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Autore: Blablia87    24/10/2016    7 recensioni
Cosa si può fare, in 180 giorni?
Alle volte, si può cambiare una vita intera.
[AU][Tematiche delicate]
Genere: Malinconico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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-108
 
Ho scoperto che l’immobilità non è poi tanto orribile, se è la mano di chi ti dorme affianco a trattenerti.  Una zavorra viva, fremente, sul tuo corpo.
 
Pensare di non volermi muovere per non correre il rischio di svegliarlo non cambia la realtà, chiaramente. 
 
È una scusa infantile, la fuga temporanea da una verità molto più misera, molto più organica.
 
Ne sono perfettamente consapevole.
 
Ma è anche ciò che trasforma una staticità innaturale, subita, in una normale, voluta.
 
 
 
Fino a due giorni fa non avevo idea di cosa significasse condividere il letto con qualcuno. Sentire la persona accanto a te muoversi, respirare… esserci.
 
Passo le notti ad analizzare ogni dettaglio, ad incamerare informazioni, ad applicare il metodo scientifico ad una realtà empirica. Osservo, registro. Preservo.
 
Come se il filtro dell’intelletto potesse trasformare il mistero in chiarezza.
 
 
 
John dorme prevalentemente sul fianco destro (nonostante si addormenti supino), la mano sinistra appoggiata sul mio petto.
 
Intervalla momenti di sonno profondo ad altri nei quali appare più agitato.
 
Muove le gambe, serra i pugni, il viso si contrae in spasmi dolorosi.
 
La guerra è ancora lì, è palese, sotto le palpebre abbassate e le ciglia chiare.
Aspetta che il sonno lo disarmi, prima di tornare ad aggredirlo con forza, vile.
 
 
Questa notte, dopo un momento particolarmente agitato, si è spinto più vicino a me, chiudendo tra le dita la casacca del mio pigiama.
 
“John…?” Ho provato a chiamarlo, portando la mano destra sulla sua e facendo una leggera pressione.
 
Ha mugugnato qualcosa, allentando la presa senza svegliarsi.
 
“Va tutto bene.”
 
Ho osservato il suo viso, in cerca di qualche segno di distensione.
 
“Ti copro io.”
 
Mentre i suoi movimenti si facevano più radi e lenti, fino a fermarsi, mi sono chiesto se – in quel momento - ci stesse sognando vicini, tra la sabbia fredda di una notte afghana.
 
 
Non ho mai desiderato essere un soldato.
 
Come ogni cosa che imponga una – a tratti illogica - disciplina ferrea ed una muta subordinazione, non ha mai destato la mia attenzione o riscosso la mia stima.
 
Ma succede, alle volte, che chiuda gli occhi e provi a immaginarmi al suo fianco.
 
Che tenti di capire come sarebbe stato esserci, trovarmi davvero così vicino da impedire che un proiettile lo colpisse. Che il suo sangue si mischiasse alla polvere.
 
 
Spesso - in passato - mi sono dovuto difendere, anche violentemente.
 
È sempre stato un meccanismo naturale, l’autoconservazione che allarga le pupille e rende rapidi movimenti, gambe e pugni.
 
Ogni colpo però, ogni cazzotto, è sempre stato unicamente per difendere me stesso.
 
 
Con la mano di John sul petto e il suo respiro caldo tra i capelli, invece, ho realizzato che potrei ferire qualcuno, per lui. Senza esitazione. Senza rimorsi.
 
In un certo modo, l’ho già fatto.
 
 
Ho capito che potrei uccidere, se da questo dipendesse la sua salvezza, e non ci sarebbe alcun timore a frenare le mie mani.
 
 
Non credevo che l’istinto di sopravvivenza potesse proiettarsi su qualcun altro.
 
Probabilmente, non è possibile.
 
Evidentemente sono altri i meccanismi che muovono i miei pensieri quando vaglio queste ipotesi durante la notte, incapace di staccare gli occhi dal suo viso così vicino al mio.
 
 
Mi sono anche domandato cosa sarebbe successo se, in bilico su quella balaustra, fossimo stati in due.
Se fosse stato lui a materializzarsi nel mio incubo, e solo uno di noi avesse avuto la certezza di salvarsi.
 
 
Questa mattina, mentre schiudeva gli occhi ed il blu delle sue iridi tornava a dare ossigeno ai miei pensieri, ho avuto la risposta.
 
 
 
Cadrei di nuovo.
 
 
 
Non importa quanta paura abbia provato, mentre sotto di me il vuoto diveniva denso e reale. 
 
