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Autore: Abby_da_Edoras    22/10/2016    4 recensioni
Dunque, chi legge le mie storie sa già che non sono normale XDDD e che da un piccolo dettaglio posso inventare deliri allucinanti, soprattutto quando mi prendo a cuore un personaggio e voglio salvargli la vita a tutti i costi.
La mia storia a capitoli (sì, perché ci ho fatto proprio una long con questa vicenda...) si intitola "Shadows and lights" e trae la sua "ispirazione" (vabbè, chiamiamola così...) dalla puntata 02X01 della serie TV The Borgias versione canadese: la parte di me che entra in empatia con i personaggi più improbabili è rimasta sconvolta dalla vicenda tragica del Principe Alfonso di Napoli torturato a morte dai francesi. Ecco, io mi sono creata una versione personale di tale vicenda (approfittando del fatto che, tutto sommato, quel personaggio è una licenza poetica e non è realmente esistito, così come la sua storia) e da questo è nata la ff. Stiamo parlando di AU, OOC e quant'altro, grazie a chi si prenderà la pena di leggere le mie allucinazioni e non siate troppo severi con me, lo so anch'io che sono da neurodeliri!
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alfonso II di Napoli, Altri
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Salvation'
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SHADOWS AND LIGHTS

 

Capitolo 1: The end of every story

 

Do you know we reached somehow the end of every story

Welcome to the final show it’s here in all its glory

You can run but all you flee is a life of sorrow

Time will tell what kind of fate will be waiting for us now.

(“The end of every story” – Xandria)

 

 

All’inizio aveva pensato che fosse divertente, spassoso.

Terrorizzare e torturare a morte quel maledetto Principe che si era permesso di portare il contagio a palazzo e aveva così fatto ammalare Sua Maestà Re Carlo sembrava la cosa giusta da fare.

Era stato proprio lui a trascinare il ragazzo nelle segrete e ad affidarlo a un paio dei suoi uomini perché si divertissero a straziarlo e, in effetti, era stato spassoso vedere il Principe scoppiare a piangere come un moccioso qualsiasi.

In tutta la sua vita aveva visto più massacri di quanti potesse ricordare e non aveva battuto ciglio quando i suoi soldati avevano sventrato donne e bambini, perché sarebbe dovuto essere diverso adesso?

Eppure era stato diverso.

Non subito, no. Inizialmente era rimasto indifferente come sempre alle urla disperate del giovane Principe e alle sue richieste di pietà. Si era limitato a sovrintendere alla faccenda e a controllare che tutto andasse come prestabilito.

Poi, però, qualcosa era cambiato. Il ragazzo aveva perso i sensi e lui, il Generale dei francesi, il comandante in capo dell’esercito di Re Carlo, si era fatto avanti per dargli il colpo di grazia; il dottore, però, l’aveva fermato.

“Non potete, mio signore, io… ho l’ordine di rianimarlo” gli aveva detto l’uomo, con l’espressione di chi avrebbe voluto essere in tutt’altro luogo.

“Rianimarlo? E perché mai? Sua Maestà desidera che muoia.”

“Sì, mio signore, ma… ecco… mi ha ordinato personalmente di… insomma, di… prolungare la tortura il più possibile” era stata la risposta del dottore. Sembrava devastato, probabilmente perché conosceva il Principe Alfonso da anni, anzi, magari l’aveva persino visto nascere e adesso…

Il Generale era rimasto spiacevolmente sorpreso. Non aveva niente contro la tortura, tutt’altro, la considerava un mezzo infallibile per ottenere informazioni e confessioni, ma quel Principe che cosa avrebbe mai avuto da confessare?

Perplesso, era ritornato al suo posto e aveva lasciato che il dottore facesse quanto gli era stato ordinato, ma aveva continuato a provare uno strano senso di disagio, che si era acuito ancora di più quando la tortura era ripresa.

Il Generale non era affatto turbato dalla crudeltà, ma, generalmente, questa aveva sempre uno scopo ben preciso.

Togliere di mezzo nemici e avversari, estorcere confessioni, ricavare informazioni, ottenere un buon bottino di guerra, ricattare qualcuno… ma quel ragazzo non aveva più nessuno al mondo, non deteneva il benché minimo potere e aveva perduto il suo regno. Non c’era motivo di tormentarlo così. Se doveva morire, gli avrebbe dato lui stesso il colpo fatale, altrimenti…

“Basta così!” ordinò perentorio. Gli aguzzini del Principe si fermarono, sorpresi. Il giovane aveva perso i sensi una seconda volta e il Generale chiamò il dottore.

