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Autore: Marilia__88    19/10/2016    3 recensioni
A volte la vita non va come vorremmo. A volte ci pone davanti ostacoli troppo difficili da superare. A volte, quando tutto sembra andare per il verso giusto, accade qualcosa che ci porta verso nuove strade, spesso troppo oscure.
Questo è ciò che è successo a Sherlock Holmes. Un uomo che amava la sua vita. Un uomo che da un giorno all'altro ha perso tutto, anche la voglia di andare avanti. Forse l'incontro con qualcuno di speciale può fargli capire che c'è ancora qualcosa di bello nella vita, che può ancora fare qualcosa di buono e lasciare un segno indelebile del suo passaggio su questa terra.
JOHNLOCK! - Ispirata al libro "IO PRIMA DI TE".
Genere: Drammatico, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
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                       ME BEFORE YOU








                                                                   Special









… Il medico rimase immobile, pietrificato da quelle parole. “Non era mia intenzione, credimi…” rispose con voce tremante.
“Ma l’hai fatto”. Detto ciò, Sherlock si voltò e si diresse in silenzio verso la sua stanza.
 
 
 







 
“Ama, ama follemente,

ama più che puoi e se ti dicono che è peccato,

 ama il tuo peccato e sarai innocente.”


William Shakespeare 
 
 
 















Sherlock uscì dalla sua stanza svariate ore dopo.

Erano da poco passate le nove e, con sua grande sorpresa, trovò il soggiorno vuoto.

Non aveva più visto John, né aveva parlato con lui, dopo la lite del pomeriggio.

Non sentiva rumori provenire dalla sua stanza. Sicuramente era uscito.

Ci rimase male, forse più di quanto si aspettasse.

Era terribilmente arrabbiato con lui, ma in cuor suo si sarebbe aspettato un gesto, una parola, una qualsiasi cosa.

“I sentimenti stanno offuscando la tua capacità di giudizio”. La fastidiosa voce di Mycroft risuonò nella sua testa, interrompendo quei pensieri.

In quello stesso istante la porta d’ingresso della dependance si aprì, attirando la sua attenzione.

John entrò e si tolse velocemente la giacca. Era bagnato fradicio. Fuori si stava abbattendo un violento temporale e, com’era sua abitudine, non aveva portato l’ombrello.

Si fermò con la giacca gocciolante ancora in mano non appena vide Sherlock di fronte a lui.

Rimasero a fissarsi intensamente per alcuni minuti, immobili e in silenzio, con il solo suono delle gocce, che dal cappotto cadevano sul pavimento, in sottofondo.

Fu Holmes il primo ad interrompere quel contatto visivo, voltandosi verso la finestra alle sue spalle.

“Sherlock…” disse il medico, ma non ricevette risposta.

“Sherlock…” provò di nuovo. “Mi dispiace per oggi pomeriggio” continuò, incurante del silenzio dell’altro “Avevi ragione. Ho sbagliato. Non dovevo decidere per te, ma se l’ho fatto, è stato solo pensando di poter fare qualcosa che potesse renderti felice. Devi credermi, non farei mai niente con l’intenzione di ferirti”.

Si avvicinò a lui e posò una mano sulla sua spalla. “Ti prego, permettimi almeno di rimediare. Ho girato la città come un forsennato per trovarli” aggiunse, togliendo dalla tasca del pantalone due biglietti.

Sherlock voltò il capo verso di lui e guardò quei pezzi di carta con curiosità.

Rimase piacevolmente sorpreso quando capì di cosa si trattasse. “Ma questi sono…”.

“Si, sono i biglietti per il concerto per violino di Mendelssohn. Opera 64, per essere precisi” lo interruppe John, azzardando un sorriso.

“Ma questo è…”.

“Il tuo preferito, lo so”.

Holmes diede un altro sguardo ai biglietti e, subito dopo, rivolse gli occhi sul viso del medico. “Non so cosa dire”.

