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Autore: BBola    06/10/2016    2 recensioni
Breve invettiva sulla scuola di specializzazione per le professioni legali, e la vita in generale.
Pezzo di una storia che resterà "Incompiuta", come la serie di cui fa parte!
Genere: Comico, Demenziale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: Incompiuta
- Questa storia fa parte della serie 'Incompiuta'
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Perché sono un’adulta io!
 
 
Gennaio 2015
 
Cinque pallini equidistanti scarabocchiati con la penna avevano formato un fiorellino sul suo quaderno. Ne aggiunse un sesto al centro, puntellato da picchietti d’inchiostro che volevano rappresentare il pelame di una corolla. Aggiunse uno stelo. E perché no, due foglie ai suoi lati.
Rassegnatasi a disegnare anche l’erba su cui quello sgorbio di fiore era spuntato, guardò l’ora. Cinque minuti all’agognata pausa. Cinque intensi minuti in cui una papera scialba alla cattedra cercava di balbettare quattro parole che potessero fregiarsi dell’appellativo di lezione. Quattro parole usate in modo diverso almeno da altri suoi sei colleghi che finivano, chissà come, per tornare sempre sugli stessi argomenti, talmente nuovi ed originali, che due anni prima Agata ne aveva portato un approfondimento di 200 pagine all’esame sulla stessa materia.
Quando la cultura è affidata ad illustri dottori…
Finalmente l’ora X. Agata si alza, prende la borsa, si dirige a raccogliere il cappotto. Forse dovrebbe passare la tessera elettromagnetica sulla macchinetta rileva-presenze per segnalare che stava lasciando l’aula e l’edificio. Ma non si era mai capito. Nessuno si sognava di beggiare ogni volta che andava a fare pipì. O si spingeva più in là alle macchinette a prendere un caffè. O si fermava sulla soglia d’ingresso a fumare. O faceva qualche passo in più per arrivare al bar, perché non si poteva pretendere che tutti avessero monetine per la macchinetta.
Si era arrivati a credere che il bar fosse parte integrante dell’università. D’altronde portava lo stesso nome, era legittimo.
Ad ogni modo, non c’era un mezzo per controllare cosa si faceva una volta lasciata l’aula durante la pausa dalla lezione. Beggiare per segnalare che si stava lasciando l’edificio sarebbe stato onesto, ma stupido. E quando uno impone regole che non sa come far rispettare, è oltraggioso assecondarle.
Agata lo sa, e fiera del suo ragionamento indossa il cappotto, gira i tacchi e si illude che lo spacco posteriore faccia gonfiare il soprabito come la coda di un pavone. Non succedeva mai, ma era importante crederlo e mantenere un atteggiamento supponente.
«Perché sono un’adulta io!», si ripeteva.
Una laurea, ore di lavoro accumulate in uno studio legale, e poi trovarsi lì, a essere trattata come una scolaretta per guadagnarsi un titolo di studio voluto, e non imposto.
Ma tant’è, le ore spese dai cattedratrici ad impartire ramanzine e lezioni di vita sull’importanza dello studio non si contavano più. Di qualcosa dovevano riempire le loro lezioni.
Come si sentì importante quella gallina vecchia quella volta, quando scoprì che Agata teneva un quaderno sotto il foglio durante un’esercitazione!
«Ho il banchetto pieghevole rotto – ovviamente – » si giustificò.
«Lo sa che al concorso in magistratura non le fanno tenere il quaderno sul banco? »
 «Lo sa che nemmeno all’esame di quinta elementare è consentito?»
E questo per citare solo uno dei soddisfacenti dialoghi che si spendevano tra quelle mura.
La qualità, gente! La qualità!
Ad ogni modo, Agata era uscita. E aveva avuto l’ardire di oltrepassare anche il bar. E la fotocopisteria. No, non doveva neanche prelevare i soldi al bancomat. Né aveva qualcosa di urgente da acquistare al supermercato.
Supera una seconda sede della sua facoltà. La guarda e ringhia. Le serve la farmacia, forse? Ha bisogno di pillole per i dolori mestruali? Ha ringhiato ad un edificio, può essere…
No, sta attraversando. Guarda a sinistra nella prima corsia. Si ferma sul salvagente lanciando occhiate di fuoco ai guidatori di ambo i lati perché la facciano passare. Guarda a destra nell’ultima corsia.
E non è finita. Prende una salita. Ormai tutto sembra perduto, sta scappando. E senza aver beggiato all’uscita!
Invece no, si ferma. Con passo deciso, incalzante, ed anche un pochino pesante, entra in un negozio. Gli avventori si fermano, si girano, la guardano perplessi. Cosa ci fa tanta eleganza in un posto come quello?
«Mi scusi» chiede al commesso «è uscito l’ultimo numero della ristampa di Paperinik?»
Lei era confinata lì, mentre il suo fidanzato era in giro per il mondo a lavorare e a fare l’adulto, eppure ogni mese chiedeva ad Agata di comprargli l’ultimo numero di Giant PK. Se lui poteva, perché lei no?
E uscì dalla fumetteria con un manga giapponese per sé nell’altra mano.
«Perché sono un’adulta io!»
E perché mancavano ancora tre ore di lezione.
  
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