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Autore: Evaney Alelyade Eve    09/10/2016    3 recensioni
“Sarebbe più facile se tu fossi l’unica cosa in cui dovessi credere.” mormora, quasi come se stesse parlando a se stesso. “Tu saresti… una divinità decisamente più benevole, vero? Non mi abbandoneresti. Saresti gentile, non mi faresti mai sentire solo. Se mi votassi a te, ti lasceresti adorare da un uomo con una fede cos labile ed una volontà così debole?”
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Athelstan, Ragnar Lothbrok
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Fandom: Vikings
Personaggi: Athelstan, Ragnar Lothbrok
Pairing: Athelstan/Ragnar Lothbrok
Rating: Verde
Chapter: 1/1
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Malinconico.
Warning: Angst (sort of), Slash.

 

 

 

 

 

 

To worship a Man like a God

 

 

 

 

Ha appena portato il calice alla bocca per prendere un’altra sorsata di birra quando l’allucinazione lo strappa via dalla realtà: sembra che tutti si muovano troppo lentamente, le voci sono suoni sconosciuti, le risate distorte e mostruose; le ombre negli angoli sembrano ingigantirsi mentre le luci provenienti dai bracieri diventano piccole, flebili e vane.
Figure senza volto si muovono nelle ombre bisbigliando tutte attorno a lui, in una lingua che non capisce, sconosciuta ed antica. Vuole muoversi, vuole scappare, allontanarsi dai loro occhi ciechi e malevoli ma sembra che una forza sovrannaturale lo tenga inchiodato lì dov’è. I tamburi sono un ritmo martellante ed ipnotico, sembrano muoversi a ritmo del suo cuore; le donne che ballano sono fantasmi scellerati che si fanno beffe di lui.
Lo vede poi, vestito di bianco, brillante di luce propria, aggirarsi tra quelle figure mostruose in cui solo più tardi riconoscerà il viso della sua nuova famiglia, il volto disteso in una serafica calma, gli occhi pieni di un amore così profondo da riversarsi come un fiume in piena lungo le sue guance.
Athelstan sente i palmi bruciare, le cicatrici della crocifissione diventare nuovamente ferite aperte e sanguinanti eppure non riesce a distogliere lo sguardo da quel volto che una volta, una vita prima di Ragnar, ha amato senza riserve, senza che il seme del dubbio potesse mai mettere in discussione il suo amore…
Gesù Cristo gli tende le mani, mostrando sui palmi le sue stesse ferite: anch’esse sanguinano.
Athelstan vuole muoversi nella sua direzione, una parte di lui vuole veramente raggiungere il figlio di Dio ed inginocchiarsi ai suoi piedi, chiedendo perdono come il figliol prodigo ma l’altra parte di lui vuole rispondere al ruggire furioso dei tuoni nel cielo che trasportano l’urlo del possente Odino.
Si sente tirato da una parte e dall’altra, sul punto di spezzarsi.
Il fiato comincia a mancargli, ansima, ha bisogno d’aria, ha bisogno di allontanarsi da quelle visioni tormentose… con un immenso sforzo di volontà costringe il proprio corpo ad obbedirgli ed un attimo dopo corre a perdifiato per le strade, rese fangose dalla pioggia, di Kattegat.
Non sa dov’è diretto, il senso della realtà è ancora distorto dall’irrealtà delle sue allucinazioni; quando infine, dopo una corsa durata secoli, cade in terra, ansimante e tremante, si rende conto di essere arrivato sulla lingua di sabbia dove di solito i guerrieri si allenano nel combattimento corpo a corpo.
La testa gli gira, il petto è stretto ed i polmoni non trovano abbastanza spazio  per tenerlo in vita, la sua visuale è oscurata e sfocata… poi li sente, passi pesanti si dirigono nella sua direzione, frettolosi.
Si raggomitola in posizione fetale, le braccia attorno alle gambe piegate, la mano sinistra si tiene aggrappata al bracciale che gli ha regalato Ragnar.
Sente la sua voce, prima ancora di avvertire il calore del suo corpo dietro la schiena, le mani sicure gli stringono le spalle, in un gesto di conforto.
“Athelstan.” sussurra il suo nome piano, direttamente nel suo orecchio, odore di bosco, sudore ed alcol gli inonda le narici ed allenta la stretta morsa del suo petto. Quell’odore è così familiare ed umano.
“Li ho visti.” sussurra in risposta, guarda in direzione della riva lambita dall’acqua con gli occhi spalancati in un’espressione maniacale ed isterica. “Erano lì, Ragnar.”
“Chi?”
“Gesù Cristo, Odino, i miei demoni… erano tutti qui, questa sera!”
“Cosa ti hanno detto detto?”
Athelstan non può fare a meno di lasciare andare una risata vuota.
