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Autore: Keyra    10/05/2009    5 recensioni
TEMPORANEAMENTE FUORI USO."La maternità è una malattia infettiva e inspiegabile, per chi ha diciannove anni e vive ancora nel mondo delle favole. ."
Eva è giovane, Eva ha ventitre anni. Eva ha ventitre anni e un passato alle spalle che l'ha resa tanto felice. E che ora le ha rovinato la vita. Riuscire ad essere felice. Non ci riesce, ormai, da più di tre anni.
Genere: Malinconico, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi perdo in una goccia d'acqua, nel respiro affannato dell'uomo che mi sta accanto e dorme, dorme inconsapevole dei miei occhi spalancati che fissano il buio, lucidi, e la mente immersa in quelle che non sono altro che paure. Paure, paure e paure.
Il viso sprofondato nel cuscino, i sensi della guancia intorpiditi, lasciati dissolversi in quella posizione scomoda. Di tutto, pur di non toccare lui.
Un orologio maledetto che fa tic tac tic tac, chiuso in qualche cassetto  per non farsi sentire, e invece io sento il suo suono ripetuto e nauseante sempre di piu, sempre di piu, ma non sembra disturbare il sonno dell'uomo che mi sta accanto.
Silenzio, avvolta dal buio di una camera diventata un'abitudine per me. Tende blu, lenzuola verdi. Conosco ogni parte della sua casa, piu di quanto conosca lui stesso.
Paure, paure e paure che mi attanagliano lo stomaco.
 Non riuscire ad essere felice. Non ci riesco, ormai, da più di tre anni. 


La mattina dopo mi sveglio da un sonno in cui non mi ero nemmeno accorta di essere caduta. Lentamente, molto lentamente, i miei occhi si erano chiusi, mentre una serie di pensieri si affollavano spintonandosi nella mia testa. Il buio della camera di Alberto era diventato sempre più avvolgente, la forma delle cose indistinguibile, il colore delle lenzuola un tutt'uno con quello del cuscino. Non avevo avuto paura di sognare.
La mia pelle, dopo tanto tempo, stranamente si sveglia asciutta, quasi fresca. Le lenzuola non sono intrise del sudore che spendo durante la notte, mentre mi dimeno per fuggire dai ricordi che si manifestano tra le braccia di Morfeo. Non ero più stata capace, da troppo tempo, di sentirmi sicura mentre dormivo. Il bisogno di sentirmi osservata, controllata da me stessa, perché vicino a me non c'era più nessuno, in qualsiasi momento, sempre, per qualsiasi motivo. Per non sbagliare, per non lasciarmi sviare dal mondo.
- Buongiorno lady - è la voce di Alberto, il suo ironico saluto quotidiano. Il buongiorno del diavolo.
Lui, in piedi al fondo del letto. Un asciugamano stretto attorno alla vita, poi niente di più. I capelli bagnati aderenti alla testa, qualche goccia di acqua ancora sul petto.
- Vuoi la colazione? -
- No, grazie -
- Latte, yogurt.. Niente? -
- No, ho un po' un senso di nausea -
- Non ti sei nemmeno alzata dal letto e già ti senti male? -
- Non ho detto che mi sento male, ho detto che ho un po' di nausea -
Lo guardo accigliata, ormai ho perso le speranze in lui.
Si stende affianco a me, mi abbraccia. - Dai, non fare così -
- Così come? -
Per un istante i nostri sguardi si incrociano, tensi, densi di voglia di far l'amore e basta, intensi. Perché è solo quello che ci accomuna, che ci spinge a stare insieme. Che ci spinge a cercare, a cercare i nostri corpi, i centimetri della nostra pelle. Quando siamo insieme non abbiamo nome. Siamo solo un corpo.
- Niente, lascia perdere -. Si slaccia dall'abbraccio in cui mi aveva stretta, sentendomi scostante, spenta. Distante anni luce dalla dimensione che solitamente ci unisce. Ora, ho solamente voglia di tornarmene a casa.
- Non rimani? -
- Una domanda del genere presuppone un invito ad andarmene via -
- Non ti capisco. Giungi a delle conclusioni a cui nessuno ti vuole portare. Interpreti le cose a modo tuo -
- Forse, ma ho voglia di fare cosi -
Mi sfilo di dosso le coperte leggere, senza preoccuparmi del mio aspetto stanco e trasandato di una notte travagliata, tra il consumo di una passione amorosa e i dubbi di una vita che pian piano si spegne, mi infilo di fretta jeans, cintura, maglietta e scarpe da ginnastica e filo in cucina.
- Dov'è la mia borsa? - gli grido, rimasto in camera da letto.
- Cercatela -
Mi muovo per la casa piena di oggetti lussuosi, inutili strumenti tecnologici e avanzati, immersa nella luce artificiale di lampade alogene, finalmente trovo la mia borsa in un angolo del salone.
Non ho più niente da vedere, qui.

Mi porto sempre dietro la mia macchina fotografica. Ho il bisogno di avere la possibilità di catturare, in qualsiasi momento, qualsiasi attimo della vita nel suo genere, delle persone che intravedo alle fermate degli autobus, di quelle impazienti e nervose che aspettano in coda dietro il finestrino di una macchina, ho il bisogno di catturare immagini di sorrisi e di occhi sognanti, quelli che mi mancano da tempo. Le mie foto sono così: esprimono un senso di serenità interiore che esplode. E' un ossimoro così buffo. Dentro mi sento vuota, eppure ciò a cui do vita è così strabordante di.. vita.
Guido il motorino da poco tempo. Ho deciso di prendermelo quando mi sono detta: "La mia vita cambierà". E invece non ha fatto altro che andare a puttane. Ma il motorino, in tanti casi, più di una volta, mi ha portata lontana, lontana dai ricordi. Mi ha portata nei campi dorati che si estendono fuori città, oppure in posti più lontani come sulle rive dei laghi montani o le spiagge della Liguria, nei giorni d'inverno, in quelli d'estate, ma pur sempre dove io non avessi ricordi da condividere con la mia testa. Mi ha portata in luoghi dove il mio dito cominciava a scattare sul pulsante d'azione della macchina fotografica e finiva solo quando non c'era più nient'altro da catturare. Da imprimere indelebile nella memoria. Perché la fotografia é memoria.
Sgombero dei pensieri. Via ogni ricordo dal sapore agrodolce. Solo il presente, e la realtà che mi circondava.
Oggi è uno di quei giorni. Dovrei essere all'università, ma non ho saputo resistere alla tentazione di buttare le mie frustrazioni in un campo di grano.
Cielo limpido, dall'alto la scena sarebbe quella di una povera pazza che se ne sta sdraiata in una distesa di spighe, schiacciando la loro stessa vita, ma per una volta non è se stessa che viene schiacciata. Gambe e braccia aperte a x. Senso di libertà opprimente. Mi opprime, eppure mi sento così leggera, ora.
I capelli scuri si intrecciano con le spighe di grano, formano una strana corona d'ora attorno alla mia fronte. Contrasto di colori, scuro-chiaro, chiaro-scuro. La mia pelle abbronzata di natura riflette lucida la luce del sole.
Ho voluto scappare da Alberto, dai ricordi che mi calpestano, dalla realtà, dalla mia vita, da quello che sono diventata. Chi se ne intende lo descriverebbe come un malessere interiore. Solo chi lo prova, sa di cosa si può parlare.


  
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