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Autore: Persej Combe    22/10/2016    1 recensioni
Un giorno, tanto tempo fa, ho incontrato un bambino. Non lo dimenticherò mai. È stato il giorno più emozionante di tutta la mia vita. Nessuno potrà mai avere la stessa esperienza che ho avuto con lui. Ciò che abbiamo visto, è precluso soltanto a noi.
...In realtà, non ricordo neanche il suo nome. Non ricordo nemmeno se ci siamo presentati, a dire il vero. Però non smetterò mai di cercarlo. Un giorno so che le nostre mani si uniranno di nuovo, come quella volta. Perché noi siamo destinati a risplendere insieme per l’eternità.

[Perfectworldshipping]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Elisio, Professor Platan, Serena
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Videogioco
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Eterna ricerca'
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21 . Schiusa


 

   Le tapparelle della finestra dell’angusto salottino erano completamente abbassate, le tende, chiuse, erano ammassate tra loro nella maniera in cui qualcuno le avesse serrate con forza e frettolosamente. Una lampada da terra e la luce accesa in cucina illuminavano la stanza. Platan stava seduto sul divano, infagottato in un maglione color beige slavato che aveva trovato per caso in un angoletto abbandonato dell’armadio. Quello strano clima perdurava ormai da settimane e l’appartamento era freddo. I termosifoni erano stati spenti siccome, a quanto diceva il calendario, ci si trovava in primavera inoltrata e il loro utilizzo sarebbe dovuto risultare superfluo. Il Professore tuttavia era riuscito a cavarsela sistemando una stufetta sul pavimento, che portava con sé ogni volta che cambiava stanza. In questo modo nell’appartamento si era diffuso un tepore non eccessivo, ma abbastanza gradevole.
   Improvvisamente dalla sua gola risuonò un brontolio infastidito, accompagnato da un’evidente smorfia seccata che si era impressa sul suo volto. Ad aver provocato questa reazione era stata la visione, sullo schermo del vecchio televisore, dell’ennesimo servizio sulla misteriosa aurora che continuava ad apparire a intervalli irregolari sopra i cieli di Kalos. Cambiò canale, ma vide che in quel momento l’argomento stava venendo largamente discusso da diverse stazioni. Sembrava fosse apparsa nuovamente in quell’esatto momento e tutti avevano colto l’occasione per aprire un qualche dibattito inconcludente o fare delle riprese. E ogni osservazione che veniva compiuta era sempre piena di stupore e meraviglia. Non la sua, però. Anzi, la visione di quelle luci nel cielo aveva cominciato a farlo tremare, perché ogni volta si ricordava del tremendo supplizio che aveva dovuto sopportare quel giorno, tanto tempo fa, ma soprattutto del sacro giuramento che aveva pronunciato di fronte alle due creature.
   Perché ora, finalmente, le memorie avevano ripreso tutte il loro posto ed ogni cosa sembrava folle e assurda, alla luce di quei ricordi.
   Tuttavia, non avrebbe definito quel sentimento opprimente che provava come una paura. Era più un’ansia, un’angoscia, perché aveva riscoperto il proprio ruolo e trovava difficoltà nell’accettarlo all’interno della situazione in cui si trovava, già di per sé altrettanto complessa. Probabilmente, in circostanze differenti, non si sarebbe nemmeno fatto prendere dalla preoccupazione, e le cose avrebbero continuato a scorrere tranquillamente senza il minimo problema.
   Si stropicciò gli occhi e con il telecomando in mano spense la televisione. Si alzò, si avvicinò alla libreria e cominciò a sfogliare il primo libro che gli capitò tra le mani nel tentativo di distrarsi nuovamente da quei pensieri.
   Era un’enciclopedia. Sulla pagina che aveva aperto lesse:
 
     Crisalide. Stadio ninfale delle farfalle. Essa può presentarsi nuda oppure racchiusa all’interno di un bozzolo che viene costruito dalla larva prima della metamorfosi.
 
   Improvvisamente suonarono il campanello. Platan chiuse il tomo e osservò la porta, incerto se andare ad aprire o meno. Guardò l’orologio. Stava aspettando l’arrivo di Sina e Dexio, tuttavia era ancora presto, non potevano essere loro. Era abbastanza sicuro che si trattasse dell’ennesimo giornalista venuto a porgli domande a cui per il momento non aveva alcuna intenzione di dare risposta, perciò la cosa non lo invogliava più di tanto a muoversi. Decise di far finta di nulla, riprendendo a sfogliare qualche altro istante l’enciclopedia, tuttavia il campanello trillò di nuovo, e di nuovo ancora, prima esitante, poi più deciso.
