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Autore: Dysia    21/10/2016    0 recensioni
Spostai la tendina che stava davanti al suo lettino e m'irrigidì per un attimo nel vederla più bianca del solito. Aveva due profonde occhiaie sotto gli occhi, le labbra violacee ed il suo petto si alzava appena ad ogni respiro. Ora che eravamo più vicini, riuscivo a sentire di più quanto stesse effettivamente male. Sentivo il suo cuore più lento di quanto non fosse mai stato, e la cosa mi spaventava parecchio. Mi chinai appena, poggiando una mano sulla sua guancia per accarezzarla. Volevo attirare la sua attenzione, senza farla svegliare di soprassalto.
Le accarezzai i capelli, poi spostai lentamente la mano, avvicinandomi ancora un po'.
‹‹ Ehi, piccola... ›› sussurrai appena, quando la vidi muovere lentamente la testa al mio tocco.
Lentamente, aprì gli occhi, in modo stanco e quasi forzato.
Genere: Angst, Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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La luce biancastra illuminava la sala, rifletteva su quelle dannate mattonelle bianche, che davano un senso claustrofobico a quel posto.

Per quanto cercassi di mantenere la calma, non lo ero. Non potevo esserlo. E in quella sala, non volevo nessuno.

Avevo reagito male sia mentre entravo che mentre uscivo, e l'unico motivo per il quale ero ancora lì dentro, era perché forse era meglio evitare di incrociare, ancora, certi musi.

Avevo lasciato il cellulare nella tasca dei pantaloni, ignorando il suo continuo vibrare.

Testa bassa, sorretta dalle mani, e gomiti poggiati sulle ginocchia mentre continuavo a ripetermi inutilmente che dovevo mantenere la calma. Sentivo un groppo in gola, ed il freddo nelle ossa, e pregavamo che mi stesse veramente abbandonando.

Non poteva farlo, era una promessa.

Cercavo di mantenere la calma, ma era come se questa stesse scivolando via dalle mie dita.

‹‹ Ti prego... ti prego... ›› sussurravo, cercando di rimanere in contatto tramite il legame di sangue.

Per quanto cercassi di sentire la sua presenza, era come se fosse un filo troppo sottile, e non volevo spezzarlo, o forzarlo.

Sentivo la presenza, ma era sempre più debole.

La sensazione di abbandono, debolezza, stanchezza. Paura.

Abbassai di più la testa, stringendo le dita tra i capelli come se quello, attualmente, fosse il mio unico appiglio.

Sentì la porta della stanza aprirsi con delicatezza, e richiudersi allo stesso modo.

Per quanto il gesto fosse stato fatto delicatamente, sentii il nervoso crescere dentro di me, pronto ad esplodere.

Non volevo nessuno in quella stanza. Non in quel momento.

Appena sentii i passi nella mia direzione, strinsi più forte le mani tra i capelli e serrai la mascella.

I passi si fermarono davanti a me, poi, chiunque fosse, si chinò sulle ginocchia, e le sue mani si poggiarono sulle mie ginocchia, poco più avanti di dove io poggiai i gomiti.

Dita affusolate, Unghie lunghe e smaltate di rosso.

Sollevai lentamente la testa, incrociando gli occhioni verde smeraldo della ragazza di fronte a me.

Storse le labbra carnose, e da come mi guardava, capivo che il mio aspetto non era dei migliori.

‹‹ Ho provato a chiamati, ma non rispondevi... Ho pensato che fosse meglio venire direttamente qui... ›› disse con calma, spostando poi le mani, per prendere le mie ‹‹ via queste dalla testa, non vorrai mica diventare calvo! E... controllati, Drew, si avverte energia negativa qui dentro. E c'è puzza di zolfo. Stai cercando di mandare a fuoco tutto il posto? ››

Accennai un sorriso sarcastico al lato delle labbra. Era più isterico che altro. Abbassai di nuovo il volto. E lei se ne rese conto. Kayla mi conosceva bene. Lei e Daphne erano le uniche che mi conoscevano come un libro aperto. Si passò la mano tra i capelli rosso fuoco, sospirando, mentre i suoi occhi si spostarono verso il portone che divideva la sala d'attesa alla rianimazione.

