Una casa
in collina, ci abitano persone ricche, che questa sera non sono in
casa,
saranno di sicuro in un costoso ristorante a consumare la loro cena,
avendo
affidato la casa al figlio e ai suoi amici per una festa.
Già,
una
festa, non so neanche chi sia il padrone di casa, mi ci hanno
trascinato i miei
amici qui, c’è così tanta gente che non
si distinguono neanche le facce, così
tanti ragazzi carini e alcool e fumo, sembra una di quelle serate
normali da
adolescenti che terminano piuttosto tranquillamente.
Ma non
tutto ciò che inizia bene finisce altrettanto bene.
Ho bevuto,
ma non troppo, non supero mai i limiti e non voglio del tutto perdere
il
controllo di me stesso, e poi ho un obbiettivo questa sera e bevendo
troppo
sono sicuro che me lo scorderei e non risolverei nulla.
La mia
timidezza è quasi solo un pallido ricordo e ho allentato i
freni, quelli che mi
impediscono di parlarti o di esprimermi liberamente, di mostrare
ciò che sono
dentro.
Tu sei
qui, ovviamente ci sei sempre quando si tratta di divertirsi, non mi
sono mai
dimenticato di te, andiamo a scuola insieme e hai solo qualche anno di
più di
me, quando eravamo piccoli abitavamo poco lontani e scambiavamo qualche
parola
ogni tanto.
Ah,
dimenticavo un particolare, sei bellissimo.
Mi
avvicino al tuo gruppo di amici e faccio finta di interessarmi alla
conversazione, anche se è di scarsissimo interesse, mi
intrometto nel discorso
e bevo qualche sorso dalla stessa bottiglia su cui tu hai posato le tue
labbra
qualche minuto fa, dentro la festa continua in un crescendo di rumore,
ma i
tuoi occhi verdi sono come calamite che mi tengono bloccato qui fuori
con te.
Dopo aver
aspettato questo momento già da un po’, rimaniamo
soli, ci sto provando con te,
anche se sono un po’ goffo e ancora influenzato dalla
timidezza.
Lo sapevo,
ero perfettamente consapevole del fatto che tu fossi etero, ma non so
cosa mi è
saltato in testa, le persone possono cambiare idea, oppure possono
semplicemente mentire. Io ci speravo davvero.
Le vane
speranze di un diciassettenne stupido, gay e un po’ ubriaco,
innamorato della
persona sbagliata.
Ma sai,
per farmi capire che non ti interesso ci sono tanti modo, puoi dirlo o
mostrarmelo, ma non puoi ridere.
Ridere
è
da stronzi, è da pieni di sé, da egoisti e
sadici. Forse tu sei tutte e quattro
le cose messe insieme, non so. Quello che so è che ti sei
voltato dall’altra
parte ridendo dopo aver capito che ci provavo, e io non avrò
più il coraggio
neanche di guardarti in faccia e ti odio per questo.
Quegli
occhi verdi così belli e profondi appartengono ad una
persona troppo
superficiale e forse non li vedrò mai più da
vicino per la troppa vergogna.
Non sono
bravo in queste cose, non sono mai stato capace a fare colpo, sono uno
come un
altro, niente di speciale, una delle tante facce nella folla e nessuno
mi nota
mai, non sono bello, né alto e ho degli occhi normalissimi,
una persona comune.
Ma mi
sento centomila volte più inferiore degli altri in questo
momento, non so come
sia per te, ma quella risata inappropriata mi ha lasciato un sapore
amaro in bocca.
Tutti
dovrebbero avere una persona a cui poter raccontare la rabbia in
momenti simili,
con cui potersi sfogare. Io pensavo di avercela, fra poco capirai
perché parlo
al passato.
Questa
persona era un mio amico, non il mio migliore amico, uno dei tanti, di
cui
forse un po’ mi fidavo.
Sono
scappato da lui, non stavo piangendo, ero troppo stupito per farlo,
ancora
stordito dalla risata che mi rimbombava dentro, gli ho raccontato
tutto, ho sputato
fuori le cose peggiori che potevo dire su di te, Gerard,
ho giurato vendetta.
Volevo
solo qualche parola di consolazione, una pacca sulla spalla e forse una
bottiglia di birra, piena.
Non ho
ricevuto nulla di tutto questo, mi sono ritrovato a fissare la schiena
del mio
amico, che si allontanava in mezzo al caos della festa,
chissà dove stava
andando, forse non aveva solo voglia di ascoltarmi mentre mi piango
addosso,
forse era solo troppo stanco e ubriaco per starmi dietro, intanto mi
sono tolto
il peso della rabbia
C’è
anche
una mia amica a questa festa, una persona a cui voglio bene, un sacco
di bene, si
chiama semplicemente V., e l’ho persa di vista quando sono
entrato in questo
casino di festa in una casa da ricchi su una cazzo di collina.
Ma ora la
ritrovo in mezzo alla folla, cammina verso di me, sembra un uccello del
malaugurio, non perché sia brutta, ma semplicemente non
sembra portarmi notizie
felici.
Mi prende
in disparte e mi chiede che succede, perché ha sentito dire
in giro che mi
piacesse Gerard, lei non lo sapeva.
Oh cazzo.
Altre persone passano, volti quasi sconosciuti che fanno domande
indiscrete.
Ma davvero
sei gay?
Ma ti
piace Gerard?
E’
vero?
Lui lo sa?
Oddio,
vorrei eclissarmi, seppellirmi nel pavimento sporco di questa villa,
affogare e
non riemergere mai più, mai più.
Ho il
pianto facile, è da quando sono piccolo che sono
così, scoppio a piangere
appena succede qualcosa e poi inizio a respirare affannosamente, mi
dispero,
finché qualcuno non riesce a calmarmi.
