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Autore: Sophja99    23/10/2016    8 recensioni
L'amore può sbocciare anche nelle epoche più terribili, un sentimento genuino e meraviglioso che nasce lentamente tra due giovani francesi, Monique e Vincent. Lei è un'umile giovane di vent'anni, costretta a guadagnarsi da vivere lavorando in una modesta locanda di Parigi di proprietà dei suoi genitori; lui appartiene ad una famiglia borghese benestante. Separati dal ceto sociale, ma uniti nei pomeriggi che trascorrono a recitare poesie insieme dopo il loro casuale incontro. Eppure, non tutto è eterno; come l'estate, la spensieratezza e la felicità sono destinate a morire davanti alla freddezza e alle crudeltà degli uomini.
Prima classificata al contest "Romanticismo d'altri tempi" indetto da 9dolina0 sul forum di Efp.
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore
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«Noi abbiamo spezzato la tirannia del privilegio, abbiamo posto fine ad antiche ingiustizie, cancellato titoli e poteri ai quali nessun uomo aveva diritto. Abbiamo posto fine alle assegnazioni per censo e per nascita, delle più alte e prestigiose ambite cariche dello stato, della chiesa e dell'esercito, in ogni singolo distretto tributario di questo nostro grande corpo politico, lo stato di Francia. Ed abbiamo dichiarato che su questa terra il più umile tra gli uomini è uguale al più illustre. La libertà, che noi abbiamo conquistato, l'abbiamo data a chi era schiavo e la lasciamo al mondo in eredità affinché moltiplichi ed alimenti le speranze che abbiamo generato. Questo è più di una più grande vittoria in battaglia, più di tutte le spade, dei cannoni e di tutti i reggimenti di cavalleria d'Europa! È un'ispirazione per il sogno comune a tutti gli uomini di qualsiasi paese, una fame di libertà che non potrà più essere ignorata. Le nostre vite non sono andate sprecate al suo servizio.»

(Georges Jacques Danton)

 

 

 

Queste parole vivranno

 

Parigi, 10 Germinale, Anno II (30 marzo, 1794)

Il sole splendeva luminoso quel giorno, tanto che Monique non riusciva nemmeno a definirne il contorno, se non coprendone una parte mettendo una mano davanti agli occhi. Eppure, non le piaceva farlo, perché non le permetteva di guardare il cielo nella sua interezza. Spesso si divertiva a testare quanto riusciva a resistere fissando direttamente il sole, ma dopo nemmeno un secondo era costretta a distogliere lo sguardo. Quel giorno era inutile anche provarci: con tutta quella luce sarebbe riuscita appena a vedere i sottili raggi dorati che si dipanavano da quella fulgente sfera gialla.

«Posso paragonarti a un giorno d'Estate?
Tu sei più amabile e più tranquillo.
Venti forti scuotono i teneri boccioli di Maggio,
E il corso dell'estate ha fin troppo presto una fine.
Talvolta troppo caldo splende l'occhio del cielo,
E spesso la sua pelle dorata s'oscura;
Ed ogni cosa bella la bellezza talora declina,
spogliata per caso o per il mutevole corso della natura.
»

Adorava la sensazione di calore che provava quando i raggi colpivano la sua pelle. Era soprattutto per quel motivo che preferiva di gran lunga l'estate alle giornate grigie e piovose tipiche dell'autunno e inverno parigino. Solitamente anche nel periodo primaverile erano rare giornate tanto soleggiate come quella; era più spesso nuvolo e la temperatura iniziava ad aumentare solo verso maggio.

«Ma la tua eterna estate non dovrà svanire,
Né perder la bellezza che possiedi,
Né dovrà la morte farsi vanto che tu vaghi nella sua ombra,
Quando in eterni versi nel tempo tu crescerai:

Finché uomini respireranno o occhi potran vedere,

Queste parole vivranno, e daranno vita a te» detto questo, la voce tacque, come fosse in attesa di una reazione da parte della giovane.

Monique ruotò la testa e il cielo azzurro lasciò il posto al ragazzo che le stava accanto e sulle cui gambe aveva appoggiato la testa.