‹‹ Sei già entrato? ›› Annuii, stringendo le mani a pugno ‹‹ come sta? ››

‹‹ Sta... ›› dissi semplicemente, non riuscendo a dire nient altro

‹‹ Ho sentito che qualcosa non andava... ›› cominciai a spiegare, consapevole che la domanda non fosse quella. Ma lei capiva, sapeva che dovevo sfogarmi, e che lei fosse l'unica in grado di capirmi.

‹‹ Sai, grazie ai legami di sangue che abbiamo fatto, sono in contatto con lei ››

Annuì, per farmi capire che mi stesse ascoltando ‹‹ sentivo paura, panico, tutte sensazioni negative... poi ansia, e non sapevo perché. Poi, Sebastian mi ha chiamato e.... ed eccomi qui.

Sono entrato in camera sua per poco tempo, credo di aver avuto un attacco di panico e... ho tirato due pugni a Ryan, ma a nessuno frega niente. ››

Kayla sorrise a quelle parole, probabilmente immaginava la scena.

Non fece nessuna domanda, e fece un piccolo cenno col capo per spronarmi a continuare a parlare.

Ma la mia espressione divenne vuota, e fui piuttosto certo di essere sbiancato. All'improvviso mi sentii vuoto, come se l'aria mi fosse stata sottratta dai polmoni.

Mi si formò un nodo in gola. Quella sensazione di totale assenza, silenzio, mi crollò addosso come un muro di mattoni. Sentii gli occhi pizzicare, la pelle sudare freddo.

C'era silenzio nella mia testa.

‹‹ Drew? ›› mi richiamò la mia amica, notando che qualcosa, nella mia espressione, era cambiata.

‹‹ Stai sentendo qualcosa? ›› sentii più un eco distante che la voce stessa della mia amica.

Portai le mani alle labbra, toccando quello inferiore, cercando di mantenere il controllo.

‹‹ Niente... ›› dissi, quasi sussurrando ‹‹ Kiki... ›› alzai gli occhi per guardare la mia amica, che inclinò la testa ‹‹ Non la sento più ›› pronunciare quella frase, fece fu come rendere quella sensazione di vuoto ancora più reale.

Kayla allora si girò verso la porta dalla quale si accedeva alla stanza di Daphne.

Un sorriso forzato si fece spazio sulle mie labbra, ma con gli occhi spenti e lucidi, e rivolsi quell'espressione alla mia amica appena si girò verso di me.

‹‹ Non la sento più ›› Ripetei, prima in un sussurro, poi più forte, mentre nascondevo il volto contro le mani.

Ero così concentrato a cercare di rimanere in contatto con lei, nel sentire la sua presenza, che non diedi peso al quel "bip" prolungato che proveniva dalla sua stanza.

Ma appena me ne resi conto, divenne il rumore più assordante mai sentito.

 

Ore prima, ero seduto sul divano in salotto, fissando una fotografia che ritraeva me e Daphne, quando lei era ancora una bambina. Ero riuscito a recuperarne qualcuna, e le tenevo ben nascoste in una scatola sotto il letto.

Mi sentivo stranamente, terribilmente agitato, e non ne capivo il motivo.

Sudavo freddo, tremavo, e non riuscivo a stare fermo su un posto.

L'unica distrazione trovata, era quella foto.

Daphne era piccolina, aggrappata alle mie gambe, e mi guardava con un sorriso enorme.

Quei sorrisi rari e preziosi che la bambina rivolgeva solo a me, con gli occhioni tipici che ha mantenuto anche crescendo.

Ho sempre pensato che sembrasse una bambolina di porcellana, con quei vestitini stretti in vita, ma con un ampia gonnellina, le scarpette da bambolina, le calze collant bianche ed il fiocchetto tra i capelli. La madre era solita vestirla in quel modo, sopratutto quando si trattata di occasioni importanti, come una festa tra i nobili.

Lei, era la mia bambolina.

