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Autore: Nuel    10/10/2016    9 recensioni
Quando Michael riceve la notizia della morte di un vecchio amico, non può fare a meno di trascinare Brian al funerale.
La visita alla madre del caro estinto si prolunga da un paio di giorni a qualcuno di più, vuoi perché Michael non sa dire di no ad una madre in lacrime, vuoi perché c’è un portafortuna che ha aspettato per anni, dentro una scatola, per poter fare il proprio dovere.
♣ Questa fanfiction partecipa al contest "It’s too cliché – Seconda edizione", indetto da Rhys89 sul forum di EFP.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Brian Kinney, Michael Charles Novotny-Bruckner
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Per amore, per fortuna



Jonny Flexton era stato un ragazzo timido, di quelli che vengono sempre presi di mira dai bulli della scuola, ma era stato anche uno dei migliori amici di Michael.
Aveva grandi orecchie a sventola e una persistente acne che gli butterava la faccia. Non era stato un bel ragazzo, ai tempi della scuola, ma Michael gli era stato affezionato.
Jonny Flexton era stato il primo, a parte Brian, a cui Michael aveva detto di essere gay.
Le orecchie di Jonny erano diventate color porpora e il ragazzo si era messo a balbettare come faceva durante le interrogazioni; aveva frainteso le parole di Michael, pensando che gli si stesse dichiarando.
Michael l'aveva rassicurato confessandogli addirittura quello che non aveva il coraggio di ammettere nemmeno con se stesso: di essere innamorato di Brian.
    “Oh”, aveva commentato Jonny, “Brian piace a tutti”, gli aveva detto, facendolo sentire un po’ meno diverso.
    A metà del penultimo anno di superiori, il signor Flexton era morto all'improvviso, così la signora Flexton aveva deciso di trasferirsi dalla sorella, nel Maine. La partenza di Jonny aveva colto di sorpresa Michael e, poiché era partito prima che venissero scattate le foto per l'annuario, il ricordo di lui si era via via affievolito mentre gli anni passavano e la vita andava avanti.
    Così, Michael rimase molto sorpreso quando ricevette un telegramma dalla signora Flexton: Jonny era morto all'improvviso e sua madre si era ricordata di lui.
La prima cosa che Michael fece, dopo aver letto il telegramma, fu addolorarsi per la morte dell'amico, la seconda fu correre da Brian.
    
«Era nostro amico!», insistette, «dobbiamo andare!»
    «No, era tuo amico. Sei tu che ci devi andare», precisò Brian mentre si rimirava davanti allo specchio: jeans neri e maglietta attillata. Michael lo inseguiva per il loft come un cagnolino petulante.
    «Non posso credere che tu voglia andare al Babylon dopo una notizia del genere!».
    Brian si volse verso di lui allargando le braccia. «La vita è breve, Mickey, dobbiamo viverla e celebrarla al meglio delle nostre possibilità», rispose con tono serio, «e scopare», aggiunse con lo stesso tono.
    Michael lo guardò con espressione delusa. Sentiva un groppo in gola e non aveva più voglia di insistere. «Va bene, tu vai pure al Babylon. Almeno so come ti comporteresti se morissi io», borbottò a mezza voce, per poi dargli le spalle e avviarsi alla porta.
    Stava aprendo la grata di sicurezza del montacarichi quando sentì la mano di Brian sulla propria spalla. Si girò e Brian sospirò pesantemente.
    «Va bene, quando è questo funerale?», gli chiese con tono esasperato.

