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Autore: perseus_jackson_x    09/10/2016    3 recensioni
In un mondo in cui Rachel e Apollo si odiano, dove Percy è così innamorato di Annabeth da dimenticarsi di dirglielo. In un mondo in cui Will è imbranato, ma Nico anche di più. Dove Piper e Jason si amano, ma sono troppo diversi per farla funzionare. Dove Hazel è sempre tra le nuovole, da non prestare attenzione a dove cammina; in un mondo in cui Frank è forte e grande, ma gentile, così tanto da salvare una giovane donzella da una caduta nel bel mezzo del corridoio della scuola. In un mondo in cui Leo fa scoppiare le cose, ma soprattutto il cuore di Calipso.
Un mondo bello ma disastroso, gioioso ma triste.
Il mondo degli adolescenti innamorati.
Genere: Commedia, Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Frank/Hazel, Jason/Piper, Leo/Calipso, Nico/Will, Percy/Annabeth
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                                                  what's your name?
                                                 In the name of God! 


Quando Rachel si era svegliata quella mattina sapeva che qualcosa le sarebbe andato storto, insomma, capita a tutti di avere una strana sensazione, no? Ma di certo non si aspettava quella catastrofica punizione, o almeno pensava fosse una punizione. Aveva fatto qualcosa di cattivo che aveva offeso una forza maggiore? Non riusciva proprio a spiegarselo. 
Bando alle ciance, iniziò tutto così...

