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Autore: Lory221B    19/10/2016    7 recensioni
« E potete dirlo a tutti che questa è la vostra melodia, può darsi che sia piuttosto banale, ma ormai è fatta. Spero che non vi dispiaccia, Watson, se ho messo in musica, come è meravigliosa la vita da quando ci siete voi nel mio mondo ».
Johnlock, liberamente ispirata alla canzone "Your song"
Genere: Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 YOUR SONG
 
« E' piuttosto strano » affermò Holmes, troncando il pensiero a metà e portando una mano sulle labbra.
 
« Strano? » chiese Watson, incerto, sperando di aver frainteso. Le ombre dei due uomini si stagliavano lievi sulle parete del 221B, dove un tiepido camino era rimasto acceso fino a notte inoltrata per permettere al consulente investigativo e al dottore, di ripercorrere nuovamente ogni dettaglio del caso appena risolto.
 
Era stata una tiepida giornata Londinese, l’Ispettore Lestrade li aveva allettati con un complicato caso che aveva da subito avuto tutta l’attenzione di Holmes e sebbene Watson avesse diversi pazienti, come sempre aveva messo da parte tutto per salire sulla carrozza e seguire l’affascinate e stravagante personaggio con cui condivideva l’appartamento.
 
Poi, complice qualche bicchiere di brandy e l’allegria che coglieva sempre entrambi quando risolvevano un caso, era successo qualcosa che Watson non aveva potuto fermare, che voleva da tempo e senza rendersene conto, era accaduto.
 
Restarono a fissarsi, gli occhi di Holmes come un mare in tempesta; era spaesato, travolto da un vortice di emozioni e sensazioni mai provate, che non gli permettevano di esprimere un pensiero coerente.
 
Cos’era successo di preciso? Com’era successo? Era sicuro che avevano riso per qualcosa di sciocco e poi Watson si era spinto in avanti ed ecco l’incontro inaspettato di labbra.
 
Morbide, dolci, le labbra potevano essere dolci? Gentili, potevano anche essere gentili? I baffi gli avevano provocato un leggero solletico, appena un tremito in qualcosa di perfetto. Non sapeva come descrivere tutto quello che era accaduto, le relazioni umane non erano la sua area di competenza, o almeno, questo era quello che ripeteva ogni volta che qualche genere di sentimento si palesava nella sua mente.
 
« Strano! » ripeté Watson, ora più rassegnato; i suoi occhi grandi e tristi si abbassarono, specchio di un uomo che aveva superato ogni dubbio morale, ogni proprio limite, conseguenza di anni di rigida educazione, e aveva sperato in qualcosa che invece, ancora una volta, non era accaduto.
 
« D’accordo, ho capito » esalò soltanto il dottore, la mano che prima cingeva con un misto di adorazione e timore il fianco di Sherlock Holmes, lentamente lasciava il corpo del detective per nascondersi in una tasca.
 
“Non avete capito niente, come al solito”  Avrebbe voluto gridare il detective, ma era ancora paralizzato, incapace di formulare un pensiero coerente a voce alta.
 
Il dottore si guardò attorno, spaesato. Gli sembrava di aver raggiunto un punto di non ritorno e di aver rovinato tutto, per sempre. Se quel bacio non ci fosse stato, avrebbe continuato a vivere con il detective e a soffrire per l’amore non corrisposto per Sherlock Holmes, in silenzio, accontentandosi di quel poco di affetto che traspariva dallo sguardo, a volte tenero, del suo coinquilino. Ma oramai, il danno era fatto.
 
Si voltò e afferrò la giacca che giaceva ripiegata su una sedia per poi sparire nella sua stanza al piano di sopra, rifugio di un cuore spezzato dal rifiuto definito.
 
« E’ strano, il sentimento che ho dentro di me » mormorò Holmes, la voce come un soffio leggero « E ormai, non riesco più a nasconderlo » aggiunse, in una presa di coscienza che stupì anche se stesso. Come era stato ingenuo a credere che si stesse sbagliando, che i sentimenti del dottore erano solo un’amicizia fraterna. Come era stato cieco, o piuttosto come era stato sciocco a nascondere ogni emozione dietro a un muro, per pausa di essere ferito, di farsi troppo male e non potersi più rialzare.
 
