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Autore: taisa    22/10/2016    3 recensioni
Per quanto possa essere complicata, rotta o distrutta, la famiglia resta sempre la famiglia.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bra, Bulma, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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FAMILY

 

Fai quel che devi, non quel che vuoi

 

Le otto e mezza erano passate da un po', quando Dende si affacciò alla porta del suo capo, “Signor Piccolo, io dovrei andare a casa” disse. L’altro non sollevò nemmeno il capo dalle copie dei documenti sulla quale stava scrivendo alcuni appunti. “Vai pure” gli rispose, “Ci vediamo domani” lo congedò appuntando un nuovo pensiero sul pezzo di carta che aveva davanti.

Piccolo non aveva una sua famiglia, non aveva nessuno che lo stesse aspettando a casa. Il suo lavoro era la sua casa. Pertanto era sempre l’ultimo ad abbandonare l’ufficio e il primo a rientrare, ritenendo la cattura dei criminali la cosa più importante.

Erano passati appena pochi istanti da quando il suo assistente lo aveva salutato, quando squillò il proprio cellulare che aveva abbandonato sulla superficie della scrivania. Con estrema calma scostò lo sguardo su di esso, notando che il display non riconosceva il numero che lo stava cercando. Ancora non sapeva cosa farsene di quella informazione, ma per abitudine lo appuntò mentalmente.

“Piccolo” annunciò portandosi il ricevitore all’orecchio, “Tu e la tua squadra siete dei bastardi buoni a nulla!” urlò una voce che l’uomo non faticò a riconoscere. “Di cosa parli Vegeta?” domandò con calma, avendo notato una punta di panico nel tono del collega. “Sapevo che non dovevo fidarmi di nessuno. Né di te, né di nessun altro… cazzo!” continuò Vegeta dall’altro capo della linea telefonica.

“Calmati” mormorò Piccolo “Se vuoi che ti aiuti devi dirmi cos’è successo” s’informò, pragmatico come da sua abitudine. “Mi avevi assicurato che li avresti tenuti alla larga da me! Mi avevi detto che sarebbero stati fuori gioco mentre lui era in galera! E invece me li sono trovati quasi sotto casa!” stava sbraitando l’altro ispettore, senza prendere fiato. “Quanti erano?” volle  sapere, appuntando su un foglio le informazioni che stava cercando di ottenere dal suo interlocutore, per quanto Vegeta sembrasse agitato. “Non farmi domande idiote, Piccolo! Sai benissimo quanti erano” Piccolo ci pensò per meno di un secondo, “Nappa” disse. “Chi altri?! Quel brutto stronzo” sbraitò Vegeta, “Cosa voleva?” cercò ancora di capire lui, scrivendo veloci annotazioni su un nuovo pezzo di carta. “Vai a fanculo Piccolo! Secondo te sono anche rimasto lì ad ascoltarlo?” urlò Vegeta più di quanto non avesse fatto fino a quel momento, poi cadde in un silenzio pensieroso.

“C’era Bra con me” aggiunse un secondo più tardi a fil di voce. “Cosa?!” sbottò ora Piccolo agitandosi per la prima volta, lasciando cadere la penna e portando il busto in avanti sulla scrivania sulla quale si appoggiò con i gomiti, “Non l’ha vista, vero?” s’informò con urgenza. Dopo pochi istanti Vegeta rispose con un semplice “No” tornando al suo solito modo di esprimersi monosillabico.

Piccolo ci pensò per alcuni istanti, “Vegeta…” riprese a dire, “Loro non sanno che hai una figlia, vero?” “Cazzo no!” tornò ad urlare l’altro. L’uomo alla propria scrivania annuì “Bene. Lasciami fare qualche telefonata” ci pensò, lasciando correre tra loro un breve silenzio, poi riprese, “Senti Vegeta, mi dispiace dovertelo dire, ma penso che dovrai considerare l’idea di rivedere i tuoi piani” “Lo so… stai zitto” mormorò dall’altra parte della cornetta. Piccolo lo sentì imprecare un’ultima volta, prima di chiudere la conversazione. Rimasto solo con i suoi pensieri, comprese perché aveva chiamato da una linea telefonica diversa da quella di casa o dal proprio cellulare.