   «Che scocciatore...» sibilò, riponendo il libro all’interno del mobile. Si avvicinò all’ingresso e, tenendo serrata la catenella che la bloccava, socchiuse leggermente la porta con uno scatto spazientito.
   «Per l’ennesima volta: no, non so che cosa sia questa aurora, né da cosa sia causata, e, no, non rilascio eventuali interviste su differente argomento qui nel mio appartamento. Quindi, se è davvero interessato, la prego di rivolgersi presso il Laboratorio di Pokémon e prendere un appuntamento, cosicché potremo discuterne al meglio e tranquillamente. Grazie per la cortesia e arrivederci».
   Stava per richiudere la porta quando un’occhiata distratta di fronte a sé lo bloccò.
   «Oh. Sei tu, Elisio», disse, con un tono decisamente più pacato rispetto al precedente.
   «Arrivo in un momento poco opportuno?» domandò l’altro «Perdonami se sono stato insistente».
   «No, figurati», rispose, le sue labbra s’incurvarono in un sorriso un po’ imbarazzato mentre con un dito si arricciava un ciuffo di capelli «Hai fatto bene, anzi, o non ti avrei aperto. Ma sai, in questi giorni... Vieni dentro, accomodati, poi ti racconto».
   Lo fece entrare, gli tolse la giacca dalle spalle e la sistemò con cura su un gancio dell’appendiabiti sulla parete accanto alla porta.
   «Si sta bene qui», disse Elisio avvicinandosi alla stufetta e accostandovi davanti le mani intorpidite dal freddo «Fuori c’è vento. E poi, il cielo...».
   Lasciò la frase in sospeso. Aggrottò le sopracciglia sottili, il suo sguardo già di ghiaccio si fece ancora più duro e grave.
   «Lo so», sospirò Platan, poggiato con una spalla contro il muro, lì accanto a lui «L’ho visto adesso alla televisione».
   «Viola, poi all’improvviso si accende di rosso, poi sfuma in blu, e di nuovo in viola, e poi torna blu e di nuovo rosso...» descrisse l’aurora con voce quasi assente, come se in realtà, pensando a quelle luci, con la mente si trovasse in un altro luogo, forse un bosco o una collina...
   Elisio si riscosse lentamente. Si tirò in piedi e fissò Platan in silenzio, sentendo una fitta al cuore mentre posava lo sguardo sui suoi occhi grigi tanto buoni, velati di una leggera malinconia.
   «Sai, fa male ricordarlo così precisamente... È quasi brutale», disse il rosso con voce bassa.
   «Quando vedo quelle luci, sento di nuovo quel dolore straziante nel petto», e involontariamente alzò la testa verso la finestra chiusa «Eppure era necessario che soffrissimo in quel modo. Da quel dolore è nata una grande felicità».
   Elisio annuì. Rimase a riflettere qualche istante, mentre nella gola gli bruciava la domanda che stava esitando a porgli.
   «Sono loro, non è vero, Platan?».
   Per tutta risposta, egli si limitò a guardarlo, interdetto. Per questo era venuto, allora. Abbassò la testa e si strinse nelle braccia. Si chiese perché, tuttavia, Elisio avesse bisogno di quella conferma da parte sua: nel suo sguardo era evidente che già sapesse la risposta e che fosse del tutto cosciente della sua veridicità. Platan gli rivolse nuovamente gli occhi e con quel gesto pareva che gli stesse dicendo: «Non farmi queste domande sciocche. Tu lo sai, lo sai benissimo». Si allontanò dal muro e mosse pochi passi verso il compagno. Si fermò e sollevò il viso, osservò il lampadario che pendeva dal soffitto, spento e impolverato da tempo. Necessitava di essere lucidato per bene, prima o poi.
   «Le leggende narrano», disse finalmente, dopo un lungo silenzio «che nel momento in cui Xerneas e Yveltal saranno vicini al loro risveglio, i cieli di Kalos si coloreranno di bagliori blu, rossi e viola. Sì, Elisio, sono loro, ne sono più che certo. Stanno tornando».
   Ci fu un altro lungo silenzio. Le tapparelle sbatterono per qualche secondo, mosse dal forte vento che imperversava di fuori.
   «Ma è qualcosa di troppo personale e non voglio parlarne con qualche giornalista perfetto sconosciuto, neanche in veste di Professore Pokémon della regione».
