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Autore: SherlokidAddicted    25/10/2016    2 recensioni
[ Wholock | Johnlock ]
[ Seguito di "The side of the Angels", per capire questa storia bisogna leggere la precedente ]
"I tuoi occhi.
Al solo pensiero che non potrò rivederli mai più sento come una stretta al petto che mi impedisce di respirare. Dopo mesi e mesi a darmi la colpa per tutto quello che è successo a Mary, dopo mesi sentendo che niente e nessuno avrebbe potuto sollevarmi il morale, ho trovato in te la felicità che avevo perduto. E adesso mi è scivolata dalle mani come sabbia.
Mi manchi.
E mi mancherai.
Mi sembra l’unica cosa che posso dire adesso."
Genere: Azione, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The side of the Angels'
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The game is on… again



- Sai quante sciocchezze ho dovuto inventarmi per colpa vostra? – Lestrade sembrava quasi infastidito dalla nostra improvvisata a Scotland Yard. Dopo quello che era successo a John gli ho raccontato tutta la verità. Non aveva prove, io non parlavo più col Dottore e non potevo dimostrargli quanto le mie parole fossero veritiere con la sua presenza, ma gli avevo parlato di lui. Lo aveva già visto, questo è vero, ma non sapeva chi fosse in realtà.

Era stupito, scioccato, e aveva riso divertito, pensando stessi scherzando… ma non ero mai stato più serio. “Dimmi come stanno davvero le cose!” aveva detto, esasperato dal mio silenzio. Non avevo altro da dire, le cose stavano davvero così e non potevo inventarmi nessuna balla, quindi Lestrade dovette prendere la mia storia come verità. Cosa raccontò alla stampa, però, non lo sapevo.

Lo stiamo seguendo negli archivi delle prove. Cerchiamo i due Angeli che avevamo fermato e che la polizia aveva rimosso da Hyde Park per portarli qui, in questi archivi.

- Lei è davvero di un altro mondo? – Gli chiese mentre apriva una delle porte con un mazzo di chiavi. Il Dottore, però sembra distratto e concentrato sulle pile di scatole e documenti di vecchi casi che lo circondano. Li scruta con attenzione e cerca di leggere i titoli di ogni scomparto. L’ispettore è rimasto immobile ad aspettare una risposta. Se il Dottore non si dà una mossa a rispondergli, quella porta non si aprirà mai più. Cerco di riportarlo alla realtà, colpendolo leggermente con il gomito. Lui sobbalza appena e torna a guardarci confuso.

- Come? –

- Ho detto, lei è davvero di un altro mondo? – Il Dottore si sistema la giacca e stringe il nodo della cravatta per rispondere.

Si sta dando delle arie.

- Beeeeeh, già, lo sono! – Lestrade ridacchia ed apre la porta. Non lo vedo né spaventato, scioccato o sconvolto, perlopiù è divertito.
- Non poteva essere altrimenti, infatti. Solo un alieno poteva farti uscire da quell’appartamento, eh Sherlock? – Non vedo cosa ci sia di divertente in tutto quello che dice, e il mio sguardo su di lui è torvo mentre raggiungiamo la stanza. Ciò che vedo sono solo scaffali pieni di scatole, scartoffie e vecchie prove, ognuna catalogata in ordine alfabetico. Le uniche cose fuori posto sono appunto gli Angeli, posizionati l’uno davanti all’altro ed in mezzo alla stanza, diventando il punto focale di essa, facendo perdere importanza ad ogni oggetto presente. – Le abbiamo messe qui perché… gli agenti avevano paura, insomma quelle facce sono inquietanti, no? – Riesco a vedere la scena patetica degli agenti che abbandonano i due Angeli al centro della stanza e che fuggono impauriti, richiudendosi velocemente la porta alle spalle.

Ridicoli.

