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Autore: Antokia    19/10/2016    3 recensioni
«Qualcuno ha mai fatto qualcosa per te? Persino Mustang, probabilmente ti ha aiutato e ti sta accanto solo perché una tua mano gli è utile.» A quelle parole Riza cede. Si alza in piedi, cercando di aggredire quella voce. È inutile. «No. No. No. Sta zitto!!!» Riesce a urlare. Chiude gli occhi. Torna a respirare.
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Riza Hawkeye, Roy Mustang, Team Mustang | Coppie: Roy/Riza
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Warmness on the soul
capitolo primo

 




È buio intorno. Riza sta correndo. Il freddo del terriccio bagnato le gela le gambe  e si propaga lungo il corpo, salendo fino al petto. Ed è proprio lì che sente un peso enorme, che quasi la opprime. Non ce la fa più. Si lascia cadere a terra, in ginocchio. La pioggia che le riga il viso si confonde con le lacrime. Quand’è che ha iniziato a piangere? Un filo di luce le permette di vedere dove si trova. Un bosco forse? Ha qualcosa di familiare. Riza non ne è sicura.

«Elizabeth.»

Sente una voce. La riconosce immediatamente, nonostante lo scroscio della pioggia. Si volta, ma non vede nessuno. È sola ed ha paura. «Pa-papà?»

«È arrivato» la voce adesso è più flebile «…non manca molto.» Riza riesce a sentire quelle parole, mentre l’eco della voce del padre le risuona nella testa. Il peso al petto si è affievolito. Le gambe ritrovano la forza per rialzarsi…

Riza Hawkeye si svegliò nel suo letto, sudata e con il respiro affannoso. L’agitazione che ancora le ribolliva nelle vene. Sentì il nasino umido di Hayate toccarle la mano. Lei gli arruffò il pelo dolcemente. «Tranquillo, piccolo. Va tutto bene: era solo un sogno.» Guardò l’orologio per accorgersi che era irrimediabilmente in ritardo. Non le era mai successo, se non in rare occasioni. Quell’incubo l’aveva attanagliata al punto da non farla svegliare. Si preparò il più in fretta possibile, indossando la sua uniforme blu, e si precipitò a lavoro. La giornata era decisamente iniziata nel modo sbagliato.
 
Roy Mustang, seduto sulla poltrona del suo ufficio, puntò per l’ennesima volta gli occhi sul suo orologio degli alchimisti di Stato, chiedendosi che diamine di fine avesse fatto il suo sottoposto. Il suo atteggiamento era più paragonabile a quello di una madre premurosa, che a quello di un Capo. E questo gli succedeva non solo con il Tenente Hawkeye, ma con tutti i membri della squadra. «Fury, sei ancora qui? Sbaglio o ti ho già detto quello che devi fare, mi devo forse ripetere?»

«N-no, signore. Vado immediatamente» rispose il Sergente, agitato come al solito quando riceveva un ordine, «mi avverta quando arriva il Tenente. Sono un po’ in pensiero.» Ammise il giovane soldato che salutò il Generale e si chiuse la porta alle spalle. Roy si alzò in piedi, grattandosi la testa. Non riusciva a immaginare il motivo di una tale negligenza da parte del suo braccio destro. Affacciandosi alla finestra, vide finalmente arrivare il tenente Hawkeye che a passo svelto saliva la scalinata della Centrale. La scena gli suscitò un lieve sorriso: per una volta non era lui ad essere in difetto sul posto di lavoro.

«Buongiorno, Generale. Mi scusi per il ritardo.» disse la donna, abbassando il capo in segno di reverenza. Chiuse la porta dell’ufficio e si avvicinò all’uomo, che le stava di fronte. Roy stava pensando a qualche frecciatina da rivolgerle per quell’evento fuori dall’ordinario, ma la voglia di scherzare gli passò quando, alzando gli occhi, vide il volto del Tenente. Aveva delle occhiaie violacee che le marchiavano lo sguardo, anch’esso alquanto diverso dal solito. «Non ti preoccupare» rispose il Generale, rivolgendole un caldo sorriso «nottataccia?»

«Non ho dormito molto bene, ma niente di grave, signore.» Ammise la donna, rispondendo al sorriso di lui con una leggera increspatura delle labbra. Roy era abbastanza preoccupato. Ricordava quanto fosse difficile scoprire qualcosa che la sua sottoposta non voleva lasciar sapere. Si augurò che fosse davvero una semplice notte in bianco a causare quello stato d’animo nel suo sottoposto. «Vieni. Andiamo dagli altri.»