«C'è qualcosa di incredibilmente triste, ma anche di affascinante in questa poesia» rifletté, osservandolo distrattamente.

Il ragazzo accennò a un sorriso e il cuore di Monique perse un battito. Accadeva quasi tutte le volte che stava con lui e lo guardava.

«Hai ragione. Pensa che l'autore, William Shakespeare, dedicò gran parte di questa raccolta di sonetti ad un misterioso ragazzo. Qui, infatti, costui viene paragonato ad un giorno d'estate, ma il poeta si rende conto che il primo è più amabile, perché non soggetto all'impetuosità e al caldo bruciante della natura e del sole. Ma la differenza principale è che, mentre l'estate è destinata a morire e lasciare il passo all'autunno, il ragazzo è immortale perché anche dopo la morte rivivrà nelle sue parole e nella poesia.»

«Non me l'avevi mai detto» affermò Monique, sorridendo. «Ti sei informato perché ieri ti avevo detto che questo è il mio sonetto preferito.»

«Mi hai scoperto» disse l'altro, alzando le mani in segno di resa. Così facendo, sollevò anche il piccolo libro in cui erano scritti i sonetti. Monique glielo sfilò con un movimento fulmineo e si mise a sfogliarlo, rileggendo pezzi di altre poesie che avevano più volte letto insieme.

«Sai, non mi sono mai pienamente resa conto di quanto le parole siano potenti: possono uccidere, rallegrare, ammaliare, consolare e far piangere. È stupefacente» ragionò Monique, ma il ragazzo quasi non l'ascoltava più. Aveva ripreso ad accarezzarle i capelli, atto che aveva interrotto durante la lettura della poesia, e la stava osservando con sguardo adorante.

Non ricevendo alcuna risposta, Monique chiese: «Cosa c'è?»

«Sei bellissima» disse e queste parole ebbero il potere di farla subito arrossire.

«Non essere ruffiano, Vincent» ribatté, ma non poteva nascondere quanto la sua affermazione l'avesse profondamente lusingata e quasi commossa.

Non si era mai considerata una ragazza bella. Aveva certamente notato gli sguardi eloquenti che passanti e clienti le avevano lanciato nella locanda di proprietà della sua famiglia, ma pensava che fosse per il semplice fatto di essere giovane e di avere un viso e un corpo non belli e sensuali, ma almeno apprezzabili. Eppure, quando era Vincent a dirlo, era quasi tentata di credergli. Lui riusciva sempre a farla sentire amabile.

«Sai bene che ho ragione» continuò Vincent, avvicinando il suo viso a quello di Monique. Quando le loro labbra si toccarono, lei all'inizio non poté fare altro che rimanere ferma, in attesa di un contatto più intenso, ma dopo pochi attimi si rese conto di dove si trovassero, cioè nei giardini del palazzo di Lussemburgo. Un parco pubblico, in cui chiunque sarebbe potuto passare e vederli. Si allontanò in fretta, dicendo: «Non possiamo. Non qui. La tua famiglia potrebbe venirlo a sapere.»

Vincent proveniva da una famiglia agiata borghese. Molte volte le aveva parlato delle alte aspettative che riponevano in lui, in quanto primogenito: un giorno si sarebbe dovuto sposare per prendere le redini della famiglia e sostituire il ruolo ricoperto da suo padre, ma a volte sentiva come se quella vita non gli appartenesse. Non gli interessavano il denaro, gli affari e il commercio; lui voleva fare qualcosa di davvero importante per il popolo francese, qualcosa di utile a tutti loro. Lottare per la libertà, ma quella vera, non quella ribadita e stumentalizzata dalla fazione giacobina, e questo suo ideale si era acuito dopo avere conosciuto Monique, o così un giorno le aveva detto. Vedere lei e la sua umile vita e lavoro lo aveva spinto a desiderare maggiormente di combattere per i diritti degli uomini, senza che questi dovessero vivere nel terrore di esprimere le proprie idee sulla rivoluzione per la paura di finire ghigliottinati. Non era questa la libertà per cui tanti si erano sacrificati.

