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Autore: DarkRose86    09/05/2009    3 recensioni
Qualcuno lo chiamò giullare, osservandolo dimenarsi agitato fra la folla impazzita.
Qualcun altro parlò di lui come si parla d'un gladiatore, ricordando le sue mirabili gesta.
Altre persone, invece, lo definirono lo sporco risultato di un incantesimo non andato a buon fine.
Egli era un giullare, un gladiatore e una creatura magica.
Egli rappresentava il tutto e il niente.
Amore e odio, bene e male.
.II° classificata allo "Zetsu Contest", indetto da NekoRika ed Happyaku.
Dedicata alla mia neechan, Saeko
Genere: Drammatico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Deidara, Zetsu
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Fanfiction classificatasi II° allo "Zetsu Contest" , indetto da NekoRika ed Happyaku sul Forum di EFP. Un tributo al personaggio di Zetsu, troppo trascurato da tutti, persino da Kishimoto.

Una dedica alla mia neechan, Saeko no danna.
Ti voglio bene. <3

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Qualcuno lo chiamò giullare, osservandolo dimenarsi agitato fra la folla impazzita.
Qualcun altro parlò di lui come si parla d'un gladiatore, ricordando le sue mirabili gesta.
Altre persone, invece, lo definirono lo sporco risultato di un incantesimo non andato a buon fine. Egli era un giullare, un gladiatore e una creatura magica.
Egli rappresentava il tutto e il niente. Amore e odio, bene e male.


~ Il Seme della Follia ~
{ La Storia del Figlio dell'Elleboro Nero }

Una mattina, quando il sole era già alto nel cielo, un uomo ebbe un'idea; perché non creare qualcosa di unico, ineguagliabile? Chiunque avrebbe desiderato tale potere, ma solo uno come lui aveva la possibilità di mettere in pratica quell'illuminazione.
Consultò ogni libro che teneva in casa, soffiò via la polvere dalle copertine dei vecchi volumi e li sfogliò ad uno ad uno, in cerca della formula giusta. Trascorsero giorni e giorni, neanche dormì durante quelle tristi notti senza luna; doveva trovarla, doveva necessariamente fare ciò che s'era messo in testa.
Follia? Forse. Genio? Chissà.
La mente umana è materia curiosa, nessuno studioso potrà mai comprenderla davvero.
Fatto sta che l'uomo, infine, trovò quel che bramava; si trattava d'una lista di strani ingredienti, fra i quali spiccava il nome d'un fiore. Elleboro. Tale pianta cresceva rigogliosa sulla sua isola*, per cui non ebbe problemi a trovarne.
Egli non sapeva a cosa stesse andando incontro, quando cominciò a gettar ciò che serviva nel grande calderone; a giocar col fuoco si rischia sempre di scottarsi, ma lui non l'aveva mai imparato.
Davanti ai suoi occhi fiamme e scintille, mentre fuori rumoreggiava il temporale; perfino il cielo annunciava la venuta del figlio dello stregone immorale.

Non nacque dal calore d'una madre, ma dall'estro di colui che non chiamò mai padre. Possedeva un corpo diverso dalle altre persone, motivo di scherno e allo stesso tempo d'ammirazione. Poteva raccontar a se stesso i propri sentimenti e le proprie paure, parlando a voce alta; perché il bianco e il nero sono due facce della stessa medaglia.

In molti invidiavano la creazione del pazzo, ammirando la sua forza.
Essi non capivano, accecati dalla brama di potere; perché lui sapeva combattere, e all'occorrenza far divertire gli altri.
Egli non lo desiderava affatto, pero'; li odiava tutti. Tutti, nessuno escluso.
Li odiava perché ridevano di lui, chiamandolo mostro. Li odiava perché scommettevano sulla sua vittoria, quando combatteva per la sopravvivenza. Lo faceva semplicemente perché sentiva d'esser più potente di loro, ma gli mancava qualcosa.

~ ~ ~

Seduto su uno scoglio rimirava il mare, conversando con se stesso.
Come sono nato? ”
Perché ho voglia di uccidere? ”
Perché invidio coloro che possono camminare mano nella mano coi propri genitori? ”
Io... cosa sono? ”

Nato da un fiore e da chissà quali altri ingredienti, possedeva occhi con iridi gialle come polline, vuoti. La sua pelle era liscia e piacevole al tatto, ma spaventosamente bianca e nera. La sua testa era avvolta da una pianta; proprio così. Una pianta che pero' non somigliava affatto al bel fiore di cui possedeva le caratteristiche. Una pianta carnivora, atta ad uccidere per la gioia del suo creatore.