Camminava per i corridori della scuola quando si imbatté in qualcosa, o meglio in qualcuno. I fogli, i pennelli e la borsa caddero a terra, suscitando l'ira della ragazza.
«Guarda dove cammini la prossima volta!» disse con tono infastidito, mentre raccoglieva le cose cadute al suolo. 
«Rachel, sei tu, ehm scusa» una voce melodiosa, –perché anche se odiava ammetterlo, aveva una bella voce– appartenente ad un ragazzo, le fece alzare lo sguardo. Il possessore della voce era un ragazzo della sua età, con una zazzera di capelli castani, gli occhi vispi che l'osservavano. 
«Apollo» disse in modo stizzoso, assottigliando gli occhi «noto che ancora fatichi a guardare oltre il tuo orribile naso».
I'interessato le sorrise, tastandosi il naso appena gonfio, aveva sicuramente fatto a botte, lo si poteva capire chiaramente. 
La campanella suonò. 
«Ci si vede a letteratura, Dare» le sorrise per poi scappare nella classe di fisica, o almeno così le sembrò. 
Intanto, Rachel, corse fino al secondo piano dove le aspettava matematica con la Dodds, come odiava quella donna! 
La lezione fu alquanto noiosa, come sempre d'altronde, ma almeno questa volta non dovette subirsi Percy che non la smetteva di parlare di Annabeth. 
Percy Jackson era una sorte di migliore amico, o almeno un qualcosa che somigliava ad un migliore amico. Aveva avuto una cotta per lui per due anni, ma poi le aveva detto che era completamente innamorato della sua vicina di casa  Annabeth Chase, nonché loro compagna di scuola. 
Il malessere di quella mattina si approfondì con l'arrivare della seconda ora, una strana sensazione alla bocca dello stomaco che quasi le fece venire da vomitare. 
Si recò nell'aula di letteratura, prese posto al primo banco e aspettò che tutti gli altri seguissero il suo esempio. 
Rachel, nonostante amasse le materie artistiche e umanistiche, aveva una certa difficoltà ad affrontare  la letteratura. 
Il professore P. entrò in classe con tutta la sua bellissima barba incolta, il suo completo grigio gessato e la valigetta di pelle marrone. Estrasse un libro dalla, oramai più che rotta, ventiquattrore e lo pose sulla cattedra di legno consunto. 
La lezione fu noiosa e tortuosa, come da manuale. 
P. le aveva posto numerose domande, ma le risposte erano arrivate solo per alcune di queste. . 
A differenza sua, Apollo era un genio e aveva saputo tutte le risposte che, invece, a lei mancavano. 
Dio, se lo odiava! 
A fine lezione il professore chiese ad entrambi di rimanere, l'insegnante avrebbe sicuramente lodato lui e rimproverato lei. Forse era quella la sensazione che le dava tormenti... forse. 
«Dare, cosa devo fare con te?» incominciò il professore, sospirò e scosse leggermente la testa, in cenni di disapprovazione «Ho saputo che vorresti partecipare al concorso degli artisti, ma con questi voti non puoi- non devi, assolutamente, permetterti di distarti. Hai bisogno di studiare con più sostanza, devi impegnarti Rachel» la rossa abbassò lo sguardo, puntandolo sulle scarpe bianche ormai macchiate di mille colori. 
«Ed è per questo che Lester ti darà una mano. È così un bravo ragazzo!» Rachel alzò immediatamente lo sguardo, corrucciò la fronte e assunse un'espressione che indicava la confusione totale. 
«Lester? Non conosco nessun Lester, professore» rispose, pensando ai suoi compagni di classe. No, non conosceva sul serio nessuno con quel nome. 
«Ma come? È qui! In questa stanza. Lester, vieni su» Apollo, allora, fece qualche passo verso la cattedra, dove i due stavano parlando. 
«Preferirei essere chiamato Apollo, è il mio nome d'arte, odio il mio vero nome» come mai aveva udito prima, il tono del moretto era neutro, spento. Per la prima volta non era stato sarcastico, né derisorio, non era stato arrabbiato e neanche infastidito. La sua voce aveva perso quella consona melodia, aveva perso il fascino. 
Pensandoci, Rachel non aveva mai conosciuto il vero nome di Apollo. Insomma, sapeva che quello non fosse il suo vero nome, ma non si era mai posta la domanda.  Non gli aveva mai chiesto: "Qual è il tuo nome?"
«Lester Papadopoulos, è il nome di tuo nonno quello! Porta rispetto» per poco Rachel non scoppiò a ridere. Pa-pa-do-pou-los. Era un cognome senza dubbio greco, ma questo non lo rendeva meno ridicolo. 
«Zio P!» un momento, zio? 
I due dovettero capire la faccia stranita della rossa, quindi si ricomposero. 
«Sai, Rachel, io sono lo zio di Les-Apollo, sì. Suo padre è  mio fratello» 
«Quindi P non sta per il suo nome, ma per il suo cognome» disse Rachel, che da quando conosceva il professore, aveva sempre pensato che l'acronimo si riferisse al suo nome. 
«In realtà si riferisce ad entrambi» iniziò Les-Apollo, si chiama Apollo. 
«Vero zio P.P.?» a quel punto Rachel non si trattenne, davvero il suo professore si chiamava così? 
«Rachel!» il professore sembrò arrossire e nei suoi occhi verdi si lesse vergogna. 
«Mi scusi» Rachel trovò quel poco contegno che le rimaneva e assunse, di nuovo, un'espressione seria. 
«Prof P., io davvero non posso stare con Lester in una stanza per più di cinque minuti, potrebbe farsi male sul serio» la rossa, si strinse nella propria camicetta bianca. Incominciava a pentirsi della scuola per signorine, quella che le aveva proposto il padre. 
«Rachel, forse non sono stato chiaro» il signor P. si incupì e divenne totalmente serio «non è una proposta, o vai a ripetizioni o verrai bocciata» detto questo, il professore uscì dalla propria aula. Ma non doveva rimanere lì? Cioè, non aveva altre ore?
«Io non ci credo!» allora la rossa cominciò ad urlare, stanca di quella giornata, che non era neanche iniziata del tutto. 
«Rachel, suvvia, calmati!» ed eccolo lì, quel tono tanto odiato dalla ragazza, quello derisorio e ironico. 
«Calmarmi? Calmarmi? Io non mi calmo mica, bello! Sono furiosa! Con tutte le persone della classe, perché proprio con te? Perché?!» forse il ragazzo si sentì offeso, quindi si rabbuiò e decise di non rispondere. O almeno così pensava Rachel. 
Difatti, si calmò di colpo, quando vide che il moretto non controbatteva. 
«Apollo, mi dispiace, sono stata cattiva» si avvicinò al ragazzo, con qualche piccolo passo. 
«Sì, lo sei stata, ma io ti ho detto di peggio» scrollò le spalle il bel moretto. 
«Ma tu non hai detto nulla...» Rachel aggrottò le sopracciglia, assumendo un'espressione confusa. 
«L'ho pensato, allora» la rossa rise, poi si unì anche Apollo. 
«Ma quindi ti chiami davvero Lester?» chiese, sedendosi sul banco, dove era posto con la sedia Apollo. 
«Sì,  ma non chiamarmi così o ti do in pasto ai miei cani» entrambi risero di  gusto, prima di ricomporsi e di assumere di muovo quelle maschere di odio, che indossavano davvero bene. 
«Questo – la ragazza, con due dita perimetrò lo spazio tra di loro – non vuol dire nulla. Ti permetterò semplicemente di darmi ripezioni, va bene?» Apollo sorrise, massaggiandosi il naso che gli doleva. 
«Va benissimo, Dare. Ci vediamo questo pomeriggio? Mio fratello Will deve uscire con il suo migliore amico – fece le virgolette con le dita, mentre diceva le ultime tre parole – e quindi avrò casa libera» Rachel non domandò del strano gesto del ragazzo, alzò solo le spalle e disse che le andava bene. 
Era quasi la fine della terza lezione, la ragazza aveva saltato l’ora di educazione, ma non ne fece un dramma, anzi. 
«Be’, ci vediamo dopo Lester» Rachel si alzò in tempo, prima che il ragazzo le si scagliasse contro e
 poco dopo si rincorrevano per il corridoio. 
«Fanculo, Rachel!» urlò Apollo, senza fiato, quando ormai aveva perso traccia della rossa. 


