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Autore: SherlokidAddicted    19/10/2016    5 recensioni
– John guardami! – Aveva gli incubi a volte, ultimamente erano di più. Gli avevo anche proposto di dormire al piano di sotto, così che se avesse avuto qualche problema avrebbe potuto raggiungermi senza alcun sforzo di utilizzare le scale. Ma lui non voleva. Diceva che non sarebbe stata una rampa di scale a distruggerlo.
- Non posso! – Ha esclamato mentre vedevo i suoi occhi che pian piano si inumidivano. Poi, senza tregua, le sue lacrime hanno cominciato a rigare le sue guance morbide, raggiungendo e bagnando le mie dita che avevano affievolito la presa sul suo viso spaventato, esausto e scioccato.
- Sì che puoi, John. – Ha scosso la testa e si è aggrappato alla mia spalla come alla ricerca di un qualche sostegno, sia fisico che morale. Aveva così tanta paura da non riuscire a dire una sola parola. Aveva passato una notte tranquilla, non mi aspettavo tutto quello.
- No, invece. –
- Perché no? – Ho chiesto allarmato, mentre facevo in modo che il suo viso fosse rivolto verso il mio… ma ciò che ho ricevuto in cambio è stato uno sguardo vuoto, perso.
- Non ci vedo. –
Genere: Drammatico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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For the rest of your life



È cominciato tutto dalla sua voce allarmata che mi chiamava dal piano di sopra. Non credevo di aver mai corso così tanto in vita mia, mentre lo raggiungevo su per le scale. L’ho trovato seduto in mezzo al letto, sbatteva convulsamente le palpebre e le sue mani arpionavano con forza il lenzuolo sfatto.

- John! – Ho detto precipitandomi sul letto e incorniciandogli il viso con le mani. Fissava il vuoto, era perso a guardare la parete di fronte a sé. – John guardami! – Aveva gli incubi a volte, ultimamente erano di più. Gli avevo anche proposto di dormire al piano di sotto, così che se avesse avuto qualche problema avrebbe potuto raggiungermi senza alcun sforzo di utilizzare le scale. Ma lui non voleva. Diceva che non sarebbe stata una rampa di scale a distruggerlo.

- Non posso! – Ha esclamato mentre vedevo i suoi occhi che pian piano si inumidivano. Poi, senza tregua, le sue lacrime hanno cominciato a rigare le sue guance morbide, raggiungendo e bagnando le mie dita che avevano affievolito la presa sul suo viso spaventato, esausto e scioccato.

- Sì che puoi, John. – Ha scosso la testa e si è aggrappato alla mia spalla come alla ricerca di un qualche sostegno, sia fisico che morale. Aveva così tanta paura da non riuscire a dire una sola parola. Aveva passato una notte tranquilla, non mi aspettavo tutto quello.

- No, invece. –

- Perché no? – Ho chiesto allarmato, mentre facevo in modo che il suo viso fosse rivolto verso il mio… ma ciò che ho ricevuto in cambio è stato uno sguardo vuoto, perso.

- Non ci vedo. –


 
Adesso sono seduto qui, in una sala d’aspetto. Accanto a me c’è Mycroft, che quando ha sentito la mia voce preoccupata al telefono, non ha esitato a raggiungermi. Tiene le gambe accavallate e si appoggia con entrambe le mani al manico del suo ombrello nero. Fissa un punto indefinito di fronte a lui. Sta pensando, e anche se non lo ammetterebbe mai, anche lui è preoccupato.

I medici e gli infermieri ci passano davanti in continuazione, ma io non vedo altro che ombre. I medici avevano detto che ci sarebbe stato qualche problema alla vista, pensavo ad un semplice offuscamento.

Mycroft mi lancia qualche occhiata ogni tanto, ma io non smetto di distogliere la mia attenzione dalle mattonelle bianche di ceramica.

Passano minuti, forse anche più di un’ora. Mi è sembrata un’eternità e l’unica cosa a cui riesco a pensare è che voglio sapere. Odio non sapere. Certo non mi aspetto che data la situazione le cose si risolvano subito, ma voglio almeno che non sia nulla di grave.

- Signor Holmes? – Il medico ci raggiunge, facendoci distogliere lo sguardo dai punti indefiniti che non smettevamo di fissare. Mi alzo immediatamente.

- Come sta? – Mycroft è rimasto seduto e ci guarda dal suo posto, senza cambiare di un minimo il suo portamento altezzoso e snob.

