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Autore: ellephedre    18/10/2016    8 recensioni
Makoto Kino è innamorata. Gen Masashi la segue a ruota.
Con una relazione nata nella battaglia, non hanno più segreti tra loro, eppure hanno ancora molto da scoprire l'uno sull'altro. E non vedono l'ora di farlo.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Makoto/Morea, Nuovo personaggio
Note: Lemon, Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la fine
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Oltre le stelle Saga'
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correntenaturale - calura

 

 

Corrente naturale

di ellephedre

 

 

 

Luglio 1998 - Effusioni

  

Di lunedì mattina, Makoto passò una mano sul vetro offuscato del bagno, per guardare il proprio riflesso. Abbozzò un sorriso, sollevò le sopracciglia, fece un paio di smorfie carine. Soddisfatta, lanciò un bacio alla propria immagine. Era uno di quei giorni in cui si trovava più bella del solito. La sua pelle appariva più luminosa, le sue labbra più piene e le sue ciglia più lunghe. Probabilmente era merito della doccia. Quale modo migliore di iniziare una calda giornata estiva, se non rinfrescandosi da capo a piedi?

Ora, se voleva mantenersi fresca, doveva scegliere bene cosa mettersi.

Era un bel dilemma. Da un po' non aveva tempo di fare acquisti. Era sempre così difficile trovare capi che non si appiccicassero alla pelle con l'arrivo dell'afa.

Seminuda, coi capelli ancora bagnati sulle spalle, si inginocchiò sul pavimento, aprendo l'ultimo cassetto del suo guardaroba. Era quello che controllava meno di frequente. Forse lì dentro c'era qualcosa di utile.

Tirò fuori una magliettina sbiadita, un paio di pantaloncini jeans sdruciti e una marea di calze spaiate. In fondo al cassetto recuperò un vestitino. Lo allargò tra le mani, tirandolo su.

Era proprio minuscolo. Quand'era l'ultima volta che lo aveva messo? Prima che le crescesse il seno, poco ma sicuro. L'abitino era bianco, con due spalline molto sottili che sorreggevano due triangoli che avrebbero dovuto coprirla sul petto.

Valeva la pena di fare un esperimento. Portò l'indumento sopra la testa, calandolo sul corpo. Per farlo calzare dovette fare un secondo tentativo, allungando le spalline che - ora rammentava - fungevano come quelle di un reggiseno. Bei tempi quelli in cui si sarebbe potuta permettere di non indossarne uno.

Andò allo specchio posizionato accanto all'ingresso. Nel vedersi, spalancò la bocca. Ora ricordava perché non aveva mai messo quel vestito! Era delizioso, ma semi-trasparente. Il tessuto lasciava intravedere il colore delle sue areole. Purtroppo era il minore dei problemi: i triangoli di stoffa le coprivano appena metà seno, lasciandole mezzo petto di fuori. Sembrava una specie di gravure model, pronta per un servizio fotografico per soli uomini.

Udì un sibilo. Ahh, l'acqua nella teiera stava bollendo!

La versò nella sua tazza da colazione preferita, canticchiando mentre sceglieva la variante aromatica di té da gustare quella mattina.

Era bello avere una giornata libera, di tanto in tanto. Per la pasticceria aveva assunto due collaboratrici, ma era sempre necessaria la sua presenza negli orari di apertura. Inoltre aveva spesso commissioni speciali per matrimoni o altre ricorrenze - faccende che non poteva delegare. Forse doveva smettere di accettare nuovi ordini. Il suo piccolo business era abbastanza cresciuto. Anche assumendo una terza persona, sarebbe stato difficile stare dietro alla crescente popolarità della sua pasticceria. Doveva puntare a essere un servizio familiare, molto esclusivo. In fondo, aveva giusto un altro annetto pieno prima di dover dire addio a tutto quanto.

Scosse la testa, tornando al presente. Non aveva senso focalizzarsi su ciò che sarebbe stato. In quel momento aveva una casa da pulire.

Si diresse al cesto dei panni, per scegliere i vestiti con cui caricare la lavatrice.

Una gocciolina d'acqua le cadde dai capelli lungo la schiena, ricordandole del vestito che indossava.

Certo che era proprio fresco. Non le arrivava neppure a metà coscia, lasciandole le gambe completamente libere. I triangoli di tessuto le sostenevano il seno, a modo loro. Non dover portare due strati di stoffa sul petto era una cosa nuova.

Per quel giorno il meteo prevedeva una massima di 34°. Con qualunque altro indumento era destinata a sudare, ma forse con quell'abitino... Si decise. Sarebbe rimasta così, tanto nessuno poteva vederla. 

Saltellò verso il bagno e recuperò la spazzola, rimirandosi allo specchio mentre pettinava i capelli bagnati. Afferrando i lembi volanti della gonna, accennò due passi graziosi di danza.

