Fanfiction classificatasi II° allo "Zetsu Contest" , indetto da NekoRika ed Happyaku sul Forum di EFP. Un tributo al personaggio di Zetsu, troppo trascurato da tutti, persino da Kishimoto.
Ti voglio bene. <3
Qualcuno
lo chiamò
giullare, osservandolo dimenarsi agitato
fra la folla impazzita.
Qualcun altro parlò di lui come si parla d'un gladiatore,
ricordando le sue mirabili gesta.
Altre persone, invece, lo definirono lo sporco risultato di un
incantesimo non andato a buon fine. Egli era un giullare, un
gladiatore e una creatura magica.
Egli rappresentava il tutto e il niente. Amore e odio, bene e
male.
~
Il Seme della Follia ~
{ La
Storia del Figlio dell'Elleboro Nero }
Una
mattina, quando il sole era già alto nel cielo, un uomo ebbe
un'idea; perché non creare qualcosa di unico,
ineguagliabile?
Chiunque avrebbe desiderato tale potere, ma solo uno come lui aveva
la possibilità di mettere in pratica quell'illuminazione.
Consultò
ogni libro che teneva in casa, soffiò via la polvere dalle
copertine dei vecchi volumi e li sfogliò ad uno ad uno, in
cerca della formula giusta. Trascorsero giorni e giorni, neanche
dormì durante quelle tristi notti senza luna; doveva
trovarla,
doveva necessariamente fare ciò che s'era messo in testa.
Follia?
Forse. Genio? Chissà.
La mente
umana è materia curiosa, nessuno studioso potrà
mai
comprenderla davvero.
Fatto
sta che l'uomo, infine, trovò quel che bramava; si trattava
d'una lista di strani ingredienti, fra i quali spiccava il nome d'un
fiore. Elleboro. Tale pianta cresceva rigogliosa
sulla sua
isola*, per cui non ebbe problemi a trovarne.
Egli non
sapeva a cosa stesse andando incontro, quando cominciò a
gettar ciò che serviva nel grande calderone; a giocar col
fuoco si rischia sempre di scottarsi, ma lui non l'aveva mai
imparato.
Davanti ai
suoi occhi fiamme e scintille, mentre fuori rumoreggiava il
temporale; perfino il cielo annunciava la venuta del figlio dello
stregone immorale.
Non nacque dal calore d'una madre, ma dall'estro di colui che non chiamò mai padre. Possedeva un corpo diverso dalle altre persone, motivo di scherno e allo stesso tempo d'ammirazione. Poteva raccontar a se stesso i propri sentimenti e le proprie paure, parlando a voce alta; perché il bianco e il nero sono due facce della stessa medaglia.
In
molti invidiavano la creazione del pazzo, ammirando
la sua
forza.
Essi non
capivano, accecati dalla brama di potere; perché lui sapeva
combattere, e all'occorrenza far divertire gli altri.
Egli
non lo desiderava affatto, pero'; li odiava tutti.
Tutti,
nessuno escluso.
Li odiava
perché ridevano di lui, chiamandolo mostro. Li odiava
perché
scommettevano sulla sua vittoria, quando combatteva per la
sopravvivenza. Lo faceva semplicemente perché sentiva
d'esser
più potente di loro, ma gli mancava qualcosa.
~ ~ ~
Seduto su
uno scoglio rimirava il mare, conversando con se stesso.
“
Come
sono nato? ”
“
Perché
ho voglia di uccidere? ”
“
Perché
invidio coloro che possono camminare mano nella mano coi propri
genitori? ”
“
Io...
cosa sono? ”
Nato da un fiore e da chissà quali altri ingredienti, possedeva occhi con iridi gialle come polline, vuoti. La sua pelle era liscia e piacevole al tatto, ma spaventosamente bianca e nera. La sua testa era avvolta da una pianta; proprio così. Una pianta che pero' non somigliava affatto al bel fiore di cui possedeva le caratteristiche. Una pianta carnivora, atta ad uccidere per la gioia del suo creatore.