In quella foto, l'evento a cui stavamo partecipando, era proprio quello.

Adam mi chiese se volessi partecipare, e sulle prime risposi che avrei volentieri fatto a meno, ma Daphne aveva insistito per la mia presenza, e nonostante odiassi eventi come quello, partecipai come suo custode.

Anche Adam odiava quel genere di eventi, e si notava, ma non poteva sottrarsi ai doveri come quello.

Il giorno della festa, Daphne rimase al piano superiore, seduta sul primo gradino, mentre aspettava che arrivassi nella villa.

Quando varcai la porta, mi chiamò con la vocina squillante e cominciò a scendere le scale con il lembo del vestito leggermente sollevato, come facevano le principesse dei cartoni animati.

Appena arrivò all'ultimo gradino, le porsi la mano, e lei la prese. Finsi un inchino, per poi darle un leggero bacio sulla mano, e lei ridacchiò.

La madre mi informò del fatto che Daphne avesse fatto le scale per un ora di fila, per imparare a scenderle bene.

Ricordo che quella sera si era offesa, perché alcune delle invitate avevano provato a fare le gattemorte, e lei le aveva cacciate via. Piccolina o meno, rimaneva comunque la principessa, e sapeva come farsi rispettare.

Daphne era sempre stata molto gelosa di me, ed ha sempre detto che per lei, io ero il suo principe.

Ma solo suo, e di nessun altro.

Quando sentii il telefono squillare, lo afferrai al volo, ma con disinteresse.

Il nome di Sebastian, scritto sullo schermo, mi fece gelare il sangue. Quando mi chiamava di solito implicava per forza qualcosa riguardante Daphne.

Ed infatti, era così.

Già dalla premessa del “Siamo in ospedale” ero scattato giù dal divano come una molla, ma il continuo mi fece gelare il sangue.

Il riassunto breve delle parole di Sebastian, era che Daphne aveva perso il controllo e si era tagliata.

La cosa mi sembrava fin troppo strana, e non capivo come potesse essere successo.

Sì, Daphne mi aveva detto che tempo fa era stata veramente male, di aver toccato il fondo, ma poi si era ripresa. Non aveva più provato a fare certe cose.

Era venuta da me più volte, nonostante la rottura, e non aveva mai accennato a simili pensieri. L'unica cosa che mi diceva, era di scusarla, che le mancavo, ma sviava il discorso quando le chiedevo di rimanere.

E nonostante la nostra telepatia, non mi permetteva di capire il perché di quel silenzio. Era come un blocco che si era imposta, e non potevo vederlo. Ma era spaventata.

L'ultima volta, poche settimane prima, in effetti era un po' strana, ma tutto sommato era tranquilla.

La solita Daphne. No, non poteva essere una cosa volontaria.

C'era qualcosa sotto, e speravo con tutto me stesso che la causa non fosse Ryan.

In quel momento, non sapevo quanto stessi correndo sulla strada, e tanto meno m'importava.

Correvo e basta, se poi investivo qualcuno, il problema non era mio.

Inchiodai di fronte all'ospedale, ed appena scesi dall'auto, corsi dentro, dritto verso la rianimazione.

Sentivo Daphne. Debole, però era viva.

Spalancai le porte della sala d'attesa, dove trovai Ryan in piedi, di fronte al portone, intento a mordere nervosamente l'unghia del pollice.

Mi fermai sulla soglia della porta, fissandolo in modo a dir poco accusatore.

Seduto su una sedia, non troppo distante da lui, c'era Sebastian, e direttamente accanto a lui, con le gambe incrociate, Alai. Per la prima volta, da quando la conoscevo, era in silenzio.

Non c'era Mysia, Trevor, Sarah... nessuna delle persone alla quale Daphne era legata.

Feci un passo nella direzione di Sebastian, pronto a chiedergli come mai non c'era nessuno, ma mi fermai non appena Ryan si girò a guardarmi, come se mi stesse rimproverando per la mia presenza.

Non fece nemmeno a tempo a dire una sola parola, che preso dal nervoso, gli tirai un pugno in piena faccia. Cadde a terra, poggiando le mani contro il naso, privo della voglia e della forza di reagire.