“Beh, sarebbe la prima volta!” esclamò John divertito. Poi si inginocchiò lentamente, reggendosi con una mano al bastone. “Dì soltanto di sì. Vorresti venirci con me?”.

Sul volto di Sherlock apparve un sorriso, che scacciò prontamente, sostituendolo con un finto broncio. “Non lo so. Ci devo pensare”.

Il medico posò i biglietti sulle sue gambe, gli afferrò una mano e la strinse nella sua. “Se accettassi, mi renderesti l’uomo più felice su questa terra”.

Holmes si voltò sorpreso e colpito da quelle parole. Nessuno aveva mai fatto un gesto così bello per lui. Nessuno gli aveva mai parlato in quel modo.

Per la prima volta in vita sua si sentì amato, in un modo così intenso da lasciarlo senza fiato. “Va bene, John. E Mendelssohn sia!”.
 
 
 








 
 
“Mike, ti prego, potresti allentare il nodo della cravatta? È troppo stretto” chiese Sherlock, muovendo il collo con una smorfia di dolore.

Mike fece ciò che gli era stato chiesto e, subito dopo, finì di abbottonare la giacca dell’elegante completo nero di Holmes. Poi si allontanò leggermente per ammirarlo. “Perfetto! Assolutamente perfetto!”.

Sherlock sorrise e si avviò fuori dalla sua stanza.

John era già lì ad aspettarlo. Indossava un completo grigio scuro, accompagnato da una camicia bianca ed una cravatta in tinta con l’abito.

Giocherellava con il bastone e si guardava intorno con fare nervoso.

“Sono pronto!” esclamò per attirare la sua attenzione.

Il medico fermò lo sguardo su di lui e schiuse istintivamente la bocca. “Dio, è di una bellezza ultraterrena!” si ritrovò a pensare tra sé e sé.

“Come vedi non ho indossato uno dei miei antiestetici maglioni, come ti piace definirli. Spero che questo sia di tuo gradimento” disse, cercando di smorzare la tensione.

Holmes lo fissò a lungo prima di rispondere. Aveva la gola secca e il respiro leggermente affannato. Era nervoso, agitato.

Non si era mai sentito così. Non aveva mai provato emozioni tanto forti in vita sua.

“Si, possiamo definirlo un notevole passo in avanti!” ironizzò, abbozzando un sorriso imbarazzato.










 
 
 
Quando John e Sherlock entrarono nel teatro, la sala principale era già stracolma di gente.

I posti che il medico aveva prenotato erano in prima fila, disposti all’estremità sulla destra e dedicati quasi esclusivamente alle persone disabili accompagnate.

Sherlock non parlò per tutto il tempo.

Sentiva gli sguardi della gente, i loro borbottii, il tutto accompagnato dalle fastidiose espressioni compassionevoli, che gli rivolgevano con assurda insistenza.

Era questo che odiava di più della sua “condizione”. Era questo che lo infastidiva a tal punto da fargli desiderare di scappare via, lontano da tutto e da tutti. 

La mano di John sulla sua spalla lo distrasse da quei dolorosi pensieri.

Era incredibile come ogni suo gesto, benché semplice e banale, riuscisse a calmarlo e ad infondergli quel calore e quella tranquillità di cui spesso aveva bisogno.

“Tutto bene?” chiese il medico apprensivo.

Sherlock annuì e gli sorrise.







 
 
 
Dopo aver sistemato Holmes nel posto prestabilito, John si sedette alla poltrona di fianco.

Aveva notato anche lui gli sguardi che le persone intorno a loro rivolgevano ad entrambi. Era irritante.

Dovette reprimere il desiderio di alzarsi e mettersi ad urlare contro chiunque pensasse che la “condizione” dell’uomo che amava, fosse così interessante, da essere oggetto di discussioni silenziose e sguardi pietosi.

Come faceva la gente ad essere così ottusa? Come potevano non rendersi conto che, in quel modo, non facevano altro che gettare su un uomo, già fortemente frustrato, ulteriore angoscia?