 
 
Il mio sguardo che si chiude sul mondo varrà sempre meno del suo che si apre su una mattina qualsiasi.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
-107
 
[11:11] Ti andrebbe una birra, domani sera? Così mi racconti degli ultimi giorni e di queste “grandi novità” alle quali mi accennavi! GL
 
 
[11:14] Sarebbe meraviglioso, Greg. Oltretutto mi serve proprio una scusa per uscire. JW
[11:15] Una scusa? GL
 
[11:17] Devo passare in un posto, ed è aperto solo di sera. Non voglio che Sherlock lo sappia, però. JW
[11:18] Non per il momento, almeno. JW
 
[11:20] Se mi accompagni a sbrigare questa piccola faccenda poi andiamo al nostro vecchio caro pub a Britton Street. JW
 
[11:22] Devo preoccuparmi? GL
[11:23] No, tu no. Devo preoccuparmi io, dovessi sbagliare qualcosa! JW
 
[11:25] Mhm. Va bene… Ti passo a prendere alle 20? GL
[11:26] Perfetto. JW
 
 
 
[11:37] Ah, Greg! JW
[11:38] Non è che avresti qualche caso aperto? Sherlock si sta annoiando molto, e vorrei… non lo so, che provasse di nuovo a muoversi “sul campo”. JW
 
[11:40] Non ho molto, al momento. Ma se credi che sia pronto, posso contattarvi non appena ce ne sarà occasione. GL
[11:41] Sarebbe stupendo, grazie. JW
 
[11:43] D’accordo. Non ti nascondo che in questi mesi è stata molto dura, senza di lui. GL
[11:44] Non dispiacerebbe neanche a me tornare a sentire la sua voce darci degli incompetenti e subito dopo anche il nome del colpevole. GL
 
[11:46] È davvero molto bravo, vero? JW
 
[11:48] Già. Il migliore, che alla mia squadra piaccia ammetterlo o meno. GL
[11:49] Non avevo dubbi. JW
 
[11:51] Mi dispiace solo che vi siate dovuti conoscere in queste circostanze. GL
 
 
[11:55] Le circostanze ci ha portato dove siamo. Per quanto terribili siano, non cambierei niente del nostro vissuto insieme. JW
 
 
[11:58] Nemmeno un secondo. JW
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
-106
 
Delle volte resto fermo, perso con lo sguardo tra i ricci scuri che si agitano sopra gli occhi attenti che animano il suo viso e danno forma alle sue espressioni.
 
Ne seguo le pieghe, i capricci, le fughe ribelli agli angoli delle orecchie, e penso che non esistano parole adatte a raccontare cosa mi squarci il petto le rare volte nelle quali lascia, docile, che le mie dita li attraversino.
 
 
Non so se si renda conto di quanto sia bello, chino sul suo microscopio come un bambino su uno stagno carico di vita.
 
Continuo a riportare gli occhi sullo schermo del pc che ho sulle gambe, mi sforzo di leggere le mail, di rispondere agli studenti, di tracciare in poche, inadeguate righe la descrizione dell’uomo che osservo di nascosto - quasi con timore - da una poltrona che fingo di non ricordare essere “la sua”… ma è inutile.
 
Mi ritrovo al suo viso non appena allento un po’ la presa sulla mia volontà, il canto della sua presenza come un richiamo ineluttabile.
 
 
 
Mi siedo qui, sempre, quando lui è in cucina.
 
Da questa posizione il Titanic scompare, e resta solo il suo profilo curvo e attento, la sua mascella che si contrae ritmicamente.
Resta l’uomo che era anche prima di me e che immagino sarebbe stato comunque - anche se non ci fossimo mai incontrati - troppo fiero, troppo testardo per arrendersi davvero senza tentare.
 
Ogni tanto si ferma, e si volta verso di me.
 
D’istinto, riporto sempre l’attenzione al computer, convinto che il mio ammirarlo da lontano sia rumoroso, persino fastidioso, ai suoi sensi.
 
 
“Stasera esco con Greg. Andiamo a bere una birra. Ti andrebbe di venire?” Ho chiesto qualche minuto fa, già conoscendo la risposta.
 
“No, direi di no. I pub non sono proprio il mio ambiente.” Ha risposto, senza distogliere l’attenzione dal vetrino.
 
“Non dovrei far troppo tardi, ad ogni modo.” Ho continuato, sentendomi improvvisamente ridicolo, un ragazzino che cerca di giustificare la sua assenza in casa dietro la scusa della scarsa durata dell’incontro.
 
Lui non ha aggiunto altro, limitandosi ad un leggero movimento del capo.
 
“Greg ha detto che ci chiamerà, dovessero esserci nuovi casi.”
 
Per un attimo il tremore della sua mano sinistra è stato evidente, nonostante la tenesse appoggiata al tavolo.
 
“Ancora fogli e fascicoli polverosi?”
 
“No, indagini sul campo.” Ho specificato.
 
Lui si è girato nuovamente verso di me, la bocca socchiusa.
 
“Niente carte. Scene del crimine.” Ho rincarato, mentre una felicità trattenuta compariva oltre il nero delle pupille.
 
“Sperando che siano a livello strada e senza barriere architettoniche.” Ha soffiato, dopo qualche secondo, di nuovo teso.
 
“Esistono gli ascensori.” Ho sorriso io.
 
“E se avessi bisogno di chinarmi sul corpo? Di analizzare una traccia?” Più parlava, più un timore che non avevo mai visto adombrare le sue parole si faceva largo nella voce.
 
“Mi dirai cosa guardare, cosa toccare, e lo farò io al posto tuo. Sempre che tu non lo faccia, semplicemente, da solo.” Ho inclinato la testa, cercando di apparire convincente.
 