“Nulla!” risponde scrollando le spalle. “Non dicono mai nulla, non rispondono alle mie domande, pretendono ma non mi danno nulla a cui aggrapparmi. Nulla.” stringe inconsciamente la mano attorno alla superficie calda del bracciale.
Ragnar rimane in silenzio, senza muoversi di un millimetro, attende che l’altro continui a parlare.
“Non so più cosa fare.” bisbiglia Athelstan, con voce affranta. “Loro mi tirano da una parte e dall’altra, aspettano che io mi spezzi in due. Non possono avermi intero, mi avranno per metà?” Le spalle sono scosse da un singhiozzo. “Io li amo entrambi, Ragnar. Come non potrei? Dio mi ha chiamato a sé quando ero giovane, Odino mi ha raccolto quando sono stato abbandonato. Adesso mi reclamano entrambi, entrambi credono di possedere la mia anima ed avanzano la loro pretesa… sono nei miei sogni, attendono nelle ombre che mi circondano, sono in ogni cosa nelle mie ore di veglia.
Sento il Paradiso nei raggi del sole, Dio nascosto appena dietro le nuvole che stende i raggi affinché mi raggiungano come se tendesse la sua mano verso di me e credo di aver trovato finalmente la pace e poi… poi il tuono risuona nell’aria, fa tremare il cielo, la terra sotto i miei piedi, mi viene la pelle d’oca e so che è Odino, che sta arrivando, che mi sta parlando e sono di nuovo sul baratro, cerco di tenermi in equilibrio ma so già che prima o poi dovrò cadere… ed io sono un uomo morente e non so se voglio trovarmi alle porte della grande sala di Odino o ad ammirare con meraviglia i cancelli di San Pietro.
A volte penso che, alla fine, quando sarò morto, nessuno dei due mi vorrà ed allora sarò costretto a tornare indietro come uno spettro irrequieto e mi chiedo: dove andrò? Cosa infesterò? Il vecchio monastero dove mi hai trovato? La tua casa? La grande sala dove tu siedi insieme alla tua gente, e festeggiate ad una buona annata?
Mi chiedo se mi vedrai, in piedi, livido in volto e patetico, mentre osservi la tua gente.”
“Parli come se tu dovessi morire prima di me.” sussurra il vichingo, accigliato.
“A volte ho la sensazione che sarà proprio così, amico mio. Ho la sensazione che non-” ma è difficile continuare quella frase così la lascia sospesa nell’aria, troncata da un altro singhiozzo doloroso. Il peso ed il calore delle mani di Ragnar sulle sue spalle, il calore del suo corpo contro la sua schiena sono l’unica cosa che gli impediscono di correre in mare senza riemergere mai più.
“Sono stanco.” mormora, chiudendo gli occhi. “Mi sento logorato. A volte, quando sto nel buio della mia stanza e Loki sussurra cose nelle mie orecchie, sento di odiarti più di quanto non avessi mai immaginato. Vorrei- vorrei ucciderti.” si volta a guardarlo, improvvisamente spaventato dall’immagine che le proprie parole hanno evocato. Ragnar lo guarda impassibile, il chiarore del suoi occhi è appena più cupo ed Athelstan rabbrividisce.
“Vedo questi pensieri strisciarmi fuori dal corpo come serpenti velenosi, si annidano nelle ombre, si aggregano, prendono forma di orribili mostri, demoni che mi tormentano notte dopo notte… mi dicono che ti odiamo per averci strappato dalla nostra precedente vita, che prima di te tutto era più facile, che se non fossi mai arrivato adesso sarei ancora un piccolo monaco felice nella sua piccola bolla di pace e serenità. Mi dicono che è colpa tua se Dio non mi ama più, se mi sono svenduto sull’altare dei tuoi falsi dei… e non riesco a metterli a tacere, ogni notte sembrano essere più forti, più decisi— Eppure io lo so che i tuoi Dei non sono falsi! Li ho visti! Thor, Odino, Freyr… così reali, così presenti, quasi tangibili… così diversi dal mio Dio che in cambio della fede e della nostra intera vita, ci dà vecchi tomi ed ossa consunte.
Perché non può darmi un segno, rispondere alle mie domande come fanno i tuoi?”
L’uomo si mette seduto di scatto, guardandosi attorno come un folle; Ragnar si alza piano, lo osserva cauto, il viso impassibile, gli occhi chiari adesso sono cupi come il cielo sopra le loro teste ed Athelstan si sente nuovamente soffocare; abbassa rapidamente lo sguardo, giocherellando con il bracciale pesante al suo polso.
“A volte—” deglutisce “ a volte vorrei che mi avessi ucciso insieme ai miei fratelli. La morte sembra una promessa così piena di pace… eppure più di temere l’ira del mio Dio, non potrei sopportare di lasciarti.” Alza nuovamente gli occhi, incrociando quelli dell’altro. Sporge le mani verso di lui come un cieco alla ricerca di un appiglio e stringe le dita nella lisa casacca di pelle che indossa.