Sì, era proprio carina quel giorno. E aveva deciso il suo prossimo acquisto: avrebbe scandagliato i negozietti di Tokyo cercando quello stesso tipo di tessuto leggero, in un'altra variante di colore. Rosa, magari. Si sarebbe cucita un abito identico a quello, con le sue attuali misure. Ne sarebbe venuto fuori qualcosa di delizioso e abbastanza decente da essere indossato fuori casa.

Il silenzio del suo appartamento cominciò ad annoiarla. Era ora di mettere su un po' di musica! Non c'era niente di meglio di un buon canale radio per conciliare le faccende domestiche.

Si mise all'opera.

   

Quel giorno Gen si sentiva fortunato. L'incontro con Shimazaki presso il sito di nuova costruzione si era concluso prima delle nove di mattina. Il committente non si era presentato a causa di un imprevisto. Irritato, l'architetto Shimazaki aveva mandato tutti a casa per mezza giornata. 

Dirigendosi verso la propria moto, Gen tirò fuori il telefono. Non si trovava lontano dall'appartamento di Makoto, poteva fare un salto da lei. Erano tre giorni che i loro orari non coincidevano.

Chiuse il cellulare. Le avrebbe fatto una sorpresa. Lei credeva che non si sarebbero visti fino a mercoledì.

Erano in una di quelle pause alle visite notturne su cui ogni tanto Makoto insisteva. 'Tua madre inizierà a chiedersi perché non ti trasferisci qui, visto che stai sempre da me.'

Lui non poteva darle torto. Non si sentiva ancora a suo agio all'idea di lasciare la casa della sua famiglia. Ogni volta che stava lì, Shori, e soprattutto Miki, lo travolgevano coi loro racconti e con richieste di consigli. Volevano la sua approvazione e attenzione. Anche sua madre era serena e appagata quando lui era in casa. Tutti desideravano ancora un po' di quell'unità familiare in cui avevano vissuto per tanti anni, prima che suo padre se ne andasse. Ogni cosa era cambiata da allora, ma Gen le avrebbe fatte cambiare ancora di più avesse deciso di trasferirsi.

Con sua madre avevano affrontato il discorso, qualche settimana prima.

'Puoi andare, se vuoi.'

'Io e Makoto non abbiamo ancora parlato di questo, mamma.' Era la verità.

La perplessità di sua madre era stata evidente. 'Lei è una ragazza e state insieme da un po'. Con tutto il tempo che passi a casa sua, avrà iniziato a farsi delle idee.'

Gen aveva cercato di buttarla sul ridere. 'Mi stai cacciando?'

'Sto cercando di darti dei consigli da mamma. Mi sarebbe piaciuto che restassi sotto il mio tetto ancora per tanto tempo, ma sarebbe stato possibile solo tu non avessi già trovato la ragazza giusta. Lei vive e si mantiene da sola, è un'adulta. Tu passi un sacco di tempo a casa sua. Sto solo dicendo che è normale che ci siano delle aspettative da parte sua. Non fare lo sciocco se non vuoi perderla.'

Non si era aspettato di sentir dire cose simili a sua madre. 'Guarda che va tutto bene tra me e Makoto.'

'E spero che vada bene ancora a lungo. Anche tu sei maturo per la tua età, Gen, ma devo ancora incontrare un ragazzo di ventitré anni che non si faccia venire i brividi all'idea di impegnarsi seriamente con una donna. Ti sto avvertendo: non fare sciocchezze. Anche se Makoto-san è arrivata presto nella tua vita, sarà molto difficile incontrarne un'altra come lei.'

L'approvazione di sua madre per Makoto lo riempiva sempre di soddisfazione, per cui si era concentrato su quella parte del discorso. 'Grazie per preoccuparti, mamma. Le dirò che l'apprezzi.'

'Lei lo sa già.'

Era vero anche quello. Makoto e sua madre andavano straordinariamente d'accordo. Miki la adorava e Shori la trovava molto simpatica. Era tutto... perfetto. O lo sarebbe stato, se lui e Makoto avessero potuto fare piani che andassero oltre l'anno.

Gen non era così convinto che Makoto lo volesse sotto il suo tetto in pianta stabile. Lei lo desiderava, nel profondo, ma... Da qualche tempo, lui aveva provato ad accennare al futuro. Puntualmente, lei cambiava discorso. Gen pensava di sapere perché. Lui non le aveva detto, 'Ti seguirò, ti starò accanto per l'eternità, mentre tu difendi e governi la Terra.' Aveva semplicemente menzionato piani che prevedessero lui e lei, nelle loro rispettive esistenze, per quel che ne sapevano adesso. Lui stava facendo un apprendistato presso un architetto, il suo sogno di sempre. Non era disposto a mettere in pausa la sua vita, firmando come lei carta bianca. Non ne vedeva la necessità. Voleva rimanere se stesso negli anni a venire, e continuare ad amare Makoto mentre lei diventava ciò che sentiva di dover essere. Quando avessero capito come sarebbe stata la nuova realtà di lei, di Giove - quella destinata a proseguire per mille anni - avrebbero deciso cosa fare della loro relazione.