«Non mi importa» affermò lui, prendendole delicatamente il viso tra le mani e avvicinandola di nuovo a sé. E quando finalmente Monique poté abbandonarsi a quel bacio, fu come toccare il cielo con un dito. Si nutrì della magnifica sensazione provocata dal contatto delle loro labbra, come un alcolista che beveva un bicchiere di vino dopo essere stato per giorni in astinenza, e dimenticò ogni motivo che prima l'aveva spinta a sottrarvisi. Di fronte a tanta dolcezza e amore si sentiva completamente impotente, attratta a Vincent in una maniera indissolubile e oscura anche a lei stessa. Fece scorrere le mani tra i suoi riccioli scuri e lo trasse più vicino a sé. Vincent interpretò il suo atto come una richiesta di avere di più, una dimostrazione di quanto lo desiderasse, e il bacio divenne più audace, bramoso.

«Sul serio: devo andare» sussurrò Monique, appoggiando una mano sulla guancia di Vincent e scostandosi da lui a malincuore, ma solo di pochi centimetri, in modo da poter continuare a guardare da vicino i suoi occhi verdi cosparsi di leggeri riflessi rossi che non smettevano mai di incantarla. «O farò tardi a lavoro.»

«Oggi non potrò accompagnarti» Vincent si alzò dal prato e le porse la mano per aiutarla.

«Qualche importante faccenda con tuo padre?» tirò a indovinare Monique.

«Qualcosa del genere» rispose lui, passandosi una mano tra i capelli castano scuro. «Appena potrò, verrò da te.»

Monique fissò quegli occhi così profondi e magnifici, come se in questo modo potesse leggere i pensieri rinchiusi nella sua mente e a lei inaccessibili. Era certa che le stesse tenendo qualcosa nascosto e che fosse in ansia per qualcosa, - l'aveva capito dai suoi movimenti frettolosi-, ma non sapeva di cosa si trattasse. Voleva provare a chiedergli cosa lo stesse tormentando, ma probabilmente non voleva parlarne, dal modo con cui l'aveva salutata e tagliata fuori dalle sue preoccupazioni. Si sentì stranamente ferita per questo, ma allo stesso tempo pensò che doveva anche lasciargli un po' di spazio. «Va bene. Fai presto.»

Continuò a guardarlo anche dopo che le ebbe lasciato la mano e dato le spalle.

 

Parigi, 16 Germinale, Anno II (5 aprile 1794)

Monique si sbrigò a ruotare la manovella del rubinetto di una delle tante botti che occupavano la cantina dell'osteria e aspettò che il vino arrivasse ad occupare tutta la brocca. Una volta piena, la sostituì con un'altra e, quando anche in essa il liquido arrivò all'orlo, prese entrambe e ritornò nel salone della locanda.

Quel giorno c'erano parecchi clienti e doveva affrettarsi per soddisfare le richieste di tutti. Portò le brocche su un tavolo da una decina di uomini. Era difficile capire se erano solo di passaggio o erano parigini; vedeva talmente tante facce ogni giorno che non sempre riusciva a riconoscere anche i clienti più assidui e ricorrenti. La cosa certa era che fossero francesi; ormai era diventato rarissimo vedere stranieri nei quartieri e locali di Parigi con le ostilità tra la Francia e le nazioni estere e, soprattutto, per la minaccia di morte in cui potevano incorrere. Bastava anche un minimo sospetto ed accusa e nessuno li avrebbe risparmiati alla ghigliottina. Posò le caraffe sul ripiano, mentre gli uomini scoppiavano all'unisono in fragorose risate per qualche battuta fatta da uno di loro.

«Monique!» si sentì chiamare da dietro il bancone da suo padre. «Vieni a prendere i piatti.»

La ragazza si destreggiò in mezzo alla moltitudine di tavoli che lasciavano poco spazio per passare e afferrò i due piatti riempiti di pane, frutta e un assortimento di formaggio. Le veniva l'acquolina a vedere e portare tutto quel cibo, ma doveva aspettare la fine del servizio e del pranzo prima di poter finalmente mettere qualcosa tra i denti.

