SHADOWS AND LIGHTS
Capitolo 1: The end of every story
Do you know we reached somehow the end of every story
Welcome to the final show it’s here in all its glory
You can run but all you flee is a life of sorrow
Time will tell what kind of fate will be waiting for
us now.
(“The end of every story” – Xandria)
All’inizio
aveva pensato che fosse divertente, spassoso.
Terrorizzare
e torturare a morte quel maledetto Principe che si era permesso di portare il
contagio a palazzo e aveva così fatto ammalare Sua Maestà Re Carlo sembrava la
cosa giusta da fare.
Era
stato proprio lui a trascinare il ragazzo nelle segrete e ad affidarlo a un
paio dei suoi uomini perché si divertissero a straziarlo e, in effetti, era
stato spassoso vedere il Principe scoppiare a piangere come un moccioso
qualsiasi.
In
tutta la sua vita aveva visto più massacri di quanti potesse ricordare e non
aveva battuto ciglio quando i suoi soldati avevano sventrato donne e bambini,
perché sarebbe dovuto essere diverso adesso?
Eppure
era stato diverso.
Non
subito, no. Inizialmente era rimasto indifferente come sempre alle urla
disperate del giovane Principe e alle sue richieste di pietà. Si era limitato a
sovrintendere alla faccenda e a controllare che tutto andasse come
prestabilito.
Poi,
però, qualcosa era cambiato. Il ragazzo aveva perso i sensi e lui, il Generale
dei francesi, il comandante in capo dell’esercito di Re Carlo, si era fatto
avanti per dargli il colpo di grazia; il dottore, però, l’aveva fermato.
“Non
potete, mio signore, io… ho l’ordine di rianimarlo” gli aveva detto l’uomo, con
l’espressione di chi avrebbe voluto essere in tutt’altro luogo.
“Rianimarlo?
E perché mai? Sua Maestà desidera che muoia.”
“Sì,
mio signore, ma… ecco… mi ha ordinato personalmente di… insomma, di… prolungare
la tortura il più possibile” era stata la risposta del dottore. Sembrava
devastato, probabilmente perché conosceva il Principe Alfonso da anni, anzi,
magari l’aveva persino visto nascere e adesso…
Il
Generale era rimasto spiacevolmente sorpreso. Non aveva niente contro la
tortura, tutt’altro, la considerava un mezzo infallibile per ottenere
informazioni e confessioni, ma quel Principe che cosa avrebbe mai avuto da
confessare?
Perplesso,
era ritornato al suo posto e aveva lasciato che il dottore facesse quanto gli
era stato ordinato, ma aveva continuato a provare uno strano senso di disagio,
che si era acuito ancora di più quando la tortura era ripresa.
Il
Generale non era affatto turbato dalla crudeltà, ma, generalmente, questa aveva
sempre uno scopo ben preciso.
Togliere
di mezzo nemici e avversari, estorcere confessioni, ricavare informazioni, ottenere
un buon bottino di guerra, ricattare qualcuno… ma quel ragazzo non aveva più
nessuno al mondo, non deteneva il benché minimo potere e aveva perduto il suo
regno. Non c’era motivo di tormentarlo così. Se doveva morire, gli avrebbe dato
lui stesso il colpo fatale, altrimenti…
“Basta
così!” ordinò perentorio. Gli aguzzini del Principe si fermarono, sorpresi. Il
giovane aveva perso i sensi una seconda volta e il Generale chiamò il dottore.
“Invece
di limitarti a rianimarlo, curalo meglio che puoi e poi fallo trasportare nella
mia stanza. Ho avuto un’idea che desidero discutere con Sua Maestà e, per
questo, il ragazzo ci serve vivo” spiegò. Poi, con passo deciso, si avviò verso
il salone dove Re Carlo stava ancora presenziando ai festeggiamenti.
“Devo
parlarvi, mio sovrano” esordì l’uomo, inchinandosi rispettosamente.
“Che
succede? La festa nelle segrete è già finita?” ribatté il Re, deluso.
“E’
proprio di questo che vorrei parlarvi, ma è una questione delicata e… sarebbe
meglio che tutta questa gente non ascoltasse.”
Il
sovrano si guardò intorno con espressione disgustata.
“Beh,
non avete sentito? Levatevi dai piedi tutti quanti, non voglio più vedervi
qui!” ordinò.
In
pochi minuti il salone si svuotò e rimasero soltanto il Re francese e il suo
Generale.
