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Autore: Pentaven    15/10/2016    5 recensioni
Manuel quasi diciott'anni, ma ne dimostrava di più. Non lo avevo mai visto. Gli sono stato dietro per un anno. Con lui ho usato anche un linguaggio sarcastico. Non è mai successo niente... ma all'ultimo giorno di scuola.
Lo volete sapere cosa è successo? Leggetelo.
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Ti amo

 




Camminavo tranquillamente verso il bagno con in testa mille pensieri. Pensavo che dal giorno dopo la scuola sarebbe finita e sarei stato ufficialmente in vacanza. Pensavo a quello che avrei  aspettato di fare quell’estate. Pensavo all’imminente festa dell’istituto.

Ma nonostante i pensieri non mi scordai di gettare un’occhiata alla terza.  Ogni giorno passavo davanti a quella classe. E ogni giorno scrutavo al suo interno per cercare con lo sguardo, per incrociare anche solo una volta i suoi occhi. Perché bastava vederlo per riempire il mio cuore di gioia.

Era Manuel, quel ragazzo che era entrato nei miei pensieri in modo così improvviso e imprevisto. Ricordavo ancora l’avevo visto il primo giorno di scuola. Quella figura tarchiata e robusta muoversi con passi sicuri di fronte a me nel corridoio. Non lo avevo mai notato l’anno prima, ma non c’era nulla di strano, la scuola era grande e non potevo di certo conoscere tutti.


 
Mi stupii quando lo vidi entrare nella classe vicino alla mia. Era della terza, dunque. Ma mi stupii ancora di più nel vederlo nel viso. Due profondi occhi azzurri ed un leggero pizzo castano, incorniciavano i tratti rozzi e duri del volto. Lo vidi per un solo attimo, ma mi rimase impresso nella mente, fui conquistato da quella insolita bellezza al primo sguardo.

Venni poi a sapere chi era. Frequentava la terza classe di due anni prima ed era stato bocciato mentre l’anno successivo non aveva frequentato. Quell’anno si era invece riscritto ed era nella classe accanto alla mia.

Io avevo compiuto appena quindici anni, mentre Manuel ne stava per compiere diciotto, anche se dall’aspetto e dal modo di fare sembrava più maturo.
E più sapevo di lui, e più me ne innamoravo. Venni a sapere che faceva parte della squadra regionale di sollevamento peso, ecco perché di quel fisico, quelle braccia grosse e quel petto ampio. Venni a sapere dove abitava. Venni a sapere  come andava a scuola e quali erano le sue abitudini. Venni a sapere tutto questo senza mai chiedere informazioni dirette al alcuno, semplicemente origliando conversazioni e sfiorando l’argomento durante i discorsi. Men che meno avevo chiesto mai nulla direttamente a lui.


 
Spesso mi mettevo vicino alla porta, fingendo di essere preso da altre occupazioni, mentre in realtà cercavo solo di vederlo passare. A volte entravo nella sua classe, senza un motivo preciso, intrattenendomi in vane conversazioni, nella speranza di incrociarlo mentre usciva.

Ogni giorno avevo cominciato ad andare in bagno alla stessa ora, sapendo che quello era il momento in cui ci andava anche lui. Passavo in silenzio davanti alla porta socchiusa della classe, entravo nello stanzino, aprivo l’acqua e la lasciavo scorrere.

Misto allo scroscio dell’acqua immaginavo di sentire i suoi passi nel corridoio, e quando entravo nel bagno, abbassavo la testa, mettendola sotto lo schizzo d’acqua, per paura di arrossire.

Ascoltavo con discrezione le  conversazioni che  faceva di fronte agli urinali con gli amici e mentre  usciva, rimanevo fermo, riempiendomi il naso con l’odore morbido sensuale della sua pelle e trasalendo se con la spalla gli urtavo la schiena.

Si, per lungo tempo mi accontentai  di questo, ignorando il sentimento che dal cuore mi gridava di stringerlo ed abbracciarlo, di toccarlo e baciarlo, e abbandonandomi ad una lasciva contemplazione.

Poi, non riuscii a capire come, un giorno ci rivolgemmo la parola.


 
Manuel era un po’ come il bullo della classe, e io ero sempre da quelle parti, che parlavo con tutte le ragazze della classe quasi facendo loro il filo, quando invece facevo solo per stare dove stava lui, era come se violassi il suo territorio.

Spinto dai compagni Manuel mi provocò, prendendomi in giro. Le parole si affollarono sulla sua bocca, quello che voleva dire, quello che doveva dire, quello che poteva dire. Rispondere in modo gentile, in modo da mostrarsi amico. Stare al gioco e spingere l’intesa su un livello cameratesco. Oppure…


 
Le parole invece uscirono dalla bocca senza controllo. Un’osservazione fredda e distaccata che suonò come una dichiarazione di guerra. E fu come una piccola guerra, tra noi.