Li aveva appena posati al centro del tavolo, che la porta dell'osteria si aprì improvvisamente. Non c'era nulla di cui stupirsi: di clienti ne arrivavano a tutte le ore, anche a tarda notte per bersi qualche liquore, ma fu la rapidità del movimento e il forte rumore provocato dalla porta che sbatteva contro il muro a farle sollevare la testa istantaneamente con un'espressione preoccupata. Non sapeva perché, ma era sicura che quell'arrivo non avrebbe portato nulla di buono e temeva che avesse a che fare con Vincent. Era passata una settimana dall'ultima volta che si erano visti al parco; non avevano mai trascorso tanto tempo separati: solitamente, quando Vincent era costretto a partire in uno dei tanti viaggi intrapresi dal padre per motivi economici, la avvertiva sempre. Ma stavolta non le aveva fatto sapere nulla e Monique non poteva nascondere l'inquietudine. In tempi difficili e instabili come quelli, in cui le esecuzioni capitali erano all'ordine del giorno, la paura accompagnava ogni parola e azione di chiunque vivesse a Parigi e in suolo francese.

Si voltò a guardare chi fosse entrato con tanta enfasi e sull'uscio vide Nadine, la sorella di Vincent. Era l'unica sua familiare che aveva avuto modo di conoscere, una ragazza tanto dolce e gentile da averla subito presa in simpatia. Diversamente da come si sarebbero comportate tante altre donne benestanti di allora, non la giudicò per la sua classe sociale, né rimproverò Vincent per avere iniziato a frequentarla tutti i pomeriggi, ma, anzi, li aveva sempre aiutati nei loro incontri a insaputa dei loro genitori e approvato l'amore che era lentamente sbocciato tra di loro. Ma ora, quella stessa affettuosa ragazza aveva un aspetto trafelato e un volto sconvolto come non l'aveva mai visto.

Ignorò i richiami del padre che le stava dicendo di andare a prendere altro vino e si avvicinò a Nadine, chiedendosi il motivo di un tale turbamento, ma allo stesso tempo temendo di conoscerlo. «Cosa è successo?»

«Vincent...» sussurrò l'altra e Monique istintivamente le strinse le mani, da una parte per farle coraggio, dall'altra per sorreggersi. Non sapeva se sarebbe stata in grado di ascoltare cosa aveva da dirle.

«Cosa ha fatto?» insistette. «Dimmelo, ti prego.»

«Non qui» la accompagnò fuori dalla locanda e lì, dopo aver gettato uno sguardo circospetto alle persone che passavano indaffarate per la via, cominciò a parlare.

«È stato arrestato pochi giorni fa e processato davanti al Tribunale rivoluzionario» una lacrima sgorgò dai suoi occhi di un colore verde acceso che le ricordava quello del fratello.

«Perché?» chiese. Aveva la mente in subbuglio e le sembrava che il suo cuore potesse scoppiare da un momento all'altro per la velocità con cui batteva.

«Negli ultimi mesi ha iniziato a familiarizzare con un gruppo di moderati denominati gli “Indulgenti” e guidati da due tali Jacques Danton e Camille Desmoulins. Costoro ritengono che il Comitato di salute pubblica non stia affrontando nel giusto modo le guerre con le nazioni estere e la rivolta interna in Vandea e non debbano agire con la violenza, ma con la pace e la conciliazione» Nadine si interruppe e Monique pensò che quello era proprio il tipo di azione diplomatica a cui più volte Vincent le aveva dimostrato di aderire con i suoi discorsi sulla pace e la libertà che solo la repubblica, quella vera, poteva portare. «Sono stati accusati tutti i sostenitori a questo pensiero di andare contro i princìpi della rivoluzione e le decisioni del Comitato, in particolar modo del deputato giacobino Maximilien Roberspierre.»

«Buon Dio. Come ha potuto Vincent farsi tanto coinvolgere in una faccenda del genere?»

«Sai com'è fatto: sempre convinto e fermo sulle proprie idee» Nadine tirò quindi fuori una lettera da una tasca del vestito elaborato. «Ho trovato questa nella sua stanza. È per te.»

