo.
“Signore, non può fermare la fila”, la voce della hostess. “Questo signore ha sbagliato posto. Non si preoccupi, ci penso io!”, sempre tenendolo per il braccio, Jeudi lo tirò fuori dalla fila.
“Credevo… credevo che non saresti più venuta!”,
“Anch’io lo credevo. Ma mi sbagliavo”.
Lui l’abbracciò e la baciò, come al solito. La lasciò senza fiato, appoggiata al suo petto per riprendere fiato.
“Ho capito… l’ho capito… tu non sei Lundi… resta… resta con me, Leòn!”,
“Finalmente te lo sento dire! Meglio tardi che mai!”. La baciò di nuovo.
Lei si staccò di nuovo a fatica; si guardò intorno: tutta la fila degli ex-compagni di viaggio di Leòn li stava osservando.
“Tutta invidia!”, scherzava lui, “Vogliamo andare?”.
Si incamminarono verso il parcheggio; le guardie di sicurezza che prima avevano visto un’agitatissima Jeudi correre all’impazzata, adesso li guardavano beatamente passare davanti a loro.
Raggiunsero il parcheggio. Jeudi pagò il parcheggiatore, quindi salirono in macchina.
Si guardarono e scoppiarono a ridere.
“Ti sono mancato?”,
“Da matti!”.



 (2)Credits: Cinque minuti e poi, di Maurizio dei New Dada, ripresa da Claudio Baglioni nell’album “Quelli degli altri… tutti qui”.
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Ho voluto inserire la bellissima canzone dei Collage Donna, donna, musica tu, dato che mi ricorda un episodio realmente accadutomi e simile a quello di Leonhard, vale a dire il mio arrivo, in una notte d’inverno di circa un anno fa, all’aeroporto di Roma, di ritorno da un viaggio all’estero. Tra la noia e la stanchezza dei viaggiatori serali e l’indifferenza degli impiegati ai self-service, sentire questa canzone che suonava a tutto volume da un altoparlante di un bar era veramente una scena degna di un film, così ho pensato di inserirla in un mio racconto, prima o poi. Spero che sia piaciuta.

QUESTA FIC E' DEDICATA A NINFEA 306 ED A VITANI: GRAZIE PER LE VOSTRE BELLISSIME RECENSIONI!
 
 
  
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