Non era una questione di amore.

Se si fosse trattato solo di amore...

Lui non possedeva l'abnegazione totale di Yuichiro, né era come Alexander, che senza una sola preoccupazione per l'avvenire stava costruendo persino una famiglia con Ami Mizuno. 

Quel pensiero non lo atterriva. Figli, matrimonio, convivenza... Fossero stati quelli il problema.

Voleva solo assicurarsi di non vivere il resto dei suoi anni in una gabbia. Voleva poter decidere che cosa essere, che cosa diventare. Essere noto per sempre come 'il compagno di...' sarebbe stato fastidioso, ma mai quanto l'essere incatenato a un ruolo delineato, delimitato, in qualità consorte di una personalità politica e probabilmente militare come non se ne erano mai viste sulla Terra.

La sola idea di mettere in pericolo sua madre, Shori e Miki... Non ci voleva nemmeno pensare, o la sua decisione sarebbe stata devastante, ma chiara.

Le rimanenti conseguenze bastavano a coltivare i suoi dubbi. Lui compativa profondamente i miseri consorti dei comuni regnanti ancora esistenti sul pianeta - persone senza voce e con un'agenda fitta di impegni di rappresentanza su cui non avevano controllo. Manichini, per la maggior parte. Usagi e Mamoru avrebbero comandato sul nuovo regno terrestre, ma era facile immaginarsi almeno mezzo secolo di tumulti che avrebbero impegnato a pieno titolo ogni singola guerriera Sailor - loro e le loro famiglie.

Lui voleva plasmare il proprio futuro da solo. Non sentiva di poter resistere in una vita in cui fosse stato privato di quella scelta.

Non avrebbe dovuto nemmeno pensarci, dannazione. Le persone comuni non erano costrette a prendere simili decisioni. A Makoto chiedeva solo un po' di... normalità.

Al momento lei voleva la stessa cosa, perciò... il tempo avrebbe sistemato quella questione, no? Con lentezza e pazienza lui le avrebbe fatto capire di cosa aveva bisogno e che in nessun modo questo significava che volesse rinunciare a lei.

Era rimasto seduto sul sellino della moto, in silenzio.

Strinse i manubri tra le mani, accedendo il motore.

Quando pensava al futuro spesso gli veniva mal di testa.

Si trovavano ancora nel presente. Tanto valeva viverlo appieno.

Partì.

   

Makoto occhieggiò la cesta di panni puliti. Doveva stirare.

Il solo pensiero di essere sommersa dal vapore del ferro da stiro generò una gocciolina di sudore dietro il suo orecchio. Andò al rubinetto della cucina e si bagnò il collo con dell'acqua fredda.

Non poteva rimandare quell'incombenza per tutta l'estate; i vestiti non perdevano le pieghe da soli.

Coraggio, si disse. Avrebbe potenziato di una tacca il ventilatore e con un po' di televisione avrebbe superato anche quella sfida.

Andò all'armadio a muro accanto alla porta d'ingresso. Dietro le giacche e gli ombrelli aveva trovato un buco per l'asse da stiro. Lo caricò tra le braccia e lo portò in mezzo alla stanza, aprendolo tra il clangore ferroso dei tubi di sostegno.

Suonò il citofono.

Chi poteva essere? Un venditore porta a porta, o forse un vicino che aveva dimenticato le chiavi del portone.

Prese in mano il ricevitore. «Sì?»

«Indovina chi è.»

Il cuore le balzò in gola. «Gen!»

«Apri» rise lui.

Piena di gioia, Makoto gli obbedì immediatamente. Si voltò lesta per controllare lo stato della casa. Corse a rimettere l'asse da stiro al proprio posto e mise via un paio di panni che aveva lasciato distrattamente sul tavolo. Stava per preciparsi in bagno a darsi una sistemata, ma sentì bussare alla porta - due tocchi allegri.

Ridendo, aprì l'anta con energia. «Ciao!»

Sulla bocca di Gen rimase bloccata una parola. Lui calò con gli occhi sul suo seno.

Makoto si ricordò di quel poco che la copriva. Si schiaffò le braccia sul petto. «Non guardare!»

«Ahh....» Gen entrò in casa, chiudendo piano la porta dietro di sé. Serrò le labbra spalancate. «Hm.»

«È solo una cosa che ho messo per non morire di caldo.»

«È così che ti vesti quando non ci sono?»

Lei iniziò a ridere.

«Devo non esserci più spesso.»

Smettendo di fare la sciocca, Makoto abbassò le braccia. Non era niente che lui non avesse già visto. «Oggi sei riuscito a liberarti?» Portò le mani intorno al suo collo, ma Gen continuò a non guardarla in viso, gli occhi chini.