Mi avvicino con cautela alle due statue, tenendo la schiena ben dritta e le braccia incrociate dietro. Le guardo con attenzione. Avverto un certo senso di soddisfazione nel sapere che non avrebbero potuto fare più nulla, ma sono anche arrabbiato, perché sono loro la causa di tutto. – A questo punto credo sia meglio che vi lasci lavorare, vi aspetto fuori. – L’ispettore abbandona la stanza e, quando riusciamo a sentire la porta chiusa, io e il Dottore ci guardiamo.

- Come facciamo a riportarli indietro? –

- Già, questo non te l’ho spiegato. – Dalla sua giacca tira fuori uno strano congegno, lungo e sottile. Somiglia quasi al suo cacciavite sonico ma non lo è. Me lo lancia ed io lo afferro al volo con i miei riflessi pronti. – Non è un cacciavite sonico. – Mi anticipa mentre a passo lento si aggira tra gli scaffali, analizzando ogni titolo con gli occhiali ben piantati sul naso.

- Questo lo avevo capito! – Dico mentre continuo a rigirarmi quell’oggetto fra le mani. Somiglia davvero al suo cacciavite sonico, ma non ha la luce blu all’estremità, ha una piccola apertura, non so bene come definirla.

- Immaginavo. Beeeeh, serve per mandare creature nel mondo parallelo e non farle più tornare, utilizza energia sonica, per questo somiglia ad un cacciavite, ma ha tutt’altro scopo… -

- Non che tu mi abbia spiegato a cosa serva il cacciavite. –

- Non l’ho fatto? –

- Nope. – Accenna un sorriso divertito nel sentire quella risposta, tira fuori un grosso fascicolo da uno scaffale dietro di lui e lo apre, sfogliandolo con attenzione mentre mi affianca.

- Apre le porte, rileva un paio di cose, fa funzionare un paio di cose, fa… tante cose. – Accenno un minuscolo sorriso mentre lo vedo attenzionarsi su una pagina in particolare.

- E questo, invece? – Dico riferendomi al nuovo congegno. Lui non sposta gli occhi dalle pagine ed indica con una mano i due Angeli.

- Punta e premi il pulsante. – Mi sta affidando davvero quel compito? Rispedire i due assassini solitari nel loro mondo parallelo? Detto così, “puntando e premendo il pulsante” sembra addirittura facile, ma bisogna considerare il fatto che ormai sono morti, e che con un Angelo vivo forse sarebbe stato più complicato. Spero di non sbagliarmi su questo punto, altrimenti non so come faremo a catturare quell’altra creatura che ancora si aggira qui, sul pianeta Terra.

Ecco un appunto, Sherlock: mi sa che dovrai ripassare quelle cose sull’Universo dai libri che Mycroft ti ha procurato.

Ad ogni modo, faccio come ha detto e punto il congegno verso il primo Angelo, poi premo il pulsante. Da esso fuoriesce un raggio, sembra quasi un laser, che colpisce la creatura, la avvolge di una luce rossastra abbagliante e poi… poco a poco essa svanisce nel nulla. Non faccio caso al mio shock iniziale e ripeto la stessa operazione sull’altra statua. Alla fine entrambe sono sparite ed io mi sento quasi sollevato. “Quasi”, perché adesso dobbiamo affrontare l’impresa di catturarne un altro. Quanto tempo ci avremmo impiegato prima che la frattura si allargasse a tal punto di far collassare l’universo stesso?

Cavolo, sto iniziando a parlare come il Dottore.

- Ottimo lavoro! – Mi dice con un leggero sorrisetto soddisfatto. Anche sulle mie labbra ne compare uno, mi piace il fatto che apprezzi ogni cosa che faccia. Dalle mie deduzioni, alle mie idee, alla mia “brillante mente”. Solo lui e John sono in grado di farmi sentire appagato con i loro complimenti lusinghieri.

Ma con John è diverso, con lui è sempre tutto diverso.

- Oh, non credevo che il caso dell’esplosione al Bart’s si trovasse in questo fascicolo! – Esclama ad un tratto.

