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Autore: SherlokidAddicted    14/10/2016    2 recensioni
[ Wholock | Johnlock ]
[ Seguito di "The side of the Angels", per capire questa storia bisogna leggere la precedente ]
"I tuoi occhi.
Al solo pensiero che non potrò rivederli mai più sento come una stretta al petto che mi impedisce di respirare. Dopo mesi e mesi a darmi la colpa per tutto quello che è successo a Mary, dopo mesi sentendo che niente e nessuno avrebbe potuto sollevarmi il morale, ho trovato in te la felicità che avevo perduto. E adesso mi è scivolata dalle mani come sabbia.
Mi manchi.
E mi mancherai.
Mi sembra l’unica cosa che posso dire adesso."
Genere: Azione, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The side of the Angels'
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My dearest Sherlock

 
UN MESE PRIMA…

 
- Signora Hudson! Perché quest’uomo è nel mio salotto? –

- Lascia perdere Sherlock, sarei comunque entrato. – Mycroft si era accuratamente seduto sulla mia poltrona, le gambe accavallate e il portamento regale che lo distingue da sempre. Si sta spolverando via qualcosa dal vestito, qualcosa che non c’è, ma il suo essere così precisino lo porta a fare cose di cui nemmeno si accorge.

- Che cosa vuoi? – Gli chiedo mentre sistemo la mia vestaglia blu con un’alzata di spalle.

- Non rispondi ai miei messaggi, non sei rintracciabile nemmeno dall’ispettore Lestrade. – Mi guarda con quello sguardo severo che solo lui sa rivolgermi, mentre incrocia le dita delle mani fra di loro. Io sbuffo sonoramente e recupero il pacchetto di sigarette nascosto sotto al teschio, quello che non ho mai spostato da sopra il camino.

Già, John le nascondeva sempre lì sotto.

- Voglio stare da solo. – Mi metto seduto sulla poltrona. La sua. Per un attimo rimango immobile a stringere con le dita i braccioli, affondandole nella pelle. Non mi ci ero mai seduto da quando è stato scaraventato nel passato. Riesco a vederlo mentre si mette comodo col suo giornale e con la tazza di tè in mano, concentrato sulla prima pagina del quotidiano. Deglutisco rumorosamente e porto la sigaretta alle labbra con lo sguardo perso sul pavimento. Percepisco l’espressione contrariata di mio fratello sul fatto che fumassi contro la sua volontà, ma mi concede di stare zitto e non controbattere.

- Segui dei casi? –

- Mycroft. – Dico poco prima di sbuffare il fumo dalla bocca. – Non costringermi a spingerti fuori. – Si alza dalla mia poltrona, reggendo il manico del suo ombrello con la mano destra. Si aggira un attimo per la stanza, poi con lo stesso manico scosta la tendina della finestra e si sporge con la testa per sbirciare.

- A quanto pare qualcuno vorrebbe parlarti. – So di chi sta parlando. Il Dottore è ancora lì, fissa la mia finestra in continuazione. Lo fa sempre, per dei minuti interminabili.

- Tutti vogliono parlarmi ma nessuno ha ancora capito che voglio essere lasciato in pace. – Mormoro con voce impastata dal fastidio che sto provando da quando è entrato nell’appartamento. La sigaretta incastrata fra le labbra e lo sguardo perso a fissare il vuoto.

- Ti conosco abbastanza bene da capire che c’è qualcosa che non va. – Non rispondo e mi limito a sbuffare fuori altre nuvolette di fumo che vanno a disperdersi nel salotto. – Il dottor Watson è davvero andato dalla sorella, Sherlock? –

No, Mycroft, non osare.

- Ho controllato, fratellino. Sai che posso controllare anche gli spostamenti delle persone e non risulta che John sia partito. -

Non osare.

- John non è partito. Dov’è, allora? –

- Vattene. – L’ho detto con un tono rabbioso, dalla mia bocca esce il disprezzo, l’odio, la paura, la solitudine, la mancanza. Tutto ciò che ho provato in questo mese è uscito fuori con quell’unica parola, e a Mycroft il messaggio è arrivato forte e chiaro. Si è infatti raddrizzato sulla schiena e a passo lento si è avviato verso la porta. Non è uscito, però, si è girato per guardarmi un’ultima volta.

- Sherlock, per qualunque cosa io… - Non gli ho comunque dato il tempo di finire la frase. Mi sono alzato di tutta fretta e l’ho spinto fuori con entrambe le mani, poi ho chiuso la porta e mi ci sono poggiato contro con le spalle. Mycroft è ancora lì dietro. Lo sento sospirare, probabilmente si è sistemato la giacca con accuratezza, poi i suoi passi lungo le scale si fanno sempre meno udibili.

Rimango immobile per non so quanto tempo, forse secondi, forse minuti… non lo so di preciso. Riesco a muovermi e ad uscire da quella stranissima trance solo quando sento il suono del Tardis che scompare. Anche il Dottore se n’è andato.