[ Come si può essere così crudeli? ]
“
Ciao!
E tu chi sei? ” domandò una vocina alle sue spalle.
“
Sei
vero? ”
Si voltò irritato, incrociando due occhi di cielo che
l'osservavano incuriositi. Un bambino, probabilmente sui dieci anni.
Un piccolo angelo, dai lunghi capelli biondi e un sorriso radioso.
“
Hai
perso la lingua? ” insistette, agitando le braccia.
Se avesse potuto, avrebbe sorriso a quelle domande a raffica, che
solo un innocente bimbo poteva porre; non s'era neppure reso conto di
quant'era strana la creatura alla quale si era rivolto. Ma non era
capace di sorridere, non lo era mai stato.
“
Non
hai paura di me? ” chiese al ragazzino, scostandosi di
qualche
centimetro.
“
No,
perché dovrei? ” fu la sua risposta, spontanea; si
sedette
accanto a lui, gettando sassolini in acqua. “ Come mai sei
qui da
solo? ”
“
Beh,
perché... perché sono
pericoloso.
”
Il piccolo lo scrutò con occhi spalancati, domandandosi come
tutto ciò potesse essere possibile; colui che aveva
avvicinato
non solo possedeva un corpo decisamente fuori dal comune, ma la sua
voce... era come se a parlare fossero due persone, invece di una.
“
Ora
puoi andare, hai avuto la tua risposta. Vattene
via.
” lo scacciò, ma l'altro non desistette; era
sempre stato un
tipo particolarmente curioso e, per qualche oscuro motivo, quello
strano personaggio non lo spaventava.
“
No,
non mi va. Voglio stare qui. ”
“
Ti
ho già detto che sono pericoloso.
”
Temeva che l'impulso di strappare via la vita da quel giovane corpo
prendesse il sopravvento sulla ragione, se egli non se ne fosse
andato subito.
Ma in fondo, possedeva davvero una ragione?
Le sue mani erano costantemente sporche di sangue, così come
i
suoi vestiti; perché? Eppure, non amava particolarmente
uccidere. Nonostante ciò, pero', mieteva vittime ogni
giorno,
e dopodiché si cibava di loro. Strano che nessuno avesse
iniziato a sospettare di lui, dal momento che da quando era stato
creato la gente aveva cominciato a scomparire nel nulla. O forse
stavano tramando alle sue spalle... forse, quegli occhi attenti e
disgustati erano pronti a colpire, a distruggerlo, a seppellirlo come
meritava.
“
Come
ti chiami? ”
“
Non
ho un nome. Contento? ”
Era vero, non aveva un nome. Il suo creatore non gliene aveva mai
messo uno.
“
Come
sarebbe a dire? Ognuno di noi ha un nome, uhn! ”
“
Io
non sono uno di voi. ”
asserì, alzandosi in piedi, esausto. Non voleva
più
parlargli. Non voleva che anche il suo angelico essere venisse
macchiato.
“
Aspetta!
” esclamò il biondino, afferrandogli il braccio,
“ Ho
capito, non hai amici! Possiamo diventarlo, se vuoi! Anche io non ho
amici, dicono tutti che sono strano, perché mi piacciono le
esplosioni! ”
Lo guardò basito, sorpreso da tanta determinazione. Cosa
voleva quel ragazzino? Possibile che non si rendesse proprio conto
del rischio che stava correndo, e che c'era qualcosa di strano in
lui?
“
Senti,
io... ora devo andare, davvero. ” disse, voltandosi e
correndo via.
Il piccolo rimase a guardarlo mentre scompariva dalla sua visuale,
domandandosi perché non gli andasse di stare assieme a lui.