Mi ricordavo di quell’esplosione, ho seguito io questo caso un paio di anni fa. Accadde in obitorio. Era vuoto in quel momento, e ad un tratto ci fu quest’esplosione che fece crollare una parte di parete all’interno dell’ospedale. Non ho risolto questo caso, purtroppo, oserei dire. Gli indizi erano confusi, non avevamo un colpevole e i campioni al microscopio risultavano obsoleti, li avevamo trovati sparsi per il pavimento, accanto alla parete distrutta. Sembrava quasi che questa cosa fosse esplosa e che avesse causato tutto ciò e…

Oh, ma certo!

- No, ti prego, non dirmelo! –

- Che cosa? – Mi chiede confuso mentre ripone il fascicolo al suo posto.

- Ho seguito io quel caso, e non l’ho risolto. – Mi guarda ed incrocia le braccia al petto, poi si gira spostando lo sguardo altrove, fa finta di niente mentre io continuo a parlare. – Sei stato tu! – Lo accuso, puntandogli contro il dito indice ed avanzando con fare minaccioso verso di lui, lentamente.

- Cosa? No! –

- Tu c’eri! – Cerca di nuovo di negare l’evidenza ed io sollevo contrariato un sopracciglio. C’è un attimo di silenzio, poi sbuffa rumorosamente e distende le braccia lungo i fianchi. Sono di fronte a lui e riesco ad annusare la sua finta innocenza, a leggere nei suoi occhi la colpevolezza.

- Va bene, va bene! – Dice esasperato, dopo una manciata di secondi.

Beccato!

- Hai ragione, ma non ho avuto altra scelta! –

- Lo sapevo! – Esordisco scuotendo la testa ed accennando un sorrisetto nervoso.

- Era una creatura pericolosa, un alieno grasso che mangia cervelli alle persone, o quello o la parete distrutta! –

- Potevi causare delle morti! –

- In un obitorio? – Ci guardiamo in silenzio senza dire nulla. La mia esclamazione in quel contesto risulta in effetti un po’ assurda. Scoppiamo in una risata prolungata e, scuotendo la testa ci rechiamo ancora in preda ai singhiozzi all’esterno della stanza, dove Lestrade ci aspetta e ci guarda confusi. Poi ci segue senza dire nulla. Resta in disparte a guardarci, dietro di noi, e non si azzarda ad aggiungere nulla nemmeno quando vede la cabina blu in lontananza, nemmeno quando si accorge che ci stiamo dirigendo nella sua direzione.

- E adesso? –

- Ci serve un mio vecchio marchingegno. –

- Il rilevatore di tempo transitorio. –

- Impari in fretta Sherlock! Se ci sbrighiamo possiamo trovarlo in poco tempo. Allons-y! –

Arriviamo nel Tardis, quella splendida nave che mi ha fatto ricredere negli avvenimenti sovrannaturali ed impossibili, e la sensazione che provo quando il Dottore mi dice di pilotare la cabina insieme a lui è meravigliosa.
 
_________________________________________________________________________
 
Londra, 5 dicembre 1902
 
Mio carissimo Sherlock,

è ormai passata più di una settimana dalla mia ultima lettera. Non ho avuto proprio tempo di scriverla, troppe cose sono accadute.
In questo momento sono seduto su un treno. Un bellissimo treno dell’epoca, uno di quei treni che non mi aspettavo mai di vedere in vita mia e su cui adesso sto riempiendo un foglio di parole che non so neanche se ti arriveranno mai.

Quando viaggio, non so se lo sai già, per me è il miglior modo che conosco per estrapolare dal cuore tutti i miei sentimenti. Ed è quello che sto facendo adesso con questa penna e questa carta che fra le tue mani sarà vecchia e ingiallita, e l’inchiostro sfocato.

Sto seguendo il consiglio della mia analista. Certo, qui non posso aprire un blog, ma posso scrivere a te e questo mi basta.