Inizio a camminare e senza rendermene conto finisco nella mia stanza. Mi rendo conto di essere stanco, di voler stare sdraiato su quel letto per tutto il giorno, sperando che tutto questo possa finire, anche se so che non finirà.

Mi sbottono lentamente la camicia e sento la lana morbida del maglione che ho messo sotto di essa. Me la sfilo e l’odore di John mi arriva alle narici. Non ricordavo di aver indossato quel capo di abbigliamento, né pensavo che avrei potuto essere così tanto sentimentale, ma date le circostanze, dato tutto quello che è successo, non mi stupisco più di niente. Non lo tolgo, però. Mi sdraio delicatamente e poggio la testa sul cuscino fresco, portando stupidamente l’orlo delle maniche al mio naso. Lo immergo nella lana, ne assorbo l’odore fino a sentire il fiato corto e gli occhi pungere. Gocce calde e dolorose scendono e attraversano i miei zigomi pronunciati fino a posarsi sulla stoffa chiara del cuscino. Cavolo, sto piangendo.

 
- Che diavolo hai addosso? –

- Non dire nulla, per favore. – John cammina fino al salotto facendo svolazzare le maniche fin troppo lunghe del maglione. Sembra infastidito e la sua buffa espressione mi fa ridacchiare dietro il microscopio.

- Harriet? –

- Ha pensato di mandarmelo per il mio compleanno, credo abbia sbagliato le misure… -

- … O ne ha preso uno più grande per farti un dispetto. – Accenno una leggera risata e lui mi fulmina con lo sguardo, prima di sfilarsi il regalo della sorella che aveva indossato sopra alla camicia a quadretti.

- Non ti chiederò come fai a dire una cosa del genere, mi limiterò a crederti sulla parola. – Dice mentre lo piega accuratamente, cercando in tutti i modi di ignorare il mio sorrisetto divertito. – A te starebbe bene. Potresti provarlo. –

- Io non metto quella roba! – Esclamo alzando la testa dal mio esperimento in corso. Lui alza un sopracciglio, accennando un’espressione divertita quando vede quello che lui chiama “muso lungo da bimbo capriccioso”.

- Lo metto nel mio cassetto, in mezzo agli altri maglioni, e prima o poi te lo farò indossare. –

- Sì, contaci. – Lo sento ridacchiare mentre raggiunge al piano di sopra, mentre io, nascondendo il rossore delle guance, torno con gli occhi al microscopio.
 

 
Cavolo, se sto piangendo.
 
_________________________________________________________________________ 
 
Londra, 25 novembre 1902

Mio carissimo Sherlock,

scrivere su un pezzo di carta, alla vecchia maniera, con penna e calamaio (cercando oltretutto di non rovesciare l’inchiostro sul tavolo, come è già successo circa due minuti fa con la precedente lettera che ho preferito strappare), è decisamente più complicato di quanto pensassi. Ero abituato ad utilizzare il portatile, e lì potevo cancellare facilmente una riga per poi riscriverla correttamente. Non per niente questa è la quinta volta in cui provo a scriverti senza sbagliare una virgola.

Sicuramente adesso starai roteando gli occhi, ti conosco. Non ti interessano queste “inutili introduzioni”, quindi arrivo al dunque.
Dalla data potrai benissimo immaginare in che luogo io sia finito. È stato terribile quando ho realizzato tutto. Due secondi prima stavo guardando te ed il Dottore che correvate verso di me, spaventati, e due secondi dopo mi sono ritrovato scaraventato in un piccolo vicolo alla periferia di Londra.

Il Dottore ha proprio ragione riguardo ai viaggi nel tempo senza capsula, sono devastanti. Ho vomitato due volte, poi mi sono ripreso. Mi ci è voluto un po’ per mettere a fuoco e per riuscire a stare dritto su due piedi.

Non so bene cosa fare, adesso. So che non posso tornare nel nostro tempo, come non potevano farlo Luke Jefferson e Joseph.
Mi sono recato in un’osteria vicina. Sono stati molto gentili, mi hanno dato del cibo gratuitamente, e non hanno esitato quando ho chiesto loro di potermi far scrivere una lettera. Questa lettera.

Purtroppo è stata un’idea mia. Il Dottore non è venuto a rassicurarmi e darmi la borsa con tutto ciò di cui ho bisogno per vivere qui, come ha fatto per tutti gli altri. Forse si farà vivo dopo, forse non verrà, ma so che questo potrebbe essere l’unico modo che ho per poterti informare su quello che mi sta accadendo, e come vedi non ho perso tempo.

Solo… non riesco a capire. Avevamo fermato gli Angeli, ci eravamo riusciti! Perché sono qui? Perché sono stato comunque catturato?

So per certo che tu e il Dottore ve ne siete accorti poco prima che tutto accadesse, ma non avevate avuto il tempo di comunicarmelo. Ma cosa è andato storto?

Nella mia mente quella scena si ripete in continuazione. Vederti correre verso di me con quegli occhi terrorizzati. Poche volte ti ho visto terrorizzato, ma mai come quando tutta questa orribile faccenda è avvenuta.

I tuoi occhi.

