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Autore: workingclassheroine    09/10/2016    3 recensioni
"Dov'eri, John?" mi chiede. Posa le dita sul mio collo, agognato calore, e mi carezza guancia col pollice, piano. Le mani di un cacciatore di farfalle sul mio viso.
"Con te" sussurro.
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Buon compleanno, John.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Slash | Personaggi: John Lennon, Paul McCartney
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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E...







Vuoi da bere?
Vieni qui
Tu per me
Te lo dico sottovoce
Amo te
Come non ho fatto in fondo
con nessuna
resta qui un secondo




È iniziata così, imprevedibilmente. 
Io tutto tronfio che avvicino la bottiglia di birra alle labbra, meraviglioso, Cristo sceso in terra con un nuovo, imbarazzante look a quadri rossi. Davanti a me un ragazzino a cui rimboccare le coperte, con l'indice e il medio che tirano il colletto della camicia più per nervosismo che reale sudaticcia necessità. Lo ascolto cantare e suonare, lo guardo trasformarsi in un prototipo difettoso di giovane uomo, e ancora penso che tutto ciò non faccia per lui. Continuo a pensare che il suo posto sia in un carillon, a girare su un piedistallo all'infinito per poi essere riposto al sicuro in un cassetto. Non è fatto per la ribalta, per le risse a fine spettacolo e le bottiglie vuote lanciate sul palco. Lo penso, gli dei mi maledicano, ma lo voglio comunque con me. Mi fa venire voglia di diventare grande, di succhiargli via quella patina di dolciastra perfezione e corromperlo con il dolore, il sacrificio, la sconfitta.
"Vuoi da bere?" chiedo, perfettamente cosciente del fatto che no, non ha neanche la faccia di uno che beve. Voglio provocarlo, fargli superare gli stereotipati limiti che si è messo in testa. Voglio imporgliene altri, giocare con il suo cuore come sta facendo lui con me, che lo guardo e già lo amo. 
Mi guarda, accetta. 
"Perché no?"

 
se hai bisogno
e non mi trovi
cercami in un sogno, amo te
quella che non chiede mai
non se la prende
se poi non l'ascolto



I tempi sono cambiati e noi con loro, ma mai fino in fondo. Ogni giorno gli dico che non può funzionare, e ogni notte crollo sul suo letto. Mi risveglio che è ancora notte e silenzio, il suo volto geometricamente inappuntabile scompigliato dalla brutta posa del cuscino. Ha le labbra schiuse e un braccio sul mio stomaco, le dita appigliate delicatamente alla stoffa della mia maglietta. Respira piano, l'aria entra nelle narici con un sibilo leggero, e nel complesso ho voglia di svegliarlo e farci l'amore di nuovo, mille volte. Non lo faccio. Ho distrutto i limiti borghesi di Paul  come mi ero ripromesso, anni e anni passati a contaminarlo, i miei modi, i miei gesti, la mia saliva, tutte le cose di me che gli ho donato. Non mi è mai passata per la testa l'idea che lui stesse facendo lo stesso con me, con insospettabile gentilezza. Parti di lui che sono entrate in punta di piedi nella mia vita, come l'assurdo pensiero di non voler turbare il suo sonno. Nel sonno mormora qualche cosa, la presa sulla mia maglietta si rafforza e poi si allenta nuovamente. Non so cosa stia sognando. È distante, in un altro mondo, forse con un altro uomo e un calice di vino in mano. Il solo pensiero è terrificante. Mi aggrappo a lui, poso una gamba sulle sue perché naturalmente si intreccino, cerco di spaccargli il cranio con gli occhi e entrare in quel sogno. Si muove sotto di me, placidamente, "John?" chiama, la voce calda e arrochita dal sonno. Mi dice qualcosa che non capisco, un bisogno spasmodico di concentrarmi unicamente sul ritmo dei suoi respiri, assicurarmi che lui sia qui con me e con nessun uomo immaginario. "John" ripete. Si è reso conto che non lo sto ascoltando, come al solito, ma non si arrabbia. Sorride, sento il suo sorriso senza vederlo, e mi costringe ad alzare lo sguardo su di lui, "Dov'eri, John?" mi chiede. Posa le dita sul mio collo, agognato calore, e mi carezza guancia col pollice, piano. Le mani di un cacciatore di farfalle sul mio viso. "Con te" sussurro.
Sorride.
Mi crede.

