Libri > Altro
Ricorda la storia  |      
Autore: Tamar10    10/10/2016    1 recensioni
[Lockwood & Co.]
[Lockwood&Co.]
Lockwood davvero non riesce a rendersi conto che ciò che prova per Lucy va ben oltre a semplice affetto fraterno; Lucy aspetta solo il momento giusto per farsi avanti. Con la partecipazione del nostro Tipo Tre preferito.
-
Una Lucewood molto fluff (per i miei standard), ambientata dopo il secondo libro, piccolo Spoiler! per quanto riguarda il nome della sorella di Lockwood
Genere: Comico, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
Note:
Ipoteticamente la parte centrale della storia è ambienta dopo il secondo libro, l’unico minuscolo spoiler riguardo al terzo libro è il nome della sorella di Lockwood. Anyway, se non volete saperlo non leggete.
La storia è divisa in due parti: la prima è dal punto di vista di Lockwood, la seconda è più dinamica ed è narrata in prima persona da Lucy, come nel libro.
Spero che questo Fandom si diffondi come merita, ho bisogno di leggere tante belle storie al riguardo e spero di trovare altre persone con cui fangirlare riguardo alla Lucewood o al Teschio (decisamente il mio personaggio preferito, anche se in questa fic decisamente troppo buono).
Detto questo, godetevi la storia e fatemi sapere cosa ne pensate :)
P.s. faccio schifo a scegliere i titoli, lo so
 
 
 
 
 
 
Lockwood ricordava come se fosse ieri la prima volta che aveva incontrato Lucy, più che altro ricordava lo strano, complicato groviglio di emozioni che aveva provato quando l’aveva vista. Aveva capito immediatamente che era un’agente che non potevano farsi scappare, anche se non avrebbe mai potuto immaginare quanto aiuto avrebbe davvero portato alla Lockwood&Co.
Ma soprattutto aveva notato i capelli dello stesso colore e pettinatura di quelli di Jessica, gli occhi nei quali brillava la stessa scintilla curiosa, anche certi suoi gesti gli ricordavano la sorella scomparsa.
Non aveva potuto dire di no, anche se sapeva già di partire coi presupposti sbagliati.
 
Lockwood osservava Luce – Lucy – muoversi attorno a Joe Fluttuante, facendolo oscillare con la forza dei colpi del suo stocco, i capelli scuri che ondeggiavano attorno alla testa, e rivedeva Jessica danzare graziosa nella sua camera, quando pensava che nessuno la vedesse.
A colazione alzava lo sguardo su Lucy che aveva il naso sporco di marmellata alle fragole e gli balzava davanti agli occhi l’immagine di una bambina di dieci anni seduta a quello stesso tavolo, con la stessa espressione risoluta e la stessa macchia sul volto.
Per i primi tempi poi, capitava che a volte, passando attraverso il salotto, vedesse con la coda dell’occhio la poltrona preferita di Jessica occupata da una ragazza e per un glorioso attimo si illudesse che lei fosse ancora lì, seduta a leggere come se non fosse passato neanche un giorno da quando era scomparsa. Poi l’amara verità si palesava sotto forma di Lucy, appallottolata in modo scomposto sulla poltrona, a volte addormentata, a volte con un fumetto rubato a George in mano. Eppure, nonostante la delusione iniziale, Lockwood non poteva fare a meno di sorridere teneramente alla scena.
C’era Luce – Lucy – che correva al suo fianco nella notte, lo stocco lucente sguainato nella sua mano, il respiro affannato sincronizzato con il proprio. Si girò per un attimo per lanciarle un’occhiata e vide un’ombra di sorriso sul suo volto sferzato dall’aria fredda di Londra, sorrise in automatico anche lui, mentre l’adrenalina per l’azione entrava in circolo. Ma all’ombra di Lucy c’era un’altra ragazza, alta più o meno come lei, i capelli neri fluttuanti dietro di lei, lo stesso sorriso.
Quello di Lockwood si congelò sulle sue labbra.
 