«Generale, ho appena finito di aggiustare la ricetrasmittente» affermò soddisfatto il Sergente Fury «è stato molto semplice. Vede, aprendola ho notato un filo che faceva falso cont…»

«D’accordo, d’accordo, Sergente. Ottimo lavoro.» Lo interruppe Roy dandogli una pacca sulla spalla «Evita di entrare nei dettagli. Non importa a nessuno.» Gli suggerì l’uomo. Quell’affermazione bruciò tutto l’entusiasmo del più giovane della squadra, che si accucciò all’angolo della stanza, poco dietro gli altri uomini. «Bene, ragazzi. Purtroppo anche oggi c’è del lavoro da svolgere» iniziò il Generale «suvvia, Sergente Fury, non ti ho mica sgridato! Avvicinati.» Lo intimò il Generale. L’aria accogliente e familiare e quei buffi siparietti tra i suoi colleghi, fecero parzialmente riprendere Riza dalla brutta nottata che aveva passato. «Generale, io avrei voglia di entrare in azione. Non ne posso più di stare in centrale.» Affermò Havoc  che, da quando si era ripreso dall’incidente con Lust, era più attivo di prima. «Non mi lamenterei della troppa calma di questo periodo» contestò Roy,  ripensando ai momenti vissuti poco tempo prima «non ti sembra che ne abbiamo passate abbastanza? Ad ogni modo, se può bastarti, vorrei che tu e Breda andaste alla stazione a dare un’occhiata. Stamane mi è arrivata una segnalazione di movimenti sospetti proprio lì. Assicuratevi che non ci siano personaggi strani e non esitate a chiamarmi se succede qualcosa» ordinò il generale, proseguendo subito dopo  «tu, Falman, starai con me e mi aiuterai a sistemare gli ultimi referti nell’archivio di Stato, e tu» disse infine, puntando il dito contro il giovane Fury, che impallidì a causa del tono di voce fin troppo serio del Generale «scorterai a casa il Tenente Hawkeye. Accompagnala al suo appartamento e poi torna qui, mi raccomando.» I cinque  si voltarono verso il Tenente che fino ad allora non aveva aperto bocca, e si accorsero che effettivamente la donna aveva un’aria stanca. Non si erano accorti di lei prima. «Mi scusi, signore. Non lo reputo necessario. Non ho intenzione di tornare a casa.» Affermò decisa Riza, che si sentiva incredibilmente a disagio in quella situazione. Roy le si avvicinò ad un palmo dal viso. «Non ho chiesto il tuo parere, Tenente. La congedo per oggi» ribatté il Generale, voltandosi nuovamente verso la squadra «su muovetevi!» disse infine, guardando i ragazzi lasciare la stanza. Uscirono tutti, tranne il Tenente ancora sul piede di guerra e Fury, che avrebbe desiderato scomparire all’istante. «Ti dispiace aspettare il Tenente fuori, Fury? Arriva subito.» 

«Certo, Generale.» disse, sgattaiolando fuori e raggiungendo gli altri. Roy mise le mani in tasca, facendo piccoli passi su e giù per la stanza. «Tenente, cosa ti è successo?» le chiese con un sospiro. Adesso la guardava negli occhi. Conosceva ogni sguardo di Riza: sapeva riconoscere quando era felice, nonostante lei cercasse di rimanere impassibile, e sapeva anche quando gli stava mentendo. «Come lei ha già intuito, Generale, non ho dormito bene» rispose la donna, stanca perfino di controbattere alle parole del suo superiore «Sono perfettamente in grado di rimanere in servizio. Glielo assicuro.»

«Tenente, ti prego.» Disse l’uomo, stringendole un braccio con la mano. Era piacevole poter godere, anche se per pochi istanti, di quel contatto. «Potresti fare contento il tuo caro Generale? Solo per oggi. Va a casa, fatti una bella tisana calda e rilassati sul divano.» La implorò Roy, mantenendo il contatto con la donna, si accorse che lei si era leggermente irrigidita. «Domani ti faccio lavorare il doppio. Se proprio ci tieni» disse sogghignando lui e portandosi una mano al petto «promesso.»

Riza cedette alle preghiere del Generale e si incamminò lungo il viale per tornare a casa, con al suo fianco Kain Fury che trotterellava come un bambino. «Grazie, Kain.» Disse ad un certo punto la donna, senza guardarlo in volto. «Non c’è di che, Tenente. Sa, stamattina mi ero davvero preoccupato, non vedendola arrivare. Avevo paura le fosse successo qualcosa, e so che anche il Generale era preoccupato. Noi ci teniamo davvero molto a lei. Credo che quella di prendersi una giornata di riposo sia stata un’ottima scelta…»
« Anche io tengo a voi, Sergente. Grazie davvero per avermi accompagnata» lo interruppe la donna fermandosi davanti la porta di casa «ci vediamo domani.»

