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Autore: Jultine    07/10/2016    0 recensioni
Fin dove può la disperazione spingere un uomo? Oltre quali limiti è disposto a sconfinare per poter perdere ogni ricordo - sia buono che cattivo - per poter ricominciare a sopravvivere?
"Piove fango. Ancora. E strisciare sulle carcasse marce dei tronchi è l'unica cosa che mi mantiene sveglio e vigile. C'è un qualche presagio, un sentore sinistro, che mi si è incastrato nel cervello e che non riesco a tirare fuori. Un sussurro che dice stai per morire. Un sussurro che mi fa venire voglia di accasciarmi per non risvegliarmi mai più. Così, in mezzo alla Morte. In mezzo al nulla."
Genere: Dark, Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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SOLO UN SEGNO DI GIUSTIZIA

 
 
 
Piove fango. Ancora. E strisciare sulle carcasse marce dei tronchi è l’unica cosa che mi mantiene sveglio e vigile. C’è un qualche presagio, un sentore sinistro, che mi si è incastrato nel cervello e che non riesco a tirare fuori. Un sussurro che dice stai per morire. Un sussurro che mi fa venire voglia di accasciarmi per non risvegliarmi mai più. Così, in mezzo alla Morte. In mezzo al nulla.
            Una vita di fango e calcinacci: questo è quello che ci è rimasto dopo il Giorno delle Luminarie. Una terra brulla, aspra, riarsa. Dal ventre carbonizzato. Ogni chilometro è la replica del precedente, la pellicola in negativo di ciò che era un tempo. Eppure continuo ad avanzare, sciocco e meschino nella convinzione che – strisciando e strisciando – potrò trovare la pace. Una pace a cui però non riesco a dare forma.
            Ho scelto l’isolamento. L’ho abbracciato come un credo, come una religione occulta, come una setta. Sì, è così. Siamo la setta di noi stessi, in fondo. Impenetrabili, diffidenti, pericolosi. Potete giurarci: ogni essere umano ne è a conoscenza, ma finge di non averlo mai appreso. Mitiga la consapevolezza, s’inganna nell’illusione di essere scampato alla follia. Oh, no. Siamo tutti nati folli. Poi ci sono dei bravi attori, questo è vero. Commedianti della sanità mentale.           
             Ero stanco di vivere nell’angoscia, per questo ho abbandonato la Colonia. Di notte, come un ladro o un assassino, come l’ombra di una banshee. Ho fatto fagotto senza salutare e ho mandato tutti quanti a quel paese. Salvandogli la vita, cazzo. Dicono che chi va con lo zoppo impara a zoppicare: bene, chi si avvicina troppo a chi è già morto comincia a morire.
            Non so nemmeno perché mi sono portato dietro una pistola. Prototipo al laser, ti fa un buco preciso stile cauterio. Il posto lo scegli tu, ma è sempre un lavoro pulito. Ci ho lavorato mesi interi, notte e giorno. Volevo farci una strage ma poi mi sono detto: “Ehi, in fondo quei bastardi della Colonia li ami. O vuoi loro almeno un po’ di bene. Falli marcire tra le false speranze che tanto li soddisfano.” Così ho lasciato perdere. Mi sono risparmiato i rimorsi di coscienza.            
            Il terreno si è fatto meno viscido. Anzi, quasi soffice, azzarderei. Lo studio illuminandolo con la torcia: è erba. O per lo meno ciò che un tempo era erba. Bingo. Conosco questo tipo di zona, probabilmente qui ci sarà stata una vallata o qualcosa di simile. Uno di quei buchi nel bel mezzo della foresta, insomma. Piattaforme di atterraggio aliene. Ed è proprio per i piccoli bastardi che vago tutta la notte in mezzo ai boschi. Loro hanno la soluzione a tutti i miei problemi.        
            Cazzo, mi spiego di merda come al solito. In ogni caso non importano a nessuno gli antefatti di questa faccenda. L’unica cosa che conta è trovarli e farmi tirare fuori dai casini. Dopo una bella messa in regola potrei perfino considerare l’idea di tornare alla Colonia. Fino ad allora non se ne parla proprio. 
Le loro navicelle non possono essere viste ad occhio nudo: per farle uscire allo scoperto serve qualcosa ad onde elettromagnetiche che io non ho con me. Fottuti Esterni e le loro tecnologie Mirage. Ora mi tocca urlare ai quattro venti – sempre che si nascondano da queste parti – in codice binario. Mi sento un deficiente al solo pensiero.           
            Scribacchio un cordiale “Uscite fuori” e lo traduco.               
            Nessuna risposta.   