“Invece di limitarti a rianimarlo, curalo meglio che puoi e poi fallo trasportare nella mia stanza. Ho avuto un’idea che desidero discutere con Sua Maestà e, per questo, il ragazzo ci serve vivo” spiegò. Poi, con passo deciso, si avviò verso il salone dove Re Carlo stava ancora presenziando ai festeggiamenti.

“Devo parlarvi, mio sovrano” esordì l’uomo, inchinandosi rispettosamente.

“Che succede? La festa nelle segrete è già finita?” ribatté il Re, deluso.

“E’ proprio di questo che vorrei parlarvi, ma è una questione delicata e… sarebbe meglio che tutta questa gente non ascoltasse.”

Il sovrano si guardò intorno con espressione disgustata.

“Beh, non avete sentito? Levatevi dai piedi tutti quanti, non voglio più vedervi qui!” ordinò.

In pochi minuti il salone si svuotò e rimasero soltanto il Re francese e il suo Generale.

“Molto bene. Di cosa volevi parlarmi, Generale?”

“Con il vostro permesso, mio sovrano, desideravo rivolgervi una domanda: è davvero necessario che il Principe Alfonso muoia?”

“Direi proprio di sì” replicò Re Carlo, “e che muoia male, anche. Non vedi come mi ha ridotto? Ha riempito tutta la città di Napoli e questo castello con la piaga della pestilenza e adesso la deve pagare!”

“Vi assicuro che è già stato punito, l’ho visto con i miei occhi e sono certo che non si azzarderà mai più nemmeno a pensare di tentare qualcosa contro la vostra persona. Ma mi chiedevo… è pur sempre un Principe e un discendente della casata aragonese. Non sarebbe per voi più prudente tenerlo in ostaggio? Gli italiani vi sono nemici, il papa Borgia vi ha ingannato sperando che il contagio vi uccidesse e, forse, proprio in questo momento sta organizzando un’alleanza con altri Stati per muovervi guerra.”

“E allora? Li sconfiggeremo. Il nostro esercito è infinitamente più potente di qualsiasi loro stupida alleanza!” replicò sdegnato il sovrano.

“Naturalmente, Vostra Maestà, ma il vostro esercito è anche stanco e avrebbe bisogno di un periodo tranquillo per godersi il bottino” insinuò abilmente il Generale.

“Cosa c’entra in tutto questo il Principe Alfonso?”

“Mio sovrano, è un ostaggio prezioso per assicurarvi pace e tranquillità in questo Regno: nessuno oserà muovere guerra contro di voi finché avrete tra le mani il Principe di Napoli” fu la pronta risposta.

“E se invece fosse il contrario?” obiettò il Re. “Se qualche stupido signore di un inutile staterello italiano avesse la malaugurata idea di minacciarmi proprio perché tengo il Principe in ostaggio?”

“Vostra Maestà, ho detto che il Principe Alfonso sarebbe un ostaggio prezioso dal punto di vista della diplomazia, non che sarebbe così prezioso” precisò il Generale, con una punta di malizia. “Ritengo oltremodo improbabile che qualcuno sia così pazzo da rischiare la vita e i propri uomini per liberarlo…”

Re Carlo sembrò pensarci su per qualche istante, poi prese la sua decisione.

“E sia, tiralo fuori da quelle camere di tortura e teniamolo come ostaggio. Ma, se dovesse tentare qualche nuova diavoleria, la responsabilità sarà solo e soltanto tua, questo sia chiaro!” dichiarò.

“Mi occuperò io stesso di lui in tutto e per tutto e vi assicuro che da lui non avrete mai più fastidi” giurò il Generale, soddisfatto di aver ottenuto quanto desiderava.

 

Il Generale si recò nella sua stanza, che fino a poco tempo prima era stata proprio la camera del Principe Alfonso. Il dottore aveva fatto del suo meglio, lavando personalmente il ragazzo e ripulendo e medicando tutte le sue ferite. Quando il Generale francese giunse in camera, il Principe era steso sul letto, con vesti pulite, mentre il medico gli bendava il polso destro; non appena vide l’uomo, il dottore si inchinò rispettosamente.

“Mio signore, ho fatto tutto quello che mi avete chiesto” disse. “Ora il Principe ha bisogno di riposo e tranquillità.”

“Molto bene. Puoi andare, allora.”