   «Certo».
   Elisio gli rivolse un’occhiata comprensiva. Platan sforzò un sorriso, che a poco a poco si fece più sincero e divertito.
   «Mi auguro che tu ora non vada a spifferarlo in giro alle mie spalle! Sarebbe un gran problema, a quel punto nessuno mi lascerebbe più in pace per davvero!» lo prese in giro, per smorzare la tensione, ridacchiando un po’ nel momento in cui vide la faccia lievemente perplessa dell’altro prima che realizzasse lo scherzo, «Ma so che di te posso fidarmi», disse poi, tornando serio «Almeno per queste cose».
   Si scambiarono uno sguardo, rimanendo l’uno di fronte all’altro. Elisio distolse gli occhi dopo poco, poiché aveva capito immediatamente a cosa si fosse riferito con quell’ultima affermazione. Ricucire bene quel rapporto si rivelava di volta in volta sempre più difficoltoso, anzi, in certi momenti pareva anche impossibile. Dopotutto, si ritrovò a riflettere, era passato talmente tanto tempo dal periodo in cui avevano vissuto insieme senza nascondersi nulla.
   «Posso offrirti qualcosa? Stavo preparando del tè», chiese a un tratto Platan.
   «Magari ne prendo una tazza, ti ringrazio», rispose.
 «Bene, così ti riscaldi un po’, vedo che sei ancora infreddolito. Una bella tazza di tè bollente è quel che ci vuole, in questi casi! Siediti pure, intanto, adesso arrivo», disse entrando in cucina.
   Persino il loro primo bacio era avvenuto in una coltre di parole non dette, emozioni e segreti che non gli aveva potuto confessare, si accorse Elisio, procedendo nelle sue riflessioni. Provò un leggero rimorso. Eppure Platan era ancora così pieno di riguardi nei suoi confronti, e tanto gentile. Possibile?
   Si sedette sul divano con un profondo sospiro e trasse stancamente una Poké Ball dalla tasca. Da essa fece uscire uno dei suoi Pokémon e prese ad accarezzarlo qualche istante.
   Dalla stanza accanto si sentiva Platan armeggiare con le posate e le stoviglie. Apparve poco dopo con un vassoio tra le mani. Nel momento in cui alzò lo sguardo, si lasciò sfuggire un’esclamazione di sorpresa e un largo sorriso gli illuminò il volto.
   «Abbiamo un nuovo arrivato, vedo!» disse, posando le vivande sul tavolo e sedendosi sul divano ad osservare il nuovo Pokémon che Elisio aveva con sé: un bellissimo esemplare di Mienfoo dagli occhi rossi accesi e dall’aria grintosa. Il piccolo ermellino lo scrutò a lungo, sulle prime diffidente, poi, notando che il suo Allenatore si trovava a proprio agio con quella persona, divenne più tranquillo. Non protestò quando il Professore gli avvicinò una mano al muso per stabilire un contatto. Annusò le sue dita con attenzione, per imprimere nella propria memoria l’odore di quell’uomo.
   «Lui è Platan», disse Elisio.
   Il Pokémon sussultò nell’udire quel nome: probabilmente il suo padrone doveva avergliene già parlato diverse volte. Si mise ritto su due zampe e si piegò in avanti con un piccolo inchino, onorato di poter fare la sua conoscenza. Platan sorrise enormemente, ricambiando il suo inchino, tutto emozionato.
   «Oh, Elisio, si vede proprio che è un tuo Pokémon! Salut, mon petit! Et bienvenu chez moi!» esclamò.
   Afferrò un biscotto dalla ciotola sul vassoio e glielo porse, non potendo fare a meno di regalargli qualche carezza in mezzo alle orecchie.
   «Da quanto tempo lo hai preso con te?».
   «Tre giorni. Ho bisogno di ampliare e rafforzare la mia squadra, se voglio tener testa a Serena. Quella ragazzina è molto più forte di quel che sembra e la maggior parte delle mie Reclute non è in grado di porre resistenza ad un’Allenatrice di tale livello. Potrebbe arrivare facilmente a me, un giorno».
   «Hai ragione. Serena è molto forte», versò il tè in una tazza e gliela diede. Il suo sguardo si fece pensieroso quando avvicinò la propria ceramica alle labbra.
   «Sai, nonostante abbia ripreso la memoria, non riesco a capire che ruolo possa avere lei in tutto questo. Eppure sono sicuro che c’entri qualcosa».