***

Quando Will gli aveva chiesto di fare merenda insieme, molti anni prima, Nico aveva rifiutato. Il giorno successivo, aveva ripetuto che non poteva. Ancora, il giorno dopo, Nico gli aveva spiegato che lui poteva fare merenda solo con Bianca, quindi il bambino gli aveva chiesto dove fosse, Nico aveva solo guardato il cielo e poi aveva risposto: «È volata via, con mamma. Papà me l'ha detto» allora il biondino, che aveva già otto anni, aveva capito cosa intendesse Nico e da quel giorno aveva deciso di sedersi sempre con lui a merenda. 
Nico non sapeva esattamente quando la loro amicizia era diventata qualcosa di più serio, o almeno per lui. Era normale che due migliori amici dormissero nello stesso letto, abbracciati? Era normale che gli dava sempre la buonanotte con un bacio? Sulla guancia, ma era comunque un bacio della buonanotte! Era normale che passassero tutti i giorni, tutto il giorno, insieme? Era normale che provasse amore per il proprio migliore amico? No, per Nico non lo era. 

«In nome di Dio» a terra, la sua preziosa collezione dei cofanetti del Glee era a terra. A terra, come lo sarebbe stato il colpevole; Nico, subito pensò a Hazel, oh se l’avrebbe pagata quella signorina! Quando però portò gli occhi sulla persona, che aveva causato la propria ira,  notò che non era affatto Hazel. Eh no, certamente Hazel non era bionda e né un maschio. 
«William Solace, le ultime parole?» con due veloci passi, Nico era su Will –letteralmente, cioè, stava per picchiarlo, ma  se non si fosse saputo  il contesto, tutto avrebbe potuto essere frainteso– e gli aveva stretto i polsi, mentre il biondino aveva stretto le mani in due pugni. 
«È una stupida serie TV, Nico!» quindi Will aveva capovolto la situzione ed era finito su Nico, con le ginocchia stressa ai suoi fianchi e seduto sul bassoventre del povero e sventurato moretto. 
«Una stupida serie TV? Tu sei stupido, non Glee» subito Nico aveva cercato di liberarsi, scalciando e muovendo le braccia freneticamente. 
«Ma tu mi vuoi bene anche se sono stupido, vero Ni’?» il biondo, con l’inteto di innervosire Nico, si era stretto al suo corpo. L'odore di lavanda, fragole e miele – il suo stupido shampoo – invase il senso olfattivo di Nico, che non poté non respirare l’essenza di Will. 
«Ti voglio bene..» iniziò, alzando il mento del biondo con due dita «...come adoro prendere il sole!» allora  pizzicò la parte bassa del mento,, la congiuntura al collo in prantica, per poi liberarsi dalla presa di Will. 
«Nico Di Angelo! Mi hai fatto male!» Will si alzò, per poi rincorrere il moretto per la casa. Erano soli, il padre di Nico e sua sorella Hazel erano da Demetra, la madre della loro matrigna, una sottospecie di nonna. Non sarebbero tornati per altri tre giorni, quindi Will aveva obbligato Nico a ospitarlo per tutti e tre i giorni. 
Quando Will riuscì a prendere Nico, lo bloccò sullo stipite della porta di camera sua, quella completamente nera, quella che avevano dipinto insieme. 
«Tu ed io. Domani sera. Al ristorante cinese» a parlare fu Will, che tuttora non capisce da dove trovò il coraggio di chiedergli, meglio dire imporgliergli, un appuntamento. 
«Lo sai che non mi piace il cinese» rispose, allora, il moretto, lamentandosi. 
«Mio l’appuntamento, mie le regole» se non ci fossero state le braccia di Will a sorreggerlo, probabilmente sarebbe crollato con il sedere a terra. 
«Appuntamento? Cioè, come quelli romantici?» farfugliò più che altro, non trovando le parole adatte. 
«Esattamente»
«Perché?» chiese, il moretto, ma in quel momento il cellulare del biondo squillò, quindi rispose. 
«Mio fratello Lester si è rotto il naso, devo aiutarlo, torno dopo. Ordina la pizza!» quindi gli lasciò un bacio sulla guancia, come era solito fare. 
«A dopo» disse solamente, Nico, confuso da quello che era appena successo. 






L’ANGOLO DI QUELLA CHE PARLA TROPPO. 
Ho questo capitolo (diciamo metà, sì) sul word da fine agosto, ma solo ora sono riuscita a terminarlo. Sono quattro pagine di schifezze, ma di quelle brutte brutte. 
Be’ se dite arrivati fino a qui, vorrei ringraziarvi, siate lodati!! 
Ora vado, che ho un altro capitolo da finire!
Se la storia vi interessa, commentate pure e lasciatemi un parere, che è sempre gradito ;) 
Ci si sente, belli 
Alessia. 

   
 
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