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Autore: katsushi    15/10/2016    0 recensioni
La lettera ad una donna. Un amore iniziato nella primavera del 1950 e mai conclusosi.
Una lettera ad una donna. Una profonda, intensa, viva e sincera storia d'amore attraverso gli occhi di un uomo condannato a morte.
[La storia partecipa al contest: C'è posta per te]
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopoguerra
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Autore: katsushi
Titolo della storia: Nei giorni di primavera
Genere: Epistolare, romantico
Rating: Verde
Tipo di coppia, se presente: Het
Avvertimenti e note: Angst, Fluff, Sentimentale, Drammatico.
Lunghezza (numero di parole): 1245
Breve introduzione: Una lettera ad una donna. [...] Una profonda, intensa, viva e sincera storia d'amore attraverso gli occhi di un uomo condannato a morte.


Note (facoltative): Ho scritto la storia di getto. Ho letto il bando del contest e mi è venuto un flash in mente che poi ha preso forma mentre scrivevo. La storia, inizialmente, doveva avere un carattere fantasy in stile Orange (un manga; per chi non l'avesse letto si tratta praticamente di una lettera che arriva dal futuro alla protagonista scritta da lei stessa dieci anni dopo. Una storia molto intensa). Questa storia però ha preso un'altra strada, una strada che non è stata voluta né guidata ma che riprende in parte quello che io ho sempre immaginato fosse l'amore tra i miei nonni. Romanzato ovviamente. Non prometto lacrime ma spero di emozionarvi, almeno un po'. Buona lettura.

 

 

Quieta è la luce

nei giorni di primavera,

ma non c’è pace

per questo cuore –

sono caduti i fiori.

 

 

Londra, 14 Ottobre 2016

Emmaline, mia cara,

se stai leggendo questa lettera ci sono molte probabilità che io sia morto – oppure stai curiosando tra le mie cose. In questo caso ti chiedo cortesemente di mettere un freno a questa tua dannata curiosità che un giorno non molto lontano potrebbe davvero ucciderti!

Se non sono morto, Line, ripiega la lettera seguendo le linee, fai molta attenzione perché ci tengo, lo sai. Rimetti il foglio nella busta e chiudi di nuovo la scatola in cui l'hai presa nel fondo dell'armadio.

Se invece sono morto, Line, continua pure a leggere. Ti prometto che non serviranno fazzoletti e che non verserai una sola lacrima; solo, ti prego, presta attenzione; guarda la lettera con quei tuoi occhi ardenti, curiosi, vivaci, emozionati di sempre; guardala come se stessi guardando me, Emmaline. Io spero solo di farti battere il cuore una volta di più, come tu hai sempre fatto tu con me.

Sono passati ormai sessantasei anni anni dal giorno in cui ti vidi per la prima volta. La guerra era finita da cinque anni e la ricostruzione era finita ma nella mia testa, e nel mio cuore, c'era ancora un paese straziato dal freddo, dalla fame, dalle bombe, dai morti.

La guerra era finita ma io ero ancora un soldato; scampato ad una morte liberatrice che si era beffata di me, trascinavo le mie giornate in silenzio, seduto sulla solita sedia a dondolo, con la solita coperta logora sulle gambe, con la solita sigaretta tra le labbra screpolate, con le dita ingiallite dal fumo e con gli occhi vacui puntati fuori da una finestra coperta di pioggia all'ultimo piano di quell'ospedale militare di cui non ricordo il nome. Non ricordo nulla di quei cinque anni che intercorrono tra la fine della mia prigionia in Germania e il tuo arrivo, Line, solo gli incubi che mi tennevano sveglio, quelli li ricorderò per sempre.

Il primo ricordo risale a quel pomeriggio di sessantasei anni fa, quando, indossando la tua uniforme bianca, entrasti in quella camera squallida, in quell'ospedale squallido, che era stata la mia casa per cinque anni. Il primo ricordo risale a quel pomeriggio di sessantasei anni fa, quando, indossando la tua uniforme da infermiera, con una timidezza virginale sulle gote, entrasti nella mia vita.

Seguivi il dottore per le visite ai pazienti; una giovane educanda che voleva diventare infermiera. Mi hai chiesto spesso, impicciona come sei, cosa mi fece riemergere da quel torpore di morte che mi aveva avvolto per anni ed io, dispettoso come sono, ti ho sempre detto che fu la lussuria del tuo corpo a destarmi. Ma Line, ti svelo un segreto, mentivo.

Furono le tue guance rosse come una fragola di Maggio; furono le tue labbra piene, leggermente dischiuse, umide e rosee; furono le tue mani, leggere come una carezza, non appena si poggiarono su di me la prima volta, quando togliesti la coperta dalle mie gambe per scoprire la mia amputazione. Furono i tuoi occhi, furono quegli occhi che mai mostrarono ribrezzo per quello spettacolo orrendo di cicatrici, sangue e pus.