Al solo pensiero che non potrò rivederli mai più sento come una stretta al petto che mi impedisce di respirare. Dopo mesi e mesi a darmi la colpa per tutto quello che è successo a Mary, dopo mesi sentendo che niente e nessuno avrebbe potuto sollevarmi il morale, ho trovato in te la felicità che avevo perduto. E adesso mi è scivolata dalle mani come sabbia.

Mi manchi.

E mi mancherai.

Mi sembra l’unica cosa che posso dire adesso. Non sarà l’unica lettera che scriverò, ma sapendo che non potrò più sfiorare le tue labbra con le mie, che non potrò più sentire quelle sensazioni magnifiche che ho provato quando abbiamo fatto l’amore, che non potrò più sfiorare la tua pelle, sentire le tue incredibili deduzioni, la tua voce annoiata che mi snerva, che non potrò più rimproverarti per le tue cazzate, che non potrò più nascondere in luoghi impossibili le tue sigarette, né correre da te quando ricevo un tuo sms… tutto questo, insomma, mi fa solo venire in mente di dirti che mi mancherà ogni cosa.

Adesso è meglio che vada, qui stanno per chiudere a farò bene a cercare un posto per la notte, spero di non dover ricorrere ai marciapiedi nelle strade o… beh, si vedrà.

Alla prossima lettera, Sherlock.
Con immenso affetto,
tuo John
 
_________________________________________________________________________ 

OGGI…

 
Abbiamo percorso la scalinata in silenzio, io ho varcato il salotto per il primo, e ho sentito il Dottore fermarsi sulla porta. Quando mi sono girato per guardarlo, noto i suoi occhi preoccupati che mi fanno alzare un sopracciglio.

- Che c’è? –

- Sei magro come un chiodo. – Non se n’era mai accorto nessuno, nemmeno io. Ma ora che il Dottore me lo fa notare, riesco a sentire la spossatezza della fame, e le costole sporgere più del normale. Mi giro d’istinto verso lo specchio sul camino e porto l’attenzione sul mio viso. Gli zigomi sporgono spaventosamente ed i miei occhi si inumidiscono senza che io possa controllare quella reazione stupida.

- Beh… - Con una leggera tosse cerco di cambiare argomento. Voglio arrivare subito al dunque. – Spiegami il tuo piano. – Ma lui sembra non volere arrivare dritto al punto. Si sfila gli occhiali e li sistema nella tasca interna della giacca. Indossa un completo marrone a righine blu, diverso da quello che ha sempre portato. Si avvicina, dopo aver chiuso per bene la porta.

- Sherlock, non ti dirò niente se non metti qualcosa sotto ai denti. – Ed eccolo! Dottore di nome e di fatto. Perché non può semplicemente parlare? Sono due mesi che aspetto che tutto questo si risolva. Devo sapere.

- John è più importante. – Esordisco incrociando il suo sguardo. Lui piega leggermente la testa da un lato ed incrocia le braccia al petto.

- Anche la tua salute lo è. – Puntello i piedi sul pavimento. A volte John mi faceva notare quanto questo mio comportamento mi facesse sembrare un bambino, ma adesso non mi importa di sembrare tale. Odio quando vengo contraddetto.

- Ma John è ancora lì! – Ho alzato la voce, forse in maniera abbastanza esagerata, ma il Dottore si limita soltanto ad allungare un braccio e a poggiarlo sulla mia spalla nel tentativo di calmarmi. Sotto il tocco del palmo della sua mano, tutti i miei nervi tesi vengono pian piano allentati, ma le mie mani sono strette in due pugni minacciosi. Sono fin troppo stanco di tutto.

- Non ho detto che non andremo a prenderlo. – La sua voce è calma e flebile e riesce a far svanire del tutto la mia rabbia. Al suo posto si fanno spazio le lacrime, che copiose rigano le mie guance. Sto proprio cadendo in basso, ma mi sono trattenuto fin troppo a lungo. L’unica volta che ho pianto in due mesi, per pochissimo, è stata quando mi fece visita mio fratello. Non mi rendo conto che adesso il Dottore mi sta stringendo in un goffo abbraccio con lo scopo di rassicurarmi. Solo che io non voglio né riesco a reagire o a ricambiare quel gesto di apparente affetto. – Facciamo così: io ti spiego quello che ho scoperto, ma solo se tu mangi qualcosa mentre ne parliamo. – Si allontana appena da me e mi guarda, aspettando una mia risposta. Se le condizioni sono queste per sapere come aiutare John, allora tanto vale accettarle. – Ci stai? –

- D’accordo. – Mormoro dopo aver tirato su con il naso.

- Perfetto! Su, sediamoci. –




Note autrice:
Ecco, siamo tornati all'arrembaggio! (?) Dopo il successo di The side of the Angels ho deciso di tornare, ma non prima di preparare due capitoli, così da poter essere pronta per pubblicare. E poi mi avete chiesto in tanti un segito, ed eccolo qui.
Spero vi piaccia, i tempi di pubblicazione saranno sempre quelli.
Un bacio e alla prossima!
  
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