- Beh… sa bene come è la situazione già da tempo, e temo che questo nuovo sintomo non sia nulla di buono. La cecità è molto rara in questi casi, e se sopraggiunge allora sta a significare che la terapia non sta funzionando come si deve. - A quel punto Mycroft si alza e mi affianca, lasciando perdere tutto il suo orgoglio e cercando di fare la parte del bravo fratello maggiore.

- La prego, arrivi dritto al punto. Non faccia giri di parole, odio i giri di parole stupidi e senza senso. – Il medico sbatte più volte le palpebre, stupito dalla mia reazione. A quanto pare in pochi reagiscono così. La paura e la preoccupazione per la maggior parte degli esseri umani veniva espressa con il pianto, con la disperazione. Io facevo parte di quella minima percentuale che si arrabbiava con tutto e tutti, includendo anche individui che nella faccenda non c’entravano nulla.

- Bene allora. – Emette un colpo di tosse per schiarirsi la voce e il mio tic nervoso alla gamba lo spinge a parlare subito. – Il tumore si è allargato, sta peggiorando. – Sento il terreno che mancarmi sotto ai piedi. Quello che ho temuto per tutto questo tempo è avvenuto. Mi ero ripromesso che non avrei ceduto, che sarei sempre rimasto positivo, soprattutto davanti a John, soprattutto quando lui cedeva, quando non ne poteva più, quando si sentiva morire dentro e allo stesso tempo provavo la medesima cosa. – Mi dispiace. – Deglutisco a vuoto, ho la bocca secca e ciò mi causa un dolore lancinante alla gola. – L’unica cura che possiate dargli è quella di non abbandonarlo. Potrete entrare e vederlo fra qualche minuto – I miei occhi si sono sicuramente inumiditi, le lacrime minacciano di scorrere lungo i miei zigomi pronunciati, ma riesco con un coraggio immane a trattenerle. Il dottore mi fa un cenno con la testa come saluto, poi stringe la mano Mycroft e si allontana dalla porta opposta.

- Sherlock… -

No, Mycroft, non dire nulla. Ti prego, stai zitto.

Mi giro verso di lui, poi allungo una mano verso la tasca della sua giacca. Tiro fuori la sua unica sigaretta. Ne porta sempre una con sé. Lo so, l’ho da sempre notato, anche se non gliel’ho mai fatto presente. Mi allontano con quella sigaretta fra le dita e raggiungo l’esterno dell’ospedale, so che mio fratello mi aspetterà. Solo quando mi rendo conto che nessuno mi sta guardando, solo in quel momento libero le mie lacrime e lascio che inondino il mio viso pallido e distrutto.


 
Il ricovero è stato difficile. John non riesce ad accettare la sua situazione. Odia dover aprire gli occhi e capire che è come se li tenesse ancora chiusi. E il suo sguardo, quando tiene le palpebre aperte, è vuoto, e ciò lo distrugge, e mi distrugge.

Da quando è tornato a casa, passa il tempo sulla sua poltrona e mi chiede di parlargli di qualunque cosa possa distrarlo, così io gli leggo le mail dei miei possibili clienti. Non seguo più alcun caso, non è il momento. John ha bisogno della mia totale attenzione, del mio totale aiuto. Nonostante l’infermiera venga a dare una mano, io mi sento in dovere di assisterlo anche in sua presenza, momenti in cui potrei benissimo tornare ai miei esperimenti o ai miei casi. Ma il mio scopo adesso è quello di prendermi cura di lui.

Lo trovo in salotto, seduto sulla mia poltrona. Ha le braccia incrociate sopra al ventre e il suo solito sguardo vuoto. Quando sente cigolare la porta d’ingresso, sposta leggermente la testa verso di me ed ancora le dita ai braccioli della pelle nera della poltrona. È in totale disagio quando sente dei rumori e non può vedere di cosa si tratti.

- Sherlock? – Chiede affondando con forza le dita ai braccioli.

- Sono io, John. – Poggio la borsa della spesa che la signora Hudson ci ha gentilmente fatto sul tavolo, poi lo raggiungo e porto una mano sulla sua. Molla quasi subito la presa e si rilassa, lasciandosi sfuggire anche un tenero sorriso, prima di chiudere gli occhi ed annuire.

- Sì, il tuo inconfondibile tocco. – Sembra trovarlo abbastanza confortante e ciò non può fare altro che lusingarmi, e allo stesso tempo mi sento sull’orlo del precipizio.

Se solo tu sapessi, John. Stavo iniziando a provare qualcosa per te e adesso è successo questo.