‹‹ Oh, cazzo! ›› sbottò Alai, alzandosi rapidamente dalla sedia per avvicinarsi al Satanasso.

‹‹ Drew! ›› mi riprese Sebastian, afferrandomi per le spalle ed allontanandomi da Ryan prima che potessi chinarmi per infierire.

‹‹ Come cazzo hai fatto a non accorgerti di nulla? Si può sapere dove hai la testa?! ›› gridai dimenandomi per cercare di liberarmi dalla presa di Sebastian. Era come stare imprigionato tra delle tenaglie di ferro.

Ryan rise, spostando le mani dal naso, dalla quale scendeva del sangue, ma non sembrò interessargli.

‹‹ Era chiusa nel fottuto bagno! ›› rispose, quasi con noncuranza.

Poggiò una mano sul braccio di Alai, per allontanarla da sé, e mi guardò.

Seduto sul pavimento in quel modo, mi ricordava vagamente un fantoccio abbandonato ‹‹ era giù di morale da un po' ma n– ››

‹‹ Ma chiaramente sei così cretino da non renderti conto di niente. Dannazione, dovrei spaccarti la faccia e far finire te in rianimazione! ››

‹‹ Drew, calmati! ›› gridò Sebastian, rischiando di perforarmi un timpano ‹‹ non puoi ragionarci, non è in sé ›› Probabilmente lo fulminai con lo sguardo, ma aveva ragione: non era il caso di dare Show lì. Gli avrei spaccato la faccia più tardi. Scrollai le spalle, e lui lasciò la presa.

Mi passai una mano tra i capelli, guardando nella direzione della porta.

‹‹ Cosa è successo? Posso entrare? ›› chiesi quasi in un sussurro, rivolgendo lo sguardo a Sebastian.

L'uomo all'apparenza era calmo, con i comportamenti di sempre... ma il volto lo ingannava.

Contratto, teso, ed alcuni movimenti erano meccanici.

‹‹ Ancora no, c'è il dottore ›› disse, poi si passò una mano tra i capelli ‹‹ C'è una manifestazione organizzata dai demoni ››

‹‹ Manifestazione? ›› chiesi stupito. Non ne sapevo nulla.

‹‹ Sì. Joel, la figlia del primo Angelicato, è salita al potere e ha dichiarato guerra al primo Satanasso, e Daphne ha cominciato a non vederci più dal panico. Delirava, dicendo che era colpa sua, che non voleva avere nulla a che fare con tutto questa situazione e – ››

‹‹ Aspetta... Joel cosa? ›› corrugai la fronte.

Lui fece le spallucce ‹‹ Ha dichiarato guerra ai Tempest. Dopo averlo fatto è apparentemente sparita. E Daphne... beh, non l'ha presa tanto bene ››

‹‹ Era totalmente assente, e siamo passati di fronte alla parata organizzata dai demoni per festeggiare il “palese vantaggio” che abbiamo nei loro confronti, ed ha cominciato a delirare ›› spiegò Ryan. Solo la sua voce mi stava provocando i brividi di nervoso, ma mi trattenni. Volevo sapere di più, così da sapere se almeno avesse provato o meno a fare qualcosa di buono ‹‹ Eravamo con Mysia, che era su un carro della parata, e vedendo che non sembrava sentirsi per niente bene, l'abbiamo portata in una delle proprietà dell'Iperlegge situata a Red Money, dove c'era suo nonno che sbrigava alcune faccende. Mi sembrava una mossa buona. Magari, lì, essendo distante da quel casino si sarebbe calmata. O almeno suo nonno l'avrebbe rassicurata. Invece, anche lui sembrava strano e più severo del solito ››

‹‹ E, giustamente, non hai pensato di chiamare qualcuno che effettivamente fosse in grado di calmarla, vero? ›› sibilai tra i denti, più inviperito di prima.