E... 
sei un piccolo fiore per me
e l'odore che hai
mi ricorda qualcosa
vabè...
non sono fedele mai
forse lo so



Allungo una mano verso il lato destro del letto, istintivamente. Gli incubi mi divorano, il senso di colpa parimenti, e ho solo questo ansioso e soffocante bisogno di assicurarmi che Paul sia qui con me. Lui borbotta qualcosa, lo ho svegliato per l'ennesima notte, ma apre gli occhi, "Hey" mormora, stancamente. "Hey" rispondo, e il mio vigliacco cuore corre a nascondersi da qualche parte, ermeticamente chiuso. "Stai bene?"; è preoccupato, legge nei miei occhi qualcosa che lo spaventa. Può riconoscervi Barcellona, le guglie di una chiesa in costruzione, le mani di Brian su di me? Mi conosce così bene, così dannatamente bene che vorrei cavarmi gli occhi per farlo smettere di guardarmi così. Legge le mie paure, legge il maledetto senso di abbandono che mi ha portato a tradirlo, a barattare il suo corpo con altri corpi, la sua voce con il silenzio? L'ultima lite che era stata terribile, con me che gli gridavo che avrei scaraventato i Beatles nel cesso, lui compreso, e le nocche di Paul che mi sbattevano sulla mascella; inaspettate, impensabili. O forse vede solo il buono, come è suo solito, e vede il mio pentimento, il fil di ferro che mi lega indissolubilmente a lui, l'amore tossico con cui lo amo, il mio cuore gonfio riposto accuratamente fra le sue mani. Sono quasi rassicurato, sto quasi per rispondergli che sto bene, che tutto va bene, che non lo lascerò mai più, quando noto i suoi occhi riempirsi di lacrime trattenute. Ha capito. Sa. "Non hai idea, John, di quello che stai facendo" dice, e posso sentire distintamente il mi che ha omesso. Piango con lui, perché un'idea la ho, e sto distruggendo tutto, e non lo merita, non lo merito, non lo meritiamo. 
"Ti amo" singhiozzo, "Ti amo. Ti amo. Ti amo" e non c'è niente di più vero di queste parole.
Sorride tristemente, non risponde.
Non mi crede più.

 
quando sento
il tuo piacere che si muove lento
ho un brivido
tutte le volte che il tuo cuore
batte con il mio
poi nasce il sole



Ci eravamo promessi che non sarebbe più successo, che l'amore per noi era invivibile e proibito, che stavamo bene così. Stare vicini, non toccarsi, giocare a chi è più bravo a mantenere le distanze; nuova prassi. Non soddisfa nessuno dei due, e non soddisfa le orecchie dei nostri compagni di band quando iniziamo a urlarci contro. Mi manca da morire, gli manco da morire. E succede di nuovo. Di nuovo sul suo letto, Yoko che aspetta a casa con le braccia conserte e le labbra strette, ma non mi importa. Paul sotto di me, caldo, indifeso, gli occhi socchiusi fissi nei miei e un sorriso a metà fra il dolce e il malizioso dipinto sulla bocca gonfia e arrossata. Il suo piacere che sento diffondersi nella stanza, soffocante, mi è mancato così tanto che potrei impazzire adesso, su di lui, crollare senza vergogna. E crollo, con un ultimo spasmo, rotolo al suo fianco, gli bacio la fronte. "Dovremmo farlo più spesso" dico. Ride, una mano sul mio petto, "Cosa c'è che non va in noi due?" chiede, scherzoso. "Assolutamente nulla", voglio che ne sia sicuro, che si fidi di me. Poso la testa sul suo petto, chiudo gli occhi quando prende ad accarezzarmi i capelli, quando mi bacia. Il suo cuore impazzito contro il mio orecchio, il suo amore impagabile sotto uno strato sottile di pelle morbida, muscoli e ossa, il mio cuore che risponde, allo stesso ritmo. Sorge il sole, la luce inonda la stanza, riflessi dorati sulla punta del suo naso. "Ti amo" ripeto, giusto ricordarglielo, giusto dirglielo in tempi difficili. 
Sorride incerto, mi bacia.
Non sa se credermi.