- Sei riuscito a raggiungere il salotto da solo! – Esclamo mentre la sua mano passa lentamente sulla mia, pronto a stringerla con delicatezza.

- Ti ho chiamato e non mi hai risposto. Ho immaginato fossi dalla signora Hudson, così ho deciso di farti trovare una sorpresa al tuo ritorno. – Per un attimo mi sento in colpa. Non volevo che John si sentisse da solo, credo sia una cosa terribile doversi sentire soli quando non hai modo di cavartela. Me lo immagino immobile sul mio letto (nel quale si è trasferito subito dopo il ricovero), con un principio di panico nell’accorgersi che non sarebbe arrivato nessuno ad aiutarlo. Ma John, da bravo soldato, si è alzato da solo ed è riuscito ad arrivare qui, trascinando con sè la flebo.

- Credevo dormissi. –

- Figurati, ho solo preso un colpo al ginocchio per una sedia, poi è stato più o meno facile. – Mi sta sfiorando il polso adesso, lo fa con lentezza, solleticando la mia pelle sensibile. Mi mordo il labbro per i brividi che sto provando nel sentire le sue dita compiere quel dolce gesto, quelle dita ormai troppo magre, così fragili ed esili.

- Devo cambiarti la flebo, è quasi vuota. –

- D’accordo. – Mi sussurra mentre io recupero il medicinale per sistemarlo al posto di quello ormai svuotato. L’infermiera mi ha insegnato come si fa, nel caso John ne avesse avuto bisogno. Mentre collego il tubicino alla nuova soluzione, mi accingo ad osservarlo. Tiene ancora gli occhi chiusi, a volte farlo lo fa stare meglio. Non lo ha detto, ma l’ho capito. Gli piace pensare che non vede perché ha gli occhi chiusi. Ha di nuovo riportato le mani incrociate sul ventre e respira tranquillamente, tenendo un leggero sorriso a fare capolino sulle sue labbra sottili. Adesso non poteva far caso al modo in cui tutte le volte ci poggiavo la mia attenzione.

Quelle dannate labbra.

Mi piaceva pensare che sorridesse così perché era felice della mia presenza.

- Sherlock? –

- Sì? –

- Suoneresti per me? – Non avevo quasi più toccato il violino da quando gli è stato diagnosticato il tumore. Aveva spesso dolori lancinanti alla testa e ogni
minimo fruscio lo infastidiva. Non volevo peggiorare le cose.

- Sei sicuro? – Il suo sospiro riecheggia nella stanza e raggiunge pesantemente le mie orecchie.

- Ti prego, suoneresti per me? –

Gli mancava.

Il suono del mio violino nell’appartamento gli mancava da morire, ogni sua espressione, ogni parte del suo corpo me lo dimostrava. Voleva suonassi, e voleva lo facessi subito.

Non me lo sono fatto ripetere due volte e ho afferrato il mio strumento, tirandolo fuori dalla sua custodia impolverata, poi mi sono posizionato davanti alla poltrona e ho cominciato a suonare. È una melodia dolce, ma allo stesso tempo triste, lenta, struggente quasi, e a John piace. Riesco ad avere la conferma sul fatto che tutto questo gli mancasse quando, dopo qualche secondo, vedo le lacrime abbandonare i suoi occhi ed un sorriso malinconico ad increspargli le labbra.


 
Mio fratello è passato a trovarci, oggi. Abbiamo chiacchierato normalmente, evitando ogni riferimento al tumore o alla cecità di John. Solo normalissimi e noiosissimi argomenti che avrebbero in qualche modo distrutto la tensione tangibile. È stato buffo, in un certo senso, sentire mio fratello parlare del tempo, della temperatura fredda degli ultimi giorni, delle giornate passate a casa dei nostri genitori… discorsi totalmente diversi dai soliti, che in un certo senso divertivano anche John. Mycroft stava cercando di fare la sua parte in tutto questo, ma era già tanto da parte sua, dato che contribuiva alle spese mediche ogni volta che poteva.

Adesso siamo da soli, anche l’infermiera se n’è andata. John è sul divano e si sta infilando un cardigan di lana. Sopporta molto meno il freddo adesso, ed i suoi capi d’abbigliamento sono molto più larghi.