“Molto
bene. Di cosa volevi parlarmi, Generale?”
“Con
il vostro permesso, mio sovrano, desideravo rivolgervi una domanda: è davvero
necessario che il Principe Alfonso muoia?”
“Direi
proprio di sì” replicò Re Carlo, “e che muoia male, anche. Non vedi come mi ha
ridotto? Ha riempito tutta la città di Napoli e questo castello con la piaga
della pestilenza e adesso la deve pagare!”
“Vi
assicuro che è già stato punito, l’ho visto con i miei occhi e sono certo che
non si azzarderà mai più nemmeno a pensare
di tentare qualcosa contro la vostra persona. Ma mi chiedevo… è pur sempre un
Principe e un discendente della casata aragonese. Non sarebbe per voi più
prudente tenerlo in ostaggio? Gli italiani vi sono nemici, il papa Borgia vi ha
ingannato sperando che il contagio vi uccidesse e, forse, proprio in questo
momento sta organizzando un’alleanza con altri Stati per muovervi guerra.”
“E
allora? Li sconfiggeremo. Il nostro esercito è infinitamente più potente di
qualsiasi loro stupida alleanza!” replicò sdegnato il sovrano.
“Naturalmente,
Vostra Maestà, ma il vostro esercito è anche stanco e avrebbe bisogno di un
periodo tranquillo per godersi il bottino” insinuò abilmente il Generale.
“Cosa
c’entra in tutto questo il Principe Alfonso?”
“Mio
sovrano, è un ostaggio prezioso per assicurarvi pace e tranquillità in questo
Regno: nessuno oserà muovere guerra contro di voi finché avrete tra le mani il
Principe di Napoli” fu la pronta risposta.
“E
se invece fosse il contrario?” obiettò il Re. “Se qualche stupido signore di un
inutile staterello italiano avesse la malaugurata idea di minacciarmi proprio
perché tengo il Principe in ostaggio?”
“Vostra
Maestà, ho detto che il Principe Alfonso sarebbe un ostaggio prezioso dal punto
di vista della diplomazia, non che sarebbe così
prezioso” precisò il Generale, con una punta di malizia. “Ritengo oltremodo
improbabile che qualcuno sia così pazzo da rischiare la vita e i propri uomini
per liberarlo…”
Re
Carlo sembrò pensarci su per qualche istante, poi prese la sua decisione.
“E
sia, tiralo fuori da quelle camere di tortura e teniamolo come ostaggio. Ma, se
dovesse tentare qualche nuova diavoleria, la responsabilità sarà solo e
soltanto tua, questo sia chiaro!” dichiarò.
“Mi
occuperò io stesso di lui in tutto e per tutto e vi assicuro che da lui non
avrete mai più fastidi” giurò il Generale, soddisfatto di aver ottenuto quanto
desiderava.
Il
Generale si recò nella sua stanza, che fino a poco tempo prima era stata
proprio la camera del Principe Alfonso. Il dottore aveva fatto del suo meglio,
lavando personalmente il ragazzo e ripulendo e medicando tutte le sue ferite.
Quando il Generale francese giunse in camera, il Principe era steso sul letto,
con vesti pulite, mentre il medico gli bendava il polso destro; non appena vide
l’uomo, il dottore si inchinò rispettosamente.
“Mio
signore, ho fatto tutto quello che mi avete chiesto” disse. “Ora il Principe ha
bisogno di riposo e tranquillità.”
“Molto
bene. Puoi andare, allora.”
I
due, però, avevano fatto i conti senza il Principe Alfonso che, vedendo chi era entrato nella stanza, aveva
raccolto le pochissime forze che gli rimanevano e aveva tentato di alzarsi dal
letto, per fuggire, buttarsi dalla finestra o chissà che altro. Non aveva
dimenticato che era stato proprio il Generale a condurlo a forza nelle camere
di tortura…
“Principe,
no, non fate così, vi farete del male” tentò di calmarlo il dottore,
prendendolo delicatamente per le spalle e riadagiandolo sui cuscini. “Non
abbiate timore, il Generale mi ha chiesto di curarvi e portarvi qui, non c’è
nulla di cui aver paura.”
“Hai
fatto il tuo dovere, dottore, ora puoi andare, mi occuperò io del Principe”
ripeté il Generale.