Sospirò pesantemente ed afferrò la mano di Sherlock con decisione, intrecciandola nella sua. Poi gli sorrise. “Sono contento di essere qui con te, stasera”.

Holmes intensificò la stretta, per quanto gli fu possibile, e sorrise nuovamente. “Anche io...”.
 
 









 
 
“Straordinario!” esclamò John al termine del concerto.

Voltò il capo verso Sherlock per scrutare la sua espressione e si accorse che il suo sguardo, incredibilmente serio, era rivolto altrove, sul lato opposto della sala. “Sherlock, che succede?”.

“Sta per succedere qualcosa, John” rispose l’altro, continuando a fissare con insistenza lo stesso punto.

Non passarono neanche dieci secondi da quelle parole, che si sentì uno sparo. Un uomo si accasciò a terra tra le urla della folla spaventata, che iniziava a scappare verso l’uscita.

“Ma tu come…?” provò a chiedere il medico sconvolto.

“Avanti, John! Ho visto chi è stato, è fuggito verso l’uscita, possiamo prenderlo!” lo interruppe Sherlock.

Il medico lo fissò perplesso, incapace di afferrare il significato di quelle parole.

Holmes alzò gli occhi al cielo e sbuffò. “Ho una mappa mentale dell’intero quartiere, ma sono troppo lento se aziono il motore di questo catorcio. Spingimi, avanti!” sbottò con urgenza.

John reagì d’impulso, senza capire pienamente cosa stesse facendo. 

Afferrò le maniglie e spinse la sedia a rotelle verso l’uscita, zigzagando tra la miriade di persone terrorizzate.

Era rimasto così spaesato da quella folle richiesta, che non si accorse nemmeno di aver lasciato il suo bastone poggiato all’angolo della poltrona, dimenticato con un’incredibile facilità, insieme al dolore alla gamba destra.
 


 
 
“Eccolo lì!” gridò Sherlock una volta fuori dal teatro, guardando in direzione di un uomo in abito scuro, che correva poco lontano da loro.

John scattò prontamente, continuando a spingere la sedia a rotelle. “È entrato in quella piccola stradina sulla destra!” esclamò con il fiatone.

“Allora noi gireremo dall’altra parte, andiamo!”.

“Ma ti ho appena detto…”.

“John, fai come ti ho detto! Muoviti o lo perdiamo!” lo interruppe Holmes.



 
“Bene, ora giriamo a destra”. “Ora qui a sinistra”. “Vai più veloce, John!”. Il medico corse lungo quelle stradine a perdifiato, seguendo attentamente le indicazioni dell’altro.  

“Entra in questo vicolo, dovremmo incrociarlo!” urlò Sherlock dopo alcuni minuti.

Così come previsto da Holmes, in quel vicolo incrociarono l’assassino, anzi si scontrarono letteralmente con lui, finendo tutti e tre rovinosamente a terra.

“Sherlock!” gridò John, appena vide il suo corpo che veniva sbalzato via dalla sedia, cadendo sull’asfalto.

“Ferma quell’uomo, John! Non pensare a me!” ribatté Sherlock, trattenendo una smorfia di dolore.

Il medico si voltò verso l’assassino, che si era rimesso in piedi, e gli assestò un potente gancio destro, colpendolo in pieno volto.

L’uomo crollò immediatamente a terra. Nella caduta sbatté il capo e perse i sensi.

“Dio, Sherlock! Come stai?” chiese John terrorizzato. Si avvicinò a lui, lo afferrò dalla vita e lo sistemò con cura sulla sedia, scrutandolo con una maniacale attenzione. “Hai sbattuto la testa? Senti dolore da qualche parte?”.

Sherlock sorrise. “John, calmati! Sto bene, davvero…” disse dolcemente. Voltò il capo verso il corpo dell’uomo a terra e lo fissò per qualche istante. “Bel colpo…!” esclamò impressionato.