Eppure, sentiva che fra di loro v'era un feeling particolare. E poi,
quell'assurdo personaggio gli ricordava in modo incredibile il
protagonista di una storia che il suo danna, colui che l'aveva
cresciuto dopo che era rimasto orfano*, gli aveva letto più
volte.
“
Nato
dal fiore che orgoglioso guarda al ciel sereno,
crebbe nella tempesta.
Nato dal fiore che cura e uccide,
simbolo di follia ma dolce come miele.
La pelle di inusuali sfumature,
gli occhi dorati e l'odor di foresta.
La malinconia e la rabbia dell'essere che era il tutto e il
niente.
Il bene e il male. ”
Doveva saperne di più, non si sarebbe rassegnato per nulla
al
mondo. Perché il bisogno d'avere un amico che lo ascoltasse,
principalmente quando elogiava la propria arte, era troppo forte.
S'era incaponito - fanciullesca testardaggine- , tanto che gli corse
dietro, desideroso di sapere da dove egli provenisse, e il motivo per
cui sosteneva di non avere un nome.
“
Ti
ho detto di starmi alla larga, moccioso, o la prossima volta non
sarò
così clemente!
” tuonò
la creatura, accorgendosi che lo stava seguendo.
“
Io
mi chiamo Deidara, uhn! ” sorrise, come se non avesse udito
le sue
parole, “ Se vuoi... posso darti io un nome. ”
L'altro sussultò, e non capì perché
aveva la
sensazione che il suo cuore avesse come perso un battito. Era la
prima volta che si sentiva così, e che qualcuno lo trattava
come una persona, non come un oggetto.
“
Lasciami
in pace. ”
“
Che
ne dici di... Zetsu? ” propose, “ Come il mio eroe
delle fiabe. ”
“
Zetsu...?
”
Effettivamente... suonava bene, sì. Ma, alla fine, ad uno
come
lui cosa serviva avere un nome? Pero'...
L'espressione
felice del suo giovane interlocutore finì col contagiarlo e
pensò che, per un po', non c'era niente di male nel volersi
regalare un sogno.
“
Ti
piace? ”
Annuì con un cenno del capo, senza proferir parola. Si
sentiva
dannatamente strano. Era solo un mostro... no? E allora
perché
provava quelle sensazioni, peraltro alquanto fastidiose? Non seppe
spiegarselo.
Forse proprio quello gli mancava: l'esser compreso.
Si sedette di nuovo in riva al mare in compagnia di Deidara, che
iniziò a parlargli a raffica della sua passione per l'Arte.
Egli sosteneva, estremamente convinto, che l'arte fosse esplosione;
qualcosa d'effimero, della lunghezza di un istante. Amava le emozioni
brevi ma particolarmente intense, come il veloce volo d'un gabbiano,
una candela accesa destinata a consumarsi in fretta, una lacrima che
scorre silenziosa sulla guancia. Per questo tutti lo consideravano un
bambino “ strano ”, e dunque i suoi coetanei lo
evitavano.
“
Sai
cos'altro mi piace? I fiori! Il loro profumo, soprattutto! E tu...
somigli così tanto ad un fiore! ”
sentenziò con
sguardo sognante, avvicinandosi di più al suo nuovo
“amico”.
Aveva appena detto di ritenerlo somigliante ad un fiore... ma lui non
possedeva quella grazia, né quel fascino.
Un fiore nel corpo d'un assassino senza scrupoli.
Una mente deviata nel corpo di una creatura che non sarebbe
dovuta
esistere.
Figlio dell'elleboro nero.
“
Profumi...
come il fiore che mi piace tanto. Ma Sasori no danna dice che non mi
devo avvicinare ad esso, perché porta dolore e morte.
”
spiegò, rattristandosi, “ Lui non mi capisce
perché
dice che l'arte è eterna... ma non è
così; i
fiori sono così belli, così artistici proprio
perché
appassiscono in fretta! ”
S'incaponiva
di continuo riguardo quel discorso, e Zetsu lo ascoltava senza dire
nulla; aveva avvertito una strana sensazione, come un brivido,
quand'egli gli aveva detto che profumava. Com'era
possibile?