“E se fosse a terra?” Ha continuato.

“E se fosse su un tavolo? Cambierebbe qualcosa? Cambierebbe la tua capacità di analisi?”
 
È rimasto in silenzio qualche secondo, gli occhi fissi davanti a sé.
 
“Verrai con me?”
 
“Certo. Certo che verrò con te. Non perderei l’occasione di vederti all’opera per nulla al mondo.”
 
Ha abbassato lo sguardo, prima di annuire.
 
“Bene. Le scene del crimine sono divertenti.”
 
Detto questo, è tornato a dedicarsi al microscopio.
 
 
 
 
No, non credo che sia consapevole della luce che emana, costantemente, anche dietro un velo di timore, anche davanti alle sue fragilità.
 
 
Di quanto buio prenderà il suo posto quando, alzando gli occhi, troverò solo un tavolo vuoto.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
-106
 
[20:22] Mayflower. SH
 
[20:24] Scusa…? GL
[20:25] Porta John al Mayflower. Rotherhithe Street. Lato sinistro del Tamigi. SH
 
[20:27] Potrei chiedere perché…? GL
[20:28] Perché detesta il tuo stupido pub su Britton Street. E ama il May. SH
 
[20:30] Ma non è vero! GL
[20:31] Sì che lo è. Non te lo ha mai detto perché sa che è uno dei tuoi posti preferiti. Ma lì servono solo birre alla spina, John ama quelle artigianali. SH
[20:32] Le migliori birre artigianali e la scelta più ampia ce l’ha il Mayflower. SH
 
[20:34] Ma… sono ANNI che andiamo a Britton! GL
[20:35] Quindi sono ANNI che John non si gode una birra come si deve. SH
 
[20:37] Te l’ha detto lui? GL
[20:38] No. Me lo dice il fatto che per uscire di casa abbia indossato il suo peggior cappotto. SH
 
[20:40] Ok. Non ha alcun senso. GL
 
[20:42] Non vuole che l’odore di fritto del pub si attacchi alla giacca buona. SH
[20:43] Ha scelto il soprabito più leggero, avrà freddo, ma preferisce il rischio di ammalarsi all’idea di andare in classe domani con addosso il “profumo” di fish and chips scadente che servono in quel posto. SH
[20:44] Prima che tu faccia domande stupide, sappi che ho controllato il menù personalmente via internet. So che servono fish and chips e, dalle foto, è chiaro che sia scadente. SH
 
[20:46] Portalo al Mayflower. SH
 
 
[20:48] Va bene… andremo al Mayflower! GR
[20:49] Lieto di averti convinto. SH
[20:50] In realtà a domanda diretta ha ammesso di odiare il pub su Britton Street. Ero SICURO che gli piacesse! GL
 
[20:52] Tu guardi ma non osservi. SH
 
[20:54] Ti ricordo che dipende da me il tuo rientro operativo su i casi. GL
 
 
[20:57] Ti ricordo che quasi sempre dipende da me, se su quei casi puoi scrivere “risolto”. SH
 
 
[20:59] Buon proseguimento di serata. SH
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
-105
 
Questa mattina, al mio risveglio, John era già uscito.
 
È incredibile con quanta velocità la mente si abitui ai cambiamenti, si plasmi su nuove abitudini, duttile e malleabile come creta.
 
Dopo una vita intera a dormire solo - il più delle volte per poche ore ed in modo discontinuo - il vuoto della sua assenza sarebbe dovuto apparire ai miei sensi come normale.
 
Invece, sono stato sommerso da un improvviso timore e, per qualche attimo, mi sono sentito perso.
 
 
“John?” Ho provato a chiamare, tentando di portarmi il più velocemente possibile in posizione seduta.
 
“JOHN!”
 
 
Dopo qualche secondo, i passi leggere e cadenzati della signora Hudson hanno iniziato a farsi spazio nell’appartamento, sempre più vicini.
 
Quando - dopo aver bussato ed atteso il mio consenso ad entrare - si è affacciata alla porta, il suo viso è apparso perplesso.
 
“Dov’è John?” Ho chiesto, scostando il lenzuolo con la mano.
 
“A lavoro, caro! Sono quasi le dieci e mezza!” È stata la risposta, mentre avvicinava la sedia al bordo del letto.
 
Mi sono bloccato, le sopracciglia aggrottate.
 
“Non credevo di aver dormito tanto…” Ho esitato, voltandomi un’ultima volta in direzione della sua metà del letto.
 
“Evidentemente ne avevi bisogno.” Ha sorriso lei, tenendo fermo il Titanic mentre mi accomodavo sul sedile.
 
Immagino sia vero.
 
 
 
John si è lamentato per quasi tutta la notte, il viso contro il cuscino ed una mano attorno al mio polso.
 
Non è servito a niente cercare di parlargli, né vegliarlo per monitorare il suo sonno.
 
 
 
Più tentavo di placare i suoi spasmi, più la sua voce si arrochiva sulla mia, chiamandomi con una disperazione che non avevo mai sentito durante i suoi incubi sulla guerra.
 