“01000011 01100001 01111010 01111010 01101111 00101100 00100000 01101101 01110101 01101111 01110110 01100101 01110100 01100101 00100000 01101001 01101100 00100000 01100011 01110101 01101100 01101111 00100001[1]!”
 
            Finalmente, dalla boscaglia appare un ragazzino. Si guarda intorno, poi analizza per bene me e mi rivela la sua vera forma: un omino glabro, giallastro, con due penetranti occhi neri. Enormi. Non ne avevo mai visto uno dal vivo e devo dire che mi fa un certo effetto.
            “Ciao.” Canalizza con semplicità, agitando la mano “Parlo la tua lingua. Che ti serve?”                     
            Ammetto che la telepatia non è il mio forte. Ho voglia di vomitare e ho le vertigini. Da un lato mi consola però: potrò fare a meno di sciorinare numeri come un cretino.     
            «Ho bisogno del vostro aiuto.» rispondo «Dovete collegarmi al Desintetizzatore. So che ce l’avete. Se siete qui per darci una mano, allora fatemi questo favore.»       
            L’omino porta le mani avanti.     
            “Oh no no, frena! Questo non si può fare senza il permesso della Federazione Galattica. È reato molto grave, non si può. È tassativo.”                                
            Estraggo il coltello e appoggio la lama sulla sua gola molliccia. Lo sento deglutire.
            “Ti prego, non farlo.” geme “Non sono nemmeno armato, ti ficcheresti nei guai.”
«Tu sei in un mare di guai. Connettimi a quella dannata macchina e ti lascio andare intero. Fa’ qualche cazzata e ti spedisco nell’Iperuranio con il collo penzoloni.»  
            Lo vedo tentennare, è combattuto. Forse vuole arrivare ad un compromesso. Un compromesso che non ho intenzione di accettare.        
            “Per favore, non chiamerò rinforzi. Calmati. Getta quel coltello e parliamone, così possiamo vedere di sistemare la situazione in qualche altro modo. Di che si tratta? Trauma, perdit-“
            «Non è roba che ti riguarda, stronzetto spaziale.» ringhio «Ti ho chiesto un favore, e non ho intenzione di accettare surrogati. Voglio quello che ti ho chiesto, punto e basta.»      “Ed io non posso dartelo, ti ho detto! Per carità cerca di capirmi…”          
            Gli punto la pistola addosso. Lui - o lei o chissà cos'altro diavolo sia - trema. E no, non lo vedo tremare: lo sento. Lo percepisco fino in fondo alle viscere, come un verme che s'insinua lento divorandomi la carne. Mi guarda. Quei due pozzi neri, melmosi e inespressivi, mi spediscono il terrore dritto nel cervello.   