 

***

 

“Rivedere i tuoi piani” gli aveva detto. Al diavolo, sapeva bene cosa doveva fare, non aveva certo bisogno di lui per saperlo. Buttato giù il telefono sulla piccola scrivania nell’ufficio di Crilin, forse con troppa veemenza, Vegeta sentì il profondo desiderio di prendere a pugni qualcuno. Peccato non avere tempo di farlo.

Si costrinse ad uscire dallo studio, mentre stava combattendo una battaglia tra quello che voleva e quello che doveva fare.

Vegeta osservò la scena che si presentò ai suoi occhi una volta uscito dall’ufficio. Sua figlia era seduta attorno a uno dei tavoli ormai vuoti del ristorante, al suo fianco Crilin stava facendo di tutto per distrarla in una conversazione frivola. Appena lo vide apparire sulla soglia della porta, Bra scivolò giù dalla sedia sulla quale era seduta. “Usa il telefono nell’ufficio” le disse prima che lei potesse anche solo comprendere quanto stesse per dirle, “Chiama tua madre, dille che ti sto riportando a casa” concluse camminando verso l’ingresso. “Cosa? Perché? Io voglio restare con te papà” si lamentò la bambina, ma Vegeta preferì ignorarla piuttosto che raccontarle una bugia… o la verità.

Si rivolse al proprietario del locale “Io vado a casa a prendere la sua roba, tu fai in modo che faccia quella telefonata” ordinò, ricevendo in responso un cenno affermativo del capo. Vegeta scoprì un senso di gratitudine per l’amico della moglie.

 

***

 

Di norma il tragitto tra la sua abitazione e quella di Bulma durava solo pochi minuti, ma quel giorno Vegeta preferì non rischiare. Guidò in lungo e in largo per la città, arrivando mezz’ora più tardi rispetto al consueto tempo necessario. Era meglio evitare sguardi indiscreti.

Quando parcheggiò l’auto davanti al vialetto della piccola casa dalle mura gialle, Bra si era addormentata sul sedile posteriore. Era sera tarda, per lei l’ora di andare a letto era passata da un pezzo. Ed era stanca, dalla giornata, alle emozioni e dal pianto. Per parte del tragitto, prima di cedere al sonno, aveva piagnucolato e aveva accusato il padre di non volerla. Benché amareggiato, Vegeta non disse nulla e non tentò nemmeno di difendersi dalle critiche così infantili.

Decise di svegliarla solo dopo aver poggiato le borse della bambina davanti al portone di casa e dopo aver suonato il campanello. Bra si svegliò, ma quando si ricordò degli ultimi avvenimenti e di trovarsi davvero davanti all’abitazione della madre, mise il broncio e cominciò a camminare a testa bassa.

Pochi istanti dopo aver udito il citofono, Bulma aprì l’ingresso. Sul viso un’espressione preoccupata. Li stava aspettando, ma l’urgenza e il mistero dietro quella decisione doveva averla messa in allerta. Era una donna intelligente.

Bra la ignorò, decidendo di entrare nell’appartamento strascicando i piedi, arrabbiata triste ed offesa. Vegeta da prima non disse nulla a sua volta, spintonò le borse dietro la donna che stava ancora tenendo la porta e solo allora si decise a guardarla.

Bulma scostò lo sguardo, si assicurò che Bra fosse dentro al sicuro, poi fece un passo in avanti e chiuse l’ingresso, restando fuori. Le mani ancora strette attorno alla maniglia. “Vegeta, cosa diavolo è successo?” volle sapere con urgenza. Lui incrociò le braccia, senza dare alcuna risposta.

“Ho incontrato Nappa” disse senza guardala e lei si poggiò una mano alla bocca, “Cosa?! Non avrà visto…?” “No” si affrettò ad assicurarle. Bulma guardò il terreno ai propri piedi, un silenzio scomodo s’insinuò tra loro. “Per questo l’hai riportata qui. Pensi che sia più al sicuro con me che non con te” intuì infine la donna, “Sì” mormorò il poliziotto.

Bulma si voltò, dando segno di voler rientrare in casa, ma prima che potesse aprire il portone, Vegeta la richiamò. “Bulma… dille che…” poi si bloccò, esitando. Per un attimo sperò quasi che lei lo guardasse negli occhi, ma ciò non avvenne. La donna si era fermata ad ascoltarlo, ma preferì osservare il pesante legno della porta. “Le dirò che sei dispiaciuto” concluse per lui. Attese alcuni istanti ancora, come a volersi assicurare che l’uomo alle sue spalle non avesse nulla da aggiungere. Vegeta non parlò e ben presto vide la porta aprirsi e chiudersi, seguito dal rumore del chiavistello che la bloccava dall’interno.