Gliela porse e Monique la prese tra le mani tremanti. Sul retro della busta era scritto a lettere grandi un semplice Per Monique. Era impossibile non riconoscere quella scrittura a lei tanto familiare. Aprì in fretta la lettera e iniziò a leggerla.

Cara Monique, mi dispiace di averti lasciata con tanta fretta e senza dirti nulla, ma la situazione è peggiorata. Forze più grandi di noi reclamano la nostra testa per ragioni che sono ben distanti dai valori della rivoluzione e della ragione, come loro stessi sogliono giustificarsi. Forse non capirai a cosa mi stia riferendo, ma ti sto scrivendo questa lettera perché non sono sicuro di poter superare questi giorni e rivederti ancora. Spero davvero con tutto il cuore che questo non accada perché, semmai davvero dovessi morire, il mio unico rimpianto sarebbe quello di non averti stretta tra le mie braccia abbastanza forte quest'oggi. Se questo dovesse davvero accadere, ti prego di non rimanere attaccata al mio ricordo e alla tua perdita. Sei giovane, hai ancora tutta la vita davanti. C'è tempo per il dolore e la morte. Sono certo che riuscirai a dimenticarmi e ad amare di nuovo. A vivere.

Ti amo. Vincent.

Richiuse lentamente la lettera, cercando di comprendere le sue parole. Perché era già così certo di stare per morire? Lei non poteva nemmeno prendere in considerazione quell'idea, e soprattutto ciò che era scritto alla fine. Non era affatto sicura che, nel caso Vincent sarebbe davvero morto come diceva, sarebbe stata in grado di innamorarsi di nuovo e provare per un altro uomo gli stessi sentimenti che ora sentiva per lui.

«Non capisco: se l'arresto è successo qualche giorno fa, perché vengo a saperlo solo ora? Perché non me ne hai parlato prima? Avremmo potuto cercare un modo per aiutarlo» ribatté Monique in tono di stentata accusa. «Magari avremmo potuto provare a farlo scappare da Parigi.»

«Sono stata via per poco più di una settimana nella villa di alcuni nostri parenti a Dreux. Mio padre mi ha avvertita dell'accaduto solo l'altro ieri tramite una lettera e, appena saputo, sono subito tornata» spiegò Nadine, con il viso abbassato a guardarsi le mani che rigirava continuamente, a esprimere tutta la sua ansia. «Sai bene che non saremmo riuscite a fare alcunché. È quasi impossibile sfuggire al Comitato e, conoscendo Vincent, lui non avrebbe mai accettato di fuggire come un codardo e infamare il nome della nostra famiglia. È troppo orgoglioso per permetterlo e arriverebbe a morire per impedire che un fatto del genere accada.»

«Al diavolo l'onore e la reputazione! Se questa è l'unica possibilità che ci permetterà di salvarlo, allora dobbiamo correre il rischio» affermò Monique con impeto, ricacciando indietro le lacrime che minacciavano di uscire. Tremava al solo pensiero di perdere Vincent; realizzò che quella paura aveva superato ogni altra che avesse provato nella sua vita. Non si era mai accorta fino in fondo di quanto profondamente fosse arrivata a conoscerlo e ad amarlo. «Non posso permettere che gli facciano del male.»

«Temo che sia ormai troppo tardi» ora le lacrime erano aumentate e rigavano il volto di Nadine. «Si è già tenuto il processo ed hanno già decretato la loro sentenza irreversibile.»

Monique rimase in attesa. Le mani erano scosse da fremiti dovuti alla paura per quello che le stava per dire Nadine.

«Loro... Danton ha provato a difenderli, ma... è stato tutto inutile...» singhiozzò.

«Cosa hanno deciso?» la esortò Monique, ormai comprendendo il motivo del pianto della ragazza, ma incapace di accettarlo.

La voce di Nadine uscì come un sussurro, appena percepibile. «Pena di morte.»