            «Non siate ostili nei confronti degli Esterni, vogliono darci una mano, sono pacifici.» recito «Stronzate. Siete dei corrotti figli di puttana, attaccati al seno della burocrazia come un umano qualsiasi. Me ne fotto della pace galattica. Me ne fotto di tutto quanto.»                
“No, aspetta non-“ 
            Premo il grilletto.   
            L’alieno si accascia sull’erba, un rivolo di sangue bluastro defluisce dal foro in fronte.          
Silenzio.
Non è come ammazzare un essere umano o un animale. È quasi come far fuori un fantoccio, un manichino dei crash test. Forse è per il colore del sangue. O forse è perché non ho più niente da perdere.
            Passi sulle foglie morte. Dietro di me. Si arrestano.    
            «Kepler…che hai fatto?»   
            Mi volto di scatto col cuore in gola e la pistola tra le mani, alta, dritta di fronte a me. Poi la vedo. Cassiopea. No. Dio, no. No no no no…       
            «Non doveva finire in questo modo.» mormoro più a me stesso che a lei. 
            «Che cazzo hai fatto?!»     
            «Cass, per favore… va’ via. Lontano da qui, voltati e dimentica tutto quanto.»       
            «Non ci credo…» e scoppia in lacrime.  
            Abbasso lentamente la pistola e me la ficco nei pantaloni. Per un attimo ho sperato che mi partisse un colpo e mi beccasse in pieno l’arteria femorale. Sono troppo codardo anche per ammazzarmi come si deve ma non abbastanza per condannare l’intero pianeta Terra alla rovina. 
            «Era l’unica soluzione, Cass.» le dico «E lo sai anche tu.»     
Provo ad avvicinarmi a sfiorarle il braccio, ma si ritrae disgustata.
            «No, ti sbagli. Come ti sbagliavi quando hai deciso di non essere abbastanza per guidarci. E alla fine l’hai fatto, te ne sei andato: volevi pure farti cancellare la memoria.» esita, fa per andarsene, poi torna sui suoi passi «È stato davvero così semplice?»   
            «Cassiopea…»        
            «Dimmelo! È davvero stato così semplice decidere di dimenticarci, di dimenticarmi?»       
Getto uno sguardo alle mie spalle, sul cadavere giallastro dell’alieno. Mi pizzicano gli occhi. Vorrei piangere anch’io, che crede? Vorrei gridarle quanto la amo, quanto sono meschino e vigliacco e patetico. Ma non ce la faccio. E non è stato facile, affatto.      
            «Sì.» mento infine, sperando che se ne torni al campo e mi lasci marcire. Ma lei rimane inchiodata sul posto, a fissarmi con quegli occhietti vispi e penetranti da volpe. È bella, Cassiopea.
            «Sai, non m’importa degli Esterni. Me ne sbatto della riconoscenza, di come ci abbiano tirati su dopo il Giorno delle Luminarie. Davvero, non mi interessa.» singhiozza «Ma di te… M’importava. Anche se sapevo che saresti crollato. Forse sono stata io a non aver fatto attenzione, a non averti supportato abbastanza. Forse-»
            «No.» la interrompo, e questa volta non riesco a trattenere le lacrime «Tu non c’entri niente, Cass. Sono io che ho deciso per me… e per voi.    Vattene via. Va’ a testimoniare, la Federazione Galattica non vi farà del male. Almeno per questa volta lascia che mi prenda le mie responsabilità. Togliti dai piedi, Cassiopea.» 
            «Hai ragione.» mormora «Sei un vigliacco tanto quanto lo sono io.»          
Si volta e si allontana. La vedo frugare nella tasca destra del cappotto ed estrarre un coltello da caccia. Se lo ficca in gola giusto nella frazione di secondo in cui comprendo le sue intenzioni. Si accascia sulle foglie secche, ed io rimango inerme. Spettatore inetto dei suoi ultimi spasmi di agonia.   
            L’alba comincia a fare capolino oltre le nubi, quasi a detergere l’incubo di quella notte. A lavarmi di dosso il mio delitto. La copertura Mirage della navetta sfavilla fioca contro i primi raggi solari.
Stringo al petto il corpo senza vita di Cassiopea, cullandolo piano. E improvvisamente mi rendo conto di essere incapace di piangere. Ho gli occhi secchi, di pietra. Il petto morto. Non sento niente.      
La libero dalla lama e un fiotto di sangue mi ricopre il ventre. Il cadavere sussulta come se avesse ripreso vita, poi si abbandona ancora.                 
            «Cassiopea. Stupida, bellissima Cassiopea…» 
           
            “Stringilo forte il tuo Segno di Giustizia.” canalizza una voce. Nella mia mente risuona sconfitta. Mi volto. Nella mia stessa posizione, con le ginocchia abbandonate al suolo e col mio delitto tra le braccia sta un Esterno. Mi fissa inespressivo.
            «Sparami!» bercio. 
            “No. Quello è il tuo Segno di Giustizia, e questa è la condanna che ti spetta.”                    
            «Ho ucciso un tuo compagno!» ribatto «Dovresti farmi fuori a vista.»                    
            “Voi lo chiamate rimorso.” replica piatto “Ed è abbastanza.”                      
Si dirige verso il cerchio nella foresta con il compagno in spalla. Non ha nient’altro da dire. E sparisce.                 
            «Solo un segno di Giustizia.»       
            Mentre comincio a scavare a mani nude, sento lo sguardo ormai vitreo di Cassiopea seguirmi. Le abbasso le palpebre. Non sono mai riuscito a guardarla negli occhi, da viva. Ora sarebbe ancora più sbagliato.
 
[1] “Cazzo, muovete il culo!”
   
 
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