   «Serena dev’essere una prescelta, ormai ne sono abbastanza convinto. I prescelti sono coloro che possono cambiare il destino. Questo è quel che è scritto sul mio libro. Altro non so».
   Mienfoo si allungò verso il tavolo e con un’agilità sorprendente prese un altro biscotto dalla ciotola, che cominciò a rosicchiare con evidente appetito, rintanandosi in mezzo ai due uomini. Platan lo accarezzò di nuovo, osservandolo teneramente. Bevve un goccio di tè e sorrise: doveva ammettere che quel quadretto dal sapore quasi famigliare in cui si trovavano non gli dispiaceva affatto.
   «Non lasciarti ingannare dai suoi occhietti dolci, ti assicuro che invece è un bel peperino», lo avvertì Elisio.
   «Oh, davvero? Non sembra affatto. Devi averlo ammaestrato bene, allora», mandò giù un altro sorso «Mh, ecco, hanno aperto questo ristorante che cucina piatti tipici di Sinnoh in una traversa di Piazza Centrale, ci sono andato qualche sera fa, e devo dire che non era affatto male. Ho visto che vendevano questi fiori provenienti da Pratofiorito da mettere in infusione per fare il tè, quando studiavo con il Professor Rowan, Rosabella me ne preparava spesso una tazza, così non ho potuto fare a meno di comprarli. Che te ne pare? Non credo fossero proprio questi i fiori che utilizzasse lei, però, ha un sapore più dolce di quel che mi ricordavo».
   «È troppo dolce per i miei gusti, infatti, ma non mi dispiace».
   «Comunque una sera ti voglio portare in quel ristorante, era davvero ottimo».
   Elisio gli rivolse un sorriso e disse che gli avrebbe fatto piacere.
   Eppure, Platan parve rabbuiarsi all’improvviso. Con la mente di nuovo vagava tra le visioni di quel destino che avrebbero dovuto percorrere.
   «Ascoltami, Elisio», c’era tanta fatica nella sua voce «Tu avevi ragione. Noi fummo scelti. Mi sento tanto sciocco per non averti dato retta in precedenza, avrei dovuto fidarmi. Tuttavia, ora che ricordiamo entrambi... Ora che sappiamo i ruoli che ci spettano... Dimmi, che ne sarà del nostro giuramento? Manterrai la parola data?».
   Il rosso lo scrutò in silenzio. Nei suoi occhi vide serietà, attesa, solennità. Elisio sapeva bene quale risposta avrebbe voluto sentirgli dire, ma non avrebbe potuto accontentarlo. Quel loro mondo era ormai senza speranza e mantenerlo tale sarebbe stato un errore e una condanna. Quella convinzione si era radicata nei suoi pensieri con una fermezza tale che neanche quel giuramento lo avrebbe smosso dalla propria decisione.
   Abbassò la testa: «Mi dispiace, Platan», disse.
   Improvvisamente suonarono il campanello. Platan diede una rapida occhiata all’orologio e si alzò, dicendo che dovevano essere Dexio e Sina. Andò ad aprire e Mienfoo con un piccolo scatto scese dal divano per poterlo seguire.
   «Salve, Professore!» esclamarono all’unisono i due ragazzi. Platan si apprestò ad accoglierli, ma il Pokémon, insospettito dalla troppa confidenza che i due si stavano prendendo, balzò loro addosso con un ringhio per poterli attaccare.
   «Ehi, cos’è tutta quest’agitazione?» lo rimproverò, afferrandolo e stringendolo a sé prima che potesse colpire una Sina terribilmente spaventata «Non si salta addosso alle persone in questo modo!».
   «Che sta succedendo?» Elisio accorse prontamente, richiamato dal tono alterato del compagno.
   «Mienfoo stava per attaccare i miei assistenti».
   Sospirò seccato, massaggiandosi le tempie con le dita: «Te l’avevo detto che era un tipetto vivace», mormorò.
   Prese il Pokémon dalle braccia di Platan e lo strinse nelle proprie, tentando di tranquillizzarlo, poi si scusò con i due ragazzi e li esortò ad entrare, rassicurandoli del fatto che se ne sarebbe preso cura lui. Ci tenne tuttavia a precisare che non dovessero aver paura, che in fondo Mienfoo era un buon Pokémon, ma a tratti estremamente diffidente.
