NOTA
DELL’AUTRICE: Alleluia,
alleluia!!! Per la prima volta
ho ricevuto ben otto, no dico OTTO recensioni! E, a parte le mie
fedelissime,
anche nuove commentatrici, si aggiungono alla lista. Grazie, me felice
…
Allora
mi sono detta:
M.Luisa, che fai non aggiorni? Vorrei rispondere con maggiore dettaglio
alle
vostre recensioni, ma stamane il tempo mi è contro. Mi sono
alzata alle sei e
ho preso subito a scrivere. Perdonatemi se non sono così
accorta come voi …
keska,
Giulia
miao, Ale78,
lory_lost_in_her_dreams:
Raga, che dirvi, siete la mia
gioia. Godetevi questo cap. è bello lungo. Kiss endif
Bellas,
StElLiNa_LoSt,
anna
cullen: Su,
non prendetevela con Jacob, è un lupacchiotto in
fondo, in balia dei suoi ormoni impazziti … Senza di lui
Edward sarebbe un po’ “moscetto”.
Cmq abbiate fede, non vi deluderò. Baci endif
Gazy:
Mia
cara Rita, è vero su tuo consiglio faccio occhio
a più dettagli. Grazie davvero. Non so bene come gestire il
mio Jacob furioso,
ma non ho per lui tutta la passione che invece nutro per Jasper. Hai
ragione
ancora una volta, secondo me è uno dei personaggi
più affascinanti, criptici,
tormentati e passionali della saga di zia Stephie. Mi serve per
cambiare
registro quando la storia si impantana un po’, è
il mio Deus ex machina. Lo adoro
letteralmente. Per ciò che riguarda la tua ficcy, non mi
sento affatto
costretta a leggerla solo perché mi commenti, e non ho
pensato neanche per un
istante che tu volessi farti pubblicità. Sei troppo
corretta. Ma sai, leggendo
i tuoi commenti mi sono chiesta “quanta passione alberga nel
cuore di una
ragazza così attenta e sensibile?” E sono andata
alla ricerca delle tue storie.
Ora sto preparando la mia recensione sferzante, non sarò
clemente … Scherzo ma ho
divorato la tua ff con voracità ed ora mi sento ubriaca
…
Bacioni
M. Luisa CAP.
22 RAPIMENTO ALICE Non
appena Jacob si era
allontanato, i due lupi accasciati a terra si erano alzati e dopo
essersi
ritrasformati nel bosco poco distante da noi, erano subito ricomparsi
sul luogo
del misfatto. Jasper
si era fatto
vicino ad Edward che aveva il viso livido dalla rabbia e dalla furia e
non
aveva ancora mosso un passo. Si era impietrito non appena Bella era
stata
afferrata da Jacob nel timore che quest’ultimo, sentendosi
braccato, avrebbe
potuto farle del male anche senza volerlo, ma tale decisione, seppur
razionale
l’aveva lasciato con un senso di impotenza e frustrazione
più che
comprensibili. Sentii Jasper che cercava di infondergli un briciolo di
calma,
ma lui si voltò verso di noi, con gli occhi neri e
spalancati e con un rapido
scatto si fiondò verso l’albero più
vicino. Mise il palmo sinistro aperto sul
tronco e con un grido di rabbia lo passò da parte a parte
con l’altra mano
chiusa a pugno. I
due Quileutes lo
osservarono muovendosi un po’ agitati, ma non fuggirono via. «Edward,
la ritroveremo,
vedrai …» cercai di consolarlo io. «Puoi
scommetterci. Non
avrò pace fino a quando non staccherò la testa
dal corpo di Jacob Black …» la
sua voce era tetra, gutturale, gli occhi erano allucinati, non sembrava
lui. Mi
girai verso i due giovani.
Erano poco più che ragazzi. «Sapete
dove potrebbe
essersi diretto?» chiesi con voce tagliente. Io ero
completamente cieca in
questo frangente e non avrei potuto vedere nulla neanche con la massima
concentrazione. «Possiamo
essere in
contatto mentale con lui solo quando è in forma di lupo.
Adesso si è
ritrasformato, è tutto inutile. Paul ed io non abbiamo
potuto far nulla quando
ci ha intimato di non interferire, siamo mortificati.