Il mattino successivo, Brian passò a prenderlo al suo appartamento. Erano tutti e due in giacca e cravatta, avevano un bagaglio a mano e l’espressione scura.
    «Non capisco perché cazzo dobbiamo andare oggi se il funerale è domani!», brontolò Brian mentre facevano il check in all’aeroporto.
    Michael sollevò lo sguardo al cielo e sorriso alla hostess che aveva guardato Brian con aria perplessa. «Per partecipare alla veglia», gli rispose per quella che doveva essere la ventesima volta.
    Brian sbuffò, ma Michael non gli badò. Era stato a casa di sua madre, il giorno prima, aveva frugato tra i vecchi ricordi di scuola in cerca di qualcosa che aveva dimenticato. Aveva frugato tra libri e quaderni, per una volta grato che sua madre avesse conservato tutto, e finalmente lo aveva trovato: un foglio a quadri con un disegno a penna biro. Non era particolarmente bello, Jonny non era portato per il disegno, ma era il pensiero a contare. Gli aveva confessato la sua cotta per Brian e, il giorno dopo, Jonny gli aveva portato quel disegno: un polipo. Per la verità sembrava un palloncino con troppi spaghi e gli occhi strabici. “Ho sentito dire che è un portafortuna per l’amore. Volevo andare a quel negozio cinese e prenderne uno di plastica, ma mia madre mi ha messo in punizione per il compito di matematica”, gli aveva detto.
Michael non sapeva nemmeno perché l’avesse conservato, forse solo per non deludere l’amico, ma mentre atterravano a Portland, il disegno del polipo se ne stava ripiegato nel taschino della sua giacca.
    «Cristo santo», imprecò Brian, «ma cos’è questo posto? Cabot Cove?», chiese quando arrivarono a Brunswick. Avevano preso un’auto a noleggio e prenotato due camere in un grazioso resort in riva all’oceano Atlantico. La cittadina, poco più di ventimila abitanti, sembrava uscita da una cartolina.
    «Non esiste Cabot Cove», gli disse Michael, guardandosi attorno, «La signora in giallo è stato girato a Mondocino, in Califor…», tacque vedendo il modo in cui Brian lo guardava.
    «Adesso mi dirai che lo sai perché ci hanno fatto un fumetto».
    «No, ma è una delle serie preferite di mia madre», gli rispose Michael.
    Non ebbero difficoltà a trovare la casa della famiglia Flexton. Era una piccola abitazione dalle pareti bianche ed il tetto spiovente. Davanti all’edificio c’era un fazzoletto di terra recintato con uno steccato bianco e punteggiato di rose in boccio. La madre di Jonny abbracciò Michael come se fosse un secondo figlio. «Il mio ragazzo parlava sempre di te», singhiozzò senza lasciarlo andare. Michael scambiò un’occhiata perplessa con Brian, che era stato a malapena notato, e sopportò l’abbraccio stritolante della donna.
    «Volete vederlo?», chiese lei tamponandosi gli occhi con un fazzoletto stropicciato.
    Michael deglutì e annuì col collo un po’ troppo rigido: non era sicuro di voler vedere Jonny, ma sua madre sembrava tenerci. Si volse verso Brian, ma lui gli sorrise declinando il tacito invito a seguirlo. Con un gesto brusco della testa, Michael gli fece capire di muovere il culo e andare con lui e si stupì quando Brian lo seguì sul serio.
    La camera ardente era stata ricavata in salotto. Paramenti viola coprivano le pareti della casa, nascondendo il mobilio, verosimilmente accatastato dietro i pesanti tendaggi. C’era odore d’incenso e di fumo che pizzicava gli occhi: un grande cero era acceso ai piedi della bara aperta, posata su due cavalletti verniciati di lucida lacca nera. Intorno alla bara erano state predisposte delle sedie.
    Michael si avvicinò e guardò il giovane uomo dall’aspetto anonimo che sembrava dormire. Non aveva più l’acne, e i capelli più lunghi nascondevano in parte le orecchie a sventola. Se lo avesse incontrato per strada non lo avrebbe riconosciuto.
    Brian gli si accostò, Michael sentì la sua mano premere sul fianco. Anche lui guardava il viso di Jonny e Michael si chiese cosa ci vedesse, se avesse mai immaginato che quel ragazzo avrebbe sorriso nel vederli così vicini. Probabilmente gli avrebbe chiesto se, alla fine, era riuscito a mettersi col suo amore del liceo.
    «No, Jonny, non ci sono riuscito», mormorò Michael, senza rendersene conto, e un «Uhm?» di Brian gli fece eco. Michael scosse la testa e la signora Flexton si asciugò di nuovo gli occhi.
    «Volete rimanere a vegliarlo, questa notte? Porto altre sedie», chiese tra un singhiozzo e l’altro.
    «…», Michael aprì bocca, ma non fece in tempo a pronunciare una sillaba che Brian lo precedete.
    «È molto gentile da parte sua, signora Flexton, ma abbiamo fatto un lungo viaggio e siamo molto stanchi».
    Michael lo seguì fino all’auto prima di sbottare. «Siamo venuti qui apposta per la veglia! Perché cazzo stiamo andando via?».
    «Perché se fossi rimasto in quella casa un altro minuto non sarei più riuscito a farmelo venire duro!», gli rispose Brian a tono.
    Il loro battibecco continuò fino a quando non arrivarono al resort. Non che ci fosse poi molto da discutere, ma schiamazzare allontanava il ricordo del silenzio opprimente della camera ardente. Quando scesero dall’auto, comunque, si guardarono attorno e smisero di discutere. L’ingresso era delizioso, la facciata si allungava ad abbracciare la scogliera, il profumo dell’oceano riempiva l’aria, le onde si infrangevano con un rumore ritmico, mentre il garrito dei gabbiano arrivava dal piccolo porto qualche centinaio di metri più a sud.
    «Questo posto è bellissimo», mormorò Michael.
    «Ma se fa più freddo che a Pittsburgh!», si lamentò Brian marciando verso l’edificio con ampie falcate.
    Al banco dell’accettazione, una ragazza dai tratti orientali diede loro il benvenuto con un sorriso candido. «Novotny e Kinney», le disse Michael con un sorriso altrettanto cortese. «Abbiamo prenotato due stanze».
    «Un momento, plego». La ragazza aprì il grande registro e cominciò a cercare i loro nomi.
    Cercò più a lungo di quanto avrebbe dovuto esserenecessario.
    Dopo qualche minuto, Brian cominciò a picchiettare le dita sul bancone, guardando la ragazza con sguardo assassino. «C’è qualche problema?», intervenne Michael prima che Brian potesse dire qualcosa di molto maleducato.
    «Non mi lisulta nessuna plenotazione a vostlo nome, signole», fece lei, «Io molto dispiacente».
    «Ma come è possibile?», trasecolò Michael. «Vi ho chiamati ieri sera… c’è forse un altro resort con lo stesso nome?».
    La ragazza scosse la testa. «Solo noi a Blunswick».
    «Ma…», le spalle di Michael cedettero, la stanchezza del viaggio e la tensione accumulata improvvisamente gravavano su di lui.
    «Non importa. Non possiamo prendere comunque delle stanze adesso?», si intromise Brian con fare perentorio.
    «Abbiamo una sola camela libela, signoli, io dispiacente», rispose lei, passando lo sguardo da uno all’altro. «C’è una impoltante gala di pesca che comincia domani», spiegò lei, «tutto albelgo è plenotato fino a giovedì. Abbiamo una camela pelché questa mattina un cliente ha disdetto sua plenotazione».
    «Ma se avete tutto esaurito come avete potuto accettare la mia prenotazione, ieri sera?!», s’inalberò Michael.
    «Non importa», lo scavalcò di nuovo Brian. «Prendiamo quello che c’è».
    «Hai sentito la sua pronuncia? Probabilmente ha sbagliato a prendere la prenotazione. Magari non ha nemmeno capito quello che le dicevo, quando ho telefonato per prenotare», brontolò Michael, innervosito, mentre Brian lo precedeva lungo il corridoio.
    «Non importa, Mickey. L’importante è che non dobbiamo dormire in macchina», gli rispose Brian, annoiato, spingendolo nella camera e Michael dovette arrivare fino davanti al letto per accorgersi che era un unico, grande, accogliente, confortevole letto matrimoniale.
Deglutì a vuoto e sentì il sudore trasudare dalla pelle in maniera improvvisa. Avrebbe dormito nello stesso letto di Brian. Avrebbe potuto girarsi nel sonno e abbracciarlo e… e… e se avesse fatto il suo nome nel sonno?! «Brian?», pigolò con un filo di voce.
Si volse e Brian era ancora fuori dalla porta, un sorriso che conosceva gli stendeva le labbra tanto perfette da sembrare disegnate. Per un istante il cuore gli saltò in gola, ma quel sorriso non era rivolto a lui. Michael avrebbe voluto guardare fuori e scoprire chi aveva acceso l’interesse del suo amico, ma non lo fece. Era masochista, sì, ma ormai sapeva che le scopate di Brian non significavano nulla.
    Brian entrò per gettare la valigia sul pavimento e dirgli: «Torno subito», prima di voltargli le spalle.
    «Ma dove vai?», sbottò Michael. L’aveva visto quel letto?
    «Calmati, Mickey!», disse Brian col suo solito tono irrisorio. «Mi ci vorranno dieci minuti. Tu intanto metti il pigiamino e infilati a letto». No, concluse Michael, non lo aveva visto e se lo aveva visto, non gli importava.
    Brian chiuse la porta dietro di sé e Michael si infilò il pigiama, strattonandolo malamente fuori dal borsone. Si mise a letto col cuore in subbuglio: avrebbe dormito nello stesso letto di Brian, assieme a lui. Era sicuro che non sarebbe mai riuscito a prendere sonno.
Dieci minuti dopo Brian non tornò affatto, ma Michael non ebbe modo di saperlo perché nove minuti dopo, dormiva come un bambino.