- Sherlock, mi aiuteresti? – Appena sollevo lo sguardo dal mio portatile, noto la difficoltà che sta affrontando quando il tubicino della flebo si impiglia al cardigan, impedendogli di infilarlo normalmente. Accenna una risata divertita dopo la sua richiesta d’aiuto ed io rispondo allo stesso modo mentre mi alzo dalla sedia per raggiungerlo. Lo aiuto a sistemarlo e la sua mano destra si aggrappa nuovamente al mio polso.

- Incapace. – Mormoro ironicamente, ricevendo in cambio un pizzicotto leggero sul braccio. Sta ridendo, non le sentivo ridere spesso negli ultimi tempi e ciò riesce a distendere i miei nervi. Il suono di quella risata è come musica per le mie orecchie.

- Mh, beh, era una scusa forse. Sì, lo era decisamente. Sono stufo di sapere che leggi le mail dei casi e che non ne scegli nemmeno uno. –

- Non sono casi interessanti. – Mormoro sistemando con precisione l’orlo della sua manica. Lo vedo aprire gli occhi e puntare il suo sguardo vuoto di fronte a sé.

- Non dire sciocchezze. –

- Ma è la verità! Sono tutti casi noiosi. – Cerco di alzarmi e di tornare alla mia scrivania, ma lui riesce facilmente a trovare l’orlo del colletto della mia camicia, afferrandola e tirandomi verso di lui con una forza che da parte sua, in quelle condizioni, non credevo possibile.

- Sherlock non riuscirai a convincermi del fatto che tu non stia facendo tutto questo per me. Non riuscirai a convincermi del fatto che tu non abbia un cuore. – Non dico niente, o almeno… ho provato a dire qualcosa, ma quando ho aperto la bocca, nessun suono è fuoriuscito da essa. Aveva dannatamente ragione. Io non ho mai avuto un cuore, me lo dicevano in tanti in continuazione, ma adesso… lo sento battere all’impazzata, e sento che appartiene in modo totale all’uomo che ho di fronte in questo momento. Rinunciare ai miei casi per amore, perché di questo si tratta, di amore, solo per assisterlo.

Torno in ginocchio davanti a lui e sospiro, restando muto, mentre poggio distrutto la fronte contro la sua. Non credo di essere in grado di sopportare ancora tutto questo, di vedere la quotidianità di John sgretolarsi davanti ai miei occhi senza che io possa fare niente per aiutarlo.

Le sue mani si spostano dalla mia camicia e, lentamente, carezzano il mio collo, salendo fino alla mia mascella. Raddrizzo la testa e lo guardo. Le sue iridi sono puntate dietro di me e le sue mani continuano a salire, raggiungendo le mie guance che pian piano stanno cambiando colore per colpa di quel contatto. Non era un semplice contatto fisico, per quanto possa constatare. Lui stava cercando di vedermi, di ricordare il mio viso attraverso il tatto delle sue dita magre. E lo faceva con una tale devozione da farmi sentire i brividi sulla pelle. Si sofferma sui miei zigomi e sono sicuro di vedere una solitaria lacrima scendere fino al suo mento e poi cadere sulla mano che avevo poggiato sul suo ginocchio. Li carezza con i pollici ed io chiudo d’istinto gli occhi, quando li raggiunge con le dita sento i suoi singhiozzi.

- Mi manchi da morire. – Sussurra tra un singhiozzo e l’altro. Io apro gli occhi e mi sento mancare i battiti al petto nel vederlo piangere così disperatamente.

- John… - è un sussurro il mio, interrotto dal tocco delle sue dita che con devozione percorrono il contorno delle mie labbra.

- Vorrei solo vederti in questo momento. – Tiene ancora i pollici sulle mie labbra e sento il respiro mozzarsi quando mi accorgo che basterebbe sporgersi di poco per toccare le sue.

- Tu mi stai vedendo, John. – Sussurro, soffiando quelle parole sulla sua bocca sottile. Ma è lui a fare quella mossa, a sporgersi abbastanza per lasciarmi un bacio goffo sul labbro inferiore. Mi sporgo anche io e abbasso appena la testa in modo da far combaciare perfettamente le nostre labbra. Tutto sparisce attorno a me, esiste solo John, le sue labbra, la sua dolce carezza sulla mia guancia. Allo stesso tempo sento la tensione svanire, tutto ciò che di negativo c’era dentro di me sembra essersi affievolito, se non dissolto del tutto.

Il mio primo bacio. Non lo immaginavo così bello, così intenso da farmi sentire mancare il fiato. Le sue labbra si muovono in perfetta sintonia con le mie, e la stessa cosa fa la sua lingua che, titubante, ho lasciato varcasse la soglia per intrecciarsi delicatamente alla mia. Credo che il battito del mio cuore sia così forte da sentirsi perfino all’esterno.

