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Autore: varisaura    13/10/2016    0 recensioni
"Vorrei rivedere gli occhi diaspro di cui mi sono innamorata, le braccia scoperte a malapena lambite dal cotone delle maniche corte, le venature sulle tue mani come se fossi una foglia in ottobre, lo sguardo con cui ti accorgeresti di me."
Dedicato a P.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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La notte scende inesorabile sulla città che ci ha fatto incontrare e che allo stesso tempo ci divide. Vedo le luci dei lampioni che iniziano ad accendersi, dapprima flebili, fioche, per poi diventare sempre più fulgide. Un gruppo di persone – amici, compagni, cosa sono? -  mi trascina per la via principale della città, in attesa di vedere dei giovani alti e biondi che possano degnarle di una parola o anche solo di un semplice sguardo, e io mi lascio trascinare, pur scocciata, perché sotto sotto spero di riuscire a vedere anche te.
Eppure, al solo finire di formulare un pensiero, mi rendo conto di quanto sia visionaria e stupida solo ad immaginare di poterti vedere. Mentre le ragazze davanti a me scorrazzano velocemente e felicemente, piene di speranza e di allegria, io le seguo a passo forzato e tormentato, come se fossi un’anima costretta ad un’eternità di dannazione infernale.
Sbuffo rumorosamente, di modo che possano sentirmi e finalmente capire che esiste anche un’altra persona che non è interessata alle persone che loro sperano di poter incontrare, ma presto mi rendo conto dell’inutilità di tutto ciò. Non lo capiranno, devo solo stare zitta e sorridere, sperando che questa tortura finisca presto.
Nella grande via passeggiano giovani e adulti, bambini e anziani che si tengono mano nella mano, ragazze in gruppi da sette, pseudo-maschi che sembrano plasmati da degli stampi, ragazze bionde e con gli occhi azzurri che ci guardano come se invidiassero chi vive in una città come la nostra, e io mi sento come se non esistessi più davanti a tutta la gente che viene e va, che sale e scende, che parte e torna.
Guardo la bellezza del cielo violaceo che diventa sempre più nero, e non posso fare a meno di pensare a te, nonostante non ci sia un collegamento preciso tra te e il nero. Forse è meglio dire che guardo il pallore delle stelle e della serena luna e spero che anche tu stia guardando la meraviglia sopra di noi. Nulla a che vedere con i tuoi occhi spenti, i tuoi capelli cinerei e il pallore ormai non più perlaceo della tua pelle, mi pare ovvio, ma se io mi sono innamorata di questo, non significa che non sia in grado di apprezzare la bellezza di tutto quello che dall’uomo non fu costruito, ma solo scoperto.
Vorrei rivederti. Vorrei rivederti sotto questo cielo di luglio, con la brezza delicata che accarezza la mia pelle come dovrebbe la tua mano. Vorrei rivedere gli occhi diaspro di cui mi sono innamorata, le braccia scoperte a malapena lambite dal cotone delle maniche corte, le venature sulle tue mani come se fossi una foglia in ottobre, lo sguardo con cui ti accorgeresti di me.
Vorrei rivederti perché in questo momento non sono in me. Mi sento come ipnotizzata da qualcosa che non c’è e non ci sarà mai, ma che mi piace credere che arriverà. Mi sento trasportata da una necessità, più che una voglia, come il vento d’autunno sconvolge le foglie rossastre e secche.
Dovrei rivederti perché un altro giorno di attesa potrebbe essere troppo tardi, troppo tardi per salvare il poco che è rimasto in me. Perché questi giorni senza te sono stati un vero inferno, una costante sofferenza per un’attesa che speravo finisse presto, ma allo stesso tempo passata a capire cosa attendessi, cosa sarebbe dovuto succedere nella mia vita per far sì che l’angoscia finisse.
E anche vedendoti, cosa dovrebbe mai cambiare in me? Penso che starei ancora peggio. Perché guardandoti felice accanto a tua moglie, forse anche accanto ai tuoi figli, mi risveglierei dallo stato di ipnosi e ti sorriderei. Ma non ti sorriderei con un altro fine, soltanto con una sincera sensazione di realizzazione. Un sorriso puro, di cui però ora come ora spero che ti innamoreresti, e con cui capiresti che forse sono io la donna della tua vita.
Si è fatta ormai notte, e non penso più al mondo che mi circonda. Non penso più al dolore delle mie gambe, non penso più alla futilità di quello che sto facendo, non penso più a te. Penso che se mi vedessi adesso, mi vedresti proprio al peggio del mio stato fisico e mentale. Non capisco più quello che sto facendo, non voglio che le ragazze davanti a me se ne accorgano, non voglio l’attenzione di nessuno, forse nemmeno la tua.
Vedresti lo sguardo allucinato e disinteressato di una ragazzina, l’espressione confusa che ho in volto, il vuoto che i miei occhi sembrano fissare, il percorso che le mie gambe seguono notando sfocate le gambe delle ragazze che mi precedono, il grigio della strada scurita dal cielo e illuminata dalle lanterne a muro. Non so da quanto tempo giriamo, fatto sta che d’un tratto mi ritrovo seduta su uno spalto, non so neanche come. Quando mi sono seduta, non lo so. Quando ho percepito la sensazione del ferro dello scalino sotto di me, non lo so. Non ho idea di chi ci sia vicino a me, non so se siano le ragazze che mi hanno trasportata fino a lì, o se siano state le mie necessità a farmi sedere e quindi sono vicina a dei completi estranei.
Non distinguo nessuna voce, nessun volto, nessuna chioma familiare, sono sola. Sola e fissa mentre il mondo si muove e non ha pietà per chi è fermo. Eppure sento la testa girarmi, sento il freddo pervadermi il corpo, e forse ora come ora ho bisogno di te. Vorrei che tu sentissi il desiderio irrefrenabile, la necessità di appoggiare un braccio sulle mie spalle e avvolgermi in un abbraccio anche solo per una volta, anche solo per sentire il ghiaccio del mio animo sciogliersi mentre ci sei tu.
Vorrei che tu fossi qui, vicino a me, anche senza accorgerti di me. Vorrei che tu continuassi a guardare quello che c’è davanti a te senza farti domande su chi è l’estranea vicino a te. L’hai detto, un’estranea, nient’altro.
Sono troppo debole anche solo per avere dei desideri seri, normali, mortali. Non riesco a pensare più a nulla, ma vedo soltanto le forti luci dei riflettori del palcoscenico davanti a noi che sembrano quasi essere rivolte proprio verso di me, per quanto sono accecanti.
Riesco a sentire una serie indistinta di suoni, voci, musica d’attesa a basso volume, risa, parole alla rinfusa che non hanno né capo né coda, e mentre mi guardo attorno vedo indistintamente una chioma d’argento e un profilo conosciuto, come se fossero protagonisti di una tela impressionista. Chiudo gli occhi e respiro, sono ancora viva, eppure non è questo il mio posto.
Per quanto possa averti sempre sognato, in questa notte di mezza estate, vorrei solo di smettere di respirare.

  
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