 


Michael si svegliò con la luce del sole che gli colpiva il viso e il rumore delle onde che si infrangevano sulla scogliera. Non aprì subito gli occhi: era piacevole starsene a letto, nel tepore delle coperte e c’era un buon profumo nella stanza, sembrava quello di Brian…
    Non appena realizzò dove si trovava, Michael spalancò gli occhi e si volse verso la metà del letto occupata dal suo migliore amico. Brian dormiva beatamente, i tratti rilassati e il petto che si alzava ed abbassava lentamente. Non lo aveva sentito rientrare, la notte prima: si era raggomitolato in posizione fetale e aveva preso sonno imprecando mentalmente contro di lui.
Quando dormiva, Brian sembrava un altro: non c’era ironia nella sua espressione, quell’aria di superiorità con cui trattava sempre gli altri non era nemmeno intuibile.
    Michael sospirò. Avrebbe potuto restare a guardarlo dormire per ore, ma poi gli venne il dubbio che quella fosse una cosa troppo intima, che non avesse il diritto di stare lì a fissarlo mentre Brian sembrava così vulnerabile. Avrebbe voluto toccarlo, allungò le dita accarezzando il lenzuolo di cotone immacolato adagiato sul suo torace e si trattenne. Se Brian si fosse svegliato in quel momento… non voleva pensarci. Sgusciò afflitto fuori dal letto e si infilò in bagno. Si sentiva talmente eccitato a pensare a Brian oltre la porta, ancora addormentato e così bello, ma anche tanto in colpa per aver pensato a lui in moto tutt’altro che amichevole, che non riuscì nemmeno a farsi la sua sega mattutina.
Brian aveva ragione quando gli diceva che era patetico.
    Quando tornò in camera, Brian era sveglio. Aveva tirato le tende e la luce del sole illuminava completamente la camera dai toni caldi, dal cannella della soffice moquette, al color caffè delle poltroncine foderate di chintz. «Non ti ho sentito rientrare, ieri sera», lo apostrofò girando intorno al letto fino al lato opposto rispetto a dove si trovava l’altro. Trovò il proprio borsone e tirò fuori i boxer.
    «Dormivi come un angioletto», confermò Brian dirigendosi in bagno.
    «Ne valeva la pena?», chiese Michael alla porta chiusa ma Brian, probabilmente, non lo sentì nemmeno.