‹‹ Oh, sì, chiamavo te? Scusami, non sei tra i miei pensieri ››

‹‹ Se proprio non ti andava l'idea di chiamare me, potevi chiamare Sebastian. ››

Ryan si zittì, abbassando lo sguardo ‹‹ comunque... poco dopo andata in bagno, e lì... ›› e si zittì, lasciando in sospeso la frase. Scosse la testa, come se non fosse più in grado di reggere la conversazione, e si affrettò ad uscire dalla sala d'attesa, sbattendosi alle spalle la porta.

‹‹ Il Signor Tempest mi ha chiamato appena è successo tutto. Li ho raggiunti subito e ci siamo affrettati a portarla qui, ma non abbiamo fatto venire nessuno. Mysia è a scuola, e non sa niente delle sue condizioni. Non la prenderebbe per niente bene.

Ha usato delle lame fatte di Adamantio. Per questo non è riuscita a guarire da sola... e poi, è terribilmente debole ›› spiegò Sebastian ‹‹ e ho chiamato solo te e Alai. Ha dei brevi momenti di lucidità dove, però, spinge via tutti. Infermieri, medici... Chiunque non sia io o Alai. Non vuole nemmeno Ryan accanto. Ma ha chiesto di te ››

Schiusi le labbra, ma la cosa non mi stupiva. Nel sentire dei passi provenire dalla stanza, e venire verso di noi, mi drizzai con la schiena. Mi ballava la gamba dal nervoso e dalla voglia di gettarmi in quella direzione, ma aspettai.

Appena un nuovo, sulla cinquantina, uscì chiedendo se fossi lì per Daphne, mi lanciai in quella direzione. Non avevo bisogno di nessuna indicazione, sentivo ancora la sua presenza e riuscivo perfettamente ad orientarmi.

Spostai la tendina che stava davanti al suo lettino e m'irrigidì per un attimo nel vederla più bianca del solito. Aveva due profonde occhiaie sotto gli occhi, le labbra violacee ed il suo petto si alzava appena ad ogni respiro. Ora che eravamo più vicini, riuscivo a sentire di più quanto stesse effettivamente male. Sentivo il suo cuore più lento di quanto non fosse mai stato, e la cosa mi spaventava parecchio. Mi chinai appena, poggiando una mano sulla sua guancia per accarezzarla. Volevo attirare la sua attenzione, senza farla svegliare di soprassalto.

Le accarezzai i capelli, poi spostai lentamente la mano, avvicinandomi ancora un po'.

‹‹ Ehi, piccola... ›› sussurrai appena, quando la vidi muovere lentamente la testa al mio tocco.

Lentamente, aprì gli occhi, in modo stanco e quasi forzato.

Incrociò il mio sguardo, in modo stupito. Strizzò appena gli occhi, come se non fosse certa di ciò che aveva davanti.

‹‹ Drew? ›› domandò debolmente, e sgranò appena gli occhi quando le risposi con un sorriso accennato, annuendo. Improvvisamente, la sua testa, prima priva di ogni singolo pensiero, si affollò. Come se assieme a lei, si fosse risvegliato anche il casino.

Corrugai la fronte, e nonostante lei cercasse di mettersi dritta sul lettino per potersi sporgere verso di me, scossi la testa, e preferii chinarmi di più io per non farla sforzare.

‹‹ Sta giù ›› sussurrai, accarezzandole dolcemente le guance.

Sembrò non riuscire a parlare, ed era raro da parte sua. Come se avesse un blocco della lingua, ma la sua mente divagasse senza il minimo controllo. Sentivo il casino, ma non riuscivo a capirli.
Sentivo che qualcosa non andava, ma lei non sembrava essere in grado di parlarne.
La sua mano, poi, si poggiò sulla mia, intrecciando le dita tra le mie.
Aveva la pelle fredda. Troppo fredda.
Sembrò sforzarsi di parlare, mentre mi guardava con gli occhioni lucidi, e poi, sussurrò un “scusami”.
Scossi la testa, sporgendomi di più verso di lei e depositando un bacio sulla sua fronte.
Lì era calda. Febbre?
‹‹ È tutto okay... ›› provai a dire ‹‹ dormi piccola ›› sussurrai.