 

Monique si ripulì in fretta le guance umide per le lacrime e si sorresse al muro esterno della locanda. La testa le girava e riusciva a malapena a sentire cosa le stesse dicendo Nadine. All'inizio percepì solo un lieve ronzio, ma dopo pochi istanti comprese le sue parole. «L'esecuzione è prevista oggi stesso, questo pomeriggio a Place de la Révolution.»

«Dobbiamo andare, dobbiamo impedire che accada.»

«Monique, sei sconvolta. Non possiamo fare niente per lui ormai» disse Nadine, ma Monique si era già avviata. Conosceva bene la strada; veniva percorsa quasi tutti i giorni dai parigini che volevano andare ad assistere alle esecuzioni pubbliche. Non aveva mai capito quale grande divertimento traessero a guardare persone morire in maniera orribile e addirittura a gioire del loro dolore. Lo reputava un comportamento mostruoso, soprattutto quando le vittime venivano uccise per motivi del tutto futili, proprio come stava accadendo a Vincent.

Si era già raggruppata una folla consistente per le strade che sfociavano nella piazza. Intere famiglie con tutti i loro bambini; sembrava stessero andando a vedere un spettacolo, anziché al patibolo. La moltitudine di gente aumentò sempre di più man mano che si innetteva nella via principale, tanto che si ritrovò stretta tra i corpi delle persone. Non poté fare altro che lasciarsi trascinare e sospingere dalla calca verso la piazza. Finalmente riconobbe i palazzi bianchi che la circondavano e i monumenti che svettavano sopra tutte le teste dei presenti. Riuscì anche a scorgere la sommità del patibolo su cui si trovava la ghigliottina, ma ancora non le era possibile vedere altro.

Si sentì sempre più compressa e dovette iniziare a spingere per avanzare, ancora guidata dal flusso della folla. In casi normali si sarebbe subito scusata con le persone che urtava e che si stavano lamentando rumorosamente delle sue maniere brusche, ma ora l'unica cosa che aveva in mente era Vincent. Con non poca difficoltà e fatica, riuscì ad avvicinarsi quel tanto che bastava per vedere l'intera macchina della morte, circondata da qualche uomo, di cui faceva parte il boia che avrebbe messo fine alle vite di tanti sciagurati. Avanzò ancora nell'intento di vedere dove si trovasse Vincent, ma sulla pedana vi erano solo quei pochi individui. Ora riusciva a distinguere più chiaramente la voce di uno di loro, che stava praticamente gridando per farsi sentire anche al di sopra del forte vociare della gente, ma senza grande successo. Stava leggendo da un foglio. «...Jean-François Delacroix, Claude Basire, François Chabot, Vincent Bourgeois e Fabre d'Églantine.» Al sentire il nome di Vincent, Monique quasi smise di respirare. «Costoro sono accusati di opporsi ai valori della nostra grande Costituzione, andando contro le decisioni prese dagli illustri fautori della gloriosa Rivoluzione. Essa ci ha salvato dalla tirannia del perverso re Luigi XVI e la decaduta regina Maria Antonietta, con tutta la loro famiglia e la loro corte di nobili cialtroni che vivevano nel lusso a danno dei cittadini francesi, costretti a lavorare fino allo sfinimento per guadagnarsi quel poco da vivere che quei sovrani traditori ci permettevano. Ora tutto questo è finito grazie al coraggio di coloro che operano solo per il bene della libertà e dell'uguaglianza dei francesi, ma costoro, questi Indulgenti, non hanno accettato la loro magnanimità, schierandosi contro la giustizia e la ragione che ora ci governano. Pertanto, per le loro idee antirivoluzionarie, hanno meritato la condanna a morte per ghigliottina» concluse, ripiegando la carta e scendendo dal palco. Monique non era riuscita a comprendere tutto il discorso, perché talvolta le parole erano state coperte dalle urla del vicino che cercava di farsi sentire da un compagno, non curandosi di stare disturbando chi aveva intorno. Sentiva una tale rabbia e disperazione per Vincent che Monique era tentata di sfogarsi strillando ed intimando a quell'uomo di stare zitto, ma probabilmente non l'avrebbe nemmeno sentita. Si preoccupò invece di avanzare ancora di più, ma proprio in quel momento il chiacchiericcio della folla aumentò e si trasformò in vere e proprie urla. Venivano da dietro di lei e Monique si voltò nel tentativo di vedere cosa stesse accadendo, ma inutilmente. Quindi, le voci si acuirono e insieme ad esse avvertì anche il rumore di zoccoli sul terriccio, segno della presenza di cavalli, nonostante fossero parzialmente sovrastati dalla confusione. Improvvisamente la folla si aprì e Monique poté vedere dei cavalli trainare ognuno un carretto che trasportava un gruppo di persone. La gente inveiva contro di loro al passaggio dei carri, li minacciava di morte, li derideva e alcuni, come i bambini, tiravano loro manciate di terra, tanto che gli uomini erano costretti a coprirsi come meglio potevano per evitare che questa finisse loro negli occhi.