Il funerale si tenne nella piccola chiesa di Brunswick. C’era un sacco di gente e la madre di Jonny pianse dall’inizio alla fine della cerimonia. Alla fine della funzione, la signora Flexton infilò il braccio esile intorno a quello di Michael e si fece accompagnare fino al piccolo cimitero della città nella lenta processione di amici, parenti e conoscenti. Una composizione di fiori bianchi e rosa venne adagiata sopra il cumulo di terra che aveva accolto Jonny nell’ultimo abbraccio mentre il prete continuava a borbottare i suoi salmi e un chierichetto di settant’anni reggeva l’incensiere.
La predica non era stata lunga, forse il prete non sapeva che dire e nessuno aveva preso la parola prima dell’inumazione. Michael l’avrebbe fatto, se avesse saputo cosa dire, ma quel giovane uomo che aveva visto il giorno prima nella bara non gli ricordava nemmeno il vecchio Jonny, non aveva idea di chi fosse diventato il suo amico di un tempo.
    Si volse a cercare Brian e lo vide poco più indietro di lui, intento a scambiare sguardi infuocati con un ragazzo in abito scuro e l’aria annoiata. Scosse la testa. Non lo avrebbe perdonato se avesse lasciato il funerale per una sveltina o, peggio ancora, se si fosse appartato dietro a un albero e l’avesse fatto lì. A quel pensiero, però, gli parve di sentire la voce indignata di Brian dirgli “Mi hai preso per un cane?”, e sorrise.
Tornò a voltarsi, certo che Brian fosse ancora dietro di lui, ma non c’era e non c’era nemmeno il ragazzo annoiato. Sollevò gli occhi al cielo e poi guardò la tomba. “Il tuo polipo fa schifo come portafortuna!”, riuscì a pensare e gli tornò in mente la risata di Jonny.
    Quando Brian ricomparve, un sorrisetto soddisfatto sulle labbra e gli occhi che gli brillavano, buona parte delle persone che si erano avvicinate ad abbracciare la signora Flexton e a porgerle le condoglianze se ne era andata. «Perché tu e il tuo amico non vi fermate qui un paio di giorni? Mi farebbe tanto piacere rivederti e poter parlare con te di Jonny, Michael», gli stava dicendo la donna, guardandolo con occhi acquosi.
    «Mi dispiace tanto, ma dobbiamo riprendere il lavoro», cercò di rifiutare Michael.
    «Ma domani è sabato», obiettò la signora Flexton, inclinando appena il capo. Michael le sorrise poco convinto, guardando Brian, certo di ricevere il suo sostegno, ma lo sguardo di Brian si era già soffermato su qualcun altro.
    «Ma sì, Michael», sogghignò il suo amico, «tu e Jonny eravate così amici, credo proprio che potremmo restare un altro giorno». La signora Flexton gli sorrise grata. «Scusatemi un momento», aggiunse Brian, allontanandosi verso la sua nuova preda.
    Questa volta, però, Michael non aveva nessuna intenzione di scusarlo.

«Non posso credere che tu mi abbia lasciato da solo al cimitero per andare a scopare!», berciò quella sera, dopo una cena che gli era rimasta sullo stomaco, quando si trovarono di nuovo in camera.
    «Non eri da solo!», si schernì Brian, «Eri con la madre di Jonny».
    «E poi cosa vuol dire che possiamo rimanere qui un altro giorno?! Non vedevi l’ora di tornare a casa!», continuò Michael incastrandosi nella maglietta mentre se la sfilava per mettersi a letto.
    «Beh, Mickey, visto che siamo qui, tanto vale raccogliere i prelibati frutti di questa terra…».
    «Pesci puzzolenti, vorrai dire!», lo corresse, inacidito, mentre sbucava dal cotone solo per rendersi conto che Brian non si stava affatto spogliando. «Non avrai intenzione di uscire?!», sbottò incredulo. Come quella mattina si trovavano ai lati opposti del letto matrimoniale, meno di due metri a dividerli e Michael era combattuto tra il desidero e la paura di ritrovarsi sotto le lenzuola con lui.
    «È venerdì sera, normalmente sarei al Babylon a bere, drogarmi e farmi succhiare l’uccello», gli fece presente lui, «Non vorrai che venga a letto alle dieci come uno sfigato».
    Michael lo fulminò con lo sguardo, sollevò copriletto color pesca e lenzuolo e si mise a letto. «Beh, lo sfigato invece va a dormire, tu fa’ il cazzo che vuoi!».
    Brian si strinse nelle spalle e se ne andò. Michael non poteva credere che Brian lo stesse lasciando solo di nuovo, che anche in quel buco di posto avesse trovato… un buco, appunto. A Brian non importava altro. Si stese e si girò sul fianco, deciso a dormire. «Quello stronzo!», sbuffò tra i denti.
Mezz’ora dopo si girò sull’altro fianco. Sbuffò e accese la luce. Non aveva sonno, era presto e… se fosse stato a Pittsburgh, sarebbe stato al Babylon a guardare Brian rimorchiare qualche ragazzo carino e sparire in darkroom mentre lui sarebbe rimasto arrapato e frustrato a fare finta che gli andasse bene. “Lo vedi qual è il problema, Jonny?”, si ritrovò a pensare, “Brian non mi calcola nemmeno. Sono sempre il suo migliore amico, ma… lui è bello, intelligente, sexy… i ragazzi gli ronzano attorno come le api al miele. Gli basta allungare una mano per prendersi quello che vuole, mentre io sono lo sfigato che si mette a letto e poi…”, allungò la mano verso la metà vuota del letto, accarezzando il posto che aveva accolto Brian la notte precedente, poi la porta si aprì strappandolo ai suoi pensieri e facendogli ritrarre rapidamente la mano.
    «Ancora sveglio?», gli chiese Brian, entrando in camera. Sembrava sorpreso.
    «Già di ritorno?», rispose Michael, con tono cupo. Incrociò le braccia al petto e lo osservò spogliarsi. Perché era così bello? Michael iniziò a sentirsi a disagio.
    «Vado a farmi una doccia», annunciò Brian, dandogli le spalle, e Michael sperò che il suo amichetto dei piani bassi tornasse a riposo prima del suo ritorno.
    Speranza vana anche se Brian rimase in doccia per un tempo spropositato. Si infilò a letto con addosso solo un paio di boxer e si sporse verso di lui, appoggiando il mento alla sua spalla. «Se ti racconto cosa gli ho fatto mi perdoni?», gli chiese con voce bassa che metteva i brividi a Michael. «Ci siamo appartati al bar dell’albergo, abbiamo preso una birra e poi siamo andati nel bagno degli uomini…», Brian sogghignò e gli appoggiò una mano sullo stomaco. Era così calda che a Michael parve di andare a fuoco, mille scosse partirono dalle dita di Brian e finirono dritte al suo inguine. «L’ho baciato fino a quando non ha cominciato a gemere nella mia bocca e allora l’ho fatto inginocchiare…».
    «Basta!», sbottò Michael, respingendolo e girandosi sul fianco. ‘Fanculo a Brian e alle sue storielle! Michael si ritrovava col pisello duro e nessuna possibilità di darsi sollievo. Che aveva fatto di male?
    Brian rise e accostò il torace alla sua schiena, accarezzandogli una coscia. «Non vuoi sapere come l’ho scopato dopo? Aveva un culo stupendo e…».
    «Piantala, Brian!», abbaiò Michael. Era davvero arrabbiato, anche se forse lo era più con se stesso che con lui, e Brian si ritrasse, alzando le mani. Si sdraiò nella sua metà del letto, dandogli le spalle, e Michael volse il capo per assicurarsi che non stesse per tornare alla carica. Era frustrato e arrabbiato e arrapato e Brian era a meno di un metro da lui. La vita faceva proprio schifo. “Forse tu stai meglio di me, Jonny”, pensò Michael prima di addormentarsi con gli occhi che bruciavano.