I due, però, avevano fatto i conti senza il Principe Alfonso che, vedendo chi era entrato nella stanza, aveva raccolto le pochissime forze che gli rimanevano e aveva tentato di alzarsi dal letto, per fuggire, buttarsi dalla finestra o chissà che altro. Non aveva dimenticato che era stato proprio il Generale a condurlo a forza nelle camere di tortura…

“Principe, no, non fate così, vi farete del male” tentò di calmarlo il dottore, prendendolo delicatamente per le spalle e riadagiandolo sui cuscini. “Non abbiate timore, il Generale mi ha chiesto di curarvi e portarvi qui, non c’è nulla di cui aver paura.”

“Hai fatto il tuo dovere, dottore, ora puoi andare, mi occuperò io del Principe” ripeté il Generale.

Il dottore, seppure a malincuore, chinò il capo in segno di saluto e uscì lentamente dalla stanza, cercando di non pensare allo sguardo disperato che gli rivolgeva il ragazzo, supplicandolo con gli occhi di non lasciarlo solo con il suo aguzzino.

Quando la porta si fu chiusa, il Generale si sedette sul bordo del letto e cercò di avviare una conversazione con il giovane.

“Va meglio adesso, Principe?”

Sconvolto e terrorizzato, il ragazzo non trovò di meglio da fare che buttarsi dal letto e trascinarsi contro la parete opposta, dove si appiattì nel vano tentativo di scomparirvi dentro.

“Eh, no, non devi fare così” disse il Generale, rialzandosi e avviandosi verso il giovane ostaggio. “Se dovrò occuparmi di te, è necessario che impariamo ad andare d’accordo.”

Ma più il Generale si avvicinava, più il Principe si trascinava lungo la parete, con l’inutile speranza di sfuggire a chi lo aveva condotto alle camere di tortura e lo aveva guardato straziare.

“Lasciatemi andare, vi prego, lasciatemi andare” gemette il giovane, in un mormorio roco e ricominciando a piangere. Aveva perso la voce a furia di urlare disperatamente durante i supplizi subiti… “Non farò niente, vi prego, vi prego…”

Il francese si inginocchiò accanto al Principe e lo prese per le braccia, con l’intenzione di rialzarlo da terra, ma la reazione del ragazzo fu ancora più terrorizzata.

“No, no, basta, basta, per favore, non fatemi più del male, farò il bravo, lo giuro, vi prego…” supplicò, tentando di divincolarsi.

Finalmente il Generale sembrò capire che, forzando il Principe a fare qualsiasi cosa, avrebbe ottenuto il solo risultato di spaventarlo ancora di più; del resto, era stato proprio lui a trascinarlo verso gli arnesi di tortura e quella situazione poteva sembrare molto simile. Eppure qualcosa doveva pur fare…

La soluzione più efficace gli parve quella di prendere il ragazzo tra le braccia, contenendo il suo frenetico dibattersi, e cercare di parlargli in tono pacato e tranquillizzante.

“Non ti farò del male, non sono qui per questo” spiegò. Sentendosi imprigionato, il Principe Alfonso aveva smesso di dibattersi e si era accasciato a piangere silenziosamente; il Generale sperò che almeno il senso del suo discorso arrivasse alla mente sconvolta dall’orrore del ragazzo. “Ho chiesto io al dottore di curarti, ora sei un ostaggio, un ostaggio importante per Sua Maestà e nessuno ti farà del male.”

“Cosa?” mormorò il Principe, lo sguardo stranito, le guance rigate di lacrime. Tuttavia pareva che le ultime parole avessero sortito un certo qual effetto su di lui.

Il Generale lo sollevò di peso, senza sforzo, e lo depose a sedere sul letto, poi gli si mise accanto per chiarire la situazione e dettare le condizioni.

“Sua Maestà era molto in collera con te per la pestilenza che hai portato nella città e nel castello e che lo ha fatto ammalare” iniziò il comandante dell’esercito reale.

“Come? Ma io non… come avrei potuto…” tentò di difendersi il ragazzo, cadendo dalle nuvole.

“Adesso non cominciare con le menzogne, altrimenti mi pentirò di averti salvato” lo rimbeccò subito il Generale, facendolo sussultare e raggomitolarsi di nuovo su se stesso, in preda al panico. “No, non voglio spaventarti, Principe, ma vorrei che tutto fosse chiaro e sgombro da equivoci. Dunque, Sua Altezza ha sfogato in modo forse eccessivo la sua ira su di te, ma devi ammettere di averlo provocato non poco.”

Alfonso di Napoli poteva pure avere tanti difetti, ma non gli mancava uno spiccato istinto di autoconservazione, perciò valutò in pochi secondi che la cosa migliore sarebbe stata annuire e lasciar parlare il militare francese.