Erano già passati due carri, quando nel terzo riconobbe di sfuggita un viso e una zazzera di capelli castani fin troppo familiari. Vincent. Era l'unico con la testa alzata; tutti gli altri la tenevano abbassata o per vergogna o per proteggersi dagli oggetti che venivano tirati, ma lui non lo faceva. Guardava tutti gli spettatori con uno sguardo neutro: non aveva paura dei loro volti sprezzanti e del loro odio, e non sembrava neanche minimamente teso per ciò che stava per accadergli.

«Vincent!» Monique iniziò a gridare ripetutamente il suo nome e a seguire il suo carro, per catturare la sua attenzione e rimanergli vicina. «Guardami, Vincent!»

Lui finalmente si voltò e, quando la riconobbe, il suo viso abbandonò l'espressione di apparente calma che aveva indossato per tutto quel tempo, per colorarsi di puro stupore.

Bastò un solo sguardo ai suoi occhi verdi e Monique comprese in realtà quanta paura avesse. Non paura di morire, ma di perdere tutti. I suoi genitori, Nadine e lei. Vincent sussurrò il suo nome, ma la ragazza non riuscì a sentirlo per il forte tumulto che imperversava intorno a loro.

I carri continuarono la loro processione fino alla pedana, dove tutti gli uomini vennero fatti scendere e allineati. Vincent era tra gli ultimi a scendere dal mezzo ed ora che Monique riusciva a vederlo interamente, si accorse che appariva molto più scarno e prosciugato di come ricordava. Dovevano averlo segregato nelle prigioni per tutti quei giorni, senza la possibilità di pulirsi o cambiarsi. Gli abiti, infatti, erano gli stessi che ricordava di avergli visto addosso l'ultimo giorno che avevano passato insieme, solo che ora erano tutti sporchi e la camicia bianca in alcuni punti era strappata. Anche i capelli e il viso erano ricoperti di terra. Si portò una mano alla bocca nel vedere le condizioni in cui versava Vincent. Non meritava quel trattamento, né una morte tanto orribile.

L'uomo che prima aveva parlato risalì sul palco e riprese a leggere dal foglio. «Costoro sono gli imputati che quest'oggi la giustizia punirà per le loro colpe» un boato di approvazione si alzò in tutta la piazza. L'individuo si guardò intorno soddisfatto prima di leggere il nome del primo condannato. «Georges Jacques Danton.» Degli uomini fecero per andarlo a prelevare, ma quello li precedette e si avviò spedito verso la ghigliottina, sempre seguito da questi nell'eventualità in cui provasse a scappare. Accanto alla ghigliottina si trovava un'ulteriore figura, che in quel momento stava tastando la resistenza della corda, e Monique indovinò che quello dovesse essere il boia. Questo aiutò Danton a posizionarsi sulla tavola, ma non prima che quest'ultimo gli ebbe detto, gridando per farsi sentire da tutti: «Non dimenticare di mostrare la mia testa al popolo: ne vale la pena.» Ed è proprio quello che il boia fece, dopo aver tirato la leva e reciso il collo di Danton. Prese per i capelli la sua testa, finita in un sacchetto collegato alla ghigliottina, e la mostrò a tutti. Monique non aveva mai assistito ad un'esecuzione pubblica e la vista del sangue che gocciolava dal capo reciso le provocò un conato tanto forte che per poco non vomitò davvero. Dopo Danton, fu il turno di molti altri che fecero la sua stessa fine. Alcuni si abbandonarono al loro destino, lasciandosi trascinare dagli uomini verso il loro patibolo, altri tentarono un'ultima ribellione, cercando di sottrarsi alla morte, ma non riuscivano mai a fuggire.

