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Autore: lady hawke    07/05/2009    3 recensioni
Per Lord Canterville l'unica possibilità di salvezza dalla dannazione eterna è il pianto di una giovane fanciulla dal cuore puro. Riuscirà a smuovere a pietà la piccola Virginia dopo tutte le sue malriuscite birbonate? La storia del fantasma di Canterville dal punto di vista della giovane Virginia Otis
Genere: Malinconico, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note: Ancora una volta mi occupo di questo racconto, Il fantasma di Canterville , che amo molto. Ogni sua riga può essere ispirazione per un racconto, questo è il mio timido secondo tentativo. Fatemi sapere ^^


Virginia, fra tutti, era stata di certo la più entusiasta, riguardo il suo trasloco in Inghilterra. Condivideva, insieme alla madre Lucrezia, un certo amore per l’Europa, che aveva spinto l’insigne genitrice a mettersi in viaggio proprio mentre era incinta di lei, costringendola a farla nascere in un fumoso sobborgo londinese. Era in quel modo che suo padre si era rassegnato a considerare sua figlia un’americana a metà. Quella stessa sensibilità l’aveva spinta ad avvicinarsi alla pittura di paesaggi fin dalla più tenera età, e il talento dimostrato aveva spinto i suoi genitori a lasciarla fare, convinti che presto avrebbe partecipato alle mostre internazionali di pittori alla moda. Quando questo non era successo si erano accontentati di accondiscendere a quel suo infantile ed innocuo capriccio.
Per Virginia l’arrivo a Canterville Chase significò nuovi paesaggi da vedere, lunghe cavalcate sullo sfondo della mobilissima magione e ampi saloni in cui perdersi. Tutto quello che una ragazza con palpiti romantici poteva desiderare era lì, sotto i suoi begli occhi azzurri. Rischiò il coronamento di queste fantasie quando il giovane duca di Cheshire le chiese la mano, ma il suo netto e deciso rifiuto la risparmiarono dall’onta. L’unica cosa che ebbe il potere di turbarla fu l’orrenda macchia di sangue vecchia di secoli rinvenuta in biblioteca. Era tremendamente di cattivo gusto e, come aveva fatto notare sua madre a cena, il suo colore non si intonava affatto con il legno dei mobili. Quale che fosse il suo difetto era stato un vero sollievo vedere Washington farla sparire prontamente; lei glien’era profondamente grata. Non avrebbe saputo dire il perché, ma quella macchia la rendeva inquieta. Era come se sapesse che da essa non sarebbero usciti altro che guai.
Fu con orrore che, mattina dopo mattina, vide quella disgustosa macchia comparire ancora, e ancora, e ancora. Il fantasma, avevano detto suo padre e i gemelli, si era rivelato, e si era mostrato piuttosto maleducato! Stelle e Strisce avevano cominciato a complottare ai suoi danni, il che era certamente meglio che tirare gusci di noce alla povera signora Umney, che si metteva sempre ad urlare, temendo che si trattasse del defunto Lord Canterville. Nell’innocenza dei suoi quindici anni aveva pensato che, se se ne fosse stata tranquilla e buona, lo spettro l’avrebbe ignorata: non l’aveva fatto con le cameriere, le governanti e i maggiordomi, ma lei era di certo la cosa più esotica capitata a Canterville Chase in trecento anni. Qualcosa doveva pur significare. E invece fenomeni paranormali cominciarono a farsi strada anche nella sua tranquilla camera da letto. Per i primi giorni non ci fece in alcun modo caso, convinta di avere le traveggole e di essersi fatta suggestionare da un paio di episodi che aveva sentito mormorare dalla servitù, ma quando aveva visto il suo rosso scarlatto scomparire dalla scatola di colori per fare bella mostra sulla macchia in biblioteca capì di essere a sua volta vittima della malefica presenza. Lo choc fu tale che non osò farne parola con anima viva, rimanendo seppur molto turbata ad ogni diabolica macchinazione del fantasma.
Il resto dei suoi congiunti avevano fatto dei giochi “Smacchia la macchia” e “Fantasma comanda color” dei veri svaghi famigliari, ma lei non riusciva proprio a trovare alcun divertimento in quelle scommesse, troppo depressa al pensiero di vedere la sua tavolozza farsi sempre più misera.
- Ahimè, temo che questa sarà l’ultima rosa che dipingerò. – mormorò quella sera stessa, amareggiata, intingendo il suo pennello più sottile sulla tavolozza. Le nature morte non erano mai state propriamente il suo forte, ma doveva pur adeguarsi alla deprimente atmosfera inglese, in qualche modo.
- Porpora. – annunciò Washington uscendo dalla biblioteca un paio di giorni dopo, tenendo stretto tra le mani un volume di araldica francese che fece tossicchiare suo padre di disappunto.
- Io avrei detto color mandarino. – dichiarò Stelle con aria da vero Lord. Erano giorni che sua madre esigeva da lui un comportamento da vero gentleman, perché né lui, né il gemello la facessero sfigurare.
- Perché non blu? Non è abbastanza nobile il signor fantasma? – aveva invece borbottatato Strisce sghignazzando in maniera indegna.