   Si sistemarono nuovamente in salotto, Sina e Dexio vennero fatti accomodare sul divano mentre il Professore versava del tè in due tazze anche per loro. I ragazzi, a differenza degli adulti, parvero apprezzare particolarmente quell’aroma dolce e fruttato.
   «Abbiamo finito di stendere la lista delle persone che hanno accettato il suo invito ad aderire al progetto, come ci aveva chiesto!» comunicò la giovane in tono decisamente soddisfatto.
   Tirò fuori dalla propria borsa un foglio accuratamente ripiegato e lo tese al Professore. Platan lo spiegò e passò attentamente lo sguardo su ogni nome. Si accarezzò il mento con una mano mentre chiudeva gli occhi per concentrarsi e riflettere. Elisio lo osservò, le sue labbra si distesero lievemente nel momento in cui lo vide cominciare ad arricciarsi un ciuffo di capelli tra le dita. Mienfoo approfittò di quel momento di distrazione per allungarsi verso il tavolo e rubare l’ennesimo biscotto, ma la salda presa del suo Allenatore lo ricondusse al proprio posto, lasciandolo a bocca asciutta.
   «Sono molte di più di quelle che ci aspettavamo», commentò Dexio.
   «Beh, non c’è da stupirsi, con una Pietra Chiave in palio, chiunque si offrirebbe volontario», spiegò Platan.
   «Di cosa si tratta?» chiese Elisio, richiamato da quell’ultima dichiarazione; al che l’altro sorrise, un po’ divertito.
   «Credo di aver scoperto qualcosa di nuovo sulla Megaevoluzione, ma per esserne davvero sicuro ho bisogno di fare degli accertamenti pratici. Per questo motivo sto cercando una persona disposta ad aiutarmi e di cui, soprattutto, mi possa fidare ciecamente».
 
 
   Probabilmente non le sarebbe più ricapitato per lungo tempo di dormire in un letto vero, con delle lenzuola fresche di lavanderia e su un materasso morbido come quello, così Shana, nonostante fosse sveglia già da un pezzo, era rimasta accucciata in mezzo alle coperte ad ascoltare il silenzio che aleggiava nella loro stanza con gli occhi chiusi, di tanto in tanto ricadendo in un sonno leggero. Qualche volta tuttavia capitava che col pensiero si soffermasse distrattamente sul nome dell’albergo e che cominciasse a gongolare all’idea che si trattasse dell’hotel preferito della grande attrice Diantha: magari anche lei era stata lì - ecco, forse non proprio in quella stanza che lei e Serena erano riuscite a malapena a recuperare con quel che avevano guadagnato il giorno prima nella Palestra di Amur, però...
   Era stato un gran bell’incontro quello di ieri, si ritrovò a pensare. Serena stava diventando sempre più forte. Eppure, da quando il cielo aveva iniziato ad accendersi di quei colori, ella le era sempre sembrata estremamente irrequieta. Una sera, dopo aver tenuto un certo malumore per diversi giorni senza aver mai aperto bocca, le aveva confessato quella storia della prescelta, ma le sue parole erano state così confuse e affrettate che non era riuscita a capire molto. Nonostante questo, le aveva promesso che le sarebbe stata vicino. Serena le aveva sorriso.
   Nient’altro. Solo un sorriso.
   Shana aprì gli occhi e si tirò a sedere, si stiracchiò emettendo un lieve sospiro. Si guardò attorno, evidentemente entusiasta di quella bella stanza in cui erano riuscite a sistemarsi. Sussultò nel momento in cui vide il letto accanto al suo vuoto, con le coperte stropicciate e ammassate tra loro alla rinfusa.
   «Serena?» la chiamò, aspettandosi una sua risposta. Non le tornò indietro nulla.
   Scese dal letto e percorse a piedi nudi la stanza, finché, sul limitare della finestra semiaperta, le giunse il suono di un mugolio sommesso. Uscì sul balcone, sentendo il gelo del pavimento che le pungeva la pelle come spilli appuntiti penetrati in fondo nella carne.
   La vide lì, rannicchiata a terra in un angolo, con la testa rintanata tra le ginocchia, che singhiozzava piano. La osservò tristemente mentre i suoi capelli biondi si scuotevano sulla schiena e sulle spalle agitate dal pianto. Le si avvicinò in silenzio, cercando di opprimere la necessità di coprirsi le braccia e di stringersi per il freddo. Quando Serena si accorse della sua presenza, il respiro smorzato le si arrestò all’improvviso, le rivolse uno sguardo sconvolto e mortificato mentre le lacrime continuavano a scenderle lungo il viso, sollecitate anche dal forte vento che spirava sul promontorio. Si coprì gli occhi con le mani e si voltò di scatto dal lato opposto, per non farsi vedere.
