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Autore: My Pride    08/05/2009    9 recensioni
Ascoltiamo le parole della pioggia.
Ascoltiamo il suo insistente bussare.
Ispira a fondo.
Questo è l’odore della purezza.
La purezza che noi non abbiamo mai avuto.
Nemmeno da bambini.
[ Prima classificata al contest «A contest for the rain» indetto da Roy Mustung sei uno gnocco ]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Poesia | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Edward Elric, Roy Mustang | Coppie: Roy/Ed
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Incompiuta
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The Silent Force
[ Prima classificata al contest «A contest for the rain» indetto da Roy Mustung sei uno gnocco ]

Titolo:
The Silent Force
Autore: My Pride
Fandom: FullMetal Alchemist

Tipologia: One-shot [ 1155 parole ]
Personaggi: Edward Elric, Roy Mustang
Genere: Introspettivo, Malinconico, Poesia

Rating: Arancione
Avvertimenti: Shounen ai, Missing moment
The angst time: 7. Fine
Nota: La struttura della storia è atta a ricordare quella in versi, indi per cui è una cosa voluta.


FULLMETAL ALCHEMIST © 2002Hiromu Arakawa/SQUARE ENIX. All Rights Reserved.
 
Everything will slip way
Shattered peaces will remain
When memories fade into emptiness
Only time will tell its tale
If it all has been in vain...
- Frozen, Within Temptation -
    Lenta. Scende lenta la pioggia.
    Picchietta sui vetri delle case,
scroscia lungo i canali nei vicoli,
alberga nel mio cuore ferito e mai risanato.
    È in giorni come questi che l’ansia mi opprime il petto.
    Sono passati anni, ormai, da quella fatidica notte,
dalla notte in cui tutto ebbe inizio e fine.
    E ancora mi trovo qui, su questi umidi gradini,
a guardare le gocce scendere furenti dal cielo,
come le lacrime ormai inaridite nei miei occhi.
    Accadde tutto senza che ce ne rendessimo conto, vero?
    Quei momenti tormentati, quegli attimi proibiti,
la passione che consumava entrambi, rendendoci schiavi della lussuria.
    Era anche quella una notte di pioggia, ricordi?
    I lampi che solcavano il cielo, la pioggia che bussava insistente alle nostre finestre,
tu che mi sussurravi all’orecchio “Ti amo” quando entrambi sapevamo che era solo finzione.
    Stavamo solo giocando, e quel gioco ci piaceva,
così come ci piaceva, dopo, andare in terrazza, sotto la pioggia.
Nudi, lasciavamo che le gocce lavassero via il peccato di cui ci eravamo macchiati,
ma era sorridendo che continuavi a mormorarmi quelle spietate parole all’orecchio.
    Quel solito “Ti amo” che mi uccideva a poco a poco,
le tue mani che accarezzavano il mio viso,
il tuo auto-mail freddo come l’aria intorno a noi e le gocce che ci bagnavano.
Una dolce e lenta tortura alla quale io stesso mi sottoponevo.
    Lasciavo che mi facessi soffrire,
lasciavo che ferissi il mio cuore già martoriato e,
lenta come non mai, la pioggia cancellava dal viso le mie lacrime.
    Te lo ricordi, vero, quando piansi dinanzi a te?
    Eravamo a letto, nell’ennesima notte di pioggia.
Altre tue parole d’amore, altre tue carezze che mi laceravano.
Poi, quel momento che non controllai.
Nell’attimo del nostro orgasmo, sentii gli occhi inumidirsi,
e le lacrime mi rigarono il viso.
    Dicesti che era colpa del piacere,
di quel nostro intenso gioco di passioni,
di quel folle e puro godimento che ci avvolgeva;
ma anche tu sapevi che non era così.
Era quel tuo comportarti, quel tuo essere freddo e distante,
quel tuo uccidermi con dolci parole prive di sentimento.
    Oh, non guardarmi così, adesso. Sai quanto me che non mento.
    Puoi socchiudere i tuoi occhi dorati in un moto di rabbia quanto vuoi, ma la verità non cambia.
Non siamo mai stati dei veri innamorati, noi due.
Il nostro non era amore.
Era solo sesso, ne sei consapevole anche tu.
Era solo un modo come un altro per non sentirci soli.
    Tu cercavi il calore di una famiglia, l’affetto d’un padre e d’una madre;
io, invece, cercavo solo un pretesto per non soffrire la solitudine che mi affliggeva.
E forse era per quello che ci incontravamo sempre nei giorni di pioggia.
Ci rendeva più docili, più inclini a... come diresti tu?
Ah, aye... a mandare a puttane l’orgoglio.
    Quei gemiti, poi, facevamo persino finta di non sentirli.
Non ti piacevano, non è così?
Li trovavi... depravati.
Erano soltanto l’estensione della nostra fittizia concupiscenza,
suoni che in quel contesto erano normali, ma che, a nessuno dei due, piaceva ascoltare.
E vuoi sapere perché?
    Non scuotere la testa, non tapparti le orecchie.
Vuoi saperlo, lo leggo nei tuoi occhi.
Puoi continuare a dirmi no per tutto il tempo che vuoi, tanto te lo dico lo stesso.
Perché erano i gemiti di chi cercava solo piacere.
Erano i gemiti di chi era persino disposto a pagare per aver quel che voleva.
    Questo eravamo, mo beag. Amanti alla ricerca di sesso,
sfruttatori che versavano fino all’ultima goccia di seme,
quel seme che poi catturavi con le tue labbra, ponendolo sulle mie.