Virginia sospirò, pregando perché lo spettro non sentisse i loro sproloqui: aveva tentato di nascondere i suoi colori più e più volte, ma quel villano li aveva sempre scovati. L’idea che una creatura delle tenebre con luminescenza verde incorporata avesse rovistato fra le sue calze e perfino sotto al suo letto, la infastidiva oltre ogni dire. Evitò di parlarne con chicchessia, un po’ perché se ne vergognava profondamente, un po’ perché temeva che i gemelli, se fossero venuti a conoscenza del fattaccio, avrebbero cominciato a devastare il castello alla ricerca di un passaggio segreto per stanarlo. I bambini adoravano la loro sorella Virginia, soprattutto perché era l’unica: l’avrebbero certamente difesa ad ogni costo.
Decisa a mantenere l’integrità della magione, la ragazzina si distrasse dipingendo paesaggi campestri ispirati dalle sue lunghe cavalcate. La macchia mutante però continuò a dare spettacolo: dapprima Virginia si chiese con cosa continuasse a tingerla, senza trovare risposta, ma quando una mattina la famiglia Otis trovò una bella macchia color verde smeraldo fu tutto orribilmente chiaro. Gli altri invece ne erano assolutamente deliziati.
- Che quella creatura sia diventata itterica? – domandò Washington, comprensibilmente stupito.
- Mio caro figliolo, è più probabile che sia fiele. – ribattè il ministro plenipotenziario. – Se fosse itterico quella macchia sarebbe diventata gialla. In nessuno dei due casi sarei sorpreso, dopo tutte le ribalderie dei gemelli.
- Ma padre, lui ha rifiutato il vostro lubrificante Sole d’Oriente. – Stelle considerava una vera mancanza di rispetto disobbedire al padre, come gli era stato così bene insegnato a cinghiate. Virginia, da parte sua, non aveva trovato per niente divertente o affascinante quello scherzo. Quel colore era il suo! L’aveva usato non più di tre giorni prima per…
- Virginia, piccola mia, tutto bene? – fu la voce preoccupata della madre a riscuoterla dai suoi foschi pensieri.
- Sì madre, - mentì – stavo pensando alla povera Lady Canterville e al fatto che il suo assassino si faccia beffe di lei. – suggerì, cercando di impedire che gli occhi le diventassero lucidi per la rabbia.
- La verità è che tu sei una creatura veramente buona. – disse la madre, mentre il signor Otis annuiva con aria molto fiera.
- Tranquilla Virginia, con l’aiuto dell’Impareggiabile Smacchiatore Pinkerton ci faremo beffe noi di quel burlone diabolico! – garantì Washington mettendosi subito al lavoro con la competenza di un venditore porta a porta. Rabbiosa, la ragazzina corse subito nella sua stanza per verificare l’entità dei danni; di tutti i suoi bei colori importati dalla terra natia non le erano rimasti che l’indaco e il bianco di Cina.
- Sangue color verde smeraldo! – esclamò col patetismo di un’autentica Giulietta. – Che ridicolaggine! – Virginia si sentiva ora affranta e perduta come le eroine dei romanzi di Ann Radcliffe, ma nessuno aveva ancora cercato di decapitarla con una scure. Per giorni non fece che dipingere chiari di luna, scene così malinconiche che avrebbero abbattuto chiunque. Il fu Lord Canterville continuò a manifestarsi, imperterrito. Furono notti piuttosto inquiete per la famiglia Otis, che fu più volte disturbata, ma di certo quello che se la passò peggio fu proprio il fantasma. Fu impallinato con le scacciacani dei gemelli, inciampò nella sua bella armatura di epoca elisabettiana, fu terrorizzato da un fantasma fantoccio (cosa che per poco non lo fece morire di paura, di nuovo): più pianificava propositi di vendetta, più veniva punito dai crudeli e incivili americani. In quel periodo la macchia di sangue scomparve definitivamente, e Virginia cominciò finalmente a poter passeggiare per la biblioteca senza assumere un’aria da martire afflitta. In quel periodo quasi si dimenticò della presenza malefica che alloggiava nella casa di suo padre, perché si era fatta molto più discreta. Ciò non impediva ai gemelli di farsi beffe di lui, ma anche l’atmosfera in casa pareva essere divenuta meno pesante.
Poi, d’un tratto, il fantasma parve letteralmente scomparire. Le trappole rimasero vuote, le strisce di burro per le scale non causarono più danni. Canterville Chase era diventata una dimora come tutte le altre. Fu quindi per caso, o forse per destino, che Virginia vide il fantasma per la prima volta, galeotto un costume d’amazzone strappato. Per un breve istante ne ebbe paura, anzi quasi il terrore, poiché era tremendo a vedersi, ma poi, vedendolo così malinconico, depresso e infelice, se lo prese quasi in simpatia, provando compassione per lui. Si sorprese molto quando si trovò a conversare, quasi sempre civilmente, con un uomo morto da oltre trecento anni. Si era macchiato di un efferato omicidio, e per futili motivi per di più, ma aveva pagato per il suo gesto.
- Da trecento anni non dormo, e mi sento così stanco!* – aveva detto il fantasma con una voce che sembrava venire dal passato.
Trecento anni! Pensò sconvolta la giovane. Un tempo che lei riusciva a malapena a concepire, nella tenerezza dei suoi quindici anni; quale tortura per il povero Sir Simon, il fantasma di Canterville. Tremò quando il povero spettro le chiese di aiutarla, spiegandole pazientemente il significato di quella profezia che tante volte aveva letto, sospirando di avventure romantiche.