   «Scusami», sussurrò, con la voce che gracchiava.
   Shana restò ancora a guardarla, esitante. Si chinò accanto a lei e allungò una mano sulla sua spalla, gliel’accarezzò piano. Ci volle un po’, ma alla fine Serena si lasciò guardare completamente. Concedette alle dita di Shana di spostarle i capelli dal viso e di pettinarli, di passare sulle sue guance per asciugare le lacrime. Si accovacciò contro di lei e poggiò la testa sulla sua spalla, sentendo il suo abbraccio.
 
 
   «Li ho sognati di nuovo», disse.
   Distese sul prato di una piccola collina, osservavano in lontananza il mare di Temperopoli, dal quale proveniva un profumo acre e salmastro che si confondeva con l’odore della resina prodotta dai rigogliosi alberi della vegetazione locale. Il cielo risplendeva di un gradevole azzurro quella mattina, attraversato ogni tanto da qualche nuvola biancastra. Tuttavia il vento fischiava inesorabilmente, senza mai smettere, a tratti debole, poi di colpo con forza. L’erba attorno a loro di conseguenza si scuoteva, mandando un intenso profumo nelle narici.
   «I due bambini?».
   «Sì».
   Serena si mise a sedere e incrociò le gambe, un sospiro di vento le fece ondeggiare i capelli.
   «Sai, sono tanto carini», sorrise, sistemandosi una ciocca dietro l’orecchio «Si vogliono molto bene. E si ammirano entrambi tantissimo, anche, soprattutto c’è quello più piccolo con il fiore in mano che non finisce mai di elogiare l’altro, trova sempre un pretesto per parlare di quanto sia speciale e fantastico in ogni cosa che fa».
   «E lui cosa dice?».
   «Oh, nulla. Delle volte mi sembra un po’ imbarazzato. È taciturno, non parla mai molto. Eppure lo vedo dai suoi occhi quanto anche lui voglia bene all’altro. È un affetto tenero e spontaneo... Una volta è successa questa cosa: vedi, in questo mondo ognuno ha un fiore...».
   «Tutti quanti?».
   «Sì, tutti quanti ne tengono uno. Ma non lui. Mi sembrava strano, così gli ho chiesto: “E tu? Dov’è il tuo fiore?”» e già un po’ rideva mentre pensava alla risposta che le aveva dato, perché era tanto bella e semplice.
   Shana la osservò impaziente, si tirò a sedere e si mise a fissarla: «Allora?» la incitò.
   Serena le rivolse lo sguardo, le sue labbra erano incurvate in un sorriso meraviglioso e dolce, mosse da quel ricordo: «Allora,» disse «mi ha guardato come se avessi fatto la domanda più assurda dell’universo. Ha stretto la mano di quel bambino e con gli occhi felici ha esclamato: “Lui è il mio fiore!”».
   «Che meraviglia!».
   «È vero! Purtroppo però, questa notte... Ecco, lui era da solo. Il bambino con il fiore, intendo. Era strano. Stava tutto rannicchiato su sé stesso, fluttuando a mezz’aria, e piangeva. I petali del suo fiore erano in parte tinti di rosso, come se stesse sanguinando. E poi, se ne stava un po’ nascosto dentro questa membrana scura, simile a una sorta di bozzolo. Diceva: “È andato via... È andato via...”. Temo che sia stato abbandonato».
   Shana abbassò la testa, poggiando la fronte contro le ginocchia. Poi sospirò, sollevando un poco lo sguardo sull’orizzonte.
   «Sembra quasi amore», mormorò.
   «Amore?» rimase abbastanza sorpresa da quell’affermazione «Io... No, non credo. Non mi è mai sembrato, dopotutto...».
   «Sai, Serena, l’amore non è fatto soltanto di baci e quelle cose lì», la interruppe, quasi a volerla rimproverare.
   Improvvisamente una folata di vento fece volare via il cappello di Serena. Le due ragazze si alzarono, correndo per andare a recuperarlo.