“Spaccami la testa in due!” supplica “fai fluire tutto via, lascia che i pensieri scivolino via insieme al sangue. Hai detto che mi ami, che vuoi proteggermi ma non puoi farlo, non da questo, non dagli Dei, ma puoi usare la tua ascia su di me? Aprimi in due il petto, lascia che ogni sentimento di fede e devozione vada via lasciandomi vuoto! Nessuna fede, nessun Dio da amare o per cui essere combattuto…
Lo faresti? Se te lo chiedessi?”
Ragnar si prende il suo tempo per rispondere, osserva gli occhi lucidi dell’amico, il modo in cui torce senza sosta le mani, il tremore appena accennato delle spalle, le gocce di sudore che gli colano lungo il viso.
Lo farebbe?
Non gli hanno mai posto una domanda più semplice di quella.
“No.” risponde secco, sostenendo lo sguardo di Athelstan, aspettando con calma che quella piccola sillaba vada a segno.
“Perché?” chiede lui sussurrando, arreso, le spalle incurvate all’ingiù, sconfitto.
Ragnar però non risponde, si limita a poggiare una delle sue grandi, callose mani sul bracciale che una volta gli è appartenuto. Stringe la presa fino a fargli male, il metallo che s’incide nella pelle delicata del polso.
“No.” ribadisce, lapidario. Le labbra di Athelstan tremano, così come la sua mano quando la poggia su quella dell’altro.
Si guardano per un tempo che pare infinito, i battiti del cuore di Athelstan sono un eco assordante nel suo petto.
Chiude gli occhi.
“Sarebbe più facile se tu fossi l’unica cosa in cui dovessi credere.” mormora, quasi come se stesse parlando a se stesso. “Tu saresti… una divinità decisamente più benevole, vero? Non mi abbandoneresti. Saresti gentile, non mi faresti mai sentire solo. Se mi votassi a te, ti lasceresti adorare da un uomo con una fede cos labile ed una volontà così debole?” riapre gli occhi, il viso dell’altro è a pochi centimetri dal suo. Athelstan si sente annegare e trascinare verso il cielo tutt’insieme.
La paura è passata, adesso, ma il cuore gli pompa forte nel petto mosso da tutt’altra emozione.
“Non posso chiederti una cosa del genere, vero?” la sua voce è poco più che un bisbiglio. “Non posso chiederti di essere più di quello che sei, non è giusto. Anche se gentile, una divinità sarà sempre oltre la portata di un uomo, anche se devoto.”
“Sarebbe un peccato.” mormora in risposta il vichingo, il suo respiro cala leggero sulle labbra dell’altro; un mero memento della loro vicinanza. Un piccolo ghigno, così caratteristico di lui, gli solleva appena un angolo della bocca. “Essere così lontani.”
Athelstan sorride, in quel suo modo di distendere le labbra ed abbassare lo sguardo quasi come se fosse improvvisamente diventato timido.
“Quando ero a Wessex… con Re Ecbert, pensavo di aver finalmente ritrovato il mio legittimo posto nel mondo. Una stanza polverosa e quieta, una pergamena da copiare, l’odore d’inchiostro, vecchi manufatti in latino-  mi sono detto di essere finalmente a casa. La mia vera casa.”
Deglutisce, abbassando lo sguardo sulle loro mani ancora ancorate al bracciale. Sono in ginocchio, non se n’è nemmeno accorto, come se stessero pregando.
No, è meglio dire che Athelstan sta pregando e Ragnar è il dio che gli sta prestando orecchio.
“Poi è arrivato un corvo, si è poggiato alla mia finestra e mi ha guardato come se sapesse esattamente chi fossi. Un attimo dopo Re Ecbert mi ha comunicato il vostro ritorno a Wessex.”
Posa anche l’altra mano, fredda, su quella dell’altro.
“Credevo di essere felice… ma mi sbagliavo. Credevo di essere a casa, ma non era così. La prima cosa che ho pensato è: sta tornando. In quel momento mi sono reso conto di non essere stato mai veramente felice prima di incontrarti.”
Allontana le mani per rivolgere i palmi verso l’alto, mostrando le stigmate; il dolore è ancora un ricordo fresco e vivido nella sua mente.
Ragnar posa i propri palmi su quelli segnati di Athelstan: accarezza piano le cicatrici con i pollici, sorridendo al tremore che scuote piano il suo corpo.
“Ti ho sognato.” rivela il vichingo, nella sua lingua nativa “Prima di partire per il Wessex… non capivo se fossi vivo o morto, il Vecchio Profeta mi ha detto che eri vivo. Sapevo che doveva essere così;” ghigna apertamente “mi sono detto che sei un tipo troppo testardo per morire… nessuno di loro, pagani o cristiani che siano, ti conosce bene quanto ti conosco io.”