    Te lo ricordi questo particolare, vero?
Non facevi altro che ripetere quanto ci rendesse vicini,
più vicini di quanto non saremmo mai stati.
Il mio sapore mescolato al tuo, i nostri corpi uniti in uno solo.
Forse ci legava sul serio, forse no.
Sarebbe difficile stabilirlo con certezza, non ti pare?
    Aye, guarda la pioggia, non stare ad ascoltarmi.
    La verità ha sempre fatto male a chiunque,
e tu non fai eccezione, così pure io.
Un tempo, forse, ti ho amato davvero.
Quand’eri un ragazzino, probabilmente.
Oh, aye, chiamami pedofilo, chiamami pervertito.
Ormai tali parole non mi fanno più nessun effetto.
Ti ho avuto da tanto, dirmelo adesso non ha più senso.
    Quante volte l’abbiamo fatto?
Forse più volte di quante gocce stiano cadendo in questo momento.
È bizzarro, non credi anche tu?
    Ah, ora guardi lontano, verso quel grigio orizzonte.
Quella linea pallida e sottile, come le cicatrici che segnano i corpi di entrambi.
Cicatrici d’un peccato, le tue.
Cicatrici d’un peccato che può essere considerato migliore del mio, se ci rifletti.
    Mio giovane, e ingenuo, Acciaio.
Tu non hai dovuto uccidere, non hai dovuto sporcarti le mani.
Tu rivolevi tua madre. Tale peccato ti si può perdonare, in distorti pensieri.
Ma dei miei, cosa ne pensi? Cosa pensi d’un assassino?
Quante vite ho spento prima che mi fermassi?
Troppe. Davvero troppe.
Ed era questa stessa pioggia che osserviamo adesso a frenare le mie fiamme,
la rara pioggia che cadeva in quel deserto divenuto Inferno.
Pioggia di sangue.
Pioggia sottoforma di lingue infuocate.
Invece adesso guardo queste gocce, che fresche ci sfiorano quando scivolano dal portico.
    Le persone che ci passano dinnanzi si affrettano a lasciare le vie per non trovarsi in un acquazzone.
Noi due, invece, siamo gli unici ad essere fermi, immobili.
Non avrebbe senso tornare dentro, no?
Anche se lo facessimo, reclameremmo ancora quella pioggia,
concentrandoci poi su di essa per non cadere vittime della passione.
Perché appena siamo soli non diamo freno ai nostri bassi istinti.
    Siamo uomini, mo beag,
e rinunciare ad una notte di sesso non sarebbe da noi, vero?
Lasceremmo fare ai nostri sensi, ritrovandoci avvinghiati l’uno all’altro.
Per questo rimaniamo lì, sotto la pioggia o quasi.
Vicini, certo, ma lontani come sempre.
Lontani come anni fa a parlare del passato,
di quel passato che si sgretolava a poco a poco e continua a farlo.
    È quasi tutto sbiadito, poche sono le cose che davvero si ricordano.
Il colore delle lenzuola, il lieve freddo presente nella stanza,
l’odore muschiato della nostra lussuria.
Queste sono le uniche cose che ho impresse nella mente.
    Ne ricordi qualcun
altra, tu?
Ah, nay... capisco, ma mi va bene così.
Almeno adesso mi hai risposto, di solito nemmeno lo fai.
Mi guardi soltanto con quegli occhi color whisky.
Ma non pensiamo a questo, adesso.
    Lo senti?
Intorno a noi, nell’aria, lo senti?
Questo profumo.
È un bel profumo, ne convieni?
Aye, seppelliamo per un attimo i dissapori.
Ascoltiamo le parole della pioggia.
Ascoltiamo il suo insistente bussare.
Ispira a fondo.
Questo è l’odore della purezza.
La terra umida, l’erba bagnata.
La purezza che noi non abbiamo mai avuto.
Nemmeno da bambini.
Ma non perdiamoci in altre chiacchiere inutili.
    Guarda come le foglie ruzzolano via dagli alberi.
    Lo senti questo debole alito di vento che si è alzato?
La pioggia sta per cessare. Tra poco si disperderà nell’aria, vagando lontano.
Le nuvole già si stanno sfilacciando. Ed eccolo, il momento.
    Chiudo gli occhi, l’acqua che danza con il vento mi sferza il viso.
Furente, sembra fatta di piccole lame che mi trafiggono,
ma non lascia dietro di sé alcun suono.
Nessuno, se non chi percuote, può sentirla.
    Eh, la pioggia. Che forza silenziosa.
Proprio come quella con cui mi hai colpito adesso prima di andartene.











Commento del Giudice:
Una storia molto particolare, su cui altrettanto si potrebbe dire; però sarebbero parole futili perché, proprio come le parole che hai scritto, bisognerebbe essere precisi e schietti in ciò che si vuole dire e non tapparsi le orecchie come cerca di fare Edward, non volendo ascoltare la verità... la realtà. Mi è piaciuto molto come hai reso il carattere di Edward: non vuole lasciare quell'idillio fatto di sesso e di apparente amore che si è costruito con Roy; d'altra parte, quest'ultimo mi è piaciuto ancor di più!
Perché? Perché Roy, sicuramente, si sarebbe potuto buttare in un'avventura tale! Forse nella speranza che sarebbe sbocciato per davvero qualcosa con Ed. Ma non è successo... perciò, come solo lui sa fare, affronta di petto la dura e difficile realtà.
Complimenti, My Pride, sei stata molto brava e veramente mi hai colpito con l'utilizzo dell'elemento pioggia, perché se lo avessi utilizzato soltanto come oggetto per il "lavaggio dei peccati" mi sarebbe risultato troppo banale.
Grazie per aver partecipato.


8,7
9,5
9
10
4 – 41,2

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