 
Mi chiedo cosa possa aver sognato di tanto terribile da superare l’orrore ed il dolore dell’immagine di un soldato, un ragazzo, che si accascia esanime tra le tue braccia.
 
 
Possibile…
 
No. Non lo è.
 
Non voglio, non posso pensare di essere per lui peggio della guerra.
 
 
 
 
Non voglio essere un nuovo campo di battaglia dove far fiorire il suo dolore.
 
No, se dev’essere un’agonia tanto forte.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
-105
 
“Pronto? Sherlock? Che succede? Va tutto bene?”
 
“Non mi hai svegliato, andando via, questa mattina.”
 
“No, io… dormivi così bene che ho pensato di non disturbarti.”
 
Devi svegliarmi, la mattina.”
 
“Devo? Ma scus—“
 
“Non voglio svegliarmi e non trovarti, hai capito? Non voglio chiamarti e non sentire risposta!”
 
“Sherlock, non credevo d—“
 
“Hai capito?!”
 
“Sì, sì Sherlock, ho capito. Prometto di svegliarti, la prossima volta.”
 
“E se per te rimanere con me vuol dire essere di nuovo in guerra, i—“
 
“In guerra? Ma che stai dicendo? Che c’entra la guerra, adesso?”
 
“Cos’hai sognato, stanotte?”
“John!”
 
“Non me lo ricordo, Sherlock. Non tutti i sogni si ricordano, al mattino.”
 
“Stai mentendo.”
 
“Senti, gli studenti stanno per arrivare, e…”
 
“Se stare con me ti fa male, John, voglio che tu smetta. Adesso. Non è ancora troppo tardi.”
 
“Quello che dici non ha senso.”
 
“Cos’hai sognato?”
 
“Smettila. Ti ho già detto che non lo ricordo.”
 
“Ed io ho già detto che è una bugia.”
“JOHN.”
 
“Dio! Va bene! Ho sognato che eravamo in quel maledetto cantiere, ed io non riuscivo a muovermi mentre precipitavi verso di me! Sei contento adesso?!”
“Quando mi sono svegliato stavi dormendo. Profondamente. Vedevo il tuo petto muoversi, lento, vivo, e… semplicemente ho fatto l’evidente errore madornale di lasciarti riposare. Mi dispiace. Infinitamente. La prossima volta ti sveglierò anche fosse l’alba.”
 
“Sognavi la Caduta…? Io… pensavo stessi sognando…”
 
“Cosa? La tua morte? Sherlock… tu hai fatto una scelta, ed io ho detto di averla accettata. Non ho paura del dolore. Non del mio, almeno. Però… sono terrorizzato dal tuo.”
 
“Non farà male, John. Lo sai. Mi sederanno, e…”
 
“Già… ma lo ha fatto. Ha fatto un male orribile, ed io non ero lì.”
 
“Non.. non ha senso. Non ci conoscevamo neanche.”
 
“Lo so. Ma non posso farci niente. Preferirei saperti ignaro della mia esistenza ma al sicuro da quel momento, che stringerti ogni sera ricordando di essere arrivato tardi.”
“Ora…”
“Ora devo proprio andare. Scusami.”
 
 
 
“Ah, Sherlock… Hai già trovato il pacchetto in salotto?”
 
“Pacchetto? No. Non sono ancora andato di là.”
 
“Ok. Fammi sapere che ne pensi, quando puoi.”
 
 
 
“John…?”
 
“Sherlock.”
 
 
 
“Non sei arrivato tardi.”
 
 
 
“Io…”
 
“I tuoi studenti sono arrivati sul serio, adesso. Sento le loro voci. Va’ a riempire le loro teste di nozioni.”
 
“Sherloc—“
 
 “Buona lezione, John.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
-105
 
“Cyrano de Bergerac, l’Opera lirica.”
 
L’unica scritta – nera, lucida – presente su i due piccoli biglietti dorati adagiati con cura sul fondo del pacchetto azzurro lasciato da John al centro del tavolo del salotto.
 
Royal Opera House, palco centrale del primo ordine, a giudicare dalla numerazione.
 
“Lo spettacolo è questa sera, ore 21. Il libretto è quello della stesura originale del 1936 di Henri Caïn, in francese. Spero possa andar bene. J.”
 
Ha scritto a penna, con grafia curata, su di un cartoncino avorio nascosto sotto i due talloncini.
 
Dev’essere impazzito.
 
Totalmente impazzito.

 
 
 
 
 
 
 

 
 
 
-105
 
 
[12:37] Quanto hai speso, esattamente, per quei biglietti? SH
 
 
 
 
[13:01] Devo dedurre che tu abbia trovato il pacchetto? JW
 
[13:03] È la prima, John. Li avrai pagati una fortuna! SH
 
[13:05] Cercavo solo un modo per poter indossare anche io un tight. JW
[13:06] John. SH
 
[13:08] Sherlock. So che ami Cyrano, ho visto con quanta cura è riposto sulla libreria il libretto della commedia teatrale. JW
[13:09] È forse l’unica cosa incartata ed in ordine nell’intero appartamento. Avanti, è solo una serata a teatro! JW
 
[13:11] E mi farebbe davvero piacere che tu fossi il mio accompagnatore. JW
 
 
[13:16] Allora? Posso passare a ritirare il mio abito, prima di tornare a Baker Street? JW
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
-105
 
“Scusa il ritardo, ci ho messo più del previsto a trovare i gemell—“
 
“La tua espressione, in questo momento, ricorda vagamente quella che avevi la prima volta che mi hai visto.”
 