Il medico scoppiò a ridere, decisamente più rilassato. Lo guardò dritto negli occhi e gli stampò un veloce bacio sulle labbra. “Tu…tu sei…sei fuori di testa!” sbottò tra le risate.
 





 
Dopo l’arrivo della polizia, che arrestò il malvivente, John e Sherlock si diressero verso l’auto.

Holmes si sentì sollevato all’idea che Lestrade non fosse di turno quella sera. Non avrebbe sopportato un ulteriore incontro con lui, non dopo la miriade di cose che erano appena successe.

Il medico restò in silenzio per tutto il tragitto. Sentiva ancora il brivido dell’adrenalina scorrergli nelle vene. Non si era mai sentito così vivo, così pieno di energie.

Arrivati davanti al vialetto che portava alla dependance, spense il motore dell’auto e sospirò. “È stata una serata…sorprendente!” esclamò, ridacchiando divertito.

“Noto con piacere che il fuori programma è stato di tuo gradimento” ironizzò Sherlock.

John scosse il capo incredulo. “Ridicolo! È stata la cosa più ridicola che abbia mai fatto!”

“E pensare che hai invaso l’Afghanistan!”.

“Non c’ero solo io!” rispose prontamente il medico.

Si guardarono negli occhi per alcuni istanti e scoppiarono entrambi in una fragorosa risata.

“E comunque non abbiamo solo fermato un assassino. Abbiamo anche dimostrato una cosa” riprese Sherlock dopo un po'.

“Cosa?”.

“La tua gamba. A giudicare da come corri, ora ne ho la certezza. È ovviamente un disturbo psicosomatico”.

John smise improvvisamente di ridere e sgranò gli occhi.

Solo in quel momento si ricordò del bastone. Guardò prima la sua gamba, notando con grande meraviglia che non faceva più male, poi Holmes. “Io…io non…grazie” balbettò sbalordito.

Si passò le mani sul viso e sorrise. “Dai, è meglio rientrare” disse poco dopo, riprendendo il controllo.

“No, John! Aspetta!” esclamò Sherlock all’improvviso.

Il medico lo guardò preoccupato. “Che succede? Non stai bene?”.

Holmes abbassò lo sguardo e sospirò pesantemente. “Io…” provò a dire, ma le parole gli morirono in gola.

“Per l’amor del cielo, Sherlock! Mi stai facendo preoccupare!”.

“I-io non voglio rientrare. Non ancora” confessò Sherlock con un filo di voce.

Chiuse gli occhi per un secondo nel tentativo di reprimere le lacrime che minacciavano di fuoriuscire. Quando li riaprì, sforzò un sorriso e guardò con tristezza verso la dependance. “Questa serata è stata incredibile, John, davvero…” continuò, pronunciando ogni parola con enorme difficoltà. “Era…era da prima dell’incidente che non mi sentivo così…così vivo! Ho ancora addosso quest’incredibile sensazione e… e so che, appena scenderò da quest’auto ed entrerò lì dentro, io…” la voce gli si incrinò, impedendogli di continuare. Sospirò di nuovo, mentre una lacrima sfuggì al suo controllo. “…Non appena entrerò lì dentro… tutto ciò che realmente sono mi ricrollerà addosso e… voglio… voglio solo godermi questa sensazione ancora per un po'. Ti prego, John. Solo per qualche istante ancora”.

In quel momento John non seppe realmente quantificare il dolore che quelle parole gli provocarono.

Si sentì mancare il respiro. Percepì un’intensa fitta al centro del petto, come se il suo corpo venisse trapassato da una letale lama invisibile.

Restò in silenzio con la straziante consapevolezza che non c’era niente che avesse potuto dire o fare, per placare quell’immenso dolore, che si stava manifestando davanti ai suoi occhi e dentro la sua stessa anima.
 
 







 
 
John non riuscì a dormire quella notte.

Dopo aver accompagnato Sherlock a letto, si era rintanato nella sua stanza. Si era tolto le scarpe, la giacca e la cravatta, immergendosi dentro le coperte ancora in parte vestito.