Il
dottore, seppure a malincuore, chinò il capo in segno di saluto e uscì
lentamente dalla stanza, cercando di non pensare allo sguardo disperato che gli
rivolgeva il ragazzo, supplicandolo con gli occhi di non lasciarlo solo con il
suo aguzzino.
Quando
la porta si fu chiusa, il Generale si sedette sul bordo del letto e cercò di
avviare una conversazione con il giovane.
“Va
meglio adesso, Principe?”
Sconvolto
e terrorizzato, il ragazzo non trovò di meglio da fare che buttarsi dal letto e
trascinarsi contro la parete opposta, dove si appiattì nel vano tentativo di
scomparirvi dentro.
“Eh,
no, non devi fare così” disse il Generale, rialzandosi e avviandosi verso il
giovane ostaggio. “Se dovrò occuparmi di te, è necessario che impariamo ad
andare d’accordo.”
Ma
più il Generale si avvicinava, più il Principe si trascinava lungo la parete,
con l’inutile speranza di sfuggire a chi lo aveva condotto alle camere di
tortura e lo aveva guardato straziare.
“Lasciatemi
andare, vi prego, lasciatemi andare” gemette il giovane, in un mormorio roco e
ricominciando a piangere. Aveva perso la voce a furia di urlare disperatamente
durante i supplizi subiti… “Non farò niente, vi prego, vi prego…”
Il
francese si inginocchiò accanto al Principe e lo prese per le braccia, con l’intenzione
di rialzarlo da terra, ma la reazione del ragazzo fu ancora più terrorizzata.
“No,
no, basta, basta, per favore, non fatemi più del male, farò il bravo, lo giuro,
vi prego…” supplicò, tentando di divincolarsi.
Finalmente
il Generale sembrò capire che, forzando il Principe a fare qualsiasi cosa,
avrebbe ottenuto il solo risultato di spaventarlo ancora di più; del resto, era
stato proprio lui a trascinarlo verso gli arnesi di tortura e quella situazione
poteva sembrare molto simile. Eppure qualcosa doveva pur fare…
La
soluzione più efficace gli parve quella di prendere il ragazzo tra le braccia,
contenendo il suo frenetico dibattersi, e cercare di parlargli in tono pacato e
tranquillizzante.
“Non
ti farò del male, non sono qui per questo” spiegò. Sentendosi imprigionato, il
Principe Alfonso aveva smesso di dibattersi e si era accasciato a piangere
silenziosamente; il Generale sperò che almeno il senso del suo discorso
arrivasse alla mente sconvolta dall’orrore del ragazzo. “Ho chiesto io al
dottore di curarti, ora sei un ostaggio, un ostaggio importante per Sua Maestà
e nessuno ti farà del male.”
“Cosa?”
mormorò il Principe, lo sguardo stranito, le guance rigate di lacrime. Tuttavia
pareva che le ultime parole avessero sortito un certo qual effetto su di lui.
Il
Generale lo sollevò di peso, senza sforzo, e lo depose a sedere sul letto, poi
gli si mise accanto per chiarire la situazione e dettare le condizioni.
“Sua
Maestà era molto in collera con te per la pestilenza che hai portato nella
città e nel castello e che lo ha fatto ammalare” iniziò il comandante
dell’esercito reale.
“Come?
Ma io non… come avrei potuto…” tentò di difendersi il ragazzo, cadendo dalle
nuvole.
“Adesso
non cominciare con le menzogne, altrimenti mi pentirò di averti salvato” lo rimbeccò
subito il Generale, facendolo sussultare e raggomitolarsi di nuovo su se
stesso, in preda al panico. “No, non voglio spaventarti, Principe, ma vorrei
che tutto fosse chiaro e sgombro da equivoci. Dunque, Sua Altezza ha sfogato in
modo forse eccessivo la sua ira su di te, ma devi ammettere di averlo provocato
non poco.”
Alfonso
di Napoli poteva pure avere tanti difetti, ma non gli mancava uno spiccato
istinto di autoconservazione, perciò valutò in pochi secondi che la cosa
migliore sarebbe stata annuire e lasciar parlare il militare francese.
“Ecco,
bravo, vedo che cominciamo a intenderci. Lo sdegno di Sua Maestà è stato tale
da portarlo a dimenticare la prudenza e la diplomazia e a soddisfare soltanto
la sua sete di vendetta, senza valutare quanto, invece, tu saresti stato
importante per la sua causa” spiegò il Generale.