Appena ci vedevamo non mancavamo di lanciarci frecciate, e le mie, erano sempre più taglienti, perché se c’era una cosa che sapevo fare bene, era far del male con la bocca. E invece Manuel di sicuro sapeva fare male con le mani, e più di una volta mi aveva minacciato, e forse sarebbe passato alle vie di fatto se non ci fosse stato ogni volta qualcuno pronto a fermarlo, ricordandogli che una sospensione per rissa non era quello che serviva al suo curriculum scolastico. E più era evidente il pericolo che correvo nel provocarlo, più lo provocavo, inebriandomi del sottile piacere che mi procurava pensare alle sue mani sopra al mio corpo. Ma non accadde nulla. Fino all’ultimo giorno.

Lo vidi, passando davanti alla classe andando in bagno. Manuel mi lanciò un’occhiataccia. Anche quel giorno non gli avevo risparmiato i miei commenti sarcastici, forse ancora più sarcastici del solito dato che il pensiero che per un estate non li avrei più potuto fare.

Sospirai avvicinandomi alla porta del bagno.  D’un tratto sentii un tonfo, la porta della terza era stata chiusa con violenza. Mi voltai e vidi Manuel che avanzava a lunghi passi verso di me. Mi prese con una mano per la manica della maglietta e mi spinse nel bagno, chiudendosi la porta alle spalle.
Forse i commenti di quel giorno erano stati ancora più sarcastici del solito. Manuel esigeva delle scuse. Lo ripeté più volte, sottolineando ogni parola con una stretta sulle spalle. La mente era confusa, avevo ricevuto troppi stimoli, il dolore, il piacere, si andavano mischiando  in un’unica sensazione, piena e appagante.


 
Negai le scuse. Manuel lo chiese un’altra volta e poi colpì. Il pugno chiuso, rapido e preciso colpì la parte bassa del naso. Socchiusi gli occhi mentre la mente sembrava esplodere.  Preso da un’estasi  quasi mistica, vidi turbinare di fronte ai miei occhi luci e colori.

Tornai alla realtà  sentendo il rivoletto di sangue caldo colarmi lungo il labbro. Aprii gli occhi  e vidi Manuel col volto contratto dalla disperazione.  Si era già pentito  di quello che aveva fatto, non voleva farmi male, e tra ogni giustificazione cadeva ritmato uno “scusa”.

Ma non me la presi, lo avevo spinto io a quell’azione, forse perché era proprio questo che desideravo. Passai la lingua sulle labbra macchiate di rosso e il sapore del sangue mi riempì la bocca.

Mi sembrava che tutto il corpo stesse bruciando: il volto, la testa, la gola, il petto, l’inguine. Un’unica fiamma che mi avvinghiava. Spiegai a Manuel che non aveva nulla da scusarsi.

Poi mi avvicinai e allungai le braccia, posi le mani sui bicipiti, sentendo sotto i polpastrelli la perfetta rotondità dei muscoli. E lo baciai. Prima fu solo il contatto tra le labbra. Manuel fece un po’ di resistenza. Poi spinsi la lingua nella sua bocca e Manuel si lasciò andare.

Ci avvinghiammo in quello scambio di sangue e saliva, strofinandoci l’uno all’altro. Sentii i pettorali di Manuel vibrare in sintonia con i colpi della lingua, mentre i membri eretti si strofinavano attraverso la stoffa dei pantaloni.

Le mani stringevano reciprocamente i glutei e le gambe strofinavano con foga l’una contro l’altra. Le bocche non si allontanarono nemmeno per un attimo, finché, sazi  l’uno del sapore dell’altro, i nostri corpi si separarono.

Guardai Manuel, aveva la fronte rossa e i capelli  scompigliati dal sudore. Nella tuta c’era un macchia di bagnato, probabilmente anche lui era venuto mentre i nostri membri si strusciavano eretti. Aveva un’espressione confusa, dubbiosa. Forse voleva dire qualcosa, ma io non glielo permisi, mi mossi rapido verso la porta e lo salutai, uscendo dal bagno.


 
Manuel non uscì subito. Io rimasi alcuni secondi sulla porta,  per riprendermi dal turbamento che sentivo nel cuore, forse perché speravo che lui uscisse  per abbracciarmi, per dirmi che mi amava, che mi voleva. Ma non accadde.

Una lacrima scivolò sul mio volto. Portai la mano sulla bocca e mi ripulii dal sangue che era rimasto. Poi infilai un dito tra le labbra e succhiai avidamente, assaporando di nuovo l’aroma dell’anima di Manuel. E me ne andai.
 
Passai tutta la giornata in preda ai dubbi, pensando  a quello che avevo fatto e a quello che avrei potuto fare. Alla fine mi pentii di non avergli detto niente, di non aver cercato di capire cosa aveva significato per lui quell’atto.

Ma la scuola era finita, e non lo avrei rivisto  fino al nuovo anno. Passai tutta l’estate fantasticando su di lui, su quello che ci saremmo detti quando ci saremmo visti, e quale rapporto avremmo avuto. E mi convinsi che saremmo potuto essere una coppia, che tra noi sarebbe potuto nascere un amore vero. Quante seghe mi ero fatto pensando a lui.


 
Giunse la vigilia del primo giorno di scuola, dopo un’estate passata a pensare a lui. Il mio cellulare squillò lanciai un’occhiata rapida al messaggio: “Finalmente ho avuto il tuo numero: Ti amo. Manuel”.
 
 

 

   
 
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