Davvero.» disse il più
grosso. Poi, rivolgendosi ad Edward aggiunse: «Mi chiamo Sam,
ho guidato io
Jacob nella sua trasformazione, ma lui è un alpha per
diritto di nascita, se
non ritorna in sé non potrò far molto per
aiutarti. La sua volontà è per me un
ordine a cui non posso sottrarmi. Ma farò qualunque cosa per
evitare uno
scontro tra le nostre fazioni. Conosco molto bene il patto e
desideriamo
rimanere in pace.» Edward
lo guardò con
freddezza, con alterigia e disse con voce a malapena contenuta:
«Io me ne
infischio del patto, quando ritroverò quel cane lo
ridurrò a brandelli con
autentico piacere.» si voltò e sparì
diretto verso casa. Presi
il cellulare e
composi un numero mentre lo seguivo insieme a Jasper. Al secondo
squillo una
voce rassicurante rispose: «Ciao Alice,
c’è qualcosa che non và?» «Carlisle
abbiamo un
problema. Anzi due. Credo che faresti meglio a rientrare.»
uno schianto
tremendo sottolineò le mie parole, poi, un rumore di vetri
infranti e aggiunsi
repentinamente: «Jacob Black ha rapito Bella ed Edward
stà demolendo casa.» ESME Ero
rimasta in un
angolo vedendo mio figlio rientrare come una furia da solo passando
attraverso
la portafinestra chiusa, mandando il doppio vetro in frantumi e
cominciando a
fare a pezzi i mobili di casa. Non avevo pronunciato nemmeno una
parola,
conoscevo abbastanza Edward da sapere che era inutile in questo momento
cercare
di calmarlo. Il cuore mi si spezzò quando il mio splendido
tavolo di ebano
intarsiato si accasciò di lato sotto un suo pugno. Sospirai.
Ero
ormai avvezza agli
scoppi d’ira dei miei figli, e, nonostante sapessi che Emmet
sarebbe ritornato
da un giorno all’altro dall’Europa, ero riuscita a
bearmi di un lungo periodo
di pace. Scossi leggermente il capo afflitta. Ovviamente qualcosa era
andato
storto. Lui parve riscuotersi un attimo recuperando un barlume di
lucidità e mi
fissò. Era
il momento giusto. «Edward
…» lo chiamai
con voce dolce, mi rattristava vederlo così in pena.
« Le cose non sono andate
bene con Bella?». Pur
desiderando la
felicità dei miei figli li rispettavo troppo per interferire
con le loro vite e
mi ero mantenuta debitamente a distanza sapendo che lui e Bella erano
andati a
passeggiare oltre il giardino. Avevano bisogno di ritrovarsi, di
perdonarsi a
vicenda e troppe voci in mezzo non avrebbero fatto altro che rendere le
cose
più complicate di quello che erano già. La strada
che avevano deciso di
percorrere insieme era fino ad ora già stata dura e si
prospettava ancora più
irta per il futuro. Ma quei due giovani si amavano, ed Edward era
rimasto solo
così a lungo … «Io
lo ammazzo, lo
ammazzo con le mie mani …» parlava molto
velocemente segno della sua grande
agitazione e saettava nervosamente da un lato all’altro del
salone fermandosi
di tanto in tanto per battere il pugno su qualche mobile o sui muri. Cercai
di mantenere la
calma. Era un atteggiamento che avevo imparato ad usare da Carlisle in
casi di
emergenza, dove la confusione poteva definitivamente segnare le sorti
di una
situazione piuttosto che un’altra. Se mio figlio voleva
uccidere qualcuno le
mie urla isteriche non avrebbero certo contribuito a farlo ragionare. Non
mossi neanche un
muscolo, ma non gli tolsi gli occhi di dosso. Era davvero sconvolto,
sembrava
impazzito. «Edward,
è successo
qualcosa a Bella?» a parte la preoccupazione per lui,
cominciai ad andare in
ansia per lei. Solo una tale evenienza poteva spiegare lo stato in cui
era mio
figlio in questo momento. «Sì
maledizione, quel
bastardo l’ha portata via contro la sua volontà! E
poi, le ha … ferito un
braccio.» parlava a fatica, cercando di deglutire il veleno
che sapevo gli stava
invadendo la bocca. «Se la tocca, se le fa del male, io
…, io …». Si appoggiò
al muro con una mano e si prese il capo nell’altra. Mi
avvicinai
silenziosamente e, appoggiandogli una mano sulla spalla, gli chiesi con
un filo
di voce un po’ tremula: «Chi l’ha portata
via?» «E’
stato quel cane di
Jacob Black e non abbiamo potuto fare nulla per impedirlo.»