Sì, la diplomazia
non è sicuramente la dote più spiccata di Sua Maestà, pensò Alfonso, ma
si morse la lingua prima di aprire bocca. La lezione gli era bastata e non
sarebbe stato tanto idiota da rovinarsi con le sue stesse mani. Di nuovo annuì,
docile.
“Sei
un Principe della casata degli Aragona e, secondo le pretese aragonesi al trono
di Napoli, ne saresti anche il legittimo sovrano. Sua Maestà, come discendente
di Maria d’Angiò, rivendica il regno e ha ottenuto l’investitura dal Papa in
persona. Pertanto, averti dalla sua parte porrebbe il definitivo sigillo sulla
sua incoronazione a sovrano di Napoli e nessuno, né in Italia né in Spagna,
potrebbe opporsi. Noi francesi non abbiamo certo paura di combattere, ma in
questa situazione, con il sovrano debole e ammalato e l’esercito bisognoso di
riposo, una guerra contro la Spagna sarebbe deleteria. Ed è qui che entri in
gioco tu, Principe.”
Il
giovane Principe era sfinito, enormemente provato dalle torture subite e faceva
fatica a tenere gli occhi aperti, perciò aveva a malapena seguito le
chiacchiere del Generale. Sentendosi chiamato in causa, però, si sforzò di
stare attento, temendo che anche una minima mancanza da parte sua avrebbe significato
per lui la ripresa di ciò che era stato interrotto.
Avrebbe
accettato qualsiasi cosa pur di evitare di essere riportato nelle camere di
tortura…
“Se
ti dichiarerai disposto a riconoscere la legittimità e la giustezza delle
rivendicazioni di Sua Altezza e ti mostrerai come il Principe sconfitto e
sottomesso, potrai restare a palazzo come ostaggio e sarai trattato come si
conviene a un prigioniero del tuo rango” concluse, soddisfatto, il Generale.
“Qual è la tua risposta, Principe?”
Se volete dire che
non state per torturarmi ancora, per me va bene qualunque cosa…, fu il pensiero
che attraversò la mente esausta di Alfonso. Troppo sfinito per parlare, si
limitò ad un altro cenno di assenso col capo.
“Molto
bene, sapevo che saresti stato ragionevole” commentò il Generale, compiaciuto.
“Ancora una cosa: Sua Altezza mi ha incaricato di occuparmi di te, di tenerti
sotto la mia custodia e di vigilare affinché tu non tenti qualche altro
intrigo, nel qual caso, com’è ovvio, finiresti di nuovo…”
“No!”
esclamò il ragazzo, sbarrando gli occhi atterrito. “Farò tutto quello che
volete, tutto, soltanto non… per favore, non…”
“Non
ce ne sarà bisogno, allora, meglio così per tutti. Ora devi riposare e
domattina starai meglio e potrai presentarti a Sua Maestà per dichiarare la tua
completa disponibilità a riconoscerlo pubblicamente come legittimo sovrano di
Napoli” riepilogò il Generale.
Non vedo l’ora…, disse dentro di
sé il Principe. Ma che importava, ormai? Era prigioniero dei francesi e, se
solo non avesse rigato dritto, sapeva che cosa lo aspettava. Qualsiasi cosa,
qualunque umiliazione era preferibile a quello che gli avevano fatto. Se ne
sarebbe fatto una ragione, pensò raggomitolandosi nel letto che, in fin dei
conti, era sempre stato suo.
Però…
c’era una cosa che non gli tornava.
“Voi…
resterete di guardia qui?” domandò, vedendo che il Generale non accennava a
lasciare la stanza.
“In
un certo senso” rispose l’uomo, sistemandosi a sua volta nel letto del
Principe. “Visto che sei sotto la mia responsabilità, d’ora in poi non dovrai
allontanarti a più di cinque passi da me. Anche questo fa parte dell’accordo.”
“Ah…
sì, va bene” mormorò Alfonso, mostrandosi docile e sottomesso ancora una volta.
Poi, vinto dalla stanchezza e dagli orrori subiti, si lasciò cadere in un benefico
torpore.
Prima
di addormentarsi pensò, confusamente, a che cosa altro esattamente mirasse quel Generale francese con tutti quei discorsi
sul tenerselo a non più di cinque passi…
Che m’importa? Se
significa che non sarò più straziato in quel modo, possono chiedermi quello che
vogliono,
concluse prima di cedere, finalmente, al sonno.
FINE