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Autore: darken_raichu    08/10/2016    2 recensioni
Pokémos è una terra lontana, dove i pokémon vivono divisi in 18 nazioni, tra i cui territori si estendono deserti, pianure, foreste e mari, che rendono assai difficoltosi i collegamenti tra i vari paesi. Fino a 10 anni fa la terra era in pace, ma ora le cose stanno cambiando…
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
Capitoli:
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Torre del Sapere, 21/07/4783, circa le 23
Raichu terminò il racconto. Man mano che parlava, si era reso conto di quanto avesse avuto un’avventura eccezionale in quei pochi mesi. E si chiese quanto avrebbe dovuto aspettare prima di vederne la fine.
«Così, dunque…» Disse lo Shelgon con un sospiro «All’inizio credevo Dialga si fosse ritirato nella sua dimensione. Poi, ho pensato mi stesse mettendo alla prova, per vedere se avrei saputo portare pazienza ed attenderlo. Poi, ho semplicemente creduto si fosse dimenticato di me. Beh, capisco perché siete preoccupati. Ma in che modo posso aiutarvi? Sono solo un vecchio ormai. Non posso venire con voi, perché anche con il tempo rallentato sono un vecchio, e non posso combattere, perché l’età si fa sentire anche quando il tempo è rallentato. Quindi come posso esservi d’aiuto? Non credo siate venuti qui solo per dirmi che fine ha fatto Dialga.»
«No, infatti. Quello che vorremmo è il suo aiuto. Vede, la Chiesa del Tempo potrebbe non prestarci ascolto. Ma lo presterebbe di certo a lei.»
«Ah, sì, i veneratori di Dialga. Ogni tanto il loro capo veniva a trovarmi, quando ancora vivevo con il Signore del Tempo. Andando avanti con il tempo, ne ho conosciuti una ventina, tutti pokémon abbastanza competenti. Sono certo che a tutt’oggi sappiano chi sono.»
«Quindi ci aiuterà?»
«Certo. Datemi carta e penna, e sarò lieto di darvi aiuto.» Rispose il pokémon. Mentre scriveva, guardò i due pokémon. In tutti quegli anni, aveva imparato a leggere dentro quelli con cui parlava. E quei due erano onesti, su questo non c’era dubbio. Ed erano molto legati tra loro, come veri amici, non come capitano e sottoposto. Gli ritornò in mente quel giorno di quasi tre secoli prima in cui aveva conosciuto Dialga. A quel tempo, faceva parte dell’esercito di Draghia, quando una banda di rivoltosi aveva attaccato a sorpresa il suo squadrone. Erano stati sterminati, poi quelli erano fuggiti. E lui era rimasto lì, ferito oltre ogni possibilità di cura, destinato a morire fra le ombre della Valle di Nyla. O almeno questo pensava, finché dal nulla era comparso Dialga.
Il pokémon lo aveva guardato e gli aveva chiesto se era disposto a scambiare il sogno e il futuro di ogni Shelgon con la propria vita. Il pokémon aveva annuito, e Dialga lo aveva accontentato. Come ogni cosa di lui, anche le sue ferite si erano fermate. All’inizio erano solo ferme, ma dopo un po’ Dialga aveva cominciato a trovarle disgustose – o almeno così aveva detto, per quanto lo Shelgon avesse sempre sospettato l’avesse fatto per gentilezza - perciò lo aveva fatto guarire da Shaymin, in cambio di un favore che Gon-Shel non aveva mai scoperto.
Finì di scrivere la lettera, e la firmò. La rilesse ancora una volta, per assicurarsi di non aver fatto errori, come succedeva troppo spesso a chi scriveva di fretta, la piegò e la porse a Raichu.
«Grazie.» Disse il pokémon Elettro, prendendola.
«Di nulla, vi auguro buona fortuna. Fossi più giovane verrei con voi. Un tempo ero un soldato, e se ci fossimo incontrati cento anni fa sarei stato lieto di combattere con voi.»
«Ha già fatto tantissimo.» Rispose Raichu, sorridendo.
