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Autore: Pippistro    24/10/2016    5 recensioni
[ATTENZIONE SPOILER-WHAT IF?]
Frattaglia incontra Viktor non da cadavere ma da vivo, tra le strade di Venezia. Cosa sarebbe accaduto se fosse riuscito a salvarlo dal suo desiderio di lanciarsi nel vuoto oppure il destino è inevitabile? E, inoltre, esiste il destino?
Spero vi piaccia. Alcune frasi sono tratte direttamente dal romanzo quindi invito chi non l'ha ancora letto di evitare di spoilerarsi l'opera di Penelope Delle Colonne con questa storia. A differenza del romanzo, ho usato la prima persona passato.
Genere: Angst, Horror, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Frattaglia, Viktor Bojanovič Mickalov
Note: What if? | Avvertimenti: Gender Bender, Spoiler!, Tematiche delicate
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No, non ne avevo mai visto uno così bello. Muovevo i fili delle marionette mentre mio zio recitava le battute del teatrino e intanto lo guardavo. Non potevo fare a meno di guardarlo. Se ne stava lì, in mezzo alla gente curiosa, con la testa leggermente piegata di lato, un sorriso a mezz’asta, il volto pallido incorniciato dai capelli neri e il naso ritto come una lama. Poteva apparire come il figlio di un re, ma lo avrei visto anche disteso in una bara circondato dai crisantemi. Le sembianze erano quelle di un dio, sprezzante. E sembrava anche disgustato. Da cosa?
«Ho in vena e in cuore
Qualcosa di molto simile all’amore.»

Recitò il fantoccio, completo di tuba e occhiello, grazie ai movimenti veloci e attenti delle mie mani… ma… ma sentivo le guance andare a fuoco, le dita tremavano sotto quello sguardo. Lui era ancora lì che spuntava tra la follia folle delle folle; un buco nero tra i rosa e i pizzi veneziani. Rideva di tanto in tanto a una battuta dello zio e le mie dita tremavano. Mi sentivo come chiuso in una bolla di sapone, separato dalla frenesia del mondo esterno, dalle urla, gli applausi e il tanfo lagunare. C’era solo lui: sottile, levigato e immenso, così grande da nascondere tutto il resto. Sbocciò un’altra risata sulle sue labbra. I denti bianchi sbucarono tra le labbra rosee. Sorrideva maledettamente bene, ed io mi innamorai maledettamente in fretta. Poi dita puntate. Battiti di mani. Bambini e grasse puttane.
«E gli impiccati fan din don»
Concluse mio zio con un inchino pomposo. La marionetta imitò il dondolare di un cadavere. Il signorino stava ridacchiando; la mano fasciata nel nero davanti alla bocca. Sorrideva, sorridevo anch’io. Ridi pagliaccio, sul tuo amore infranto. Ad un tratto sollevò il viso e i suoi occhi quasi bianchi, dalla forma sottile e allungata, incrociarono i miei. Li violentarono. Il mondo sembrò dissolversi. Avrei voluto dire qualcosa, ma avevo la gola secca e non riuscivo a trovare quelle dannate parole.
Cosa si diceva in quei frangenti? Come si avvicina una persona?
Ciao, come ti chiami? Buon giorno, signore? Posso offrirti qualcosa da bere? …avessi avuto qualche soldo vero, magari, e non quegli stupidi spiccioli. Mi vergognavo della mia tuba con i bordi tutti lacerati e la giacca lunga fino alle ginocchia. Avevo una spruzzata di rosso sul naso, la pelle cosparsa di farina a chiazze e gli occhi cerchiati di fuliggine. Pagliaccio ridicolo.
Eppure, eppure dovevo provare. Diamine, me ne stavo sempre in un angolo, solo, senza avere il coraggio di fare un passo. Non si può vivere sempre nelle retrovie, no? Bisogna farsi sentire, parlare, parlare anche se si dicono stupidate, anche se non si sa cosa si vuol dire. La gente prende in considerazione solo chi parla, i silenziosi sono bollati come nulla a due gambe. Quindi sbrigati burattinaio, racimola il coraggio, indossa una faccia allegra, spiaccica due parole e provaci! Almeno… almeno avrai assaporato l’illusione di un breve volo prima dello schianto. Tre. Un passo avanti. Due. Deglutire. Uno. Schiudere le labbra e… il signorino fece tintinnare un ducato nel piattino e si volse di spalle spostandosi una ciocca dietro l’orecchio puntando la strada costeggiata di bancarelle e fumi.
Se ne stava proprio andando. Non l’avrei più rivisto.
«Raccogli i soldi» mi spintonò mio zio.
Quasi caddi, aggiustai il fiocco pendente dalla gola e tesi il piattino ai clienti. Ringraziavo a testa bassa e, nel mentre, allungavo il collo per vederlo. Ora o mai più. Ora o mai più. Strinsi i pugni, gonfiò il petto, inghiottii un grumo di saliva e mi tagliai una strisciolina dal cuore spenzolandola davanti a lui, appesa a un amo. «La ringrazio dell’offerta!» buttai fuori, sporgendomi oltre i capelli stopposi e le guance colorate. Il signorino levò lo sguardo, sorpreso.
Accennò un sorriso tirato. «Bello spettacolo» disse con uno strano accento duro.
«Grazie» pronunciai, ma la folla era troppa.
Se solo avessi avuto un fucile! «Dasvidania» rispose frettoloso, sistemandosi il cilindro per poi lasciarmi lì, tra la gente e gli spintoni. Ancora una volta, solo.

Ringrazio i lettori di questo breve, primo capitolo. Come potete notare, alcune frasi sono tratte dal romanzo originale.
 
   
 
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