“I capelli, e…”
 
“Ho chiesto la gentilezza alla signora Hudson di far venire qui il barbiere con il quale tradisce il panettiere da circa sei mesi, da quanto ho potuto dedurre.”
 
“Il panettiere…? No, voglio dire: stai benissimo, è…”
 
“È solo un po’ di gel. Sparirà alla prima doccia.”
 
“Beh, qualunque cosa sia e qualunque sia la sua durata sei… bellissimo.”
 
 
“Il tuo gilet ha l’abbottonatura bassa. Ed è grigio.”
 
“Cosa? Ah, sì. Mi dichiaro colpevole.”
 
“Ed è più scuro dei pantaloni.”
 
“Di nuovo, sì.”
 
“È una scelta bizzarra.”
 
“Ho sempre detestato il color avorio.”
 
“Una scelta simile renderebbe impresentabile la maggior parte delle persone.”
 
“Perfetto. Ora mi sento un idiota.”
 
“Ma, stranamente, a te dona molto.”
 
“Dovrebbe essere un complimento…?”
 
“Il fatto di rendere adeguato ad un gala un abito che da solo ridicolizzerebbe chiunque?”
 
“È un complimento.”
 
“L’unico del quale temo di essere capace.”
 
“Ne farò tesoro, allora. Vogliamo andare?”
“Ah, prima che me ne dimentichi… ecco… qua. Mancava proprio un fiore, all’occhiello.”
 
“Che fiore è?”
 
“Una camelia.1) Era l’unica cosa rimasta al fioraio sotto il mio appartamento. Prendo i cappotti.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
-105
 
“Cosa c’è scritto, qui? Riesco a capire il senso, ma non a cogliere tutte le sfumature.”
 
Per la tua felicità darei in cambio la mia, quand'anche tu non lo sapessi mai; così, soltanto per sentirti ridere qualche volta, da lontano, di quella gioia data dal mio sacrificio.”
“Va tutto bene?”
 
“Sì, Sherlock… Va tutto bene.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
-104
 
I fiocchi non chiedono niente in cambio della loro bellezza, non vogliono che si ricambi il loro amore.
 
Nascono, vivono e si sciolgono nel silenzio, un mistero stretto tra i cristalli trasparenti, visibile solo se ci si avvicina abbastanza.
Lo so.
 
Perché ne ho stretto uno tra le mani, questa notte.
 
 
 
 
 “Hai mai amato qualcuno senza che lo sapesse?” Ho chiesto a bruciapelo, una volta a casa, la voce roca e le mani gelate per il freddo, qualche fiocco di neve ancora in bilico sulle gambe.
 
John si è fermato un attimo, il cappotto tra le dita.
 
“Intendi dire come Cyrano?”
 
Ha appoggiato il soprabito sul divano, pensieroso, negli occhi la stessa ombra che avevo visto accompagnare il suo sguardo durante tutto lo svolgimento dell’opera, legandosi ad ogni parola, mentre - le mani appoggiate al velluto del parapetto - lasciava che il suo cuore si adagiasse tra le assi logore del palco.
 
“Può darsi.” Ho sussurrato, dopo qualche secondo.
 
“E perché hai deciso di restare in silenzio?” Ho continuato, incapace di riuscire a scorgere la verità - il segreto dietro al sipario del suo viso - alla quale volevo giungere ad ogni costo.
 
 
“Perché non sempre dire a qualcuno che lo si ama è la cosa giusta.”
 
 
Si è slacciato il gilet, lasciandosi cadere sul divano.
 
“Tu? Hai mai amato qualcuno da lontano?” Ha chiesto poi, accennando un sorriso.
 
“No, direi di no.” Mi sono affrettato a rispondere. “In realtà, non credo di aver mai amato nessuno.” Ho aggiunto, passandomi una mano tra i capelli, cercando di disfare il grumo di ordine innaturale che sentivo premere sulla testa.
 
John è rimasto in silenzio, annuendo appena. Si è portato il labbro inferiore tra i denti, stringendolo con aria assorta.
 
“Non ho neanche mai chiesto a qualcuno di uscire, in tutta sincerità. Penso tu sia stato il primo vero appuntamento della mia vita.”
 
Ha socchiuso la bocca, sorpreso, alzando uno sguardo incredulo su di me.
 
“E… Victor?”
 
“Victor non aveva bisogno di appuntamenti galanti. Preferiva l’ombra.”
 
Si è fermato di nuovo a riflettere.
 
“Io avrei bisogno di appuntamenti, invece?” Ha chiesto, dopo qualche secondo.
 
“È diverso.” Ho spostato il Titanic in modo da poter andare in cucina.
 