«A domani, Tenente!» Disse Fury, facendo il saluto militare, si allontanò da casa di lei.
Riza entrò in casa, gettando le chiavi sul tavolo.  Si tolse il cappotto e si lasciò cadere sul divano. Hayate le saltò addossò, felicissimo di rivederla così presto. Le leccò la faccia, scodinzolando. «Ciao, Hayate. A quanto pare sono fuori uso oggi.» Gli disse Riza, cercando di calmarlo. Lui si appollaiò al suo fianco.
Riza non riusciva a credere come uno stupido sogno fosse in grado di rimanerle così impresso. Quelle immagini erano come marchiate a fuoco nella sua mente, così vivide, così reali. Riusciva quasi a percepire ancora l’umidità delle foglie che le bagnava le ginocchia.

Si alzò dal divano, con le dovute proteste del piccolo Husky, per andare in cucina a prepararsi una tisana, sperando di calmarsi. Qualche ora più tardi, il sonno non tardò ad arrivare. Le palpebre di Riza si fecero pesanti e poco dopo la donna si addormentò.


Riza è accasciata a terra, i capelli inzuppati d’acqua e la pelle delle mani raggrinzita. È buio. È freddo. Il vento che soffia nella sua direzione la fa rabbrividire. Si ritrova a camminare a tentoni, senza sapere dove andare.

La voce.

Adesso è dentro le sue orecchie, la sente vicina. «Elizabeth.»

«Papà? Sei tu?» Implora la donna. Vorrebbe capire. Vorrebbe trovare una risposta a quella situazione. Si ritrova a stringere la terra fangosa tra le mani. Adesso prova rabbia. «Fuochino» rispose la voce ridendo «come ti senti, Riza?»

«Io…Io…» Riza ha paura. Si sente in trappola, e sola. Sente come se nessuno possa liberarla da quello stato. Vorrebbe urlare, ma dalla sua gola non esce altro che un suono strozzato. «Fammi indovinare: ti senti sola, non è così?» Indovina la voce, facendosi più vicina. «Credi di sentirti sola,  adesso, qui? Ma se ci pensi bene, in fondo, non sei sola… Sempre?» Suggerisce la voce, assumendo quasi un tono premuroso. «Riza, una povera ragazza abbandonata dal padre, costretta a entrare nell’esercito perché non ha altro a cui aggrapparsi» continua la voce, instillandosi nei pensieri della donna.

 Nella mente di Riza scorrono le immagini dei volti della sua squadra, la cosa più simile ad una famiglia che abbia mai avuto. «La squadra di Mustang a cui tieni tanto? Sei convinta che a loro importi così tanto di te? O sei solo una persona con cui sono costretti a spartire del tempo. Pensaci. Cosa hanno fatto per te? Qualcuno ha mai fatto qualcosa per te? Persino Mustang, probabilmente ti ha aiutato e ti sta accanto solo perché una tua mano gli è utile.» A quelle parole Riza cede. Si alza in piedi, cercando di aggredire quella voce. È inutile. «No. No. No. Sta zitto!!!» Riesce a urlare. Chiude gli occhi. Torna a respirare.
 
Riza si svegliò di soprassalto. Si accorse che il telefono squillava. Si passò una mano tra i capelli e si costrinse ad alzarsi. Andò alla cornetta, accompagnata da Hayate che stava fastidiosamente abbaiando. «Pronto?»

«Tenente. Ho chiamato per sapere se stesse meglio, adesso.» La voce del Generale la calmò. Riza fece un sospirò profondo, prendendosi qualche attimo per riflettere, poi rispose. «Sì, Generale. Sto decisamente meglio» si costrinse a dire la donna «grazie per l’interesse.»

«Riza, aspetta un attimo.» Cercò di dire Roy, prima che lei potesse riattacare la chiamata. «Lo sai che io ci sono sempre per i miei uomini. Ve lo dico sempre. Se c’è qualcosa che volete dirmi, se avete bisogno di una mano, se voi... Diamine, se tu hai bisogno di me, ci sono.» Disse, non senza imbarazzo, il Generale.  «Ne sono grata, signore, ma credo di essere stata sufficientemente chiara. Sto bene.» Così rispose e concluse la telefonata. 
  
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