   C’erano due uomini che stavano passeggiando poco lontano. Il più anziano stava raccontando una storia: «Tanto tempo fa, una persona a me molto cara mi rivolse queste parole: “Tutti noi siamo dei bozzoli. Nel momento in cui nasciamo, siamo irraggiungibili dagli altri e colmi di un grande dolore. Il nostro passato si fa lontano, il futuro si sgretola, e il presente non esiste. Respiriamo in un lasso di tempo improbabile in cui i battiti dei nostri cuori perdurano all’infinito. Intorno a noi viene l’ignoto. È in quell’istante che finalmente usciamo dal nostro bozzolo e diventiamo dei fiori. Poi ci sono alcuni che, credendo fermamente nei propri sogni e trovando il coraggio di seguirli, diventano farfalle. Ma, se questi sogni dovessero tramutarsi in ossessioni, le loro ali deperiranno e cadranno, e quelle farfalle si trasformeranno in insetti ripugnanti”».
   Ad un tratto, vide un cappello rosa venir trascinato dal vento. Lo afferrò, stringendolo tra le dita, guardando attorno in modo da scoprire a chi fosse sfuggito.
   «Sembra proprio che il vento si sia alzato!» esclamò colui che lo accompagnava.
   «È segno che presto avverrà un cambiamento».
   Le ragazze corsero loro incontro, agitando le mani in modo da richiamare l’attenzione.
   «Quello è il mio cappello!» disse Serena, chiedendo poi che glielo restituisse «Vede, è volato via col vento», spiegò.
   L’anziano rise teneramente e glielo tese, lasciando che ella lo riprendesse: «Certo, certo che te lo restituisco», la rassicurò.
   Shana riconobbe l’uomo al suo fianco e fece un leggero inchino: «Capopalestra Amur!» lo salutò.
   Egli sorrise, dando il buongiorno sia a lei che alla compagna. Serena s’inchinò a sua volta, calcandosi il cappello sulla testa in modo che non le sfuggisse ancora.
   «Dunque vi conoscete?» domandò l’anziano.
   «Mio caro amico, lascia che ti presenti Serena. Credo di non aver mai incontrato un’Allenatrice più formidabile di lei. A proposito, vorrei ancora farti i miei complimenti per la lotta di ieri: se continuerai su questa strada, sono convinto che non avrai problemi ad affrontare i Superquattro e ad arrivare alla Campionessa. Ma bada bene, Diantha è un osso duro, e se hai intenzione di sconfiggerla e prendere il suo titolo, dovrai impegnarti ancora molto», disse il Capopalestra.
   «Non deve preoccuparsi, sono certa che Serena ce la farà», la difese Shana «È una ragazza forte. E io ho piena fiducia in lei».
   Serena la osservò, grata per quelle parole. Le rivolse un timido sorriso.
   Amur annuì, ammirando l’impeto che la ragazza aveva mostrato nelle sue parole: era evidente che fosse fermamente sicura delle capacità dell’amica. La guardò negli occhi e in essi scorse una scintilla piena d’ardore, capendo che si sarebbe battuta contro tutto e tutti pur di affermare quanto la compagna fosse forte, capace e piena di valore. Si ricordò di quando era stato giovane e lungo il percorso aveva potuto fare affidamento sul sostegno dei suoi amici durante il viaggio per raggiungere e portare a compimento i propri obiettivi e le proprie aspirazioni. Si accarezzò i ciuffi di barba che gli crescevano ai lati del mento mentre un sorriso gioioso che sapeva di vita vissuta gli si imprimeva sulle labbra. Poi però si voltò verso l’amico più anziano, temendo che anche lui sarebbe potuto cadere in quei pensieri, che al contrario tuttavia lo avrebbero afflitto e addolorato.
   Ritenne che sarebbe stato meglio andarsene. Il Capopalestra salutò con premura le due giovani e si avviò, esortando l’altro a seguirlo.
   Qualcosa però, mentre se ne andavano, attirò l’attenzione di Serena, scuotendola d’inquietudine. Guardò meglio la figura dell’anziano, lo studiò accuratamente per pochi istanti e poi si mosse.
   «Aspetti!» gridò - perché, per quanto fosse doloroso lottare e cogliere fino in fondo quel destino, aveva ormai iniziato ad accettarlo, a riconoscersi in quel ruolo, e non si sarebbe fermata, non avrebbe ceduto, non voleva tirarsi indietro, nonostante ogni passo avanti generasse vertigine e capogiro.
   I due si fermarono. Si voltarono. Serena scrutò l’anziano, ancora, esitante, ma più che certa della sensazione che aveva percepito. Shana rimase in silenzio ad osservarla, non capendo il motivo di quel comportamento.