Lockwood aveva sempre avuto uno solo obiettivo in mente: far diventare la sua agenzia la più famosa e importante di tutta Londra. Non voleva solo i riflettori puntati addosso, anche se certamente gli faceva piacere avere successo, ma anche che la gente riconoscesse il suo – il loro – valore. Era sempre stato così fin da quando aveva messo in piedi l’agenzia, sapeva di dover riuscire a provare qualcosa agli altri per riuscire finalmente a convincere anche sé stesso.
Poi, poco alla volta, si era accorto che le cose stavano cambiando. Il suo obiettivo era ancora lo stesso, ma ogni tanto si ritrovava a fare pensieri – pensieri stupidi – su quanto fosse disposto a sacrificare per la sua causa. Una volta probabilmente avrebbe dato anche l’anima, ma ora, era inutile negarlo, c’era qualcos’altro a contendere le sue attenzioni. Qualcun altro.
Luce – Lucy – e George. Avrebbe rischiato la sua vita per salvare la loro, e in effetti l’aveva fatto più volte.
Era stupido – forse scontato – dirlo, ma loro valevano più di qualsiasi riconoscimento; per lui questo significava moltissimo.
 
Erano un po’ di settimane che Lockwood aveva notato che ogni volta che fissava il teschio la faccia ghignante di ectoplasma si dissolveva per formare delle cose terribilmente simili a cuori (ma di sicuro si stava sbagliando) che galleggiavano per un po’ prima di scoppiare.
Aveva chiesto a Lucy cosa significasse, magari si trattava di qualche incomprensibile messaggio dall’altro mondo, ma lei era immediatamente avvampata, aveva scaricato una serie di insulti contro il Visitatore nel vaso e poi aveva bofonchiato una risposta incomprensibile, prima di sparire in camera sua.
Quando aveva chiesto delucidazioni a George, questi si era animato tutto, andando subito a chiedere a Lucy di aiutarlo nelle ricerche. Non solo aveva avuto come risposta un categorico “no”, ma la ragazza lo aveva anche scoraggiato ad arrovellarsi sulla questione, affermando che fosse solo una stupidata e che avevano degli affari molto più importanti da sbrigare.
La cosa era morta lì.
 
Lockwood non avrebbe saputo precisamente dire quando le differenze fra Luce e sua sorella erano diventate più numerose delle similitudini. Era strano, perché sembrava che tutto d’un tratto il colore dei loro capelli non fosse poi così uguale, anche il modo di gesticolare di Luce e il ruotare gli occhi quando qualcosa le dava fastidio non gli ricordavano più Jessica. Il sorriso, poi, era completamente diverso: quello della sorella era timido, ma deciso ed era in grado di mostrare tutto il fascino caratteristico dei Lockwood; invece quello di Luce era luminoso e sincero, era incredibile come la facesse splendere, rendendola magnifica anche con la gonna bruciacchiata e la maglietta strappata dopo aver disinfestato una casa.
L’unica cosa che avevano ancora in comune era il sentimento di profondo affetto fraterno che provava per entrambe. Di questo ne era sicuro, ma, come tutte le volte in cui Anthony Lockwood era profondamente certo di qualcosa, si stava sbagliando.
 