[ Come si può essere così crudeli? ]

Ciao! E tu chi sei? ” domandò una vocina alle sue spalle.
Sei vero? ”
Si voltò irritato, incrociando due occhi di cielo che l'osservavano incuriositi. Un bambino, probabilmente sui dieci anni. Un piccolo angelo, dai lunghi capelli biondi e un sorriso radioso.
Hai perso la lingua? ” insistette, agitando le braccia.
Se avesse potuto, avrebbe sorriso a quelle domande a raffica, che solo un innocente bimbo poteva porre; non s'era neppure reso conto di quant'era strana la creatura alla quale si era rivolto. Ma non era capace di sorridere, non lo era mai stato.
Non hai paura di me? ” chiese al ragazzino, scostandosi di qualche centimetro.
No, perché dovrei? ” fu la sua risposta, spontanea; si sedette accanto a lui, gettando sassolini in acqua. “ Come mai sei qui da solo? ”
Beh, perché... perché sono pericoloso. ”
Il piccolo lo scrutò con occhi spalancati, domandandosi come tutto ciò potesse essere possibile; colui che aveva avvicinato non solo possedeva un corpo decisamente fuori dal comune, ma la sua voce... era come se a parlare fossero due persone, invece di una.
Ora puoi andare, hai avuto la tua risposta. Vattene via. ” lo scacciò, ma l'altro non desistette; era sempre stato un tipo particolarmente curioso e, per qualche oscuro motivo, quello strano personaggio non lo spaventava.
No, non mi va. Voglio stare qui. ”
Ti ho già detto che sono pericoloso. ”
Temeva che l'impulso di strappare via la vita da quel giovane corpo prendesse il sopravvento sulla ragione, se egli non se ne fosse andato subito.
Ma in fondo, possedeva davvero una ragione?
Le sue mani erano costantemente sporche di sangue, così come i suoi vestiti; perché? Eppure, non amava particolarmente uccidere. Nonostante ciò, pero', mieteva vittime ogni giorno, e dopodiché si cibava di loro. Strano che nessuno avesse iniziato a sospettare di lui, dal momento che da quando era stato creato la gente aveva cominciato a scomparire nel nulla. O forse stavano tramando alle sue spalle... forse, quegli occhi attenti e disgustati erano pronti a colpire, a distruggerlo, a seppellirlo come meritava.
Come ti chiami? ”
Non ho un nome. Contento? ”
Era vero, non aveva un nome. Il suo creatore non gliene aveva mai messo uno.
Come sarebbe a dire? Ognuno di noi ha un nome, uhn! ”
Io non sono uno di voi. ” asserì, alzandosi in piedi, esausto. Non voleva più parlargli. Non voleva che anche il suo angelico essere venisse macchiato.
Aspetta! ” esclamò il biondino, afferrandogli il braccio, “ Ho capito, non hai amici! Possiamo diventarlo, se vuoi! Anche io non ho amici, dicono tutti che sono strano, perché mi piacciono le esplosioni! ”
Lo guardò basito, sorpreso da tanta determinazione. Cosa voleva quel ragazzino? Possibile che non si rendesse proprio conto del rischio che stava correndo, e che c'era qualcosa di strano in lui?
Senti, io... ora devo andare, davvero. ” disse, voltandosi e correndo via.
Il piccolo rimase a guardarlo mentre scompariva dalla sua visuale, domandandosi perché non gli andasse di stare assieme a lui. Eppure, sentiva che fra di loro v'era un feeling particolare. E poi, quell'assurdo personaggio gli ricordava in modo incredibile il protagonista di una storia che il suo danna, colui che l'aveva cresciuto dopo che era rimasto orfano*, gli aveva letto più volte.

Nato dal fiore che orgoglioso guarda al ciel sereno,
crebbe nella tempesta.
Nato dal fiore che cura e uccide,
simbolo di follia ma dolce come miele.
La pelle di inusuali sfumature,
gli occhi dorati e l'odor di foresta.
La malinconia e la rabbia dell'essere che era il tutto e il niente.
Il bene e il male. ”