   «È lei, non è vero?» domandò la ragazza con la voce decisa di chi cerca la verità «Deve essere lei l’anziano vagabondo di cui mi parlò Ornella. Sulla sua figura, ne è chiaro il segno».
   Amur sussultò. Con sguardo turbato si rivolse al compagno. Lo vide portarsi le mani al petto, a stringersi la chiave che teneva al collo con l’espressione di chi si è ormai rassegnato alla propria natura di mostro e carnefice. Lo sentì sospirare stancamente mentre nascondeva gli occhi neri dietro la folta frangia di capelli candidi e rovinati.
   «Va’, Amur», disse.
   Il Capopalestra indugiò. Lanciò un’occhiata alle due ragazze, fissando lo sguardo in particolar modo su Serena.
   «Va’. Non preoccuparti», disse di nuovo.
   Amur intese. Con un cenno del capo si accomiatò, si avviò chiamando fuori dalla sfera il proprio Gogoat. Salì in groppa al Pokémon sostenendosi con le mani sulle sue robuste corna nere.
   «Ti rivedrò?» chiese, prima di partire.
   L’anziano lo osservò, scosse la testa.
   «Il mio soggiorno qui è scaduto. Sai bene che non posso sostare a lungo in nessun luogo. Già per troppo tempo mi sono trattenuto da te, e molte volte ho rinviato il congedo, rincuorandomi della tua compagnia. Ma ormai, per me, è giunto il momento di ripartire e di tornare sui miei passi. Ti ringrazio di tutto, Amur».
   «Buon viaggio, allora. E stammi bene. Mi ha fatto tanto piacere ritrovarti, spero di poterti incontrare presto un’altra volta».
   «Certo, mio caro,» sorrise «tornerò sicuramente. A presto, dunque, e stammi bene».
   Il Capopalestra annuì, sorridendo a sua volta. Si tolse il cappello in segno di saluto. Poi con un verso incitò Gogoat a mettersi in moto, e così se ne andò, lontano.
   Dopo qualche istante, AZ si girò. Scrutò severamente la ragazza che aveva di fronte, notò i suoi occhi accesi che emanavano un’aura d’impetuosità e d’inquietudine insieme. A quel punto la riconobbe, dopo averla cercata tanto a lungo.
   «Sei tu», disse, finalmente privo di ogni dubbio «Sei tu, la ragazza prescelta».



***
Angolo del francese.
     * Salut, mon petit! Et bienvenue chez moi! = Ciao, piccolo mio! E benvenuto nella mia casa! .




 


Ciao a tutti!! Come state? ♥
Vi ringrazio moltissimo per essere arrivati fin qui, spero che anche questo capitolo sia stato di vostro gradimento, nonostante (...come al solito) ci abbia messo così tanto a pubblicarlo. Però, devo dire, tornare a lavorare su questa storia mi rende sempre molto felice - e in qualche modo spero veramente che possa trasmettere anche a voi un po' di quella stessa felicità che provo io mentre scrivo. 
La prima cosa che mi viene in mente da dire oggi è che mi sono appena accorta che era da un sacco di tempo che non scrivevo l'Angolo del francese. Sarà una piccolezza, ma mi ha colpito.
Infine, volevo fare solo una piccola precisazione su Amur. Se si ritorna alla Palestra di Temperopoli dopo aver battuto la Lega e gli si rivolge la parola, Amur dice qualcosa del tipo (purtroppo ho ricominciato il gioco, quindi non posso mettervi la citazione precisa, perciò vado un po' a memoria): "Quando sei certo che non potrai mai più incontrare qualcuno, allora col tempo lo accetterai e abbandonerai tutto. Ma, se invece dovesse esserci anche una minima possibilità di ritrovarlo, saresti disposto a vagare anche tremila anni, ossessionato da quella speranza... Io non so se sarei riuscito a sopportarlo". Più probabilmente questa considerazione è dovuta al fatto che anche lui potesse essere stato presente alla cerimonia di premiazione a Luminopoli durante lo scontro con AZ e la successiva riunione con Floette, ma la prima volta che la lessi mi venne da pensare che magari si conoscessero, che AZ gli avesse raccontato qualcosa e che Amur di conseguenza avesse provato a confortarlo. In questo senso ho inteso la loro amicizia in questo capitolo.
Detto questo, e di nuovo, spero davvero che vi sia piaciuto! Un bacione a tutti quanti, non smetterò mai di ringraziarvi abbastanza ♥
Al prossimo capitolo!
Pers
  
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