Gli occhi di Ragnar brillano, adesso, sono chiari e non più foschi come il cielo cupo sopra di loro ed Athelstan si sente stranamente in pace.
Senza smettere di sorridere il vichingo risale verso le sue spalle, palmo a palmo, e poi senza preavviso lo spinge con la schiena sulla sabbia, sovrastandolo.
L’altro lo osserva tra il meravigliato ed il timoroso; dalla bocca leggermente spalancata esce rapido il suo respiro, il petto si alza e si abbassa veloce così come veloci sono i battiti del suo cuore.
Ragnar non ha smesso un attimo di sorridere, lo osserva curioso, la testa leggermente inclinata da un lato. Lo sta studiando come un enorme felino che cerca di capire le intenzioni della sua preda, solo che questo animale non morde. Per lo meno, non Athelstan.
“Quindi” sussurra a fior di labbra “vorresti venerarmi come un dio?”
Athelstan sbuffa dal naso, alzando appena gli occhi al cielo.
“Non avrei dovuto dirtelo.” si lamenta.
“Non è una risposta.”
“Sì.”
“E mi saresti devoto?”
“Sì.” non c’è esitazione nelle sue affermazioni perché, sorprendentemente, è quella la verità. “Non lo sono sempre stato? Non ti ho detto forse che ti appartengo? Che non importa dove vado, l’importante è la tua destinazione?”
“Mmh” Ragnar annuisce, serio “in effetti sei un uomo molto devoto.”
Athelstan deglutisce appena, si sente sul punto di scoppiare, l’aspettativa risvegliata dalle parole e dal tono dell’altro fa tremare tutti i muscoli del suo corpo.
“Hai detto che sarei un dio gentile… hai ragione.” facendo leva sui gomiti si abbassa finché le sue labbra non toccano l’orecchio dell’altro “Se fossi il tuo dio non avresti nulla di cui preoccuparti: non ti chiederei di farti del male in mio nome, non ti chiederei di crocifiggere nessuno, non ti chiederei di privarti del piacere che deriva dal fotterti qualcuno, non ti punirei per esserti dato piacere…” a quelle parole sussurrate, Athelstan chiude di colpo gli occhi, stringendoli forte per arginare il flusso di immagini che gli affollano la mente e che hanno turbato già in precedenza le sue notti. Il respiro gli si blocca in gola quando una mano calda e callosa sfiora con appena la punta della dita la pelle esposta del suo collo.
“Non ti direi di resistere alle tentazioni, di non prendere quello che vuoi ma in cambio…” ma Ragnar non proferisce nessun’altra parola mentre si alza di scatto, mettendosi seduto, lasciando alle cosce dell’uomo sotto di lui di sostenere tutto il suo peso, inchiodandolo lì dov’è, troneggiando su di lui come il totem della divinità che sta impersonando.
Athelstan si sente esposto sotto quello sguardo, non riesce a smettere di tremare di eccitazione e di paura e di mille altre cose a cui, nonostante il suo forbito vocabolario, non riesce a dare un nome. Ragnar se ne sta appollaiato lassù, con il suo sguardo da aquila puntato su di lui, in attesa.