«Hmm...» mugugnò.

Lo aveva anche reso incapace di parlare.

Rassegnata e divertita, si allontanò da lui, dirigendosi verso la cucina per sistemare gli ultimi piatti sparsi. «È un vestito di quando avevo tredici anni.»

Lo sentì soffocare un'imprecazione.

«Cosa?» Si voltò.

«Niente.»

Non gliela raccontava giusta. «Non sapevo che venivi, altrimenti avrei messo su qualcosa di normale. Così almeno ti saresti ricordato di salutarmi.»

Gli diede la schiena e pochi attimi dopo sentì le mani di lui sulla vita, come aveva voluto.

«Ciao.»

Col bacio sulla tempia Gen si fece perdonare tutto quanto.

Makoto si girò tra le sue braccia, accarezzandogli le spalle. «Come mai non sei al lavoro?»

«Il cliente non si è presentato. Sono libero fino a dopo pranzo.»

Era fantastico. «Mi mancavi.»

«Anche tu.»

Indugiarono in un bacio lento, profondo. Le mani di Gen scesero sui suoi fianchi. Makoto lo conosceva abbastanza da sapere che stava trattenendo un tocco più audace, per il modo in cui sfregava le dita sul suo vestito. Lo aveva eccitato con due miseri scampoli di stoffa.

Desiderosa di giocare, si separò da lui.

«Stavo per mettermi a stirare. Preferisci uscire?»

Gli lesse in faccia un 'Non scherziamo', ma Gen fu più diplomatico. «Rimaniamo qui. Tranquilli.»

La radio era ancora accesa. Per l'ennesima volta in quelle settimane partirono le note della sua canzone preferita. 

«My heart will go on!»

Gen alzò gli occhi al cielo.

Smettendo per un istante di badargli, Makoto si concentrò sulla melodia iniziale, attendendo trepidante le prime parole. La voce dell'interprete era dolcissima sulla frase d'esordio.

"Every night in my dreams, I see you, I feel you"

Lei capiva con tutta la sua anima la profondità di quel sentimento. Avere tanta nostalgia di una persona amata e ormai persa, ritrovandola continuamente nei propri sogni... «Voglio andare a rivedere il film.»

Sarebbe stata la terza volta e Gen non nascose la smorfia di dolore. «Non è fuori programmazione?»

«Lo riproporranno per due settimane al cinema di Juuban. Non metterti le mani nei capelli, non ti ci trascino di nuovo.»

Sorridendo per lo scampato pericolo, lui si accomodò al tavolo. «Ci vai con le ragazze?»

«Ci pensavamo da un po'. So che a te è piaciuta la parte dell'affondamento, ma la storia d'amore è la cosa più importante. Voglio piangere insieme alle mie amiche.»

«Masochiste.»

«Ti sei commosso anche tu!»

«Moriva tanta gente innocente. La mamma coi bambini, quei poveri musicisti...»

Makoto si lasciò sfuggire una risata. Nemmeno cambiando discorso Gen riusciva a smettere di lanciare occhiate alla sua scollatura.

Seduta dall'altra parte del tavolo rispetto a lui, si sollevò sulle mani, mettendo in risalto i seni uniti. «Mi passi quella rivista dietro di te?»

Lui impiegò due secondi a connettere, poi tastò con la mano dietro la propria schiena, senza voltarsi.

«Che esagerato!» scoppiò a ridere a lei.

Lui non finse di non capire. Sorrise impenitente. «Quei bottoncini stanno per scoppiare.»

Makoto abbassò lo sguardo. Oh, era vero: due dei bottoncini bianchi all'altezza dello sterno erano usciti dalle asole. Provò a rimetterli al loro posto, ma si sentì stringere troppo il petto e lasciò perdere.

Gen stava praticamente sbavando. «È una specie di sogno che si avvera.»

Senza capire, lei prese il telecomando dello stereo e spense la radio. «Mi sono fatta vedere in capi più sexy.»

«Sì, ma... questo dovrebbe essere un vestito normale. Con la taglia sbagliata e il modo in cui incastona i tuoi seni, stringendoti il corpo...» Emise un soffio. «È così innocente da essere quasi... pornografico.»

«Cosa?»

Udendo il suo tono, lui strinse i denti. «In senso buono.»

«Esiste un senso buono?»

Gen deglutì. «Nel senso che, visivamente, mi ecciti da impazzire.»

Nei momenti più disperati lui se ne usciva con mosse da campione.

Respirando con lentezza, per farsi ammirare, lei accarezzò il tavolo con un dito. «Allora è un bene che abbiamo tutta la mattina a disposizione.»

Gen iniziò ad alzarsi.

«Ah-ha. Chi ha detto che puoi muoverti?»

Alzando un sopracciglio, lui si immobilizzò.

«Non mi pare giusto che tu sia l'unico a goderti questi piaceri... visivi. Ho i miei diritti.»