Per questo
la mia reazione a quelle domande indiscrete e a quello che mi dice V.
è una
crisi di pianto disperato. Faccio paura, lo so, non riesco a smettere
di
piangere, non vedo più nulla ed emetto suoni sconnessi,
dovrebbero essere
parole.
Vedo la
preoccupazione sul volto di V. e le chiedo come, come possono saperlo
tutti?
E lei
risponde mentre mi accarezza il volto piano, è stato quel
tuo amico, è andato
da Gerard, gli ha detto che ti ha fatto stare male, che tu sei
innamorato di
lui, che non si trattano così le persone, che tu ci sei
rimasto malissimo. E
lui lo ha detto in giro.
Come,
scusa?
Dovrebbero
scrivere un libro su come fa star male le persone e fargli venir voglia
di
urlare fino a che la gola non sanguina, ci sono persone che sarebbero
perfette
come autori, anche se non se ne rendono mai conto.
Io piango,
piango e piango e piango e poi ancora piango. Sto esaurendo le mie
energie e
qualcuno mi offre una sigaretta. Grazie. Era proprio ciò che
mi serviva,
qualcosa per farmi sentire così prossimo alla morte che mi
sento vivo.
Continuo a
piangere, ormai è solo più abitudine, non so se
ne ho ancora bisogno, ma adesso
tu sai tutto, non potrò più guardarti in faccia o
provare a parlarti.
Ho sentito
che ridevi di me con i tuoi amici, questo mi ha procurato una dolorosa
fitta al
cuore, due persone mi hanno deluso questa notte, mi sembra abbastanza,
forse
anche troppo rispetto a quello che posso sopportare. Forse domani mi
sveglierò
e non mi ricorderò nulla, però spero che la mia
testa smetta di girare e i miei
occhi non siano più così rossi e gonfi e stanchi.
Non voglio che la gente veda
la delusione sul mio volto, l’amarezza, la disperazione di
chi per una volta ha
tentato la sorte e non è stato fortunato.
E’
difficile vedere fra gli amici quali sono quelli che veramente valgono,
ho
visto tante persone scegliere gli amici sbagliati e ritrovarsi con un
vuoto nel
cuore e il sorriso cancellato, ma per fortuna ci sono ancora persone
che ti
restano vicino, anche quando piangi disperatamente e ti senti soffocare
dalla
rabbia.
Quelli
sono i veri amici.
E’
ora di
tornare a casa, non ti ho più visto, forse ti stai fumando
una sigaretta in un
angolo buio mentre ridi di me. Vorrei soltanto vedere il tuo viso
adesso, so
che comunque vada mi farà sempre sentire bene.
E tu sei
lì, splendente come la luna sopra di te, ma sei solo, seduto
su un gradino, sei
strano, non ti stai divertendo, ma non sei neanche triste, forse stai
solo
pensando.
Il mio
sguardo dev’ essere così profondo da sfondarti il
cranio ed entrare
direttamente nel cervello, perché alzi la testa e guardi
verso di me
Dio solo
sa quanto ci sia in quello sguardo. Adesso non stai più
ridendo di me, quello
sguardo è vuoto, afflitto, è uno sguardo pieno di
pietà per te stesso.
Ma in
quello sguardo c’è una cosa che non pensavo di
poterci vedere mai, c’è una
scusa silenziosa e anestetizzata, tu non la senti, ma io si.
Nei miei
occhi si riflettono i tuoi, fissi, e capisco una cosa di te, che certe
emozioni
sono così forti che non le vuoi mostrare a nessuno, hai
paura di sentirti vuoto
senza. Che alla nostra età la verità quasi non
esiste, ci fa troppa paura, i
segreti vivono dentro di noi e crescono come boccioli di rosa che un
giorno
saranno pronti a sbocciare. Tu hai un segreto, Gerard, ma capisco
perché non lo
vuoi mostrare al mondo, fa troppa paura essere diversi.
E capisco
una cosa, che forse in un altro momento, fra qualche tempo, la mia
serata
sarebbe andata per il verso giusto, ma adesso non è il tempo
giusto, le rose
non sono ancora sbocciate.
E capisco
che probabilmente non scorderò mai la rabbia e il panico di
questa sera, il
bisogno impellente di tirare un cazzotto in faccia a qualcuno, di
dirgli che mi
ha rovinato la serata, che poteva stare zitto, che me lo
ricorderò per sempre.
Capisco
che nonostante tutto questo ho ancora una speranza.
Questa
storia è realmente accaduta (anche se non esattamente in
questo modo). Ho avuto
bisogno di scriverla, perché quella persona che non si
è fatta i cazzi suoi è
stata perdonata, ma la rabbia continua a divorarmi. Ne avevo davvero
bisogno.
Mi sento
anche in dovere di dedicarla a qualcuno:
Virginia, che mi hai
offerto la tua
sigaretta e hai cercato di mettere a posto tutto, che mi hai asciugato
le
lacrime e mi hai abbracciato,che ancora oggi mi ascolti parlarne e
tramare
vendetta, quando ormai è troppo tardi, che ci sei stata nel
momento del
bisogno, tutto questo è soprattutto per te.
Veronica, che mi ha
ascoltato parlarne
giorni dopo, anche potevi benissimo goderti gli
Champs-Elysées senza sentire i
miei problemi, perché in quel momenti tu c’eri e
anche tu hai cercato di
mettere a posto la questione, perché la parte sugli amici
che a volte non sono
quelli che sembrano è per te.
Martina,
perché tu non hai detto quasi
nulla, ma il tuo silenzio valeva molto.
Nella "versione
originale" non c’era questo accennato lieto fine.
Ju