Doveva saperne di più, non si sarebbe rassegnato per nulla al mondo. Perché il bisogno d'avere un amico che lo ascoltasse, principalmente quando elogiava la propria arte, era troppo forte. S'era incaponito - fanciullesca testardaggine- , tanto che gli corse dietro, desideroso di sapere da dove egli provenisse, e il motivo per cui sosteneva di non avere un nome.
Ti ho detto di starmi alla larga, moccioso, o la prossima volta non sarò così clemente! ” tuonò la creatura, accorgendosi che lo stava seguendo.
Io mi chiamo Deidara, uhn! ” sorrise, come se non avesse udito le sue parole, “ Se vuoi... posso darti io un nome. ”
L'altro sussultò, e non capì perché aveva la sensazione che il suo cuore avesse come perso un battito. Era la prima volta che si sentiva così, e che qualcuno lo trattava come una persona, non come un oggetto.
Lasciami in pace. ”
Che ne dici di... Zetsu? ” propose, “ Come il mio eroe delle fiabe. ”
Zetsu...? ”
Effettivamente... suonava bene, sì. Ma, alla fine, ad uno come lui cosa serviva avere un nome? Pero'...
L'espressione felice del suo giovane interlocutore finì col contagiarlo e pensò che, per un po', non c'era niente di male nel volersi regalare un sogno.
Ti piace? ”
Annuì con un cenno del capo, senza proferir parola. Si sentiva dannatamente strano. Era solo un mostro... no? E allora perché provava quelle sensazioni, peraltro alquanto fastidiose? Non seppe spiegarselo.
Forse proprio quello gli mancava: l'esser compreso.
Si sedette di nuovo in riva al mare in compagnia di Deidara, che iniziò a parlargli a raffica della sua passione per l'Arte. Egli sosteneva, estremamente convinto, che l'arte fosse esplosione; qualcosa d'effimero, della lunghezza di un istante. Amava le emozioni brevi ma particolarmente intense, come il veloce volo d'un gabbiano, una candela accesa destinata a consumarsi in fretta, una lacrima che scorre silenziosa sulla guancia. Per questo tutti lo consideravano un bambino “ strano ”, e dunque i suoi coetanei lo evitavano.
Sai cos'altro mi piace? I fiori! Il loro profumo, soprattutto! E tu... somigli così tanto ad un fiore! ” sentenziò con sguardo sognante, avvicinandosi di più al suo nuovo “amico”.
Aveva appena detto di ritenerlo somigliante ad un fiore... ma lui non possedeva quella grazia, né quel fascino.

Un fiore nel corpo d'un assassino senza scrupoli.
Una mente deviata nel corpo di una creatura che non sarebbe dovuta esistere.
Figlio dell'elleboro nero.

Profumi... come il fiore che mi piace tanto. Ma Sasori no danna dice che non mi devo avvicinare ad esso, perché porta dolore e morte. ” spiegò, rattristandosi, “ Lui non mi capisce perché dice che l'arte è eterna... ma non è così; i fiori sono così belli, così artistici proprio perché appassiscono in fretta! ”
S'incaponiva di continuo riguardo quel discorso, e Zetsu lo ascoltava senza dire nulla; aveva avvertito una strana sensazione, come un brivido, quand'egli gli aveva detto che profumava. Com'era possibile?

Tu... dove sei nato? Hai dei genitori? ”
Io... non lo so. ” rispose, stringendo spasmodicamente i pugni. Il suo creatore gli aveva detto d'averlo trovato abbandonato sulla spiaggia, incosciente; ma lui non ricordava nulla di tutto ciò. Amnesia, aveva ipotizzato.
Voglio farti leggere una cosa! ” disse il bimbo, tirando fuori un vecchio libro dalla sacca che si portava appresso.
Non so leggere.
Oh... allora lo leggerò io per te. ”

L'uomo dalle troppe ambizioni vagò per giorni e giorni alla ricerca degli ingredienti adatti.
Per chilometri, lasciando le paure in un remoto angolo del cuore, camminò senza sosta.
Sulla sua isola cresceva l'elleboro, il fiore dei pazzi.

Perché venisse chiamato così, nessuno aveva saputo spiegarglielo;
solo gli avevano detto: - Sta attento, stregone. Ti pentirai amaramente del tuo gesto. - .
Ma chi è arrendevole nulla ottiene dalla crudele realtà.

Trovò il fiore e gli altri oggetti indispensabili, poi li riunì tutti in un fumante calderone;
il mago recitò a voce alta la formula che avrebbe trascinato il regno nell'abisso più profondo.
Perché il figlio dell'elleboro non perdona.
Egli è folle ma profuma di fiori. Egli è buono ma cattivo, cattivo ma buono. Egli è vita e morte.

Temetelo, amatelo, e temetelo ancora. ”

Ti assomiglia... no? ”
Sul volto di Zetsu si dipinse una maschera d'odio all'udire quelle parole, scandite con entusiasmo dalla squillante voce del ragazzino.

Egli si chiama Zetsu, provoca gioia e distruzione, lacrime e sorrisi.”

Fu come risvegliarsi da un sonno durato cent'anni.
Inconsciamente s'alzò di scatto, correndo via, sotto lo sguardo sbigottito del bimbo; questa volta, pero', lui non lo seguì. Non lo seguì perché aveva letto vendetta negli occhi vitrei di colui che era un giullare, un gladiatore, e una creatura magica.