Se una ragazza d’oro riuscirà a strappare
Una preghiera dalle labbra di un peccatore
Se lo sterile mandorlo darà il suo frutto
E se una fanciulla donerà le sue lacrime
Solo allora l’intera casa potrà riposare
E la pace discenderà su Canterville.

Inginocchiata ai suoi piedi poteva sentire distintamente il freddo della morte, mentre lui si torceva le mani in attesa di una risposta. Che fare ora? Virginia aveva paura, il freddo che sentiva le faceva tremare le spalle, e i momenti spensierati del parco di quello stesso pomeriggio le apparivano lontani anni luce. Chiuse gli occhi, domandando una risposta alla sua pura coscienza. In un attimo fu tutto chiaro, non poteva permettere che Sir Simon non trovasse il suo riposo eterno. Avrebbe visto le tenebre, avrebbe sentito le voci maligne e forse sarebbe penetrata sulla bocca dell’Inferno, ma non avrebbe negato le sue preghiere e le sue lacrime ad un uomo disperato.
- Non ho paura, e chiederò all’Angelo di avere pietà di te.* - disse, una volta decisasi. Poi accadde tutto molto velocemente: la galanteria del fantasma, i vani tentativi dei cacciatori disegnati sugli arazzi per trattenerla in questo mondo, tutti scivolarono via velocemente dietro di lei, mentre il fantasma la conduceva di fronte a quello che pareva un muro. La parete scivolò magicamente di lato, e i due furono avvolti dall’oscurità. Virginia temette di aver abbandonato per sempre la vita che aveva conosciuto fino ad allora.
Si ritrovò in una stanza stretta e bassa, col soffitto a volta ed una finestra a grata.
- Che posto è questo? – chiese la giovane.
- La mia prigione e la mia tomba, fino ad oggi. – le parole fuggirono via come il vento. Virginia spostò lo sguardo sul pavimento e ne rimase atterrita: attaccato ad un anello di ferro fissato al muro era intrappolato uno scheletro che si protendeva verso una brocca e un piatto vuoto.
- Hanno trovato divertente metterli a solo due centimetri oltre la mia portata. – esalò il fantasma. – Pessima famiglia, quella di mia moglie.
- Quello eravate voi? – chiese scioccamente la giovane, pallida come non mai.
- Ed è tutto quello che resterà di me, se riceverò pietà.
Virginia osservò quel povero mucchio di ossa e non dovette sforzarsi a trovare le lacrime: poteva quasi sentire la sofferenza di Sir Simon nell’ora dell’agonia. S’inginocchiò vicino a quei poveri resti, e si mise a pregare silenziosamente. Il fu Lord Canterville si mise accanto alla giovane, provando a pronunciare anch’egli quelle parole a lui negate ormai da secoli. Virginia aveva gli occhi chiusi e l’aria molto concentrata, mentre mormorava a bassa voce. Aprì gli occhi improvvisamente quando sentì un mormorio che storpiava le sue parole, rendendole quanto meno blasfeme.
- Non ascoltarle Virginia, tu sei più pura. – la incoraggiò il fantasma, posandole una scheletrica mano sulla spalla. La giovane rabbrividì e cominciò a tremare: le voci la spaventavano e la mano dello spettro era veramente ghiacciata. Nonostante questo Virginia proseguì, cercando di non sentire quelle voci e di non vedere quello che le pareva di scorgere quando chiudeva gli occhi.
- Che accadrà, se sarai perdonato? – si voltò la giovane, coi capelli biondi sparsi sulle spalle come una corona.
- Dormirò, finalmente. – rispose il fantasma con aria sognante. Virginia fece per voltarsi e riprendere le sue preghiere, ma Sir Simon la bloccò. – Questo è per te, e per il dono che mi stai per fare. – le disse, indicando un cofanetto ai suoi piedi: era pieno di gioielli. La ragazzina lo fissò meravigliata.
- No, non posso accettare…
- Se io non sarò più qui a custodirlo voglio che lo tenga tu. – insistette lo spettro con tono lugubre. In qualche modo convinta la giovane riprese a mormorare ossessivamente le sue preghiere, Lord Canterville rimaneva sempre accanto a lei, seguendo con aria febbrile ogni suo movimento. Quando tutto accadde passò in un lampo; il tempo parve fermarsi un attimo e un brivido ghiacciato la travolse. Si voltò di nuovo, poiché non sentiva più la pressione della scheletrica mano del fantasma, ma egli non c’era più. Tutto ciò che rimaneva era un mucchio di vecchie ossa.


* Le frasi sotto asterisco sono citazioni del racconto di Oscar Wilde Il fantasma di Canterville.
  
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