Ultimamente ho pensato molto al Dottore, su quello che ha detto sugli universi paralleli, sul fatto che in uno di essi io e te siamo i protagonisti di un libro ottocentesco… mentre guardo le persone sedute su questo treno cerco di immaginarmi come staresti in queste vesti, come staremmo noi due in quest’epoca, insieme.

Anche in questo contesto riusciresti ad essere un completo idiota per tutto il tempo? Oh, io penso di sì! Non si possono cambiare le abitudini di un uomo normale, figuriamoci le tue!

Oh, ti chiederai perché sono su un treno! Un mio paziente richiede un’urgente assistenza fuori da Londra. Sì, il lavoro procede benissimo, in ospedale mi hanno accolto bene, i miei colleghi sono simpaticissimi e con loro mi diverto a volte, anche se in qualche modo mi sento fuori luogo. Non solo perché sono abituato ad una generazione diversa, ma anche perché qui… cavolo, tutti quanti hanno i baffi, qualunque uomo porta i baffi ben folti sotto al naso e so che sarai inorridito nel pensare che sto provando a farli ricrescere. Voglio sentirmi appartenere a questo posto se devo davvero restarci per sempre e… questo magari è un piccolo passo per cominciare.

Ormai manca poco all’arrivo, cos’altro posso raccontarti…

Oh beh, il mio appartamento è fantastico: ho un bel salotto che funge anche da sala da pranzo, una cucina, un bagno ed una camera da letto. La padrona di casa non somiglia affatto alla nostra cara signora Hudson, sai? È un po’ burbera, grassottella e si lamenta quasi sempre. L’unico suo pregio è quello di saper preparare un ottimo tè. Date le mie abitudini di provvedere alle faccende domestiche, mi ha quasi creduto pazzo quando ieri sera mi ha trovato a pulire per bene il salotto.

Continuo a ripetermi che devo abituarmi a tutto questo, solo così riesco ad andare avanti.

Fa molto freddo la sera, ed è l’unico momento di pace in cui posso godermi il calore del caminetto seduto alla mia poltrona. A volte me ne dimentico, resto assorto al mio giornale quotidiano per dei minuti interminabili, poi sollevo la testa verso la finestra e divento cupo quando non vedo la tua figura e non sento le note dolci e rilassanti del tuo violino. Adoravo vederti suonare. E ora non mi è più concesso nemmeno quello.

Mi capita di cominciare a piangere, dopo che mi rendo conto della mia situazione. Se tutto questo mi fosse accaduto prima di conoscerti, quando mi sentivo soltanto uno scarto andato a male dell’esercito… allora sì, lo avrei accettato. Ma adesso no, non riesco a fare a meno di pensarti. Più la mia vita va avanti qui, più io ripenso ad ogni istante passato con te e mi convinco che non potrò reggere a lungo.

Vorrei solo sapere come stai, adesso. Ti manco? Sei tornato il solito freddo e calcolatore Sherlock di sempre o… senti lo stesso dolore che sento io? Perché se è così vorrei davvero essere lì, prenderti fra le mie braccia, stringerti e dirti che va tutto bene, che non c’è nulla da temere. Ma non è così. Non è così e la cosa mi uccide.

La smetto con questo sentimentalismo, so che non ne apprezzi in dosi così elevate, quindi adesso è meglio che vada, siamo quasi arrivati.

Cercherò di scriverti domani.

Spero tu stia bene.

Mi manchi.
Con immenso affetto,
tuo John

P.S. la gamba fa di nuovo male, ho un nuovo bastone.



Note autrice:
RITARDISSIMO, lo so. Ma a parte i vari impegni ho anche scritto la one shot "For the rest of your life" che vi invito a leggere, dato che è Johnlockosa come sempre.
Spero mi perdoniate con questo nuovo capitolo, ritornerò ai ritmi di prima, spero.
Un bacio, alla prossima!

 
  
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