***
 
Sapevo che quello era il momento giusto, io e Lockwood eravamo soli nella cucina della nostra casa a Portland Row a riprenderci dalle emozioni di quella notte.
Lui mi aveva salvata – di nuovo – afferrandomi prima che cadessi dal quarto piano di un balcone, direttamente sul cancello molto appuntito del numero 15 di Leight Street. Ci eravamo guardati intensamente negli occhi dopo che Lockwood mi aveva tirata in salvo e per un attimo mi ero illusa sarebbe scattata in quel momento la scintilla, poi la voce di George aveva rotto l’incantesimo, riportandoci alla realtà.
“Se non sono di troppo disturbo, mentre voi siete impegnati a farvi gli occhioni dolci, vorrei ricordarvi che c’è un Ossa-nude particolarmente aggressivo qui”
Il solito tempismo perfetto, anche se in effetti non aveva tutti i torti. Avevamo poi risolto il caso senza troppi – ulteriori – danni, George si era perfino incredibilmente offerto di rispondere alle domande di accertamento dalla DIRICOMM sulla Sorgente trovata. Ci aveva detto di andare pure a casa, magari a preparargli del cibo, ed eravamo talmente stanchi da aver accettato immediatamente l’offerta.
E qui torniamo da capo: io e Lockwood, da soli, nell’intimità della cucina. Il momento giusto.
A voler essere onesti non eravamo nella nostra condizione migliore, le occhiaie nere risaltavano più che mai sui volti pallidi, i capelli di Lockwood erano spettinati e pieni di ragnatele (e davvero non volevo conoscere lo stato dei miei) e soprattutto emettevamo un odore che avrebbe fatto concorrenza a quello di Flo Bones.
“Meglio se andiamo a farci una doccia, Luce” disse Lockwood rompendo il silenzio.
Io gli lanciai uno sguardo vacuo, persa nei miei pensieri, solo quando lo vidi venire verso di me scattai in piedi come se la sedia stesse andando a fuoco. Lo slancio fu un po’ eccessivo e Lockwood, che non se lo aspettava, non poté evitare l’impatto, ci stringemmo in una sorta di goffo abbraccio per evitare di perdere entrambi l’equilibrio cadendo rovinosamente e dopo alcuni attimi confusi di ondeggiamento finalmente ci stabilizzammo.
Eravamo vicini, appiccicati. Lockwood puntò lo sguardo nei miei occhi e forse capì cosa sarebbe successo, perché si fece improvvisamente allarmato, neanche avesse visto uno Spettro.
Probabilmente l’avrebbe preferito.
Non gli lasciai il tempo di tirarsi indietro, mi alzai appena in punta di piedi e premetti le mie labbra sulle sue. Era incredibile che nonostante le disavventure di quella notte fossero comunque così morbide, nonostante la puzza che ancora aleggiava attorno a noi le labbra sapevano di lui.
Il cuore mi batteva contro le costole quasi dolorosamente e sentivo lo stomaco leggero come un palloncino. Avrebbero dovuto mettere foto di me in quel glorioso momento sotto la voce “euforia” sul vocabolario.
Non fu uno di quei baci rubati, a fior di labbra. Non lo fu perché Lockwood non si scostò dopo il contatto iniziale né lo feci io. Fu un bacio lungo e intenso, un bacio da film.
Quando ci staccammo, entrambi rossi in volto e col fiatone, ci volle un po’ prima che uno dei due si decidesse a rompere il silenzio. Non che io avessi intenzione di parlare per prima, mi sembrava di aver già fatto abbastanza.
“Quindi...ehm...la doccia. Sì, insomma...vorrei andare a letto presto. Cioè, nel mio letto...non intendo, intendevo...” cominciò a balbettare alquanto imbarazzato il ragazzo “Meglio che...prima di George, sai. Io...”
Nel frattempo cominciò ad indietreggiare verso la porta della stanza, facendo cadere il calendario e uno sgabello nel tragitto.
“...io vado. Comunque, ehm, grazie”
E in un attimo fu sparito oltre l’uscio.
“Grazie? Grazie?” ripetei incredula nella cucina ormai vuota.
Mi lasciai cadere su una sedia con un sospiro rassegnato, la gioia che mi aveva invaso fino a poco prima si era dissipata come neve al sole e ora desideravo solamente affogare le mie delusioni nell’invitante piatto di ciambelle sul tavolo.
Non c’è bisogno che mi ringrazi
La voce del teschio mi fece letteralmente saltare sulla sedia, cercai il vaso con lo sguardo e lo vidi su uno scaffale in alto, seminascosto da un barattolo pieno di toffee. Dovetti trattenere un gemito di disperazione quando realizzai che aveva visto tutta la scena, di certo ora avrebbe avuto valanghe di materiale su cui prendermi in giro e anche lui ne era pienamente consapevole a giudicare dal suo ghigno. Anche se in effetti ghignava sempre, difficile fare altro quando sei un teschio.