mi rispose Jasper
buio entrando in salone dalla nuova apertura creata da Edward e
calpestando i
frammenti di vetro sparsi a terra. Osservai Alice che lo seguiva a
testa bassa
e pur non disponendo di alcun potere capii subito che si sentiva
tremendamente
in colpa per l’accaduto. «Oh
Alice, tesoro, non
è colpa tua. Quando ci sono i licantropi sai bene di non
riuscire ad avere
visioni e di non poter cogliere gli eventi futuri con un anticipo
discreto. Non
affliggerti così, aspettiamo che arrivi Carlisle, lui
saprà cosa fare.» Nei
seguenti dieci
minuti ringraziai Jasper e il giorno in cui aveva incontrato Alice,
poiché il
più incontenibile dei miei figli presenti era rimasto
immobile sul divano con
lo sguardo perso nel vuoto e la mascella serrata, senza minacciare la
sua
incolumità, la nostra e quella del mobilio sopravvissuto a
questo uragano. Quando
mio marito entrò
e si diede una rapida occhiata intorno, con la calma e la freddezza di
nervi
che lo contraddistinguono disse ad Edward e a Jasper di seguirlo nel
suo
studio. Non che questo servisse a dare loro riservatezza, ma permetteva
a me e
ad Alice di riportare una parvenza di ordine nella casa, mentre loro
cambiavano
aria e decidevano il da farsi. Ci
mettemmo subito
all’opera e dopo circa mezz’ora loro riemersero
dallo studio. Edward
sembrava aver
ripreso un po’ di lucidità, ma con la vicinanza di
Jasper non potevo immaginare
il contrario. Subito dopo Carlisle uscì di casa con la sua
valigetta lanciando
una lunga occhiata in direzione del figlio che annuì
impercettibilmente e con
fare rassegnato. Jasper lo seguì dopo un istante. Non
avevamo potuto cogliere
tutta la conversazione dato che ad Edward si erano rivolti con il
pensiero, ma
dalle parole di Jasper e Carlisle era chiaro che in quel frangente
quest’ultimo
avrebbe dovuto agire in prima persona. Edward
non si trattenne
neanche un secondo dopo che suo padre e suo fratello erano usciti, e a
passo
umano lo vidi avviarsi lungo le scale diretto in camera sua. Non
avrei potuto
piangere, ma guardandolo andar via a capo chino, sentii ugualmente il
mio cuore
stritolarsi in una ferrea morsa di dolore. CARLISLE Avevamo
preso la
Mercedes e avevo lasciato che mio figlio si mettesse alla guida.
Rimpiansi la
mancanza di Edward ma solo per un attimo. Le sue capacità ci
sarebbero state
davvero utili, ma non potevo fare completamente affidamento su di lui
perché
era troppo coinvolto e furioso con il giovane Black. L’auto
scivolava
silenziosa lungo l’autostrada. Ritornai
con la mente
al giorno in cui stipulammo il patto proprio con l’antenato
di Jacob, Ephraim
Black. “Quel
giorno di circa settanta anni prima ci eravamo spinti a caccia fino
alla
riserva di La Push. Era un ottimo posto per cacciare soprattutto per
Emmet,
perché da neonato qual era da poco, aveva una forza e
velocità impressionanti e
lì c’era davvero un’ampia scelta di
animali da cacciare che potevano tenerlo
occupato per un po’. Ricordai con un sorriso la sua
espressione quando aveva
avvertito l’odore del sangue umano per la prima volta,
proprio lì alla riserva.
I suoi occhi da rosso diluito per la recente e abbondante caccia erano
diventati neri e aveva annusato l’aria con ingordigia. Edward
ed io ci eravamo
guardati con ansia, perché sapevamo che non avremmo potuto
far nulla per
fermarlo se si fosse lanciato al seguito della scia. Nello stesso tempo
anche
noi due e Rosalie che ci aveva accompagnati ci sentivamo tentati, ma
non quanto
avremmo dovuto in quelle circostanze. La
caccia, la perdita della razionalità ed il sopravvento
dell’istinto più puro …
Qualcosa non andava, che non fosse sangue umano? La
risposta venne al nostro cospetto subito dopo. Si trattava di
licantropi. Ero
l’unico tra di noi ad averne mai visto uno grazie alla mia
permanenza a
Volterra e all’odio che Caius provava nei loro confronti, e
sapevo che erano i
soli esseri in grado di poterci ferire o uccidere, a parte i vampiri
stessi. Avevo
lasciato i miei figli, così li avevo sempre considerati, un
po’ in disparte e
mi ero fatto innanzi
per parlare al
capobranco, sperando di riuscire in tempo ad evitare uno scontro. Con
la coda
dell’occhio avevo visto Rosalie ed Edward pararsi di fronte
ad Emmet. I miei
ragazzi avevano coraggio, era innegabile. Ephraim
Black mi aveva guardato con circospezione. Al suo seguito
c’erano altri due
licantropi in forma di lupo che tremavano tesi rimanendo in disparte.