Non so quanto tempo passa prima di staccarci, ne ho perso la cognizione e sono così intontito da non riuscire ad aprire gli occhi quando sento le labbra umide che non si incastrano più fra le sue. Respiriamo a fondo per un po’, ma mentre accarezzo le guance di John, sento le sue lacrime raggiungere le mie dita ed i singhiozzi tornano nuovamente a torturare la sua gola.

Non riesco a fare altro che abbracciarlo, stringendolo al mio petto sul quale lui poggia la fronte e si accuccia come un cagnolino.


 
Credo che il modo in cui possiamo definirci adesso sia una coppia. Quello non è stato l’unico bacio che ci siamo scambiati, ce ne sono stati molti altri dopo, e tutti mi hanno fatto sentire come la prima volta su quel divano. Una volta ha addirittura confessato a mio fratello che avevamo cominciato questa specie di relazione. Io ero lì e non avevo detto nulla. Non ero contrario alla cosa, e lo stupore di Mycroft mi ha fatto sorridere divertito. Era la prima volta che John diceva di avere una relazione con me. Ed ero felice.

Ma quanto sarebbe durato?

Oggi l’ho portato fuori. Desiderava camminare un po’ e mentre si aggrappa al mio braccio, con naturalezza mi giro verso di lui e immergo il naso nei suoi capelli, deliziandolo di un dolce bacio sul cuoio capelluto. E non lo faccio solo una, ma tutte le volte che ne ho voglia.

- Sai, c’erano tante cose che avrei voluto fare prima di morire. – Mi dice ad un certo punto, mentre tengo ancora il naso fra i suoi capelli. – Credevo che sarei morto di vecchiaia, lo speravo. Avrei fatto tante cose, Sherlock. – Le sue parole mi spezzano il cuore.

Sì, quello che ero convinto di non possedere.

- Ma mi restano tre mesi, all’incirca. Non posso neanche muovermi senza aggrapparmi a qualcuno perché mi fanno male le gambe, perché non ci vedo e perché i movimenti sono diventati minimi e difficili… ed il mal di testa è così insopportabile che preferirei farla finita subito. – Ci mettiamo seduti su una panchina ed io sistemo la sua flebo, mentre sento gli occhi pungere per ogni parola che pronuncia. Non si stacca dal mio braccio nemmeno per un secondo. – Ma sai… da quando stiamo insieme non sento più la necessità di fare queste cose. Ho trovato in te tutto ciò di cui ho bisogno e non credo di volere altro. Credo che tu sia stato fin da sempre il mio desiderio più gran… - Non gli lascio finire la frase.

- Vuoi sposarmi, John? – Smette di parlare e lo vedo tremare, incredulo. Il suo respiro si appesantisce e la sua presa al mio braccio si affievolisce fino a sparire. Ha girato la testa verso di me. So che vorrebbe guardarmi in questo momento, per capire se sono serio o se stia scherzando.

- Cosa…? – La sua voce trema, e i suoi occhi trattengono le lacrime. In risposta afferro entrambe le sue mani e le stringo nelle mie.

- John, se sono io il tuo più grande desiderio, ti andrebbe di passare il resto della tua vita con me? – Anche io vorrei passare il resto della mia vita con lui, ma so che questo non è possibile e che non lo sarà mai. Però voglio godermi ciò che gli resta da vivere, e voglio che anche lui lo faccia, e se questo può renderlo felice, sono disposto a fare la cosa che mai avrei pensato di compiere in tutta la vita. Un matrimonio. Ma con lui... non sembrava poi tanto male come idea.

- Assolutamente sì… - Mormora tra una lacrima ed un’altra, lasciandosi sfuggire anche una piccola risata liberatoria, mentre ricambia con dolcezza la stretta delle mie mani. Sapeva che io sono contro il matrimonio, ed immagino il motivo della sua sorpresa proprio per questo. – Sì, Sherlock, certo che sì. – Sono sollevato di quella risposta, il cuore non smette di battermi all’impazzata nel petto. Sono felice, e anche lui lo sembra. Subito dopo ci scambiamo un lungo bacio che mi fa tremare le braccia e il cuore.