Gon-Shel annuì, e salutò i due pokémon. Guardandoli mentre si allontanavano, gli tornarono in mente i suoi viaggi con Dialga. Era stato in tanti luoghi e in tanti tempi. Aveva vissuto una vita piena. Persino non volare alla fine non era più stato un problema per lui. Aveva avuto salva la vita, e aveva potuto vivere a lungo. Per un attimo, si chiese se non fosse giunta l’ora di rimuovere il Dono. Se lo avesse fatto, sarebbe morto nel giro di poche ore, lo aveva avvertito Dialga quasi due secoli prima, perché lentamente su di lui sarebbero apparse tutte le ferite subite nel corso dei secoli trascorsi come Custode.
“Potrei farlo… ma prima voglio almeno rivedere Dialga e ringraziarlo.” Si disse. Con un sospiro, riaprì il libro che stava leggendo, I Loro di Draghia, e riprese a leggere, riflettendo per la prima volta da molto tempo sul fatto che tutto sommato l’immortalità aveva anche i suoi vantaggi.
                                                                                                                
Truepower, 22/07/4783, circa le 00
«Quindi per riassumere, Specchio, tu e Aegislash siete stati scoperti. Avete quindi combattuto contro il nemico, avete avuto la meglio su un loro Capitano, l’avete catturato, avete seminato gli inseguitori, e poi siete tornati qui. Mi sbaglio?»
«No, è esattamente così.» Replicò Surskit. Era Aegislash a dover decidere cosa fare, e lui non avrebbe rivelato il suo segreto senza il permesso dello Spettro. Aveva perciò pensato a una mezza verità. In fin dei conti, era quasi tutto vero. Che importanza poteva mai avere il fatto che tutto ciò fosse avvenuto solo perché Aegislash era il Custode di Giratina?
«Dovete davvero essere diventati fortissimi per essere usciti vivi da tutto ciò. E riguardo l’altra questione?»
«Siamo qui e siamo vivi. Aegislash ha combattuto contro di loro, e credo siano ottime ragioni per non sospettare di lui.»
Cacturne annuì, con un sospiro di sollievo. Surskit vide chiaramente che il Capitano si mostrava molto più tranquillo. Evidentemente, la questione di Aegislash lo aveva preoccupato molto.
«Ora parliamo di cosa avete scoperto. Hai detto che l’Organizzazione intende preparare una nuova trappola, e se avessero successo sarebbe un’enorme problema. Quindi, di che trappola si tratta?»
«Hanno intenzione di attaccare la squadra che hai stanziato in uno dei paesi qui vicino, di cui hanno scoperto l’esistenza grazie al loro informatore, di cui però non siamo riuscito a scoprire l’identità.»
«Beh, non mi pare si possa definire trappola. Mi sembra piuttosto un semplice attacco.»
«Aspetta. La loro idea non è di catturare i soldati, ma di costringerli a un assedio. A quel punto, lasceranno passare un messaggero che verrà a riferirti la situazione. E tu giustamente marcerai contro di loro, essendo il più vicino.»
«Certo. Ma immagino sia quello che vogliono.»
«Esatto. Appena attaccherai quelli sotto le mura, un secondo squadrone piomberà contro di noi alle spalle. Schiacciati tra due armate, saremo sterminati o catturati. E a quel punto, Truepower sarà indifesa.»
«Capisco. Un piano ingengnoso. Ma se invece io per qualche motivo, magari anche solo per ascoltare il Conte, decidessi di non marciare contro di loro con tutte le mie forze, ma solo con una parte?»
«Hanno delle spie tra di noi, e tu lo sai. Ti fideresti davvero a lasciare la città in mano a qualcun altro?»
«No, è vero. Anche lasciandola a uno di voi, se non sono riuscito a fidarmi di Aegislash non riuscirò a fidarmi degli altri. Ma se invece affidassi il comando dell’attacco a qualcun altro?»