Passò la notte a fissare il soffitto. Non riusciva a togliersi dalla mente quelle strazianti parole, quel volto perfetto turbato dall’intenso dolore, che era emerso in modo così prorompente e improvviso, quella lacrima che era fuoriuscita senza controllo.

Si passò istintivamente una mano sulla gamba destra, gustando ancora una volta la sorprendente sensazione dell’assenza di dolore.

Sherlock era riuscito a fare così tanto per lui.

Dal loro primo bacio non aveva quasi più avuto incubi. C’erano persino delle notti in cui riusciva a dormire sereno fino al mattino, senza improvvise ed immotivate interruzioni di sonno.

Ed ora anche questo. Aveva risolto il suo più grande problema, sicuramente la fonte dei suoi maggiori disagi.

In quel momento si sentì un incapace. L’unica cosa che poteva fare per lui era quella di renderlo felice, scacciando via tutta la tristezza che troppo spesso incupiva i suoi magnifici occhi.

Ma ogni volta che ci provava, ogni volta che gli sembrava di farcela, ecco che quel dolore riemergeva, pronto a distruggere tutti i pochi risultati che aveva faticosamente raggiunto.
 








Le prime luci del mattino fecero capolino dalla finestra, illuminando man mano tutta la stanza.

John guardò l’orologio. Erano le 7:00.

“Avanti, John…” si disse, alzandosi dal letto con il morale a terra.

Si passò le mani sul viso e sospirò pesantemente.

“John, sei sveglio?” la voce di Sherlock dall’altro lato della porta lo fece sussultare.

Il medico la aprì sorpreso. “Buongiorno! Cosa ci fai qui?”.

“Non hai dormito” affermò Holmes, scrutandolo con attenzione.

“No, non molto…ma ancora non mi hai risposto”.

Sherlock abbassò lo sguardo e il suo volto si incupì all’improvviso. “Mi dispiace per la scena pietosa di ieri sera…io…”.

“Non importa” lo interruppe prontamente John.

“Comunque vestiti in fretta!” esclamò, cambiando completamente espressione. “Stamattina voglio portarti in un posto. Ti aspetto in soggiorno” aggiunse entusiasta, prima di voltarsi e sparire nell’altra stanza.
 
 









 
 
“Sherlock, questo posto è incredibile!”. John si guardava intorno con entusiasmo.

Il malumore di quella mattina era improvvisamente scomparso, lasciando il posto alle meravigliose sensazioni che quel posto gli trasmetteva.

Si trovavano ai confini del parco che costeggiava la villa, in un piccolo angolo di paradiso, raggiungibile esclusivamente da una stradina dissestata e seminascosta.

Avevano percorso una ripida salita ed erano arrivati sulla cima di una collinetta da cui era visibile l’intera cittadina.

Alla loro destra si ergevano le rovine di un vecchio castello medievale, che conferivano a quel posto un’atmosfera magica, quasi fiabesca.

“Questo era il mio posto preferito quando ero bambino” disse Sherlock, perdendosi con la mente nei suoi ricordi lontani. “Era il mio piccolo segreto. Non ci ho mai portato nessuno fino ad ora…” aggiunse con un lieve imbarazzo.

Il medico sorrise, intenerito da quella frase. “Sono onorato” ironizzò, inchinandosi con fare teatrale. “Scommetto che ti aggiravi qui intorno fingendo di essere un principe guerriero”.

“No, non un principe guerriero. Un pirata” confessò, ridacchiando divertito.

John lo guardò con attenzione. Non c’era niente di più bello che vederlo felice e rilassato.

In quegli istanti i lineamenti del suo viso si distendevano, diventando più morbidi e delicati, i suoi occhi si illuminavano, il suo sguardo appariva più dolce, il tutto contornato da un meraviglioso sorriso.

Avrebbe voluto fermare il tempo, in modo da poter imprimere sul suo volto quella fantastica espressione per sempre.