- Ti amo. –

- Anch’io, John. –


 
Avevamo preparato tutto così in fretta, una piccola cerimonia a casa nostra, con pochissimi invitati, due testimoni (Mycroft e Lestrade), un giudice di pace, nessuna grande festa, avevamo così poco tempo. Ma una settimana prima qualcosa è andato storto. John si è sentito male ed è stato costretto a rimanere a letto. Ho sperato con tutto me stesso che migliorasse ma non è accaduto, ed oggi, al giorno del nostro matrimonio, lui è ancora sdraiato sul letto con il respiratore e gli occhi chiusi dallo sforzo, il petto che si alza e si abbassa con fatica, non riesce nemmeno a parlare. Abbiamo annullato tutto, per quanto la cosa mi avesse fatto sentire male.

Mycroft è nel salotto, parla con la signora Hudson della mancata festa, io sono seduto sul letto di John (il mio letto), e gli tengo la mano. Mi fa male vedere i nostri due abiti appesi alle ante dell’armadio.

- Sher… - Il suo richiamo sussurrato mi fa voltare verso di lui ed io stringo con più forza la sua mano.

- Sì, John? –

- Non è ancora… non è ancora troppo tardi. – Lui non aveva mai voluto che annullassi le nozze, era così determinato a volerle mandare avanti, ma le sue condizioni fisiche erano peggiorate all’improvviso, il suo tempo sarebbe scaduto molto prima di quanto ci aspettavamo. Non era il caso, forse, mandare avanti la cosa.

- John… -

- Ti prego. – Il suo respiro pesante appanna la mascherina e la sua voce risulta ovattata per colpa di essa, ma lo capisco, riuscivo sempre a capire John. – Per il resto… della mia vita, hai detto. – Con le poche forze che ha, mi stringe la mano con più vigore. – Sherlock, ti prego. – Non mi accorgo che Mycroft è immobile sulla porta ad osservare la scena, con le mani incrociate dietro la schiena e lo sguardo triste. Mi giro verso di lui, in cerca di un aiuto, una richiesta disperata… che lui accoglie sussurrando un “chiamo il giudice di pace e tutti gli altri.” Le lacrime scorrono imperterrite lungo le mie guance. Sono grato a mio fratello, ed anche John lo è, visto il leggero sorriso che ha accennato sotto la mascherina ingombrante. Gli lascio un bacio sulla fronte e sorrido anche io, tristemente, ma sorrido.


 
Sono tutti qui, c’è Lestrade, Molly, la signora Hudson, Stamford, Sarah, mio fratello, i miei genitori, l’infermiera di John, perfino Harriet. Tutti accerchiano il letto, e il giudice di pace è pronto.

Il mio “sì, lo voglio” risuona tremante nella camera, facendo liberare le lacrime di alcuni dei presenti, comprese le mie che non sono riuscito a fermare nemmeno per un secondo. Riesco a sentire gli inconfondibili singhiozzi della signora Hudson.

Il suo “sì, lo voglio” è flebile, quasi nessuno riesce a sentirlo, ma lo ha detto. Mi si spezza il cuore.

Ci scambiamo le fedi, io riesco a metterla con facilità, mentre lui deve riuscire a controllare i tremori prima di farlo, con quelle ultime poche forze.
Si sa, si suggella sempre la promessa con un bacio, ma non posso rimuovere il respiratore di John, così quel bacio lo lascio sulla sua mano, e successivamente sulla sua fronte, trattenendomi su di essa per la maggior parte del tempo.

- Per tutto… il resto della mia vita? –

- Per sempre, John. – Lo vedo sorridere e sussurrare subito dopo un flebile “ti amo”. Adesso pure le sue guance sono ricolme di lacrime, e mentre sussurro un “ti amo, noto che la mascherina non viene più appannata dal suo respiro. E da quel momento non mi trattengo più. Mi lascio andare ad un pianto disperato che non ha più fine, mentre in quella stanza resto da solo. Mycroft deve aver fatto uscire tutti, così che io potessi liberarmi. E lo faccio, finché non sento la mia testa scoppiare, finché non sento le mani sudare mentre stringono la sua ormai fredda. Grido, rantolo, gemo di dolore mentre con le dita immerse nei suoi capelli li accarezzo con dolcezza.

- Per sempre, John. -




Note autrice:
Potrete ben vedere come abbia passato il tempo ultimamente. Ho deciso di scrivere questo invece di continuare "The wrong side", e sapete perchè? Ieri ho letto Alone on the water per la millesima volta. Ed è uscita fuori questa storia e DOVEVO pubblicarla, quindi il capitolo della Wholock probabilmente ritarderà ad uscire.
Potete odiarmi se volete c.c
Alla prossima, spero vi sia piaciuta.
  
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