La voglia di suonare qualcosa con il violino, l’unico mezzo che aveva per incanalare i suoi sentimenti mai espressi, si fece prepotentemente forza. Avrebbe dovuto inseguire Watson per le scale, spiegarsi, ma non era nella sua natura. Accarezzò ad occhi chiusi l’archetto, con tocco quasi vellutato, poi delicatamente fece risuonare la melodia che aveva composto appositamente per John, una sera, quando il dottore era uscito lasciandolo solo con i suoi pensieri.
 
Avrebbe voluto poter fare di più, gridare al mondo quello che aveva dentro, ma non ne era capace; quella musica però, lo stava mettendo a nudo, di fronte alla grandezza dell’amore che provava per John Watson: medico, ex militare, centro del suo mondo, unico motivo per cui la sua vita valeva la pena di essere vissuta.
 
Quando finì di suonare, sentì gli inconfondibili passi del dottor Watson che scendeva le scale. Adagio, un gradino alla volta, con tanta insicurezza e fragilità che Holmes si sentì schiacciare sotto il peso di quello che era accaduto quella sera.
 
Watson si affacciò nel soggiorno, con gli occhi lucidi. Aveva capito, come sempre non aveva colto al volo, come Sherlock Holmes sperava, ma aveva capito.
 
« So che non è molto, ma è il meglio che riesco a fare » esordì Holmes « Vorrei potervi dire di più, vorrei potervi dare di più che un vecchio appartamento, una vita sregolata e un consulente investigativo pazzo da accudire, che poi sarei io. Quello che posso offrirvi è questa mia melodia ed è tutta per voi »
 
Watson si schiarì la voce per dire qualcosa, qualunque cosa per gridargli che tutto quello gli sarebbe bastato, ma Holmes lo interruppe, allungando due dita tremanti sulla bocca del dottore.
 
« E potete dirlo a tutti che questa è la vostra melodia,  può darsi che sia piuttosto banale, ma ormai è fatta. Spero che non vi dispiaccia, Watson, se ho messo in musica, come è meravigliosa la vita, da quando ci siete voi nel mio mondo ».
 
Un altro tocco improvviso di labbra e Sherlock si svegliò. Non ricordava com’era successo che si era addormentato sul divano, né come c’era arrivato. La coperta buttata sopra di lui e un leggero odore di dopobarba gli fece presupporre che John lo avesse trovato per terra e lo avesse trascinato fino al divano.
 
John era stato lì, era passato a trovarlo. Un senso di nausea lo travolse.
 
Non poteva più sopportare nemmeno l’idea di John in Baker Street da quando le loro vite erano cambiate e il dottore aveva scelto, di nuovo, Mary. Non sapeva perché John fosse passato, ma non voleva nemmeno saperlo.  L’idea dello sguardo di disapprovazione che il dottore gli avrebbe rivolto quando si sarebbero rivisti lo faceva stare male, non voleva nemmeno incrociarlo, non dopo il sogno o più che altro il trip, che aveva appena vissuto, non dopo che l’altro John lo aveva baciato, lo aveva amato e messo sopra ogni altra cosa.
 
Gettò infastidito la coperta a terra e lasciò l’appartamento, dirigendosi a passo spedito a respirare l’aria frizzante dell’autunno Londinese.
 
Non sapeva come le gambe lo avessero portato fino a lì, ma era in piedi, sul tetto del Bart’s, a ripensare a come era stato felice prima del momento in cui la sua vita era cambiata, quando gettarsi per salvare John era stata una scelta facile ed ovvia, ma abbandonarlo era stata la cosa più difficile e dolorosa che potesse immaginare.
 
Passarono ore, prima che la porta che portava al tetto del Bart's venisse sbattuta con rabbia da un furioso John Watson, che a passo rapido raggiunse il detective, rivolgendogli uno sguardo duro ma anche triste e addolorato.
 