 
E... 
ho un pensiero che parla di te
tutto muore ma tu
sei la cosa più cara che ho
e se mordo una fragola
mordo anche te




Continuiamo a litigare, sempre. Facciamo pace ogni sera, fra le coperte, scappando dopo qualche ora per tornare dove la nostra vita ci chiede. Questo viaggio a Parigi sembra una benedizione, Maggie e Brian che ci aspettano nella hall e noi stesi sul letto a ridere di loro. Parigi. Bella e perversa, ogni luogo che profuma dei nostri primi baci, di frullato alla banana, di qualche timido sfiorarsi le mani, rossori soffusi. La nostra città che muta e si evolve, quanto noi. Parigi che ancora sa di casa, dopo tutto questo tempo, come Paul. "Sembrano proprio gli inizi, principessa" mormoro, e lui sorride fra la nube di fumo che gli oscura il viso. "Cosa è cambiato?" mi chiede, divertito. "Nulla", lo penso davvero, "Sei ancora la cosa più cara che ho". Strofina il naso contro il mio collo, "Questo è un grande onore, John Lennon" mormora, e mi stringe con tanta dolcezza da farmi girare la testa. "Effettivamente sono parole eccessive" rispondo fra i suoi capelli, gli occhi chiusi. Mi morde la spalla, delicatamente. "Stupido", non lo pensa, vuole farmi arrabbiare. "Voglio restare per sempre a Parigi" dice, amareggiato, e so che significa voler stare con me, qui così come in qualunque altra città del mondo, qualunque altra camera purché vi sia io. "Ti amo" dico, semplicemente, perché sappia che non abbiamo bisogno di Parigi, che lo amo ovunque e per sempre, per sempre. 
Sorride, sicuro, "Potrei iniziare a crederti, John".
Vuole imparare di nuovo a fidarsi di me.

 
E...
sei un piccolo fiore per me
e l'odore che hai
mi ricorda qualcosa
vabè
non sono fedele mai
e ora lo so



Non vuole credermi. Continua a fissarmi con quegli occhi immensi spalancati sull'orrore che sono diventato. Paul che è perfetto, così sublime, tanto devastato. "Cosa stai dicendo, John?" non sta gridando, ma quella voce rotta si propaga nella mia testa con il fragore della tempesta. "Sto andando via, Paul" ripeto, di nuovo, per quella che mi sembra la millesima volta, mille altre lame giù per la trachea, parole che fanno più male a me che a lui. Necessarie. Non possiamo continuare così. "Non sei serio, John, non puoi" sta piangendo, le sue lacrime che mi annegano, e io vorrei solo aria, lontano da lui, con lui, non so cosa voglio, so solo che non possiamo continuare così. "Paul, ti prego" sussurro. "Vai via", freddo come una scheggia di vetro fra le sinapsi, un pugno nello stomaco. Prendo aria, lo guardo. "Ti amo" confesso, "Ma non posso farti questo". Capisce, perché Paul capisce sempre. Si asciuga il viso, mi indica la porta, "Addio, John". "Ti amo" ripeto, perché voglio che se lo imprima nella mente, perché è l'ultima volta che me lo sente dire, perché è una promessa. "Lo so" sussurra.
Mi crede. 
Ma è tardi.
  
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