Lo
osservai anche io con sguardo fermo. Era inutile chiedere se fosse lui
il capo. Aveva
l’espressione autoritaria a fiera di chi aveva molto
combattuto senza
risparmiarsi mai e l’atteggiamento protettivo nei confronti
della sua gente,
che lo rendeva disposto anche al sacrificio pur di difenderli. Non
aveva spinto
i lupi innanzi per intimidirci, no si era fatto lui avanti, e per
giunta in
forma umana. Lo apprezzai per questo. Avevo
chiesto mentalmente ad Edward se riuscivano a tenere Emmet e lui aveva
annuito
impercettibilmente. Io
ed Ephraim avevamo parlato per poco tempo e a debita distanza. Il patto
fu una
scelta conveniente per entrambi: noi saremmo potuti rimanere a Forks e
anche
ritornarci, i quileutes avrebbero mantenuto il loro diritto sovrano
all’interno
di La Push e salvaguardato l’incolumità degli
umani. Ovviamente avremmo dovuto
rispettare entrambi un confine di separazione ed evitare gli scontri
tra le
nostre due specie. Ci
stavamo allontanando comunque con circospezione dai lupi quando mi ero
chiesto
cosa fosse riuscito a trattenere Emmet dall’attacco. E, dopo
avermi letto nel
pensiero Edward mi aveva risposto così: «Ha
pensato che se questo è l’odore
degli umani, non gli dispiace poi tanto diventare vegetariano
…».” Mi
riscossi
accorgendomi che eravamo entrati a La Push. Era
stato deciso di
recarci a casa di Billy Black, valicando il confine in via eccezionale,
e
avevamo già preso accordi con Sam per organizzare
l’incontro. Sapevo che Jacob
non avrebbe fatto del male a Bella intenzionalmente, ma sapevo anche
che adesso
era ferita e che era necessario che la visitassi. Una volta sul posto
avrei
cercato di far ragionare il giovane quileute con calma, sperando che la
corsa
gli avesse già schiarito le idee. Parcheggiammo
l’auto dietro
l’abitazione dei Black. La porta in veranda era socchiusa.
Entrammo, eravamo
attesi e trovammo Billy sulla carrozzina con sguardo afflitto, Sam e
Paul
seduti in cucina che ci fissavano tesi. «Billy,
ragazzi …»feci
io a mò di saluto. I giovani mormorarono un saluto un
po’ imbarazzati, Billy
non si mosse. Attendemmo fin quando Sam disse: «Billy sa dove
è andato suo
figlio, ma ha deciso di non dirci nulla se non gli promettete che
sarà solo
lei, dottor Cullen, ad andare lì.» Guardai
Jasper e
velocemente lui uscì. Mi
voltai verso
l’anziano quileute e dissi «E sia, lo
prometto.» Alzò
verso di me i suoi
occhi acuti immersi nel viso arso dal sole e pieno di rughe profonde.
Mi scrutò
attentamente probabilmente chiedendosi se poteva fidarsi e sospirando
disse in
fine: «E’
sulle montagne di
Goat Rocks.» Poi aggiunse con sforzo evidente: «Non
fargli del male, è soltanto
giovane e crede di amarla.» «Non
è mai stata mia
intenzione, hai la mia parola». Dissi io deciso. Mi
voltai e mi diressi
all’auto dove sapevo che Jasper mi stava aspettando. Aveva
sentito tutto
naturalmente e salimmo in macchina insieme partendo alla volta della
strada per
le montagne rocciose. Alla prima diramazione sotto l’insegna
Forks – Goat Rocks
lo feci scendere. Dovevo
proseguire da
solo. Non
erano trascorsi
neanche cinque minuti che il telefono cominciò a squillare.
Lessi sul display
il nome di Alice. Non era affatto un buon segno. «Carlisle,
devi
sbrigarti. Edward mi ha letto nella mente la visione di te che lasciavi
Jasper
all’incrocio con la strada per Goat Rocks e si è
fiondato fuori dalla finestra.
Non siamo riuscite a trattenerlo, mi dispiace.» la sua voce
agitata mi fece
capire che la presenza di Jasper in casa avrebbe forse avuto maggior
utilità
che a La Push in quel frangente. Strinsi
i denti e
spinsi a fondo l’acceleratore.