Il mio piano ha funzionato a meraviglia! Lo sapevo che prima o poi quel bamboccio avrebbe colto i miei messaggi subliminali” continuò la voce palesemente divertita.
“Punto uno: non ha funzionato a meraviglia. Punto due: il tuo piano prevedeva che io e Lockwood uccidessimo George in modo tale che la nostra reciproca complicità per il delitto commesso facesse avvampare la passione tra di noi. Punto tre: ti vorrei uccidere per tutte le volte che hai fatto quelli stupidi cuoricini” elencai tutto d’un fiato, sfogando la rabbia che ora aveva cominciato a bruciarmi dentro.
Per quello arrivi tardi, ci ha già pensato qualcun altro” Perfino le orbite vuote del teschio sembravano prendersi gioco di me. “Fossi in te non sfogherei i miei dispiaceri mangiando ciambelle, peggiorerebbe solo le cose
“George se ne farà una ragione” borbottai, con in mano già il primo dolce.
Mi stavo riferendo ai tuoi fianchi” infierì l’altro.
Risposi con un gestaccio in direzione del vaso, ma rimisi sul piatto la ciambella ad ogni buon conto.
“Non puoi dire «Grazie» a qualcuno che ti ha appena baciato!” sbottai, ritornando al cuore di ciò che mi tormentava.
Sbaglio o è quello che il tuo Cavaliere in Nero ha appena fatto?
“Tu sì che sai come consolare qualcuno!”
Andiamo, Lucy!” mi rimbeccò il teschio con il tono spazientito di chi è costretto a spiegare un’ovvietà “Vedrai che andrà tutto secondo il piano. Però nel caso tu decida di suicidarti – e avresti tutto il mio appoggio – ti consiglio il classico-ma-sempre-efficace veleno, un impiccagione sarebbe troppo lunga da preparare
Stavo per dare una risposta per la quale mia mamma mi avrebbe lavato la bocca col sapone per una settimana intera, quando l’entrata di Lockwood in cucina mi ammutolì completamente. Riusciva sempre a meravigliarmi quel suo modo di muoversi silenzioso come un ninja e di confondersi fra le ombre come una di loro. Notai che non si era affatto lavato e mi chiesi, mentre l’ennesimo moto di disperazione mi sommergeva, da quanto tempo stesse ascoltando.
“Luce” disse, facendo un incerto passo avanti. Fece un lungo respiro e la sua espressione diventò di colpo risoluta. Un altro passo avanti, ora era decisamente entrato in una zona pericolosamente vicina a me, notai distrattamente che la presenza del teschio era svanita dalla mia mente, lasciandomi sola con Lockwood.
“Prima mi hai sorpreso” esordì con il suo solito mezzo sorriso, anche se riuscivo chiaramente a leggerci l’imbarazzo dietro “Beh, io sono sempre preso da altre cose: le relazioni sociali, i clienti, le spese dell’agenzia. Non pensavo, non mi ero accorto...insomma...”
Una parte di me stava trattenendo il respiro, colma di speranza, in attesa del verdetto finale; l’altra avrebbe semplicemente voluto che Lockwood smettesse di divagare, mi desse l’inevitabile colpo di grazia (magari condito di un “ma possiamo rimanere amici”) e andasse a fare una maledettissima doccia perché puzzava davvero tanto.
“Il punto è: mi piaci, credo. Penso di saperlo da un po’ e probabilmente una situazione di tensione-attrattiva irrisolta non porterebbe niente di buono, mi sembra di averlo letto in un libro. Quindi potremmo, se sei d’accordo, risolverla modificando lo stato del nostro attuale rapporto. Cosa ne pensi?”
Parlò a macchinetta, come se avesse imparato tutto a memoria e l’avesse ripetuto più volte allo specchio, probabilmente era ciò che aveva fatto. Io ero ancora troppo confusa dalla sua vicinanza per capire anche solo la più elementare delle frasi, figurarsi quel discorso contorto.
“È un modo carino per dire che non ti interesso?” domandai con un filo di voce.
“No, Luce” rispose lui e adesso il suo sorriso era rilassato, quasi divertito dalla mia faccia confusa “È un modo carino per chiederti di metterti con me”
“Oh”
Da qualche parte nella mia testa il teschio aveva ripreso a gongolare, ma in quel momento il mio cervello era occupato interamente dagli occhi scuri di Lockwood e dalla visione delle sue labbra che si avvicinavano.
  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Altro / Vai alla pagina dell'autore: Tamar10