“Perché sarebbe diverso?” Ha insistito, con una vaga nota di fastidio nella voce.
 
“Perché io sono diverso.”
 
Si è alzato, seguendomi nell’altra stanza, i suoi passi a fare da accompagnamento al rumore soffuso delle ruote sul pavimento.
 
“Spiegami.” Con passo veloce mi ha superato, aggirando il tavolo e fermandosi di fianco al frigorifero.
 
“Non c’è niente da spiegare. Credo sia evidente che non sono più l’uomo che ero ai tempi della mia frequentazione con Victor.” Ho esternato, accompagnando le parole con un gesto plateale.
 
John ha deglutito un paio di volte prima di tornare indietro, verso il salotto, la testa bassa e i le mani strette lungo i fianchi.
 
 
 
“Tu credi di essere incompleto, difettoso, ma non è così.” Dopo qualche minuto la sua voce ha riempito il silenzio, giungendo in cucina stanca, ovattata. “Se solo volessi, potresti avere ancora ogni cosa. Anche lui.”
 
“Lui?” Ho chiesto, sorpreso, affacciandomi sul salotto e trovandolo in piedi, il viso verso una delle finestre.
 
“Non devi necessariamente pensare che non puoi avere qualcosa solo perché sei diverso dall’uomo che eri.” Ha continuato, senza voltarsi. “E non devi necessariamente cambiare le tue abitudini per adattarle alle mie.”
 
“John…” Ho iniziato, le ruote della sedia quasi immobili sotto il peso della stanchezza. “Credo che tu non abbia capito. Non rimpiango l’ombra. E se a volte la desidero, è perché nasconda il mio corpo quando è solo, non quello che diventa vicino al tuo.”
Ho buttato fuori velocemente, cercando di riprendere fiato, annaspando in cerca di aria.
 
Poi ho chiuso gli occhi, pronto a cadere di nuovo.
 
“Non ho mai chiesto a qualcuno di uscire perché non mi è mai interessato avere qualcuno accanto. Victor aveva timore che ci vedessero insieme ed era esattamente ciò di cui avevo bisogno. Questa sedia mi ha portato via ogni cosa e la odio, è vero, così come odio il mio corpo.”
 
Mi sono fermato, la voce spezzata, irriconoscibile.
 
“Gli unici momenti nei quali trovo sopportabile trovarmi relegato qui sono quelli che passo in tua compagnia.” Ho esalato, esausto, riaprendo ed abbassando gli occhi mentre si voltava verso di me.
 
 “Gli unici momenti nei quali non odio questo corpo sono quelli nei quali… tu lo accarezzi. È diverso… - ho cercato di continuare, senza riuscire ad ammettere che un sussurro  - perché se lui non aveva bisogno di farsi vedere in pubblico con me, io ho bisogno di farlo con te.”
 
“Io non capisco.” Ha ammesso, avvicinandosi, incerto.
 
“Non è necessario.” Ho annaspato.
 
“Sì, invece.” Si è seduto a terra, con uno sbuffo, in modo da poter scorgere il mio viso dal basso. “Voglio capire, perché ho la costante paura di non essere abbastanza.”
 
Ha aspettato per qualche secondo che rispondessi, inutilmente.
Non riuscivo a trovare le parole adatte ad allontanare da lui l’ombra che nuovamente si allungava sul suo viso, nei suoi occhi.
 
“Va bene. Allora ti racconterò del mio amore non corrisposto.” Ha cominciato, arrotolando le maniche della camicia.
 
“Ero al liceo, ultimo anno. Ero perdutamente innamorato di una mia compagna del corso di inglese.”
 
Ho aggrottato la fronte, fissandolo con la coda dell’occhio.
 
“Non ci eravamo praticamente mai parlati ma io, con la risolutezza dei miei diciassette anni, ero convinto che fosse la mia anima gemella.” Ha sorriso al ricordo, ed io ho sentito una fitta attraversarmi il cuore, rovente.
 
“Avevo previsto ogni cosa: le avrei chiesto di venire al ballo di fine anno con me e poi, durante un lento, mi sarei dichiarato. Ma, alla fine, non feci nessuna delle due cose. Rimasi semplicemente fermo a guardarla ballare con il suo cavaliere per tutta la sera.”
 
“Perché?” Ho chiesto, confuso.
 
“Perché mi ero accorto che anche lei aveva gli occhi costantemente volti verso qualcuno. E quel qualcuno non ero io. Io non avevo speranze, ma lei sì. Ho deciso che fosse meglio che il ballo aiutasse loro a dirsi che si amavano.”
 
 
“Pensi… che preferirei ballare con qualcun altro?” Ho azzardato, dopo qualche attimo di silenzio.
 
“Penso che potresti ballare con chiunque, se solo volessi. E l’idea che tu stia ad un angolo della pista con me per paura e non per scelta mi logora.”
 
“Non sei un ripiego, John. Non sei niente di tutto questo.” Ho cercato di dire, la gola in fiamme.
 
Ha socchiuso gli occhi, di nuovo limpidi.
 
“Balleresti con me…?” Ha chiesto, dopo qualche secondo, incerto.
 