«Ti rimarrebbero meno soldati, visto che quelli mandati in rinforzo sarebbero sconfitti. Truepower è già caduta, nella storia di Elettria, può benissimo cadere ancora. Ci chiuderebbero i rifornimenti con l’esterno, sostituirebbero i tuoi messaggeri con i loro facendo arrivare rapporti falsi… in sintesi, nessuno si renderebbe conto che la città è sotto assedio, almeno non per il tempo che basta per prenderla con la forza.»
«Ma bene. Adesso, abbiamo elencato tutte le cose da non fare. Cosa credi dovremmo fare invece?»
«Io?» chiese Surskit.
«Sì, tu. Sei l’unico che è stato nella base, oltre ad Aegislash che non è però in condizioni di parlare. Quindi, è da te che devo saperlo. Cosa mi consigli?»
Surskit riflettè a lungo, anche perché lo stupore l’aveva lasciato senza parole. Dopodiché, parlò «D’accordo, se dovessi decidere io… probabilmente manderei alcuni messaggeri di cui posso fidarmi al distaccamento più vicino. Il nemico si aspetta solo noi, ma se arrivassero altri dei nostri li coglieremmo in contropiede.»
«Idea interessante. Potrebbe valerne la pena, andrò a consultarmi con il Conte subito per definire i dettagli, visto che prenderò in prestito anche i suoi soldati, sperando che non sia troppo impegnato a mangiare. In ogni caso, quando gli dirò che l’Organizzazione sta arrivando dovrebbe essere contento di aiutarmi. Tu va a riposarti, sarai esausto.»
«D’accordo Capitano, grazie.» Rispose Surskit con uno sbadiglio. Era talmente esausto da essere sorpreso di non starsi addormentando nel bel mezzo del discorso. Stava uscendo, quando gli venne in mente una domanda «E Banette, Capitano?»
«L’abbiamo rinchiuso in una cella giù nelle segrete. Ho piazzato venti Pokémon a fare la guardia. Spero che statisticamente basti per impedire ai membri dell’Organizzazione di essere la maggioranza delle guardie. Comunque, da quel che mi hai raccontato, Banette e Aegislash si conoscevano e avevano una vecchia rivalità. In tal caso, sono certo che sarà ben felice di fargli la guardia.»
Surskit annuì. Sapeva cosa avrebbe davvero reso felice Aegislash, ma era meglio non dirlo al Capitano. Prese congedo e si allontanò dalla stanza.
Cacturne chiuse gli occhi un momento, pensando a come procedere. Surskit gli aveva detto che Roserade non c’era, facendogli tirare un sospiro di sollievo: avrebbe combattuto volentieri contro chiunque, ma più ripensava al combattimento sulla nave più si chiedeva se fosse stato un colpo sfortunato a centrare la maschera d’acciaio o se fosse stato lui a mirare volontariamente a un punto ben difeso. Che avesse voluto proteggere Roserade persino in quel momento?
“Adesso non devo pensarci. Non importa. Se Surskit ha detto che non c’è, meglio. Mi domando solo dove sia.” Si disse. Poi, senza preavviso, batté un pugno sul tavolo. Scosse la testa, come se questo gli permettesse di farne uscire anche i pensieri che lo tormentavano, poi si alzò e si diresse verso le camere del Conte.
 
Da qualche parte ad Elettria, 22/07/4783, circa le 6
Roserade stava dormendo, immersa nei propri incubi. Vide Joulechester bruciare, e lei che nel mezzo delle fiamme sollevava un pokémon e lo gettava tra di esse. Ma un attimo dopo, mentre il pokémon bruciava, la sua faccia mutava e diventava quella di Roserade, sfigurata dalle fiamme. Poi, con un urlo di agonia, il pokémon crollava, e a terra davanti a lei giaceva Treven. Roserade arretrò, poi sentì un rumore alle proprie spalle, e si girò, colpendo con Velenpuntura. Trapassò da parte a parte l’avversario, che si rivelò Cacturne. La pokémon fece per liberare il braccio, ma il pokémon lo prese e la guardò, gli occhi trasformati in due braci d’odio.
“Tu mi hai lasciato.” Disse senza aprire la bocca.