Gen sollevò gli angoli delle labbra. «Cosa posso fare per te?»

Makoto lo osservò sul torso, la camicia a maniche corte aperta sul collo fino alla linea dei pettorali. Per lavoro lui era stato costretto a indossare pantaloni lunghi. «Avrai caldo con tutta quella roba addosso.» Scivolò all'indietro sulle ginocchia, senza alzarsi dal pavimento. Picchiettò il bordo del letto. «Vieni a metterti comodo.»

Lui si mosse con calma deliberata, il respiro carico, quasi affannoso. La ragione era evidente nel rigonfiamento dei suoi pantaloni.

Era potente essere capace di ridurlo in quello stato. Makoto sentiva forte, in una maniera deliziosamente femminile, quando era in grado di farlo muovere ai propri comandi con la sola promessa di una carezza.

Sedendosi sul letto, lui si appoggiò all'indietro sulle mani, rabbrividendo quando lei gli accarezzò un ginocchio.

Makoto si sistemò tra le sue gambe. «Povero tesoro. Costretto a stare così coperto.» Si sollevò leggermente, allungando le mani per sciogliergli i bottoni della camicia. A ogni asola liberata, sfiorò la sua pelle col dorso delle unghie.

Gen era immobile, teso.

Makoto appoggiò un bacio sul suo sterno, sfiorandogli il bacino rigido con lo stomaco.

Lui inspirò veloce.

«Fosse per me» sussurrò lei, «dovresti andare in giro sempre a torso nudo.» Sotto il venticello del ventilatore, senza fretta e con un poco di crudeltà, indugiò con le labbra a pochi centimetri dai suoi addominali, aspettando di sfilare il bottone dal proprio alloggio prima di abbassarsi a baciare di nuovo. Gen ritrasse lo stomaco involontariamente, rabbrividendo.

«Mako...»

Il sospiro spezzato la scaldò. A mano aperta, lo percorse dal collo fino all'addome - una carezza unica con cui indugiò su ogni rilievo dei suoi muscoli. Stuzzicò il bordo dei suoi pantaloni e le palpebre di lui tremarono. Con gusto, per far crescere l'attesa, lei appoggiò la bocca sull'ultimo lembo di pelle scoperta, tre volte. Si godette il gemito sordo e salì di nuovo con le mani, per stuzzicargli i capezzoli piatti. Se solo fossero stati sensibili come i suoi... Sollevandosi, li baciò ugualmente, con ardore.

Alzò la testa per guardare il volto di Gen. Seguì i suoi occhi mentre tornava a muoversi, leggendovi dentro.

«Avrai caldo anche qui.» Gli sfiorò la patta dei pantaloni con una mano, facendogli stringere i denti. Smettendo di torturarlo, sciolse a memoria la cintura di cuoio, appoggiando i gomiti sulle sue ginocchia. Gen era talmente eccitato che sulle sue guance era comparso un velo di colore, adorabile in lui.

Makoto percorse i suoi fianchi sotto l'orlo dei pantaloni. Non furono necessarie parole: Gen sollevò il sedere, permettendole di far scivolare l'indumento oltre i suoi glutei, lungo le cosce ruvide. Lei proseguì fino ai polpacci, poi con una carezza sulla pianta di un piede nudo, gli fece capire che doveva alzare le gambe. Terminò di spogliarlo delicatamente dei pantaloni, come fosse al suo servizio. Li piegò con cura, godendosi il ruolo. Si stava comportando... da ancella.

Appoggiò i pantaloni sul tavolo e tornò a concentrarsi su Gen, posando le mani sulle sue ginocchia. «Mi vuoi senza slip?»

Mangiandosi l'aria, lui deglutì. «Sì.»

Maliziosamente, lei sollevò la gonna solo sui fianchi, per non permettergli di vedere. Fece scendere il pezzo di cotone sottile lungo le gambe, muovendosi con grazia, fino a liberarsi completamente. Ansiosa, tornò da lui. «Sai... Vorrei essere la tua più sfrenata fantasia.»

Gen agitava il petto nello sforzo di respirare. «Lo sei già.»

Audace, lei infilò una mano nell'apertura dei suoi boxer, accarezzandolo. Lui si morse un labbro, senza mai chiudere gli occhi. Per il suo piacere la vista era molto importante.

«Potrei tirarlo fuori, e baciarne la punta.»

Per Gen l'ossigeno stava diventando un bene sopravvalutato.

«Ma preferisco avere tutto» concluse Makoto, insinuando una mano nei suoi boxer all'altezza del sedere, per tirare via quell'ultima barriera.

Lui la aiutò al meglio delle proprie possibilità, anche col cervello mezzo fritto. Quando fu finalmente nudo, invece di abbassare il viso sul suo membro, Makoto si spinse in avanti col corpo, creando uno spazio per la sua erezione esattamente tra i suoi seni gonfi.