“I-in cambio?” chiede allora lui, l’uomo devoto, senza più fiato in corpo, sul punto di saltare in aria e bruciare tutto insieme. E, cielo, quanto è impuro e blasfemo tutto quello?
Ragnar sorride, gli occhi uno scintillio di approvazione e malia.
“In cambio vorrei solo un sacrificio.”
Athelstan sussulta, non sa bene perché: forse è perché sa già la risposta o meglio perché sa già la domanda implicita in quella frase e non sa se è pronto a dargli la risposta, a votarsi completamente a questo dio-uomo a cui, nonostante sia un uomo libero, sente di appartenere da sempre, da ancora prima che lo portasse via dalla sua vecchia vita da monaco. Questo dio-uomo capriccioso, forte come un uomo, curioso come un bambino, fragile, testardo, così bello da essere quasi impensabile che sia un essere che non ha in sé una metà divina. In antica Grecia, Athelstan sa, che queste creature fuori dal comune erano definiti semidei. Il frutto di uomini e divinità.
Splendidi, coraggiosi ed eroici tanto quanto la brevità della loro vita.
Ragnar, sempre così percettivo, sempre così attento a tutto ciò che lo circonda, a chi lo circonda sa che c’è una guerra in atto dentro di lui, meno divina più umana ma sempre legata agli dei… a Dio.
“Sei nella mia terra, uomo.” dice severo, prende una manciata di sabbia bagnata e la stringe nel proprio pugno, mostrandogliela. “Su questa spiaggia, su questa sabbia non ci sono né i miei Dei né il tuo Dio; ci sono solo io.” ghigna “Io, che ho deciso, perché sono gentile e generoso, di ricompensare  il mio servo devoto.” ma siccome l’altro continua a guardarlo trasecolato, aggiunge: “Questo” ed allarga le braccia, indicandosi con una scrollata di spalle “se vuoi.”
A queste ultime parole il cervello di Athelstan scatta come se fosse la corda di una vela tagliata brutalmente all’improvviso: gli sta offrendo una scelta.
Il bracciale al suo polso sembra diventato più pesante e caldo. 

Sei un uomo libero.
Su questa terra, sotto questo strano dio, sei un uomo libero. Il peccato non esiste.
“Sarei un devoto veramente molto… ingrato” le parole escono lente, quasi come se non riuscisse a credere di poterle dire “se non accettassi.”
Ragnar gli regala uno dei suoi rari sorrisi ampi, belli e trionfanti.
E poi le sue labbra sono sulle proprie e tutto diventa confuso ed insignificante rispetto al modo in cui sono soffici, la sua lingua che invade la sua bocca e la conquista - ed è ovvio che sia così, no? -, la barba ruvida che gratta contro la sua, il suo sapore che sa di birra ed adesso anche di lui, i respiri che si mescolano e sono sempre più rapidi, la testa che gira ed il mondo che trema fuori e dentro e per la prima volta Athelstan non sente più il tormento, l’insicurezza, l’indecisione… lì, su quella spiaggia, tra le braccia di un improbabile dio ha fatto la sua scelta; sulla sua bocca vi ha lasciato una supplica ed in cambio ha ricevuto una benedizione.

   
 
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