«No, sei tu che non mi hai seguita!» Gridò la pokémon. Un attimo dopo, quello davanti a lei non era più Cacturne ma Breloom, nella stessa posizione in cui prima si trovava Cacturne.
“E che bene mi ha portato seguirti?” Le chiese, sempre senza voce.
Roserade non rispose, e Breloom scoppiò a ridere, una risata rauca, piena d’odio e rancore, piena di cose non dette e sentimenti non espressi a parole. Poi, Roserade si trovò davanti Victreebel, il pokémon che aveva ucciso tanti anni prima, trapassato da un grosso pezzo di legno e dal suo braccio, con la liana avvolta intorno al braccio di Roserade.
“Tu mi hai ucciso. Ti è piaciuto vero, prendere la mia vita? Ti piace pensare fosse per vivere ma non è così. Guarda quanti sono morti per mano tua.” Disse, indicando dietro di sé, e tra le fiamme emersero decine, centinaia di volti urlanti.
Roserade cercò di liberarsi, incapace di rispondere, ma il Victreebel la stringeva mentre diventava più freddo, più freddo, più freddo… finché Roserade non si trovò il braccio intrappolato dal ghiaccio. E dalla bocca del Victreebel vide emergere con orrore il Surskit, piccolo, molto più del normale, malvagità pura che traspariva dai suoi occhi rossi.
Il pokémon avanzò lungo il suo braccio, e Roserade cercò di farsi indietro, sentendo il braccio farsi sempre più freddo all’avanzare del Coleottero. Con orrore vide Victreebel frantumarsi, e cercò di allontanarsi, ma vide altri Surskit salire su di lei lungo le gambe, e congelarla man mano che salivano. Incapace di muoversi, poté solo guardare finché quello sul braccio non le raggiunse il volto e la toccò…
La pokémon lanciò un grido, alzandosi dal proprio letto, ansante, il cuore a mille, tanto forte che sentiva il battito rimbombarle nelle orecchie. Stava sudando copiosamente, terrorizzata. Guardando il proprio riflesso nello specchio, si rese conto di essersi trasformata nel sonno, come dimostrava la maschera di ferro che aveva in volto.
Rimase seduta per lunghi minuti, mentre i ricordi di quell’incubo orrendo le rimbombavano in testa. Poi, lentamente, fece ritornare normale la maschera e le foglie sulla schiena, ancora scossa.
“Solo un sogno… solo un sogno…” Si ripeté, mentre il respiro si faceva meno pesante e il cuore smetteva di batterle all’impazzata. E a quel punto sentì che qualcuno bussava alla porta. Con un ultimo sospiro per calmarsi, si alzò e aprì la porta. Si trovò davanti uno Spinarak.
«Capitano Roserade, mi manda il Generale Nidoking. Vorrebbe che lei si presentasse da lui il prima possibile.» Disse il pokémon. Roserade annuì. Lord Nidoking detestava aspettare, perciò Roserade si mise subito in cammino.
Arrivò davanti alla stanza del Generale, dopo essere salita al secondo livello della base. Non era difficile distinguerla dalle altre, visto che la porta era parecchio più alta. Bussò, e un momento dopo la sagoma enorme del Generale le apparve davanti e la fece entrare.
«Finalmente, Roserade. Ti vedo un po’ sciupata, stai bene? No, non rispondere, non ha importanza. Occupiamoci degli affari importanti. Allora, hai una vaga idea del perché ti ho convocato?»
«No signore.» Replicò Roserade. Come al solito, i discorsi di Lord Nidoking risultavano spesso incoerenti quando parlava con poche persone, o con una sola. Era bravissimo nel parlare con una folla, o forse semplicemente sapeva controllarsi, ma quando i suoi interlocutori erano pochi sembrava ci fossero più pokémon intenti a parlare in uno. E Roserade sapeva per esperienza che non era timidezza, ma qualcosa di molto peggio.
«Capisco. Beh, in parole povere, mi serve che tu prenda il comando di una grande unità d’attacco. Sappi che è una grossa missione.»
«Di che si tratta?»