 


Michael stava facendo un sogno meraviglioso: era in un posto caldo e luminoso ed era felice, il cuore gli traboccava d’amore. «Michael…», lo chiamava Brian tenendolo tra le braccia. I loro volti erano vicini, poteva sentire il suo fiato sulle labbra…
    «Brian…», sospirò estasiato, stringendolo a propria volta, sporgendo il viso per baciarlo.
    «Cazzo, Michael, vuoi svegliarti?!», strillò Brian e Michael spalancò gli occhi: non era più in quel luogo caldo e luminoso e non era affatto felice, anzi, era decisamente imbarazzato. Brian lo stava guardando con aria arrabbiata e Michael impiegò una manciata di secondi a capire. Doveva averlo abbracciato durante la notte e in quel momento la sua erezione premeva, senza possibilità di fraintendimento, contro l’anca dell’altro. «Mi vuoi lasciare?!», insistette Brian e Michael prese coscienza, in rapida successione, di una serie di dettagli: la pelle di Brian sotto le sue dite, le tracce di saliva sul suo petto, il battere forsennato del proprio cuore. Si ritrasse rapidamente, imbarazzato, la sua metà del letto era gelida e il suo volto era in fiamme.
    «Mi… mi…», deglutì, «scusa». Si ritrovò a pensare che, se avesse appoggiato una mano sul proprio petto, avrebbe finito col tagliarsi sui frammenti acuminato del proprio cuore e rimase a guardare di sottecchi Brian che si asciugava la traccia di saliva dal petto, la zona umida che si allargava verso il capezzolo turgido. Aveva davvero dormito sul torace di Brian? Non riusciva a crederci. Aveva respirato il suo profumo, aveva assorbito il suo calore e… cazzo! Perché non si era svegliato prima di Brian? Avrebbe potuto… avrebbe potuto assaporare quella sensazione, anche solo per un istante.
    Brian lo precedette in bagno e Michael si sentì il più miserabile degli uomini. Rimase a fissare il soffitto intonacato di bianco fino a quando un asciugamano umido non lo colpì in faccia. «Forza, pigrone!», lo chiamò il suo migliore amico, con un sorriso divertito sulle labbra.
Michael boccheggiò.
    «Quanto sei patetico!», rise Brian, vestendosi. «Fatti una sega e vestiti. Voglio fare colazione e poi andare dalla signora Flexton. Con un po’ di fortuna ci liberiamo per pranzo e riusciamo a tornare a casa in tempo per andare al Babylon».

La signora Flexton, però, aveva altri programmi per quella giornata. I parenti e gli amici di Jonny che le avevano tenuto compagnia in quei giorni vegliando il figlio nella camera ardente se ne erano andati e la piccola casa bianca sembrava vuota e troppo grande.
Michael e Brian diedero una mano a riposizionare i mobili che erano stati accatastati dietro i paramenti di velluto viola, poi si fermarono a pranzo.
I sorrisi di Brian erano sempre più stiracchiati e persino Michael si sentiva a disagio, ma la donna era riuscita a inchiodarli con i suoi occhi lacrimevoli e con i ricordi del figlio.
    «… e poi c’è questo», disse la signora Flexton aprendo una scatolina di cartone macchiata dall’umidità. «L’ho trovato mettendo in ordine la camera di Jonny. C’è un biglietto per te, Michael, guarda». Gli passò la scatolina e Michael strabuzzò gli occhi. «Quando l’ho trovato mi sono ricordata di te e ho capito quanto la vostra amicizia fosse stata importante per il mio Jonny». Singhiozzò.
    Michael prese tra le dita un piccolo polipo di plastica azzurra. Era rotondo, con corti tentacoli che servivano da appoggio. Aveva gli occhi tondi e strabici e una bocca rotonda che sarebbe stata bene sul viso di una bambola gonfiabile. «L’aveva comprato per me», riuscì a dire con un nodo alla gola e quasi non si accorse dell’espressione tra il perplesso e il disgustato di Brian.

