True Love
Alcune piccole e doverose spiegazioni : Raccolta/Storia. Sì, avete capito bene. Ogni storia è collegata con la precedente, ma al contempo è una raccolta... non è una trama intricata, al contrario molto semplice, ma spero di non risultare banale. L'immagine è "Amore e Psiche". Adoro questa scultura, che oltre ad essere stata costruita in modo perfetto ed impeccabile, rappresenta il significato dell'amore *_*. Una delle mie opere preferite, in assoluto.
I. Iceberg
Canticchiava allegra una canzoncina appena ascoltata alla radio, mentre scaldava il caffè. O meglio: una macchinetta lo faceva per lei.
Stava già fantasticando, quando due mani le cinsero la vita. Non che non l'apprezzasse - come sottrarsi a simili gesti? - ma alle sette di mattina un infarto non era proprio auspicabile. Un dolce tepore riscaldò le sue guance, quando si sentì avviluppata in quello strano abbraccio.
Sorrise appena, troppo poco cosciente per dipingersi un volto espressivo e gioioso; tutte le volte che guardava quegli occhi color miele affondava in essi.
Afferrò il viso di Hayama, stampando piccoli e innumerevoli baci attorno a quella linea mai dritta, si deliziò ancora una volta del suo odore, affondò con la mano nei suoi capelli, si trovò sottomessa ad una forza più grande di lei.
"Io fra poco dovrei andarmene Haya--"
Le prese il mento, costringendola a fissarlo.
"Non senza il mio permesso"
Tuonò
sarcastico.
Si lasciò trasportare, alzando un po' su le punte -
diamine, quanto era alto? - finché finì a
cavalcioni sul suo
corpo.
Riusciva a sentire i pettorali ben scolpiti, il corpo tozzo e snello, un fisico asciutto senza nessun difetto, completamente suo.
Quella complicità nei loro sguardi, quella debole carne che si concedeva ogni volta, sperando forse di arrivare in paradiso molto prima della morte; un gioco malizioso fra i due, un battito di cuori all'unisono, il respiro decisamente intenso.
Erano i medesimi adolescenti di un tempo: non si erano persi un sol sguardo l'uno dell'altra, convincendosi che, forse, se avessero distaccato gli occhi per un attimo si sarebbero lasciati. "Mmm... E se restassi?"
Propose, contando mentalmente le infinite opzioni. Sana lanciò uno sguardo al soffitto, cercando una risposta nell'aria: tuttavia la trovò molto prima nei suoi occhi.
"Potrei sopportarlo"
Rispose Akito, giocando con una ciocca ramata di capelli.
Ed era in quel misero secondo che si era accorto che Sana era la sua vita.
Fu in quel momento che il suo corpo si mosse rapido, a destinazione ignota; eppure non abbandonava la sua presa, non dopo averla persa una volta. Sentì un oggetto duro e legnoso sotto di lei: il tavolo d'ebano della cucina su cui era adagiata fungeva da letto.
"Un letto come tutti gli altri esseri umani no, eh?"
Domandò sbuffando, mentre sentiva bottone dopo bottone essere slacciato.
Grugnì,
facendosi spazio. Le sue mani la bloccavano, non lasciandole via di
scampo; le sentì posarsi all'altezza delle spalle e si
sentì gelare
all'interno, improvvisamente.
I suoi occhi scavavano nel suo
corpo, quasi stesse facendo una lastra al suo corpo. Sana
cercò di
ostentare freddezza, ma dentro di sé l'imbarazzo la invadeva
tutta.
Si chiedeva se Hayama l'avesse mai osservata riposare,
nelle brevi ore che dividevano il giorno dalla notte. Gli occhi non
si facevano scrupoli a studiarla, attenti; parevano impassibili forse
– apparentemente - ma lei ci vedeva molto di più.
Akito amava registrare l'immagine di Sana nei suoi occhi, poterla sognare di notte, ricordarla di giorno, viverla in ogni cosa che faceva.
Allacciò
due mani dietro il collo, lasciandolo giocare e compiere piacevoli
sagome geometriche sul suo corpo; la sensazione che provava nel
sentire qualcosa di più grande
di lei venerare il suo corpo in
ogni forma e particolare era pressoché indescrivibile.