Per un momento lui vide bianco, per il sangue che gli era esploso in testa.

Makoto gli lanciò un sorriso - tremendamente dolce, e per questo così sensuale. «Le tue parti preferite, insieme.»

Lui riuscì ad articolare una frase. «Manca la tua bocca.»

Dandogli ragione, lei chinò la testa, avvolgendolo con le labbra.

Gen sentì di essere morto e andato nel Nirvana. Gemette, trattenendosi dall'afferrarle la nuca, andando invece a stringere le lenzuola tra le dita.

Makoto gli fece sentire il bollore umido e ruvido della propria lingua, poi spostò le mani, andando a raccogliere i seni così che sembrassero più pieni attorno alla sua asta.

Lui picchiò il materasso col pugno.

Lei si lasciò sfuggire un rapido sorriso, senza smettere di rendere omaggio alla sua erezione.

Lui stava per esplodere. E non voleva, aveva bisogno di vederla continuare, di sentirla continuare.

Conoscendolo quasi meglio di se stesso, Makoto lo massaggiò sulla base, stringendo, per mettere un freno alla sua eccitazione. 

«Sei... divina.»

«Di più.» Lei si adoperò a dimostrarlo, donandogli con la bocca piaceri che lui fu sicuro di non avere mai provato.

Per poco non arrivò al culmine quando un capezzolo roseo le sfuggì dal vestito, strofinandosi contro il suo bassoventre. 

Makoto lo frenò di nuovo. «Scelgo io quando. Tu goditela.»

Gen lo fece senza alcuna riserva, infilandole le dita tra i capelli per farle capire quanto gli piacesse una suzione intensa, regolare. Si ridusse ad ansimare come un animale.

Makoto gli strappò il culmine con un grido. Col bacino teso Gen si morse le labbra fino a quasi tirare via sangue.

Lei non si perse neppure una goccia del suo orgasmo.

Incurante della dignità, lui si abbandonò sul letto, occhi chiusi e braccia distese. Aveva visitato l'aldilà di ogni religione esistente. Era in pace con l'universo.

Sentì che la pressione sul letto variava. Makoto si stava sistemando accanto a lui, girando intorno... alla sua testa?

Aprì gli occhi e si ritrovò a guardare il viso sereno di lei, capovolto. Col corpo, rannicchiata, Makoto aveva creato una specie di guscio sopra di lui. Ora lo contemplava.

I suoi occhi erano del colore dell'erba, il verde intenso che i fili assumevano dopo essere stati bagnati dalla pioggia. Gen trovò la forza di sollevare un braccio, per sfiorarla sul mento. Lei aveva una pelle così morbida...  Makoto abbassò le palpebre, sorrise. Sulle sue guance crebbe un'ombra di gioia, una sfumatura tenera di rosa. 

Come era riuscito ad avere qualcuno di così perfettamente puro nella sua vita? 

Non gli piaceva sentirsi romantico perché gli faceva male. Era un dolore fisico per lui rendersi conto di quanto fosse forte quello che provava per lei, consapevole che un giorno poteva non averla più accanto. Gli veniva voglia di urlare, distruggere qualcosa, disperarsi. Ma non era quel tipo di persona. Era calmo, con la testa sulle spalle.

E pieno di speranza.

Trascinò una mano di Makoto sotto la bocca, per baciarla.

Gratitudine, amore, reverenza. Erano buoni sentimenti da provare.

Lei gli passò le dita sulla fronte, quasi facendolo addormentare.

 

Era così felice. Senza fare troppo rumore, Makoto sgattaiolò in bagno. Stare con Gen era indescrivibile perché un minuto lei poteva sentirsi una sirena ammaliatrice, priva di inibizioni, e quello dopo una ragazzina alla prima cotta, emozionata all'idea di ricevere un bacio.

Sotto il getto del rubinetto, sciacquò bene la bocca. Gen aveva ancora la fissa di esitare a baciarla troppo profondamente appena dopo che si era liberato tra le sue labbra. Stranamente, non concepiva che lei potesse provare lo stesso fastidio a parti invertite. Ovviamente per lei non c'erano problemi. Si trattava in entrambi i casi di semplici fluidi corporei. Grazie alla loro buona alimentazione tutti e due avevano un sapore mite, lievemente salato e affatto spiacevole. 

Quando gli parlava così, lui scoppiava a ridere.

Quel giorno lo aveva rivoltato come un calzino. Se quell'esperienza non finiva nella personale top ten di lui, lei non era più degna di chiamarsi Makoto Kino.

Tornò in camera, a passi felpati.

Senza muoversi, ancora voltato, Gen parlò. «Dov'eri andata?»

«Sei resuscitato?»

«Ce l'ho fatta.»

Le scappò una risata. Fece il giro del letto, per potervi salire guardandolo in faccia. Come se non lo avesse appena stremato, lui si concentrò di nuovo sul suo petto.

«Mi sa che due bottoni si sono sacrificati.»