«Vincent Bourgeois.» Monique sussultò. Non poteva essere già arrivato il momento. No. Non era ancora pronta a vedere Vincent morire davanti ai suoi occhi. Si diresse ancora più vicina alla pedana a sgomitate. Ormai non le importava più chi le stava intorno; anzi, odiava quella gente che aveva giudicato così in fretta delle persone che non avevano alcuna colpa davvero meritevole di morte.

Vincent si lasciò afferrare dalle guardie senza opporre alcuna resistenza, ma mantenne uno sguardo altezzoso e fisso sulla ghigliottina. Attesero alcuni istanti che la lama della macchina della morte venisse rialzata e per tutto il tempo Vincent guardò Monique che ora si trovava praticamente sotto il palco. Se lui si fosse sporto, si sarebbero anche potuti toccare. «Oh, Vincent...» sussurrò lei, mentre le lacrime sgorgavano e solcavano le sue guancie. Ora il viso del ragazzo mostrava un'infinita tristezza e amore. Monique era certa che se avesse potuto Vincent sarebbe corso da lei, l'avrebbe abbracciata e avrebbe asciugato le sue lacrime, ma sfortunatamente non poteva e lei non credeva che avrebbero più avuto l'opportunità di toccarsi come un tempo.

Quindi, Vincent iniziò a parlare. All'inizio Monique non comprese le sue parole, ma poi riconobbe dal solo movimento delle sue labbra cosa stesse dicendo. Anzi, recitando.

Posso paragonarti a un giorno d'Estate?
Tu sei più amabile e più tranquillo.
Venti forti scuotono i teneri boccioli di Maggio,
E il corso dell'estate ha fin troppo presto una fine.

Dovette interrompersi perché gli uomini lo trascinarono fino alla ghigliottina e lo costrinsero a inginocchiarsi, ma lui subito continuò la poesia.

Talvolta troppo caldo splende l'occhio del cielo,
E spesso la sua pelle dorata s'oscura;
Ed ogni cosa bella la bellezza talora declina,
spogliata per caso o per il mutevole corso della natura.

Il boia gli fece abbassare la testa sul punto esatto in cui sarebbe caduta la lama. Monique non poteva più vedergli il viso, ma era certa che stesse continuando a recitare il sonetto, come fosse un mantra per infondersi coraggio.

Ma la tua eterna estate non dovrà svanire,
Né perder la bellezza che possiedi,
Né dovrà la morte farsi vanto che tu vaghi nella sua ombra,
Quando in eterni versi nel tempo tu crescerai:

La lama scattò e recise di netto il suo collo. Monique sussultò, scossa da singhiozzi incontrollati, le sue gambe cedettero e lei cadde a terra nello stesso momento in cui la testa di Vincent scivolò e sparì nella sacca.

Finché uomini respireranno o occhi potran vedere,

Queste parole vivranno, e daranno vita a te.


 

Angolo dell'autrice:
Questa one-shot è nata quasi per caso. Per un compito di filosofia mi era stato detto di creare un dialogo tra due o più personaggi dall'argomento e il contesto a piacere. Ho deciso, perciò, di ambientarlo durante il Regime del Terrore, gli anni più, per così dire, bui della rivoluzione francese, e da quel semplice testo ho tratto l'ispirazione per scrivere questa storia. Certamente non sarà delle migliori, ma mi farebbe davvero piacere sentire una vostra opinione su di essa. Fa sempre bene confrontarsi con dei pareri esterni. Grazie mille a chi è arrivato a leggere fino a questo punto e vorrà lasciare una recensione. :)

   
 
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