“Credo che sarebbe ancora il mio posto preferito!” esclamò, spostando nuovamente lo sguardo sulla splendida vista.

Sherlock non rispose subito. Socchiuse leggermente gli occhi ed arricciò le labbra, facendo una piccola smorfia di disapprovazione. “Lo dici perché non hai visto di meglio”.

“E dov’è meglio di qui, allora?” chiese il medico.

“Londra. 221B di Baker Street. Non c’è nessun altro posto dove vorrei stare in questo momento se non lì.”.

“Se non sbaglio è l’indirizzo del tuo vecchio appartamento. Mi sembra di averlo letto su uno di quei ritagli di giornale”.

“Si…”.

Un’idea improvvisa attraversò la mente di John. “Se ti manca così tanto, potremmo andarci. Possiamo prendere la macchina e partire oggi stesso!” esclamò con entusiasmo.

“No, John”.

“Perché no? Hai appena detto…”.

“Tu non capisci…” lo interruppe prontamente Holmes. “Vorrei trovarmi lì, essendo me…il vecchio me…” aggiunse, spostando il suo sguardo, nuovamente triste, verso un punto lontano del paesaggio.

John vide riaffiorare sul suo viso, senza che potesse in alcun modo impedirlo, quella malinconica espressione.

Lo Sherlock felice e spensierato era sparito di nuovo ed ovviamente era colpa sua. Mai come allora si maledisse per essere riuscito, ancora una volta, a distruggere un momento meravigliosamente perfetto.

“Sherlock…” disse, ma si fermò non sapendo come continuare.

“John, il fatto è che…” riprese poco dopo Sherlock “…Se chiudo gli occhi adesso, so esattamente cosa si prova ad essere lì. Ricordo ogni sensazione. Il confortante calore della mia poltrona di pelle nera, l’intenso suono del mio violino, le finte lamentele della padrona di casa quando suonavo in piena notte” continuò, accennando un amaro sorriso “Ricordo tutto. I suoni, quell’inconfondibile profumo che sapeva di casa. Non voglio cancellare tutto questo con la lotta per salire le scale, con il dolore di vedere il mio violino e non riuscire a suonarlo, con la terribile consapevolezza di ciò che ero e che non potrò più essere”.

Il medico poggiò una mano sulla sua e la strinse leggermente. “Mi dispiace…non avrei dovuto…” balbettò con voce tremante.

Holmes lo guardò e sorrise. “Tutto questo non è colpa tua, John” disse, leggendo il senso di colpa nei suoi occhi. Fece un profondo respiro e buttò fuori l’aria di colpo, come se volesse liberarsi di un grosso nodo alla gola. “C’è un posto dove potremmo andare, però…”.

“Dove?” chiese John curioso.

“Al matrimonio di Molly e Lestrade!” esclamò Sherlock con convinzione. “Vorresti venirci con me?... Se accettassi, mi renderesti l’uomo più felice su questa terra…” aggiunse, riprendendo le parole di John di qualche sera prima.

Il medico ridacchiò imbarazzato. Aveva gli occhi lucidi. “Ne sarei davvero felice”.
















Angolo dell'autrice:
Salve! Eccovi l'ottavo capitolo. 
Beh, che dire... si passa da alti e bassi, da momenti sereni in pieno stile Johnlock, a momenti puramente angst e malinconici. 
Sapevo che questa storia sarebbe stata difficile da scrivere, ma solo ora mi sto renedendo conto di quanto lo sia realmente. 

John cerca in tutti i modi di aiutare Sherlock, ma spesso il dolore che è costretto a combattere e così grande da lasciarlo atterrito, impotente. 
Sherlock intanto sta aiutando John a modo suo e vi anticipo che non sarà l'unica cosa che farà per lui nei prossimi capitoli. Vedrete. 

Nel prossimo capitolo John e Sherlock andranno al matrimonio e ne vedremo delle belle. 

Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Grazie a chi continua a seguire la storia e a chiunque voglia lasciare un commento. Alla prossima ;)

 
   
 
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