“Ecco, bravo, vedo che cominciamo a intenderci. Lo sdegno di Sua Maestà è stato tale da portarlo a dimenticare la prudenza e la diplomazia e a soddisfare soltanto la sua sete di vendetta, senza valutare quanto, invece, tu saresti stato importante per la sua causa” spiegò il Generale.

Sì, la diplomazia non è sicuramente la dote più spiccata di Sua Maestà, pensò Alfonso, ma si morse la lingua prima di aprire bocca. La lezione gli era bastata e non sarebbe stato tanto idiota da rovinarsi con le sue stesse mani. Di nuovo annuì, docile.

“Sei un Principe della casata degli Aragona e, secondo le pretese aragonesi al trono di Napoli, ne saresti anche il legittimo sovrano. Sua Maestà, come discendente di Maria d’Angiò, rivendica il regno e ha ottenuto l’investitura dal Papa in persona. Pertanto, averti dalla sua parte porrebbe il definitivo sigillo sulla sua incoronazione a sovrano di Napoli e nessuno, né in Italia né in Spagna, potrebbe opporsi. Noi francesi non abbiamo certo paura di combattere, ma in questa situazione, con il sovrano debole e ammalato e l’esercito bisognoso di riposo, una guerra contro la Spagna sarebbe deleteria. Ed è qui che entri in gioco tu, Principe.”

Il giovane Principe era sfinito, enormemente provato dalle torture subite e faceva fatica a tenere gli occhi aperti, perciò aveva a malapena seguito le chiacchiere del Generale. Sentendosi chiamato in causa, però, si sforzò di stare attento, temendo che anche una minima mancanza da parte sua avrebbe significato per lui la ripresa di ciò che era stato interrotto.

Avrebbe accettato qualsiasi cosa pur di evitare di essere riportato nelle camere di tortura…

“Se ti dichiarerai disposto a riconoscere la legittimità e la giustezza delle rivendicazioni di Sua Altezza e ti mostrerai come il Principe sconfitto e sottomesso, potrai restare a palazzo come ostaggio e sarai trattato come si conviene a un prigioniero del tuo rango” concluse, soddisfatto, il Generale. “Qual è la tua risposta, Principe?”

Se volete dire che non state per torturarmi ancora, per me va bene qualunque cosa…, fu il pensiero che attraversò la mente esausta di Alfonso. Troppo sfinito per parlare, si limitò ad un altro cenno di assenso col capo.

“Molto bene, sapevo che saresti stato ragionevole” commentò il Generale, compiaciuto. “Ancora una cosa: Sua Altezza mi ha incaricato di occuparmi di te, di tenerti sotto la mia custodia e di vigilare affinché tu non tenti qualche altro intrigo, nel qual caso, com’è ovvio, finiresti di nuovo…”

“No!” esclamò il ragazzo, sbarrando gli occhi atterrito. “Farò tutto quello che volete, tutto, soltanto non… per favore, non…”

“Non ce ne sarà bisogno, allora, meglio così per tutti. Ora devi riposare e domattina starai meglio e potrai presentarti a Sua Maestà per dichiarare la tua completa disponibilità a riconoscerlo pubblicamente come legittimo sovrano di Napoli” riepilogò il Generale.

Non vedo l’ora…, disse dentro di sé il Principe. Ma che importava, ormai? Era prigioniero dei francesi e, se solo non avesse rigato dritto, sapeva che cosa lo aspettava. Qualsiasi cosa, qualunque umiliazione era preferibile a quello che gli avevano fatto. Se ne sarebbe fatto una ragione, pensò raggomitolandosi nel letto che, in fin dei conti, era sempre stato suo.

Però… c’era una cosa che non gli tornava.

“Voi… resterete di guardia qui?” domandò, vedendo che il Generale non accennava a lasciare la stanza.

“In un certo senso” rispose l’uomo, sistemandosi a sua volta nel letto del Principe. “Visto che sei sotto la mia responsabilità, d’ora in poi non dovrai allontanarti a più di cinque passi da me. Anche questo fa parte dell’accordo.”

“Ah… sì, va bene” mormorò Alfonso, mostrandosi docile e sottomesso ancora una volta. Poi, vinto dalla stanchezza e dagli orrori subiti, si lasciò cadere in un benefico torpore.

Prima di addormentarsi pensò, confusamente, a che cosa altro esattamente mirasse quel Generale francese con tutti quei discorsi sul tenerselo a non più di cinque passi…

Che m’importa? Se significa che non sarò più straziato in quel modo, possono chiedermi quello che vogliono, concluse prima di cedere, finalmente, al sonno.

 

FINE

 

 

 

   
 
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