Lontani
dai rumori, dai suoni, dalle immagini che adesso si proiettavano
sfocate attorno a loro: preda soltanto del desiderio chiamato amore,
termine forse troppo melenso per i suoi gusti; squittiva, di tanto in
tanto, costretta a gemere a causa delle sue carezze decisamente
troppo avventate.
E
poi arrivò alle labbra, famelico.
Chiusero sincronizzati le
palpebre senza aspettare altro.
Toccava il suo palato, poi si
riconcentrava sulle pareti che costruivano la sua bocca: complici
ancora, uniti come sempre, amanti indissolubili.
Queste mie labbra sono tue, Hayama.
"Devo... Devo proprio andare"
Ansimò, interrompendo quel piacere. Come se un ramo si fosse spezzato, così si rompeva quel circolo vizioso che li conduceva dritti all'inferno, invece che alle porte del paradiso.
"Ti vibra il cellulare"
Le fece notare, indicandole il piccolo oggettino luminescente che adesso entrava nel suo campo visivo. Prese di scatto l'apparecchio, portandolo all'orecchio.
"Sana! Sei ancora da Aya-chan?"
Era la voce paterna e un po' alterata di Rei.
"S-Sì. Certo che sono da Aya"
Affermò convinta, mentre un piccolo gesto la fece ridere sguaiatamente.
"Shh"
Implorò ad Akito, posandogli un dito sulle labbra.
"Mmm... chissà perché è qui, allora!"
Sbiancò improvvisamente, diventando cadaverica. "Ah... Ehm..." una scusa convincente in così pochi secondi, era impossibile trovarla. "Ci dovrai molte spiegazioni" articolò, sempre con quel timbro tremendamente familiare, quasi volesse imporle una punizione, alla veneranda età di venti anni.
"Sì..." terminò la chiamata.
"Sai che sei la causa di tutti i miei mali, Hayama?"
Fece,
alzandosi e osservando la sua espressione affranta. Ma ora che ci
pensava... Che diavolo di ora era?
Si girò verso la parete
notando una piccola circonferenza, racchiusa in un vetro. Un anonimo
ticchettio suonava con insistenza ogni minuto, nel breve intervallo
di sessanta secondi.
"Le nove! Dannazione!"
Camminò
in lungo e in largo, raccattando tutte le sue cose.
Si diede una
pettinata, mostrando un'aria quantomeno presentabile, i suoi acuti
tuonavano in ogni stanza, temeva di assomigliare ad una pazza, in
preda ad una crisi isterica.
"Hai finito?"
Domandò Akito, accendendosi quella – maledetta – sigaretta. Ormai non ci badava più; tossicchiò molto teatralmente, allontanando quell'alone grigio dalla sua vista e indossò il cappottino autunnale.
Si guardò allo specchio, aggiustandosi le forcine tra i capelli ed esibendo un sorrisetto forzato.
"Allora come sto?"
"Come sempre"
Mormorò
lui, appoggiandosi alla parete. Fissò per un secondo quella
faccia
da schiaffi che si ritrovava.
Ah, quanto le sarebbe piaciuto
restare.
"Vale a dire pazza, noiosa, isterica..."
Andò avanti con la lista d'aggettivi, finché Akito non ne elencò uno.
"Bellissima"
Mormorò,
lasciandola senza parole.
La bocca a mezz'aria, mentre cercava di
recuperare un po' di ossigeno. Girò la maniglia della porta,
sospirando per l'ultima volta.
"Ah"
"Dimenticato qualcosa?"
Chiese Akito, con aria indifferente.
Si avvicinò in modo cadenzato, gettandogli le braccia al collo. L'urto tra le loro bocche era qualcosa simile ad un iceberg che affondava. Oscillò per alcuni secondi, ancora scossa; fu un distacco lento e difficile.
"No. Tutto okay... Ciao!"
Esclamò, sventolando la mano davanti i suoi occhi.
Era
stato bello sentire il suo respiro e poterlo vivere sulla sua pelle,
ancora lo avvertiva sulla nuda epidermide.
Fu un odore
incancellabile, come il tabacco sulle labbra.