«Oh, è semplice. Vedi, dobbiamo far capire al popolino e ai nobili di Velenia che il Re è solo un fallito, su cui non si può contare, mentre l’Organizzazione è destinata a uscire vincitrice dalla guerra, quindi è saggio schierarsi a suo favore. Ed è per questo che devi prendere il comando di una squadra e portare a termine una missione, lo ammetto, piuttosto ardita.»
«Cioè?» chiese Roserade, che cominciava a innervosirsi. Erano le cinque del mattino e lei non aveva esattamente avuto una bella serata.
«Voglio che tu prenda una città.»
«Tutto qui? Se avrò abbastanza soldati, dubito che una sola città possa…»
«La città è Toxic Zone. Voglio che tu prenda per noi la Capitale di Velenia.»
Roserade lo fissò a bocca aperta un momento, poi annuì «Abbiamo un piano d’azione? O dovrò occuparmi di tutto io? Non è un problema in entrambi i casi ma…»
«Hai carta bianca. Per quel che mi riguarda puoi farne un’altra Joulechester. Ho sentito che ti sei divertita parecchio in quella città.»
«Io…» iniziò Roserade, ma si ritrovò incapace di continuare. Non sapeva cosa le fosse successo a Joulechester. Nel momento in cui era cominciato il combattimento, aveva sentito solo una folle sete di sangue. Ricordava vagamente lo sterminio indiscriminato che aveva portato avanti, ma non nel dettaglio. Era come se a farlo fosse stato qualcun altro, e lei avesse solo assistito.
«Non devi giustificarti. In battaglia la follia è un’ottima cosa» replicò Lord Nidoking «Hai fatto un ottimo lavoro, hai di certo instillato un grande terrore nei nemici. Fallo ancora mi raccomando. Posso suggerirti qualche altro modo per far del male ai tuoi nemici? Potresti strappare loro gli arti uno per uno. Oppure potresti infilar loro in bocca il braccio e scagliare un colpo. Credimi, non c’è nulla di meglio che vederli saltare in aria. Ah, quelli sì erano bei tempi. Peccato che oggi io sia incastrato qui. Cosa non darei per tornare ai vecchi metodi.»
Roserade arretrò, disgustata “Quindi è così che si riduce chi combatte facendosi guidare dal desiderio di sangue?” Si chiese “O è solo il modo di parlare di un folle?”
«In ogni caso, non voglio tediarti con vecchi ricordi. Torna a riposarti un po’ prima della partenza, poi fatti trovare al punto di teletrasporto. Voglio che partiate per le sette. Vi ritroverte nella città di Poisondair.»
«Non potremmo emergere direttamente in città, signore?»
«Domanda intelligente, ma come la maggior parte delle capitali anche Toxic Zone è schermata. Le mura hanno un nucleo di materiale refrattario, quindi il Teletrasporto non riesce a passare. Perciò, possiamo solo farvi arrivare vicini.»
«Riguardo a Scolipede ed Amoongus?» Chiese, riferendosi ai suoi due Tenenti.
«Sono già stati informati.»
«La ringrazio. In tal caso, andrò a riposare.» “Possibilmente senza sogni, questa volta.”
«Molto bene. Ah, un’ultima cosa» disse il Nidoking mentre apriva la porta alla pokémon «Non credo serva dirti che un tuo fallimento non sarebbe ben visto.»
Roserade annuì. Sapeva fin troppo bene cosa questo volesse dire. Aveva conosciuto qualcuno che lo aveva deluso, e ora quel qualcuno non era più lì per raccontare cosa fosse successo dopo. La pokémon era ben decisa a non fare la stessa fine.
«Ottimo. In tal caso, buona fortuna e torna vincitrice.» Le rispose Nidoking con un sorriso talmente terrificante che le fece gelare il sangue nelle vene. Poi il gigantesco pokémon chiuse la porta lasciandola sola nel corridoio.
La Roserade si avviò verso le proprie stanze. Sulla strada, si mise a pensare. E al pensiero del bagno di sangue che l’aspettava, senza rendersene conto sorrise. Un sorriso che ricordava tremendamente quello di Nidoking.
  
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