 
“Ciao Michael,
sono passato dal negozio cinese e ho preso il polipo che ti avevo promesso, ma tu non eri a scuola e io sto partendo.
Spero di riuscire a dartelo prima o poi, ma per adesso lo tengo io. Scusa, ma ho bisogno di un po’ di fortuna anche io, adesso.
So che tu capiresti e vorrei poter restare qui, ma adesso devo proprio andare. Mamma ha già imballato tutto.
Buona fortuna, amico”.

Michael lesse il biglietto un paio di volte, prima rapidamente, poi gli venne in mente la voce di Jonny, il modo in cui si mangiava un po’ le parole.
Quando il signor Flexton era morto, lui era a letto con l’influenza. Era rimasto a casa per tutta la settimana con una febbriciattola persistente e una tosse terribile e, al suo ritorno a scuola, Jonny era già partito.
Il polipo stava tutto dentro il suo pugno e Michael se lo strinse al cuore. Sapeva come si era sentito Jonny all’epoca: un ragazzino a cui era venuto improvvisamente a mancare il padre, spaventato, solo, con un disperato bisogno di un abbraccio che non sarebbe mai arrivato. «Posso tenerlo, signora Flexton?».
    Lei annuì, un sorriso materno sul viso improvvisamente più vecchio e Michael l’abbracciò di slancio, perché anche lei aspettava un abbraccio che non sarebbe più arrivato.