Ricordo ogni giorno da quel giorno. Ricordo le tue visite nel pomeriggio; ricordo le storie che mi raccontavi; ricordo il dolore condiviso della perdita, tu la tua famiglia, io la mia umanità; ricordo il colore delle tue guance e la felicità sul tuo viso quando il dottore si complimentava con te per il lavoro che stavi svolgendo, ricordo quando lui ti toccava – non importa quanto innocentemente – ed io desideravo che quei complimenti non ti fossero più rivolti.

Tu li ricordi, Line, i miei capricci? Ricordi come mi impuntai scioccamente per non ricevere più le tue cure quell'estate di sessantasei anni fa? Io ricordo che avrei preferito lasciarmi morire purché il dottore non si complimentasse più con te.

« Vuoi morire, Gabriel? Bene, allora muori! » fu il nostro primo litigio, lo ricordi? Tu non sei mai stata una donna di tatto, Emmaline. Ma non importa perché ho amato anche il tuo essere brutale.

« Sono sopravvissuto ad una guerra, sono sopravvissuto a quei fottuti nazisti e dovrei morire per colpa di una donna? No, io non morirò, non certo prima di te! » penso di non poter mantenere quest'ultima promessa, Line, ma ne sono felice. Non avrei potuto vivere una vita in cui tu non sei al mio fianco.

Tu mi hai tenuto in vita allora ed hai continuato a tenermi in vita per sessantasei anni.

Ricordi la riabilitazione? Aspettavo ogni giorno con trepidazione quel momento per avere una scusa per tenerti la mano, per abbracciarti, per toccare la tua pelle.

Ricordi il giorno in cui il dottore disse che potevo essere dimesso? Io lo ricordo con terrore. Essere dimessi equivaleva per me a dire che sarei dovuto tornare a Londra, essere dimessi equivaleva ad un addio. Io non ero pronto a dirti addio.

Non avrei mai creduto possibile che tu accettassi la mia proposta, Line. Quando mi misi in ginocchio davanti a te, senza nemmeno un anello, promettendoti solo una casa, protezione e felicità, ero certo che tu avresti rifiutato. Quando hai sorriso, quando hai toccato il mio viso per la prima volta, credo quello fu il primo vero attimo di gioia della mia esistenza. Il primo di tanti.

Ricorderò anche dopo la morte il giorno del nostro matrimonio, l'arrivo a Londra, la vita da sposini, ricorderò con tenerezza quel giorno d'inverno in cui mi dicesti con voce tremante: « Gabriel, aspetto tuo figlio ». Tu riesci ad immaginare la gioia? Tu hai sempre saputo cosa dire e cosa fare per rendermi l'uomo più felice della terra. Tu hai cancellato i miei incubi ed i miei mostri, tu hai riempito la mia vita di luce e di calore. Tu sei stata la mia unica amica, il mio unico sostegno, la mia unica speranza. Io dipendevo da te, Emmaline; ho vissuto sessantasei anni con la consapevolezza di averti consegnato non solo il mio cuore ma anche la mia intera esistenza. Tu mi tenevi in pugno. Eppure tu, quel pugno, non lo hai mai stretto.

Quante volte avrei dovuto dirti grazie e non l'ho mai fatto? Spero non sia troppo tardi per recuperare adesso tutti i grazie che non ho mai detto.

Grazie per aver sempre cucinato il porridge la domenica nonostante tu lo odiassi. Grazie per rinunciato alla danza che tanto amavi perché io non potevo danzare. Grazie per avermi aiutato a smettere di fumare, anche se ormai era troppo tardi. Grazie per aver conservato per te ogni mio segreto.

Grazie per Thomas, per Andrew, per Catherine, per Elizabeth, per Stephan. Grazie per avermi dato cinque meravigliosi figli, per avermi concesso l'immensa grazia, non dovuta, di essere padre. Grazie per essere stata mia amica quando i miei mostri avevano reso anche me un mostro. Grazie per essere stata mia alleata quando nessuno avrebbe accettato di schierarsi al mio fianco. Grazie per essermi stata fedele anche quando io non lo sono stato, per non avermi abbandonato quando sarebbe stato giusto abbandonarmi. Grazie per aver sopportato il calvario di questa malattia che mi sta consumando dentro.

Grazie per avermi donato tutto l'amore di cui eri capace, cuore mio.

Grazie per avermi accarezzato il viso e avermi rubato l'anima con un bacio, amore mio.

Ti prego, conservarmi per sempre sulle tue labbra, anima mia.

Sarò per l'eternità il tuo, devotissimo, Gabriel.

   
 
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