[ Perché quel libro parlava di lui. ]

Fece irruzione nella piccola casa del “padre”, incontrando il suo volto, e quel maledetto ghigno che pian piano si trasformò in un'espressione di puro, meraviglioso terrore. Scatenò la sua rabbia sul suo corpo inerme, troppo debole per contrastare il potere da lui stesso risvegliato; lo strattonò per i capelli, mentre chiedeva pietà. Solo una cosa non disse mai, neanche in punto morte: mi dispiace. Quella creatura non sarebbe dovuta esistere, eppure lui non si pentì d'averla data alla luce ignorando gli insegnamenti degli dei e dei suoi avi. Non si pentì di aver fatto conoscere ai posteri la vera essenza della follia.

[ Il figlio dell'elleboro non perdona. ]

Giacque senza vita sul pavimento in una pozza di sangue, con gli occhi ancora aperti sul mondo, ma ormai divenuti ciechi. Al suo fianco un vecchio libro con una copertina color cremisi, rilegata in velluto. Zetsu ai suoi piedi, a sogghignare soddisfatto, bene e male fusi insieme; perché ciò che è folle non può non possedere almeno un minimo di bontà in sé.
Non si cibò del suo creatore, provò ribrezzo per lui.
Se ne andò, chiudendosi la porta alle spalle, guardando dritto di fronte a sé. Doveva trovarli, e vendicarsi di loro. Doveva ammazzarli tutti, dal primo all'ultimo. Quelli che avevano riso di lui, che l'avevano usato come un fenomeno da baraccone. Ed anche quelli che l'avevano ammirato, perché erano indubbiamente folli quanto lui.
Vagò per giorni fra le abitazioni seminando terrore, e terminò quasi l'intera isola; nessuno riuscì a fermare la sua furia. Solo una persona rimase, una persona che gli aveva dato un nome, e trattato come un essere umano.
Tu... devi andartene via, non hai visto quello che ho fatto? ”
Non ho un posto dove andare; il mio danna è scomparso in mare, ed io non so più che cosa fare. ” rispose Deidara, con gli occhi lucidi, aggrappandosi al braccio dell'amico, “ Vieni con me, te ne prego. ”
I due si fecero strada fra le carcasse, il sangue e l'odore di morte, giungendo in un boschetto dalla fitta vegetazione.
Lo sai che l'elleboro viene chiamato anche Rosa di Natale? ” disse, indicando dei fiori che si trovavano a pochi metri da loro, “ Io ho sempre amato il Natale... perché il danna mi regalava delle bambole splendide. Le costruiva lui... era veramente un artista, anche se non condividevo le sue idee. ” continuò, avvicinandosi alle piantine.
I fiori erano rigogliosi e profumati, Zetsu li ammirò rapito. Davvero era nato da tale, naturale bellezza?
Gli anziani dicono che questo fiore cura i malati. Cura chi è pazzo. Ma dicono anche che è velenoso, che uccide... quale sarà la verità? ”
Forse... ”
S'inginocchiò di fronte alla folta vegetazione.
...entrambe le affermazioni sono veritiere.
Se è così, allora che effetto potrebbe mai avere su noi due? ” domandò curioso, prendendone uno in mano, ammirandolo.
Chi può dirlo... ”

Post Scriptum:

un giorno, la creatura un bambino incontrò.
Il piccolo essere umano con occhi sinceri ed entusiasti lo guardò,
e amico, lo chiamò.
Assieme a colui che la gente dell'isola della vita privò,
nella foresta scappò.
Senza paura colse il fiore d'elleboro, e l'odorò.
Che effetto mai potrà avere sulle persone, si domandò...

I folli e gli innocenti camminano mano nella mano lungo l'impervio sentiero della vita.
Forse perché anche nell'innocente v'è traccia di follia, anche se non la si vede né la si immagina. ”

E se fosse velenoso? ”
Pazienza. Vorrà dire che la mia vita sarà stata una breve, ma splendida esplosione. ”
Sei un folle piccolo. Sei un folle.

Vammi in cerca dell'Elleboro nero, che il senno renda a questa creatura. * ”

Fine ~

Note:

*1 – riferimento all'isola di Antikyra nella quale, secondo il poeta Orazio, i folli dovevano recarsi per curare la propria condizione mentale; sulla suddetta isola, l'elleboro cresce abbondantemente. La fonte delle informazioni, pero', cita l'elleboro verde e non quello nero o Rosa di Natale, che ho utilizzato nella fanfiction.
Si può dire che la storia si ambientata nell'isola sopracitata ( anche se nel testo non lo specifico ), cambiando la specie di fiore presente su di essa.

*2 – chiaramente ( come spiego alcuni paragrafi dopo ), colui che accoglie Deidara dopo che questi è rimasto orfano è Sasori. Essendo quest'ultimo molto più grande di lui ( anche nella storia originale ), può tranquillamente far da tutore al bimbo.

*3 – citazione estrapolata da un'opera di Gabriele D'Annunzio, “ La Figlia di Iorio ”.

I testi del libro che Deidara legge li ho scritti io, senza trarre alcuna ispirazione da altre opere.






  
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