“
Tu...
dove sei nato? Hai dei genitori? ”
“
Io...
non lo so. ” rispose, stringendo spasmodicamente i pugni. Il
suo
creatore gli aveva detto d'averlo trovato abbandonato sulla spiaggia,
incosciente; ma lui non ricordava nulla di tutto ciò.
Amnesia,
aveva ipotizzato.
“
Voglio
farti leggere una cosa! ” disse il bimbo, tirando fuori un
vecchio
libro dalla sacca che si portava appresso.
“
Non
so leggere. ”
“
Oh...
allora lo leggerò io per te. ”
“
L'uomo
dalle troppe ambizioni vagò per giorni e giorni alla ricerca
degli ingredienti adatti.
Per chilometri, lasciando le paure in un remoto angolo del
cuore,
camminò senza sosta.
Sulla sua isola cresceva l'elleboro, il fiore dei pazzi.
Perché venisse chiamato così, nessuno
aveva saputo
spiegarglielo;
solo gli avevano detto: - Sta attento, stregone. Ti pentirai
amaramente del tuo gesto. - .
Ma chi è arrendevole nulla ottiene dalla crudele
realtà.
Trovò il fiore e gli altri oggetti indispensabili,
poi li
riunì tutti in un fumante calderone;
il mago recitò a voce alta la formula che avrebbe
trascinato il regno nell'abisso più profondo.
Perché il figlio dell'elleboro non perdona.
Egli è folle ma profuma di fiori. Egli è
buono ma
cattivo, cattivo ma buono. Egli è vita e morte.
Temetelo, amatelo, e temetelo ancora. ”
“
Ti
assomiglia... no? ”
Sul volto di Zetsu si dipinse una maschera d'odio all'udire quelle
parole, scandite con entusiasmo dalla squillante voce del ragazzino.
“ Egli si chiama Zetsu, provoca gioia e distruzione, lacrime e sorrisi.”
Fu come risvegliarsi da un sonno durato cent'anni.
Inconsciamente s'alzò di scatto, correndo via, sotto lo
sguardo sbigottito del bimbo; questa volta, pero', lui non lo
seguì.
Non lo seguì perché aveva letto vendetta negli
occhi
vitrei di colui che era un giullare, un gladiatore, e una creatura
magica.
[ Perché quel libro parlava di lui. ]
Fece irruzione nella piccola casa del “padre”, incontrando il suo volto, e quel maledetto ghigno che pian piano si trasformò in un'espressione di puro, meraviglioso terrore. Scatenò la sua rabbia sul suo corpo inerme, troppo debole per contrastare il potere da lui stesso risvegliato; lo strattonò per i capelli, mentre chiedeva pietà. Solo una cosa non disse mai, neanche in punto morte: mi dispiace. Quella creatura non sarebbe dovuta esistere, eppure lui non si pentì d'averla data alla luce ignorando gli insegnamenti degli dei e dei suoi avi. Non si pentì di aver fatto conoscere ai posteri la vera essenza della follia.
[ Il figlio dell'elleboro non perdona. ]
Giacque senza vita sul pavimento in una pozza di sangue, con gli
occhi ancora aperti sul mondo, ma ormai divenuti ciechi. Al suo
fianco un vecchio libro con una copertina color cremisi, rilegata in
velluto. Zetsu ai suoi piedi, a sogghignare soddisfatto, bene e male
fusi insieme; perché ciò che è folle
non può
non possedere almeno un minimo di bontà in sé.
Non si cibò del suo creatore, provò ribrezzo per
lui.
Se ne andò, chiudendosi la porta alle spalle, guardando
dritto
di fronte a sé. Doveva trovarli, e vendicarsi di loro.