“Cosa?” Ho balbettato.

“Balleresti con me?” Ha ripetuto, più sicuro.
 
“Non posso, e lo sai.” Ho risposto di getto, una paura irrazionale e far tremare i nervi e le vene.
 
“Tu puoi fare ogni cosa, Sherlock.” Si è piegato in avanti, dandosi una spinta veloce per tornare in piedi. “Sei l’uomo più testardo e più coraggioso che abbia mai conosciuto. E credo in te più che in chiunque altro.”
 
Mi ha poggiato una mano su una spalla, stringendo appena, un sorriso dolce sul viso.
 
“Vado a fare la doccia, inizio ad essere un po’ stanco.”
 
Ho afferrato il suo polso con forza, con l’urgenza che non mettesse fine a quel contatto.
 
“Non so ballare, John. Non l’ho mai fatto.” Ho sussurrato, chiudendo gli occhi, le parole ormai parafrasi costante di quanto sentivo muoversi nel petto.
 
Lui è rimasto fermo per qualche attimo, voltato verso di me, le labbra socchiuse e gli occhi lucidi.
 
“Non importa saperlo fare. Non esiste un modo giusto o sbagliato. Basta riuscire a sentire la musica.”
 
Ancora imprigionato tra le mie dita è tornato indietro, liberandosi con dolcezza. Poi, aiutandosi ad alzare la stoffa rigida dei pantaloni si è inginocchiato a terra, in modo da portare il suo viso alla stessa altezza del mio.
 
Con gli occhi chiusi, ho lasciato che facesse incontrare le nostre fronti, sentendo le sue mani appoggiarsi alle mie spalle.
 
Piano, lenti, abbiamo iniziato ad oscillare, i nostri respiri come colonna sonora.
 
“Tu mi risuoni dentro.” Ho sussurrato, mentre anche i nostri nasi finivano con lo sfiorarsi.
 
“Il tuo nome mi sta nel cuore come in un sonaglio, e visto che io non faccio che vibrare per te, il sonaglio s'agita e il tuo nome mi risuona dentro.2)” Ho recitato, inciampando nelle parole, inesperto, spaventato.
 
“Se adesso io…” Ha iniziato lui, la voce spezzata. “Se adesso io ti dicessi che… Potrei dire qualcosa, qualsiasi cosa, che ti costringerebbe a cambiare idea…?” Ha chiesto, mentre pioveva sulle mie ciglia abbassate.
 
Ho mentito, scuotendo la testa in un cenno di diniego, fermo tra le sua mani.
 
“E qualcosa che potrebbe farti male…?” Ha domandato, ancora, mentre i fremiti divenivano brividi.
 
“No.” Ho esalato, portando la mano destra attorno al suo polso.
 
“Allora d’accordo.” Ha posato le labbra contro le mie, incapaci entrambi di smettere di tremare.
 
 
 
“Io… credo di essermi innamorato di te.”
 
 
 
Il mondo si è allargato all’interno del mio respiro stretto, una deflagrazione assordante racchiusa in un’implosione muta. Il tempo stesso si è fermato tra le nostre bocche, in bilico sulla sua voce.
 
“Da… quando?” Ho chiesto, sciocco, incredulo.
 
Rapito.
 
“Da prima dell’appuntamento, da prima di Londra, da ancora prima di aprirmi le nocche contro il muro di un ospedale… Non lo so.”
 
Siamo rimasti così, vicini, stretti, per un tempo che mi è sembrato comunque troppo breve.
Quando alla fine John si è staccato, il freddo è divenuto insopportabile.
 
“Sherlock…” Si è preoccupato.
 
“Fa freddo, quando non ci sei.” Ho provato a scherzare, increspando le labbra in un sorriso.
 
Ma deve far freddo, per poter assistere ai miracoli della neve.
 
 
“Andiamo, ti preparo un bagno caldo.”
 
 
 
 
 
I fiocchi non chiedono niente in cambio della loro bellezza, non vogliono che si ricambi il loro amore, dicevo.
 
John ha aperto l’acqua, si è lavato, poi è rimasto con me mentre lo facevo a mia volta.
A lungo, in silenzio, fino a far raggrinzire le dita delle mani, fino a sentire di nuovo freddo.
 
Un uomo temerario, coraggioso al punto da riuscire a confessare un amore.
Sufficientemente forte da non sentirsi ferito nel non aver ricevuto in cambio le stesse parole.
 
Abbastanza per non tentare di portarle fuori ad ogni costo dai miei occhi, strapparle dalle mie labbra, dalla gola stretta.
 
 
 
 
 
“E qualcosa che potrebbe farti male…?” Mi ha chiesto.
 
 
 
 
E a te, John…?  Potrebbe, potrei far male al punto da divenire insopportabile…?
 
 
Non voglio rischiare.
 
Non posso.
 
Non so se sia più facile perdere chi si ama senza essere ricambiati, o perdere un amore corrisposto.
Non ho mai maneggiato queste emozioni, prima.
Non hanno danzato sul mio petto, fino al suo arrivo.
 
 
Ma… so che un anello di una catena, se aperto in un punto, è più fragile di uno chiuso.
 