Mi guardò con gli occhi lucidi, poi deglutì, presa dal panico. Lo sentivo nelle mie ossa, ed il nodo alla gola divenne così grosso che facevo quasi fatica a deglutire.

La vidi annuire, infine, e rilassarsi sul materasso, mentre stringeva la mia mano, come se avesse paura di lasciarmi andare. Voleva dire altro, ma non riusciva.

La mia ancora.

Le accarezzai il dorso della mano, e risalii verso il suo polso.

Era completamente intubata, con i polsi fasciati.

Non le lasciai la mano nemmeno per un secondo, tenendo gli occhi su di lei, in silenzio, ed ascoltando i battiti del suo cuore.

Sentivo l'agitazione che cresceva in lei, il casino che aveva in testa, e temevo ad ogni minimo sbalzo del cuore.

Seguii con lo sguardo ogni singolo tubo attaccato a lei.

Sul collo, sul petto... ovunque. Mi soffermai sul suo collo, studiandolo con attenzione, e notando che s'intravvedeva la cicatrice del mio morso.

La sua pelle, quindi, era diventata ancora più sensibile del solito.

‹‹ Signor Stilinski, deve andare ›› mi richiamò un'infermiera.

‹‹ Voglio restare qui ›› risposi con tono fermo.

Lei scosse la testa, riprendendomi. Le regole valevano per tutti. Ma, poteva chiudere un occhio, e lasciarmi nella sala d'attesa.

Appena uscì da lì, incrociai Sebastian. Il suo sguardo era assente, rivolto verso il muro come se questo potesse seriamente essere interessante. Alai si era addormentata rannicchiata in sé stessa.

Sembravano entrambi distrutti, e potevo capirli.

Eravamo tutti e tre nella stessa barca.

Nemmeno badai a Ryan, che era appostato fuori dalla porta.

L'unica cosa che sentii, fu che mi fece una domanda, che ignorai, e per richiamare la mia attenzione mi picchiettò l'indice sulla spalla.

D'istinto, rapidamente, mi girai e gli afferrai il colletto della maglietta, tirandogli il secondo pugno in faccia.

Non doveva toccarmi. Non doveva nemmeno permettersi di rivolgermi la parola.

Non dopo che non si era accorto di niente, e non mi aveva nemmeno chiamato.

Ero al limite della mia sopportazione nei suoi confronti.

Sebastian dovette intervenire una seconda volta per separarci, trascinarmi via, nella stanza in cui, infine, rimasi chiuso fino all'arrivo di Kayla.

Volevo stare solo.
 

I cinque giorni seguenti furono i più difficili da passare.

Rimasi chiuso in casa, a cercare di metabolizzare la cosa.

Sembrava impossibile, un incubo, dal quale non riuscivo a svegliarmi.
Continuavo a voler rimanere solo, ignorando anche i tentativi continui di Kayla, che cercava di mettersi in contatto con me per vedere come stavo.

Non riuscivo a levarmi dalla testa quella sensazione di vuoto.

Quella mattina, poi, mi ero svegliato con una sensazione di pesantezza sul petto.

E non era Benji che si era appisolato, nuovamente, su qesto.

Da quando ero tornato a casa, cinque giorni fa, non mi aveva lasciato da solo nemmeno per un attimo.

Ma quella sera, però, sembrò particolarmente agitato anche lui.

Eravamo sdraiati sul divano e lui, come al solito, era poggiato al mio petto.

Muoveva la coda lentamente, ed il suo muso era poggiato sola le zampe.

Mi guardava come se mi stesse studiando attentamente. Come se in tutti quegli anni passati assieme, non mi avesse mai guardato in faccia e non la conoscesse per niente.

‹‹ Sei pallido come un morto ››

‹‹ Potresti trovare una similitudine un po' più delicata e diversa? ›› sbotta infastidito.

Poi, lentamente, si mise seduto ‹‹ Stavo pensando una cosa... Chissà, forse potrebbe tirarti su di morale ››

‹‹ Avanti, sentiamo ›› risposi, senza essere veramente interessato alle sue parole.