Il momento più difficile di tutti era sempre quando doveva riportare sua figlia a casa della madre. Lo lasciava con la triste consapevolezza che per tre lunghe settimane non l’avrebbe più rivista. Si era sempre convinto che non esistesse nulla di peggiore. Purtroppo si era sbagliato.

Quella era la sensazione peggiore di tutte. La sensazione di averla avuta con sé per poco più di ventiquattro ore senza sapere quando l’avrebbe rivista. In quel preciso istante si sentì solo come non lo era mai stato. Nemmeno quando solo era stato davvero, ben prima di conoscere la donna che avrebbe in seguito sposato e che, oggi, gli aveva chiuso la porta in faccia senza remore.

Rimase lì per alcuni secondi, lottando contro sé stesso e il desiderio di rivedere la propria decisione. Infine tornò alla propria auto, sparendo con essa nel traffico notturno.

 

***

 

Bulma aprì la porta della cameretta di sua figlia per assicurarsi che stesse bene, ma come aveva previsto lo scenario non era quella di una bambina al culmine della gioia. Bra si era rintanata sotto le coperte, la giacca abbandonata sul pavimento assieme alle scarpe.

“Bra?” la chiamò, ma la piccola ignorò la madre, fingendo di dormire. Tradendosi tuttavia con un singulto. “Bra, so benissimo che non stai dormendo” le disse la donna, trovando posto sul bordo del letto, “Avanti Bra, vieni fuori” le ordinò sua madre in un tono gentile, scostando le coperte per vedere la sagoma della bambina rannicchiata su sé stessa. Gli occhi serrati, che stava cercando di tenere chiusi in un infantile tentativo di fingersi addormentata. “Ascolta, tesoro è meglio se parliamo per un po'. Non voglio che ti faccia l’impressione sbagliata” le scostò una ciocca di capelli dalla fronte ed attese per avere una reazione. Infine Bra aprì gli occhi, ancora pieni di lacrime, “Non voglio stare qui. Voglio tornare dal mio papà” mormorò con voce rotta dal pianto.

Bulma s’impose di non prenderla sul personale. La bambina non intendeva offenderla e forse non si era nemmeno resa conto di averlo fatto. Tuttavia l’accoltellata le arrivò dritta al cuore. Sua figlia adorava il padre e Bulma era felice che fosse così, ma questo non rendeva meno dolorosa tutta la situazione. Cercò d’ignorare la sua sofferenza.

“Lo so” le disse augurandosi di non tradirsi dal tono. “Credimi anche lui preferirebbe stare con te” mormorò a stento, per quanto fosse sincera. Bra si mise a sedere sul materasso, “Davvero? Allora perché mi ha riportato qui?” sbottò guardando sua madre con un broncio. Bulma riscontrò una tale similitudine con l’espressione di Vegeta che si vide costretta a guardare altrove.

Si morse un labbro ed osservò il soffitto per alcuni istanti. Tornò a fissare la figlia, poggiandole un braccio attorno alla spalla. La strinse.

“Tuo padre…” cominciò, ma fu obbligata a fare una pausa per mandare giù un boccone amaro, “Tuo padre ha avuto un impegno imprevisto e per questa settimana non può stare con te. Però mi ha detto che è molto dispiaciuto”.

Bra abbracciò sua madre, senza più contenere le lacrime che bagnarono la maglietta indossata dalla donna che la cinse più forte a sé. Nel silenzio della stanza i singhiozzi della piccola echeggiarono come un frastuono.

“Senti cosa facciamo…” si sforzò di dire Bulma, facendo leva su tutto il suo coraggio, “Se tuo padre non è impegnato la prossima volta che andrai da lui, possiamo chiedergli se vuole tenerti con sé per più tempo. Cosa ne pensi?” propose. Bra alzò lo sguardo “Davvero?” esultò con ritrovata speranza. Bulma annuì “Certo!” rispose abbozzando un sorriso dietro la quale nascose tutte le sue paure e le sue preoccupazioni a beneficio della figlia.

 

CONTINUA…


 
  
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