«Se partiamo subito dovremmo ancora riuscire a prendere l’aereo», concluse Brian, chiudendo la valigia. Avevano passato parte del pomeriggio a casa della signora Flexton, che sembrava non volerli più lasciar partire, ma alla fine aveva abbracciato entrambi, ringraziandoli di essere andati al funerale e di aver trascorso tanto tempo con lei. Michael aveva tenuto il polipo in mano per tutto il viaggio di ritorno in albergo, zitto e concentrato, poi erano arrivati in albergo e si era seduto sul copriletto rosa del letto rifatto. Aveva accarezzato la stoffa seguendo il disegno arabescato che lo decorava, mentre Brian preparava la valigia. Aveva detestato stare lì, ma ora che stavano per ripartire, sentiva quasi nostalgia di quel posto. Non avrebbe più condiviso le lenzuola con Brian, non si sarebbe più svegliato cullato dal calore del suo corpo.
    «Non fai la valigia?», gli chiese all’improvviso l’uomo al centro dei suoi pensieri, e Michael sussultò.
    «Vado a prendere lo spazzolino», rispose alzandosi di scatto. Fece un paio di passi, tornò indietro e posò il polipo sul comodino. La porta del bagno era aperta, la luce nella piccola stanza dalle piastrelle bianche e rosa, accesa.
Quando tornò in camera, Brian aveva il polipo in mano, se lo rigirava tra le dita guardandolo con un sopracciglio alzato. «Non farlo cadere!», sbottò accigliato. Erano le prime parole che pronunciava da quando aveva salutato la madre di Jonny.
    Brian rise, senza prenderlo sul serio. «E dai, Mickey! È la cosa più patetica che abbia mai visto, non vorrai tenerlo per davvero!», lo canzonò, tirandolo in aria e ripigliandolo al volo.
    Michael gli andò incontro a passo di carica, strappandoglielo dalle mani. «Tu sei patetico!», sbottò. «Non ti importa di nessuno a parte di te stesso! Persino durante il funerale di Jonny hai pensato solo al tuo uccello». Michael sentiva le lacrime pizzicargli di nuovo gli occhi. «Tu non sai cosa ha significato questo polipo per Jonny o perché me lo volesse regalare».
    Brian si strinse nelle spalle. «Te l’avevo detto: Jonny era amico tuo, non mio, ma tu hai insistito perché venissi…».
    Michael lasciò cadere il beauty-case nel borsone aperto e si sedette sul letto, tenendo di nuovo il polipo tra le mani come se fosse stato un tesoro prezioso, l’aria truce e uno sguardo di rimprovero a Brian. «Jonny era un bravo ragazzo e adesso è morto, lo capisci? Riesci a capire cosa significhi morire all’improvviso, a soli trent’anni?».
    Brian lo guardò, le mani sui fianchi. «È stato fortunato», gli disse, «non diventerà mai vecchio, non sarà mai un peso per nessuno, è morto nel fiore degli anni…».
    «È morto solo!», lo interruppe Michael. «Solo con sua madre. Non aveva una fidanzata, i suoi amici lo conoscevano così poco da non aver detto nemmeno una parola al suo funerale. Nessuno dovrebbe morire così».
    Per qualche momento, Brian lo osservò, poi aprì le braccia in un gesto sconsolato. «Era la sua vita, l’ha vissuta come ha voluto», replicò indifferente.
    Michael si sentì stringere il cuore. Brian non capiva o non voleva capire, eppure era così evidente. «Proprio come me», disse con la voce bassa, non riuscendo più a sostenere il suo sguardo. «Ascoltando sua madre ho capito quanto Jonny fosse simile a me».
    Brian sollevò un sopracciglio, fissandolo per un istante, prima di avvicinarsi e posargli le mani sulle spalle. «Tu non sei così sfigato», sogghignò, «hai pur sempre me».
    «Già», convenne Michael, «me lo immagino quello che diresti al mio funerale». Si alzò, allontanandosi di un passo, dando le spalle a Brian perché guardandolo, non capisse.
    «Non vuoi finire come Jonny?», gli chiese Brian, dietro di lui. «Allora fai qualcosa. Comincia col far sapere a quegli etero del cazzo con cui lavori chi sei veramente. Trovati un ragazzo e…».
    Michael si girò a guardarlo, l’espressione ferita. «E cosa? Dovrei passare le notti a scopare come fai tu?», gli chiese, affrontandolo. «Senza rimpianti? Senza responsabilità? Senza pensare al futuro?».
    «Vivendo il presente! Domani potremmo ritrovarci rigidi e freddi dentro una bara e allora a cosa sarebbe servito aver aspettato qualcuno che magari nemmeno esiste, non aver scopato abbastanza, non aver goduto abbastanza, non aver vissuto abbastanza…».
    Michael allungò un braccio verso di lui e gli afferrò la nuca. Lo costrinse ad abbassare il capo verso di sé e premette le labbra contro le sue. Non era da lui agire d’impulso in quel modo. Non era da lui prendere l’iniziativa con Brian, ma le dita dell’altra mano si strinsero sul polipo, le braccia di Brian lo circondarono, e Michael approfondì il bacio; Brian glielo lasciò fare. «Non aver amato abbastanza», mormorò Michael contro le sue labbra, quando vi si staccò.
    «Io non credo nell’amore, Michael».
    «Lo so», gli rispose, baciandolo di nuovo, lentamente, profondamente. Si aspettava che Brian si ritraesse, ma non lo fece. Michael appoggiò il capo alla sua spalla, oh, Brian era più alto di lui, più solido, e il suo respiro era più lento e profondo del suo, ma  anche Brian aveva il fiato corto e le labbra gonfie. «E tu sai che io ti amo da sempre», gli disse accarezzandogli la nuca. I suoi capelli sottili erano seta tra le sue dita.
    Brian chiuse gli occhi, nascondendo quello che provava, come faceva sempre. «Michael…», fece il suo nome per richiamarlo all’ordine.
    Michael sorrise mesto. «Lo so, dobbiamo prendere l’aereo». Si sentiva sciocco, si concesse di stringere per un altro lungo istante l’uomo che amava e che da sempre fingeva di non sapere cosa provava per lui. Gli accarezzò ancora una volta la nuca. Un’ultima carezza prima che il sogno finisse, che il coraggio svanisse.
    «Potremmo fermarci per un’altra notte», propose invece Brian, senza sciogliere l’abbraccio in cui lo stringeva. Michael lo guardò senza capire. «A me piace la mia vita, Michael», aggiunse l’altro, «non sarò mai il tipo di fidanzato che vuoi tu».
    Michael sorrise. «Credo di conoscerti piuttosto bene, ormai».
    «Domattina potrei dirti che è stata solo una scopata, che non ha significato niente». Michael tacque, consapevole del rischio che stava correndo. «Potrei spezzarti il cuore e rovinare la nostra amicizia…».
    Michael si sentì tremare dentro, non poteva immaginare la propria vita senza Brian. «Lo faresti?», gli chiese.
    Brian respirò a fondo, chiudendo gli occhi. Gli accarezzò il viso e scosse piano la testa. «Non a te», rispose in un soffio appena udibile.
    «Fin’ora ha funzionato».
    «Cambierebbe tutto e lo sai bene».
    Michael lo sapeva, così come sapeva che la loro amicizia valeva più di una scopata, ma Brian era l’amore della sua vita e si trovavano dallo stesso lato del letto, come se fosse un segno. Si sporse a baciarlo ancora, a fior di labbra. Era un bacio asciutto, una carezza data con la bocca ad un’altra bocca, senza premere, senza chiedere nulla, e a Michael parve quasi di percepire Brian vibrare o forse era lui. «Nemmeno essere tuo amico è una passeggiata», disse, «e se dovessi morire domani, mi pentirei di non averci provato».
    Brian scosse la testa, ma non disse nulla, inclinò il viso per catturare di nuovo le sue labbra in un bacio esigente, fino a quando Michael non si staccò, ridacchiando nervoso.
    «Ci vorrebbe un po’ di musica», disse ritraendosi quanto l’abbraccio possessivo di Brian gli permetteva, e non era tanto.
    «O un po’ di popper», gli diede ragione Brian, sorridendo. «Ne ho un po’ in valigia…».
    Michael rise, come se fosse una battuta, anche se probabilmente era la verità. «Siamo sicuri?», gli chiese temendo che Brian si tirasse indietro, che gli dicesse di no.
    «Non è quello che hai sempre voluto?», gli chiese il suo amico, accarezzandogli la schiena attraverso la stoffa della camicia e la sua mano grande era così rassicurante che Michael annuì.
    «E tu? Anche tu lo vuoi?».
    Brian richiuse gli occhi mordendosi le labbra. Appoggiò la fronte a quella di Michael e per qualche attimo parve non voler dire altro. Poi sospirò e, con voce incerta e scura, disse: «Sono due notti che quasi non ci dormo», si umettò le labbra e prese un altro attimo per sé. «Quando ho aperto la porta di questa camera», sorrise, «ho capito che dormire assieme non sarebbe stato come a casa. Ti ho fatto credere che ci fosse qualcuno e sono sceso al bar dell’albergo, ma hanno un whisky che fa schifo», rise.
    «Non c’era nessun ragazzo arrapante?», gli chiese Michael, incredulo.
    Brian socchiuse gli occhi e scosse il capo, mordendosi di nuovo le labbra. «Eri tu l’unico ragazzo arrapante e… dopo aver visto… beh, insomma, non volevo restare solo. Sono tornato in camera, ma tu già dormivi ed eri…», sogghignò, «adorabile col tuo pigiamino e il broncio da bambino. Sono rimasto a guardarti dormire finché non mi sono addormentato anch’io».
    Michael boccheggio. Avrebbe voluto dargli dello stronzo, ma si limitò a ridere.
    «E ieri, quando sono tornato e tu eri ancora sveglio, non sapevo come fare per non farti capire che avrei voluto spogliarti e scoparti per sentire…», incespicò, «per farti sentire…».
    «Che siamo vivi», finì Michael per lui, e Brian annuì.
    «Ma tu ti sei arrabbiato…».
    «Ero troppo arrapato per stare a sentire le tue storielle sconce».
    Brian sbuffò. «Avrei voluto fare cose molto sconce al tuo culo», sogghignò, «ma avevo paura di perderti… ho ancora paura di perderti».
    «Non succederà», promise Michael.
    «Non succederà», fece eco Brian, passandosi la lingua sulle labbra perfette. «Ti ho tenuto stretto tutta la notte, come facevi tu quando restavo a dormire a casa tua… poi hai iniziato a dire il mio nome e ho capito che ti stavi svegliando…».
Michael gli circondò il viso con le mani, aveva ancora il polipo di plastica stretto tra le dita e, mentre baciava di nuovo Brian, si ritrovò a pensare che forse non faceva proprio schifo, come portafortuna.
    «Puoi togliermi quell’affare dalla faccia?», protestò Brian, spingendolo verso il letto. «Anzi, toglilo di mezzo: anche se ha funzionato, non voglio trovarmelo tra i piedi mentre ti scopo».
    «Funzionato?», chiese Michael, senza capire.
    «Cristo, Mickey!», rise Brian. «Andavamo alla stessa scuola, ricordi? Le ragazzine si regalavano quei cosi e li puntavano contro i ragazzi che volevano conquistare».
    Michael boccheggiò e poi rise. Si allungò a posare il polipo sul comodino, assicurandosi che guardasse verso di loro mentre Brian lo spingeva sul letto. «Saremo la più bella coppia di Pittsburgh», promise al piccolo polipo, facendo accigliare Brian.
    «Non voglio sentire quella parola!», lo ammonì, infatti, scendendo a baciargli le labbra.
    «Va bene, saremo semplicemente due amanti favolosi», accordò Michael.
    «Brian & Mickey», sussurrò Brian, contro le sue labbra.
    «Micky & Brian», lo corresse Michael.
    Brian alzò gli occhi al cielo. «Sta’ zitto, Michael!», ordinò con espressione seria, prima di fargli capire perché fosse considerato il miglior scopatore di Pittsburgh.
    Michael sorrise, fiducioso, ringraziando Jonny per tutto. Avrebbe voluto che li vedesse in quel momento, beh, non proprio in “quel” momento, ma che li vedesse assieme, perché era anche merito suo se erano quello che erano, e se non erano proprio una coppia, erano comunque, e sarebbero sempre stati, i protagonisti della loro avventura, la “grande avventura” di Brian e Mickey.