« Cosa ci fai qui? »
 
« Come mi hai trovato? »
 
« Su tutti i social sta girando l'hashtag IlDetectiveNuovamenteSulTetto. Perchè sei qui? Come pensi mi possa sentire se ti trovo svenuto nel nostro appartamento e poi mi sveglio, vedo che non ci sei e scopro da internet che sei su questo fottuto tetto? »
 
« Nostro? » chiese soltanto Sherlock, che non aveva ascoltato nemmeno una parola, dopo che John aveva fatto riferimento a Baker Street come il “nostro appartamento” .
 
John aveva delle evidenti occhiaie, di uno che non dormiva bene da giorni, forse da settimane. Gli abiti non erano stirati, sembrava si fosse vestito di fretta, oppure che non si fosse nemmeno tolto i vestiti per dormire, il ché gli fece supporre che avesse dormito nella sua stanza in Baker Street e lui non se ne fosse nemmeno accorto. Come avrebbe potuto pensarlo? Non lo vedeva da settimane e di certo non si aspettava che lasciasse moglie e figlia a casa per dormire da lui.
 
« Oh, buongiorno bell’addormentato! » gridò il dottore con rabbia « Hai fatto le tue deduzioni e hai capito che ero in casa? »
 
Sherlock distolse lo sguardo da John, si voltò a mani conserte dietro la schiena, mentre il sole del pomeriggio cominciava piano piano a tramontare, lasciando una vena di malinconia nell’aria prima frizzante.
 
John era tornato, occhiaie, aria stanca e anche infelice a ben guardare, aveva dormito in Baker Street, “nostro appartamento”. Temeva il luogo dove le sue deduzioni lo stavano portando.
 
Una mano si appoggiò leggera sulla sua spalla « Sherlock, dobbiamo parlare. Ero passato per questo motivo »
 
Il detective registrò un’accelerazione del battito, forse stava ancora dormendo o era svenuto in qualche covo di tossici, ma sembrava tutto troppo reale, troppo vivido: l’aria, i colori, gli odori, la mano calda di John.
 
Ormai erano lì, il sole stava tramontando, lasciando dei splendidi colori sfumati di rosso, come in un dipinto ad acquerello e l’unica cosa che il detective riusciva a pensare era che le persone come John Watson continuavano a tenere acceso il suo Sole personale.
 
Il detective si voltò lentamente « E’ strano »
 
« Lo so » ribatté John, con una punta di panico, che Sherlock colse leggermente divertito.  Il suo John, il vero John, era molto più sveglio di quanto lui pensava.
 
« Ma non posso più nasconderlo » continuò il detective.
 
« Credo anch’io » convenne il dottore.
 
Si guardarono, tremanti, in attesa che uno dei due facesse una mossa, qualcosa che confermasse che stava finalmente accadendo davvero, perché nessuno dei due ne era certo, non finché restava tutto nel limbo del non detto e del sottointeso.
 
Sherlock si chinò piano, chiudendo lentamente gli occhi, sperando che il gesto venisse colto come un principio di bacio.
 
« Non chiuderli, ancora » fece John, con voce rotta « mi sono sempre chiesto se i tuoi occhi fossero azzurri o verdi, e vorrei tanto sapere di che colore sono quando stai per baciarmi »
 
« Eterocromia » rispose d’istinto Sherlock « Vuol dire che... »
 
« Lo so cosa vuol dire » lo interruppe John sorridendo, per niente infastidito dall’inutile puntualizzazione « Quello che voglio davvero dire, è che i tuoi sono gli occhi più dolci che io abbia mai visto » rispose soltanto, prima di venir zittito da un bacio, mentre il rosso del tramonto andava sfumando verso un blu intenso.
 
 
**** ****
Angolo autrice:
Era da un po’ che pensavo a come “Your song” si adattasse perfettamente a Sherlock  e John e finalmente ho trovato il tempo e il modo di mettere tutto in una storia.
Grazie come sempre a chi leggerà,
un bacio!
   
 
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