Un sentimento monco, forse, si spezzerà prima di uno completo.
 
 
Dimenticare sarà più veloce, senza i rimorsi e le domande sul futuro.
 
 
Però - prima di addormentarmi - mentre ancora una volta la sua mano si posava sul mio petto, ho permesso ai gioghi della coscienza di allentare la presa.
 
 
 
 
E, nel silenzio, ho dichiarato il mio amore inopportuno, inutile, sulle sue labbra.
 
 
 
 
 
 
 
 
Note:
 
1)  Nella cultura orientale la camelia è il simbolo della devozione eterna tra gli innamorati. I petali e il calice percorrono il ciclo vitale congiuntamente (arrivando addirittura a distaccarsi insieme dalla pianta) rendendo questo fiore perfetto per rappresentare la persistenza dell’amore e la devozione reciproca.
 
Sì, John ha mentito quando ha detto di aver semplicemente preso l’ultimo fiore disponibile. :D
 
 
 
2) Come forse si era già capito nell’ultimo capitolo di “Before and After You” io AMO Cyrano, in ogni sua forma e trasposizione.
 
Quella che Sherlock cita è parte della magnifica dichiarazione d’amore che Cyrano fa a Rossella, anche se lei è convinta che a parlare sia Cristiano.
 
Vi lascio uno dei pezzi più importanti, perché merita davvero!
 
 
CIRANO: […] Tutto, tutto, tutto ciò che mi verrà, ve lo getterò a mazzi,
senza farne un bouquet. Io vi amo, soffoco, ti amo, sono pazzo, non ne
posso più, è troppo; il tuo nome mi sta nel cuore come in un sonaglio,
e visto che io non faccio che vibrare per te, sempre, Rossana, il
sonaglio s'agita e il tuo nome mi risuona dentro. Ricordo tutto di te,
amo tutto: ricordo che la mattina del 12 maggio, l'anno scorso, per
uscire, cambiasti pettinatura. A tal punto i tuoi capelli sono
diventati la mia luce che - come quando si è fissato il sole troppo a
lungo si finisce per vedere proiettato dappertutto un disco rosso
quando distolgo lo sguardo dal loro chiarore, riverberi biondi tutto
intorno mi bruciano gli occhi.
 
ROSSANA: Sì, questo è proprio amore...
 
CIRANO: Ne ha tutto il triste furore - qualcosa che m'invade,
terribile e geloso, e tuttavia non egoista. Per la tua felicità darei
in cambio la mia, quand'anche tu non lo sapessi mai; così, soltanto
per sentirti ridere qualche volta, da lontano, di quella gioia data
dal mio sacrificio. Cominci a capire adesso? A renderti conto? Senti
l'anima mia salire verso di te, nell'ombra? Davvero, è tutto troppo
bello stasera, troppo dolce. Io ti dico tutto questo, tu mi ascolti -
io, te! E' troppo. Nemmeno nei miei sogni più ambiziosi sono mai
arrivato a sperare tanto. Non mi resta che morire, subito! Mentre lei
trema tra i rami per le cose che le ho detto. Perché voi tremate,
tremate come una foglia tra le foglie! Tu tremi! Perché lo sento, che
tu lo voglia o no, lo sento il tremito adorato della tua mano scendere
giù per i rami di questo gelsomino.
 
 
 
 
Angolo dell’autrice:
 
Questo capitolo è in assoluto il più lungo scritto per questa storia: quasi 18 pagine di word! ^_^’’
 
Sono iniziate le “grandi manovre”, tra le quali ripasso intensivo della lingua francese e preparazione delle scartoffie varie.
 
Spero di riuscire a ritagliarmi qua e là un po’ di tempo per scrivere ancora ma, nel frattempo, mi auguro che questo capitolo possa tenervi compagnia. :)
 
Ormai la nebbia mentale è grande compagna delle mie giornate, ma inizio ad orientarmi nella foschia. XD
 
Un abbraccio a tutte/i e perdonatemi se non ho ancora risposto alle meravigliose recensioni delle due ultime OS. Prometto di rimediare a questa vergognosa mancanza il prima possibile!
 
Come sempre, vi lascio con un frase (anzi due!) relativa al capitolo e con un'immagine (a mio avviso bellissima) reperita su internet. ^_^

A presto,
B.
 
 
 
Quando non puoi danzare tu, fai danzare la tua anima.
(Delbrel)
 
 
La danza può rivelare tutto il mistero che la musica tiene nascosto.
(Charles Baudelaire)
 



 


 
 
 
 
P.S.: della celebre frase sul bacio, questa è la frase originale: […] ma che cos'è poi un bacio? Un giuramento un po' più da vicino, una promessa più precisa, una confessione che cerca una conferma…”
 
Devo ammettere, però, di aver sempre amato di più la versione della trasposizione cinematografica del 1990 con Gérard Depardieu. Recita:
 
“Un bacio. Ma cos'è, così d'un tratto? Un giuramento reso tra sé e sé, un patto più stretto... È come un traguardo che insieme è un avvio…”
 
Meraviglioso, non trovate? *_*
   
 
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