 
La fortuna è un attimo, la vita è tutto il resto.
Aldo Busi, Altri abusi, 1989


 
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♣ Questa fanfiction partecipa al contest "It’s too cliché – Seconda edizione", indetto da Rhys89 sul forum di EFP.
Il cliché scelto è "camera matrimoniale":

A e B si conoscono e possono anche essere amici, ma non sono molto in confidenza; niente lime o lemon (scritta o lasciata intendere che sia), almeno la prima notte: voglio un approfondimento graduale del rapporto.
a) A e B sono amici e/o colleghi e, durante un viaggio, devono passare alcune notti in albergo; al loro arrivo, però, scoprono che, per un errore nella prenotazione (o qualche altro espediente a vostra scelta), è stata loro assegnata una camera matrimoniale. Non ci sono altre stanze disponibili né altri alberghi nelle vicinanze (o, se ci sono, sono tutti al completo).


Temo di essermi lasciata prendere la mano e essere andata decisamente fuori tema. Spero che la giudice apprezzi comunque la storia. ^^'

• La fanfiction si colloca come alternativa all'episodio 1x01, di conseguenza Justin qui non è proprio previsto.

• Un grazie alla mia amica Brunella per avermi regalato un polipo di plastica blu, ormai tanti anni fa. Funzionò, purtroppo. ^^'

• Colgo l'occasione per augurare buon compleanno a Summers84, che non ama la Brichael, ma spero che la storia le piaccia comunque... se deciderà di leggerla. ^^'

 
   
 
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