«Come? Oh, no!» Li cercò con lo sguardo sul pavimento.

Gen le prese una mano. «Li ritroverai.»

«Speriamo. Comunque, ne è valsa la pena.»

Lui chiuse gli occhi, rivivendo l'esperienza. «Come ti è venuto in mente?»

«Ho i miei segreti.»

«Non vuoi dirmeli?»

Preferiva di no. «Così rimarrai sorpreso la prossima volta che ne sfodero uno nuovo.»

Gen annuì. «Ragionevole.» La tirò piano verso di sè. «Ma ora tocca a me.»

Makoto abbassò gli occhi sul suo bacino, dove il suo organo sessuale giaceva sfinito. «Non per deluderti, ma...»

Lui liberò una risata alta. «Non ho solo quello, sai?»

Ah, no?

«Mi pareva di ricordare che ti fossi spogliata di un paio di slip. Non vorrei che fosse stato per nulla.»

«Hm» assentì lei, incuriosita e già un poco accaldata. La sua pelle stava ancora traspirando per lo sforzo di qualche minuto addietro, ma non le importava.

Con le mani alzate, Gen le indicò di venire avanti - un gesto veloce, provocatorio nella sua arroganza. Gli calzava a pennello in quel momento.

Sostenendosi con le braccia, Makoto gli fu sopra. «E ora?»

Lui scosse la testa. «Vieni più avanti.»

Muovendo le gambe ai lati del suo torso, lei salì fino all'altezza del suo petto. «Così?»

«Più avanti ancora.»

Makoto comprese e avvampò, già pregustando le sensazioni. «Sei sicuro?» Anche mentre lo chiedeva stava muovendo le gambe, per posizionare le ginocchia oltre le spalle di lui. «Non ti... soffoco?»

«Sono capace di spostarti.» E per dimostrarglielo, con le mani lui la posizionò, a gambe aperte, direttamente sopra il suo viso, quasi facendola cadere in avanti.

Makoto provò un minimo di vergogna. Per via della gonna non riusciva più a vederlo in faccia. «Forse dovrei andare a lavarmi.»

«Vediamo.»

Una leccata lungo tutta la sua carne le fece spalancare la bocca.

«Sei perfetta.»

Lei scoprì di non avere niente a cui aggrapparsi. «Gen... spostiamoci, così non...» Fu costretta a stringere i pugni, tenendosi sollevata a mezz'aria sulle cosce mentre lui la stimolava.

Sarebbe scivolata in avanti, o indietro, senza alcuna possibilità di... Raddrizzò la schiena di colpo, stringendo le mani sui capelli di lui.

Come poteva dirglielo? Come poteva confessargli che, a volte, la sensazione della sua lingua le provocava un piacere più acuto, più intenso, di qualsiasi altra cosa, di qualunque altro momento... Perse di nuovo la facoltà di pensare.

Quando lui iniziò a frugare più in basso, lontano dal suo punto più sensibile, Makoto capì, ricordò. Quell'atto non era esattamente migliore, bensì diverso dagli altri. Non c'era niente come quella stimolazione diretta che potesse portarla al culmine tanto in fretta, ma se solo pensava a quando si univano, e a quando lo sentiva entrare a fondo dentro di sé... Ondeggiò contro la sua faccia, con attenzione quasi dolorosa per il bisogno di muoversi.

Gen le strinse il sedere, affondando le dita nei suoi glutei. «Non pensare. Goditela.»

Makoto mugolò, sentendo che le labbra di lui si chiudevano attorno all'apice delle sue pieghe, succhiando via l'aria. Cercò di calmarsi, per cavalcare al meglio l'ondata dei sussulti crescenti. Gen rallentò a sufficienza da permetterglielo, poi, senza pietà, la costrinse a vivere di piccoli spasmi deliziosi, accendendoli e sedandoli con baci e brevi leccate.

Lei iniziò a tirargli i capelli. Per smettere affondò le dita nella propria chioma, afferrando a piene mani delle ciocche. Il ventilatore le fece aria sul petto, dove il vestito si era ormai disfatto.

«Sì!» mugolò.

Gen la premiò con una passata di lingua insistente, che le causò un altro sussulto.

Aveva una voglia pazza di mettersi a gridare.

«Ti prego!»

Erano sfoghi, lamenti, ma si rivelarono la chiave per incitarlo. Lui le regalò una serie continua di baci e assaggi celestiali, divini. Era lui il dio, lei al confronto...

Senza chiudere per un attimo la bocca, tenendosi muta a fatica, Makoto si mantenne in un equilibrio infinito sull'orlo dell'orgasmo. Quando perse il controllo, il gemito le uscì come un pianto.

Liberata, si lasciò travolgere dall'assolutezza del piacere fisico, sentendo che il piacere raggiungeva ogni fibra del suo corpo.