Doveva
ammazzarli tutti, dal primo all'ultimo. Quelli che avevano riso di
lui, che l'avevano usato come un fenomeno da baraccone. Ed anche
quelli che l'avevano ammirato, perché erano indubbiamente
folli quanto lui.
Vagò per giorni fra le abitazioni seminando terrore, e
terminò
quasi l'intera isola; nessuno riuscì a fermare la sua furia.
Solo una persona rimase, una persona che gli aveva dato un nome, e
trattato come un essere umano.
“
Tu...
devi andartene via, non hai visto quello che ho fatto? ”
“
Non
ho un posto dove andare; il mio danna è scomparso in mare,
ed
io non so più che cosa fare. ” rispose Deidara,
con gli
occhi lucidi, aggrappandosi al braccio dell'amico, “ Vieni
con me,
te ne prego. ”
I due si fecero strada fra le carcasse, il sangue e l'odore di morte,
giungendo in un boschetto dalla fitta vegetazione.
“
Lo
sai che l'elleboro viene chiamato anche Rosa di Natale? ”
disse,
indicando dei fiori che si trovavano a pochi metri da loro, “
Io ho
sempre amato il Natale... perché il danna mi regalava delle
bambole splendide. Le costruiva lui... era veramente un artista,
anche se non condividevo le sue idee. ” continuò,
avvicinandosi alle piantine.
I fiori erano rigogliosi e profumati, Zetsu li ammirò
rapito.
Davvero era nato da tale, naturale bellezza?
“
Gli
anziani dicono che questo fiore cura i malati. Cura chi è
pazzo. Ma dicono anche che è velenoso, che uccide... quale
sarà la verità? ”
“
Forse...
”
S'inginocchiò di fronte alla folta vegetazione.
“
...entrambe
le affermazioni sono veritiere.
”
“
Se
è così, allora che effetto potrebbe mai avere su
noi
due? ” domandò curioso, prendendone uno in mano,
ammirandolo.
“
Chi
può dirlo... ”
“ Post Scriptum:
un giorno, la creatura un bambino incontrò.
Il piccolo essere umano con occhi sinceri ed entusiasti lo
guardò,
e amico, lo chiamò.
Assieme a colui che la gente dell'isola della vita
privò,
nella foresta scappò.
Senza paura colse il fiore d'elleboro, e l'odorò.
Che effetto mai potrà avere sulle persone, si
domandò...
I folli e gli innocenti camminano mano nella mano lungo
l'impervio
sentiero della vita.
Forse perché anche nell'innocente v'è
traccia di
follia, anche se non la si vede né la si immagina.
”
“
E
se fosse velenoso? ”
“
Pazienza.
Vorrà dire che la mia vita sarà stata una breve,
ma
splendida esplosione. ”
“
Sei
un folle piccolo. Sei un folle.
”
“ Vammi in cerca dell'Elleboro nero, che il senno renda a questa creatura. * ”
Fine ~
Note:
*1 – riferimento all'isola di Antikyra nella quale, secondo
il
poeta Orazio, i folli dovevano recarsi per curare la propria
condizione mentale; sulla suddetta isola, l'elleboro cresce
abbondantemente. La fonte delle informazioni, pero', cita l'elleboro
verde e non quello nero o Rosa di Natale, che ho utilizzato nella
fanfiction.
Si può dire che la storia si ambientata nell'isola
sopracitata
( anche se nel testo non lo specifico ), cambiando la specie di fiore
presente su di essa.
*2 – chiaramente ( come spiego alcuni paragrafi dopo ), colui che accoglie Deidara dopo che questi è rimasto orfano è Sasori. Essendo quest'ultimo molto più grande di lui ( anche nella storia originale ), può tranquillamente far da tutore al bimbo.
*3 – citazione estrapolata da un'opera di Gabriele D'Annunzio, “ La Figlia di Iorio ”.
I testi del libro che Deidara legge li ho scritti io, senza trarre alcuna ispirazione da altre opere.