Benji, ogni tanto, aveva la tendenza a tirare fuori argomenti senza senso, tanto per provare a sviare i miei pensieri altrove.

Era un suo modo per preoccuparsi e cercare di prendersi cura di me.
‹‹ Daphne è nata vampira, giusto? ›› chiese, inclinando la testa. Chiusi gli occhi, passandomi una mano su questi. Non volevo tirare fuori l'argomento. Non ora.

‹‹ Sì, e allora? ››
Rimase in silenzio, continuando a fissarmi, come se si aspettasse che dicessi qualcosa.

Ma non capivo il senso di quella domanda.

‹‹ Intendi deprimerti per sempre? ›› chiese infine, ma dal tono che usò, sembrò sarcastico.
Spostai la mano, corrugando la fronte. Guardai il mio famiglio con aria accusatoria.

‹‹ Perché, dovrei fare i salti di gioia? ››
‹‹ Drew, ragiona... se è Nata vampira, allora in teoria non è mai morta.... e quindi – ››
‹‹ Non ha mai passato il processo di transizione... ›› dissi, anticipandolo prima che potesse finire la frase. Un pensiero si formò nella mia testa, e sgranai gli occhi, colto da un improvviso senso di euforia. Non essendo mai morta, non aveva mai attraversato la “fase di transizione”.

E' una cosa totalmente facoltativa per una come lei, essendo già nata vampira.

Quindi, poteva essersi risvegliata senza problemi, ma solo più assetata e con un'amplificazione dei suoi poteri. Ma l'euforia, però, si cancellò.

Il sorriso che si era formato, si congelò sulle labbra, e guardai il mio famiglio.
‹‹ Aspetta.... ›› mormorai, riflettendo un attimo a mente fredda, e cercando di vedere la cosa in modo realistico, senza illudermi troppo ‹‹ Benji... sono già passati cinque giorni, e nessuno l’ha vista. Ed è impossibile che non si sia ancora fatta vedere. ››

‹‹ Sai che ci vuole più tempo per risvegliarsi, per un nato vampiro. Non è come la trasformazione normale ››

‹‹ Al massimo due giorni, Benji... siamo realistici. Apprezzo lo sforzo di darmi una speranza ››

Benji abbassò di poco il muro, assumendo ciò che sembrò essere un espressione afflitta. Mi sentii in colpa, così poggiai delicatamente una mano sulla sua testa, facendogli dei grattini dietro l'orecchio ‹‹ Senti... Sto bene. Okay? Mi riprenderò, devo solo – ›› mi zittii di colpo, corrugando la fronte.

Sentii una valanga di pensieri, fuori dalla porta di casa.

Una strana sensazione si sostituì di colpo a quel vuoto che provavo.

E li sentivo, chiari come il sole. Quei pensieri rapidi, confusi, ma che riuscivo a seguire senza nessun tipo di problema. E conoscevo perfettamente la mente dal quale provenivano.

Spostai delicatamente Benji e mi alzai di colpo, avvicinandomi rapidamente alla porta.

Un battito cardiaco accelerato, agitato, la mente confusa. Com'era possibile?.
Mi tremava la mano, ma mi convinsi di dover star calmo.

Non dovevo illudermi troppo. Potevo anche sbagliarmi.

Sentii il debole bussare alla porta, ed aprii subito, senza nemmeno guardare dallo spioncino.

Rimasi immobile davanti alla persona che stava lì, fuori dalla porta, stretta nelle spalle, che cercava di scaldarsi.
‹‹ Piccola... ›› dissi, quasi in un sussurro, in un misto di sensazioni tra il sorpreso, l'incredulo, il confuso. Mi passai le mani tra i capelli.

Era struccata, ovviamente, ma adesso non era più di quel pessimo colorito dell'ospedale.

Ora, la sua pelle era tornata del suo colorito naturale, e le guance avevano un lieve accenno di rossore, tipico di quando incrociava il mio sguardo per parecchio tempo ‹‹ vieni dentro, dai. C'è freddo, e rischi di beccarti un raffr– ›› di scatto, scattò in avanti, e le sue labbra si scontrarono con le mie.

  
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