Alla fine si accorse di aver smesso di sostenere da sola il proprio peso. Gen la stava aiutando con le mani. 

Si sollevò da lui, ricadendo sul letto con la schiena. «Wow.»

Gen le fu sopra, a baciarla sullo stomaco, sullo sterno, sollevandole la gonna fino alla vita. «Non puoi essere stanca.»

«Invece sì.» Nella pace dei sensi, non trovò la forza di aprire gli occhi. «Perché?»

Comprese la ragione senza bisogno di una risposta a voce - una ragione dura, insistente e di nuovo vitale. 

Gen la stava abbracciando, mordendola piano sui capezzoli.

Lei lo tenne per le spalle. «Non penso di poter...» Ma le sue parole si persero in un ansito quando lui si insinuò nel suo corpo. L'unione diviene magia, pura perfezione, quando furono intrecciati da capo a piedi, in grado di baciarsi mentre ondeggiavano, dondolavano, spingevano.

Quello era il meglio. Era il meglio ogni volta che ricominciavano, tutte le volte che lei poteva stringerlo tra le braccia.

Si abbandonò all'esperienza, all'amore. Con dita e mani, bocca e gambe, occhi, ventre, gli offrì ogni senso che aveva, per percepirlo in tutto ciò che ora - odore, voce, peso, la consistenza stupenda del suo corpo e la ruvidezza della sua guancia contro il viso. E il calore, intenso dentro di lei e tra i loro bacini madidi di sudore.

Appagati, si separarono appena il ventilatore tornò a direzionarsi verso di loro.

Mugugnarono insieme, di godimento. Con quel poco di forza che avevano, risero.

Rivolti al soffitto, rimasero ad attendere il nuovo getto d'aria.

Non c'era momento in cui Makoto si sentisse più romantica. «Un giorno balliamo quella canzone?»

«Hm?»

«Quella di Titanic.»

Non sentendo risposta, strinse gli occhi per l'imbarazzo, arrossendo.

Udì la risata bassa di Gen.

«Non prendermi in giro!»

«Non ho detto di no!»

Prendendo coraggio, lei rotolò di lato, fino ad appoggiarsi su un gomito. «Non hai detto di sì.»

«Mi fa ridere che ti vergogni.»

«Perché devo essere io a chiederti queste cose.»

Lui sollevò una mano, toccandole il viso. «Sii paziente con me. Alla fine dirò sempre sì.»

«Ad un ballo in pubblico?»

Gen provò con tutte le sue forze a non deformare il viso in una smorfia.

Makoto crollò a ridere contro la sua spalla.

Lo sentì tremare mentre lui la imitava.

Appoggiò un bacio contro la sua clavicola. «Scusa per queste sciocchezze. A volte con te vorrei fare qualcosa di così... Non lo so. Qualcosa che fosse in grado di far uscire questa forza che mi preme sul petto. Qualcosa che fosse capace di...»

«Tornare a farti respirare?»

Si sollevò. «Sì. Qualcosa che non sia sesso, perché fare l'amore non basta.» Si chinò, le mani a racchiudere il suo viso. Lo baciò sulla fronte. «Anche se non voglio smettere di provarci.»

«Vieni qui.» Gen la strinse a sé con le braccia, incurante del caldo. «Restiamo così» mormorò. «Un giorno basterà. E se non sarà mai sufficiente...»

«Possiamo rimanere abbracciati per sempre.»

«Hm-hm» annuì lui.

E Makoto si sentì completa in ogni angolo della sua anima.

  

Luglio 1998 - Effusioni - FINE

  


 

NdA: I'm back! O meglio, Makoto e Gen sono tornati, alla massima potenza. Come spiegavo nel gruppo Facebook, ho avuto l'idea di saltare un anno della loro vita perché era tanto che volevo scrivere questa lemon su loro due - è partito tutto dall'idea di quel vestito di lei. Rileggendo la raccolta fino al capitolo ambientato nell'agosto del 1997, mi pareva che non fosse necessaria, per il ritmo dell'intera storia, un'altra lemon, ma ovviamente questo capitolo non poteva che essere ambientato in estate. Come fare dunque? Ho saltato un anno :P Così potrò tornare più in là a raccontare cos'è successo tra la seconda metà del 1997 e il 1998, e ho anche avuto a che fare con una Makoto e un Gen in un diverso punto della loro relazione. Si comprendono meglio, penso siano più in sintonia. Al tempo stesso iniziano a farsi più concreti i problemi che il futuro sta per creare ad entrambi. Ed è su questo tema che si svilupperà la fine del 1998 e l'inizio del 1999 in questa raccolta.

Continuate a seguirmi se volete sapere e soprattutto fatemi sapere cosa ne pensate di questo capitolo :) E dell'amore di Makoto per Titanic :D

 

Elle

 

Il gruppo Facebook dedicato alle mie storie, con anticipazioni e curiosità, è Sailor Moon, Verso l'alba e oltre...

   
 
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