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Autore: lemonguess    26/10/2016    6 recensioni
«Perché siamo amici. In qualche modo lo siamo sempre stati.»
Sasuke potrebbe essere un fantasma, un'anima sperduta nel mondo, o solo il frutto dell'immaginazione di un bambino troppo solo.
Sasuke potrebbe essere qualsiasi cosa, ma a Naruto non importa, sa che esiste ed è reale.
A cinque anni nei suoi sogni.
A dieci anni anni nelle parole.
A quindici anni nell'evanescente vicinanza e nel silenzio.
A trent'anni in carne e ossa, dove il passato diventa parte del futuro.
[Sovrannaturale; Naruto Centric]
Tentativo maldestro e fallimentare di narrazione in prima persona.
Genere: Malinconico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha | Coppie: Naruto/Sasuke
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Avevo pubblicato questa oneshot all'incirca verso metà giugno e presa dall'insoddisfazione l'ho tolta dal sito per tentare di rivederla e riscriverla.
In verità dopo averla cancellata, l'ho lasciata abbandonata nel desktop, senza più voler metterci le mani sopra. In questi giorni mi è tornata in mente, ho riguardato questo goffo tentativo sperimentale di cambio narratore e tempo verbale e ho deciso di pubblicarla, così com'era.
Chiariamoci: continua a non soddisfarmi perché è evidente che ho usato uno stile e un modo di scrivere che si distanzia abbastanza da quello che ormai mi appartiene e su cui mi muovo meglio; è piena di difetti e di cose che andrebbero sicuramente migliorate, ma in fin dei conti, nonostante tutto mi ci sono affezionata lo stesso.
La voglia di riscriverla da capo esiste ancora (no, non mi sono rassegnata del tutto!xd), non so ancora se poi lo farò, forse sapere di averla sotto il naso mi darà lo sprint in più per farlo tra qualche tempo o magari no, ma nel frattempo la ripubblico, comprese le vecchie note che troverete immediatamente dopo.^^
Ovviamente ci saranno errori di battitura, se vi capita, fatemeli notare tranquillamente.
Ringrazio chi in passato l'aveva commentata, se passate di qua, non c'è bisogno di ri-commentare.




La oneshot, oltre ad essere un delirio molto breve, è suddivisa in cinque spezzoni che conservano all'incirca le stesse dimensioni [in genere ogni pezzo raggiunge e supera le 600 parole], e raccontano di alcuni momenti delle vita di Naruto, attraverso il suo punto di vista; a tratti, nel testo faccio uso del discorso indiretto e il linguaggio è volutamente più semplice e colloquiale. In sintesi, sono consapevole delle stupidità che ho scritto.
C'è un accenno inconsistente di KakaIru... mi è venuto spontaneo inserirli come coppia, non ci ho nemmeno pensato. XD
Sasuke vedetelo come preferite: nel mio intimo è un'anima spezzata che ha atteso il momento per reincarnarsi del tutto nella sua nuova esistenza – da qui nasce il titolo Ikiryō, dove tra i significati che ho trovato c'è: spirito di una persona ancora in vita che si allontana dal corpo, che in un certo senso, preso un po' alla lontana, rispecchia quel che avevo in mente; qualche idea più articolata riguardante la situazione di Sasuke c'è l'ho, ma non potevo inserirla nella shot. ^^
Per l'OOC c'è l'avviso e non ne voglio sapere niente...
Posso assolutamente definire questa storia il mio lavoro più bruttino: insomma ho usato la prima persona, non al presente ed è pure una AU e potere immaginare la sequenza di aggettivi poco edificanti che affiancherei a questa storia, ma ho stravolto in modo troppo repentino il mio modo scrivere per ritenermi soddisfatta.







Ikiryō






La prima volta che incontrai Sasuke, non sapevo chi era, né quale fosse il suo nome.
Potevo contare quanti anni avevo ancora sulle dita di una sola mano, ma ricordo che avevo quattro anni, forse quasi cinque quando Sasuke cominciò a insinuarsi dentro i miei sogni.
Quel giorno in orfanotrofio ero stato punito duramente a causa di un piccolo furto di frutta nelle cucine; non ero stato io, ma la voglia di trovare un colpevole, qualcuno a cui infliggere punizioni esemplari e severe umiliazioni, era troppo forte per soprassedere al silenzio di una mancata confessione: improvvisamente diventai importante e la colpa ricadde su di me; io il bambino sempre dimenticato e isolato da tutti, anche da chi avrebbe dovuto prendersene cura.
Non piansi, né versai una lacrima per le privazioni subite e i lividi sulle gambe e le braccia; non volevo mostrarmi debole e rimasi immobile nell'angolo buio della sala con i pugni serrati e le unghie a ferirmi i palmi delle mani. Dovevo resistere e impormi di non abbassare lo sguardo per continuare a osservare i miei compagni di dormitorio che nel silenzio dell'indifferenza si spartivano la mia cena.
Sasuke arrivò poche ore dopo: in quella fredda solitudine di una notte autunnale, ero rannicchiato su me stesso dentro il letto che momentaneamente mi apparteneva, cercando di dimenticare lo stomaco che brontolava affamato e forzandomi di stringere gli occhi, mentre gli adulti si aggiravano tra i nostri letti, aspettando impazienti che ognuno di noi si fosse addormentato.
Sasuke si fece prepotentemente spazio nei miei sogni con la sua figura elegante e altissima. Era imponente, vestito in modo strano e buffo.
Ridicolo, l'avrebbe apostrofato l'aiuto cuoco dell'orfanotrofio, e lui sì, che se ne intendeva di abbigliamento strano con le sue giacche da chef rubate, ricolme di rattoppi colorati e cosparse di bottoni dalle diverse dimensioni e mai uguali tra loro.
Sasuke non parlava, si limitava a guardarmi con un'espressione mortalmente seria e concentrato a studiare ogni singolo particolare del mio viso e delle mie mani; forse non riusciva a parlare o non poteva ancora farlo, ma sono sicuro che una delle prime cose che avrebbe voluto palesarmi sarebbe stato quanto trovava fastidioso e fin troppo sgargiante il colore del mio pigiama, oltre a chiedermi di tacere un po'.
Poteva anche essere privo di voce Sasuke, ma bastava guardarlo negli occhi per capire cosa avrebbe voluto dirmi.
Nei miei sogni, ogni notte camminavamo fianco a fianco.
Spesso rimanevo indietro, non riuscendo ad adattarmi al suo passo, ma Sasuke, per quanto volesse apparire infastidito, sbuffando teatralmente seccato, ogni volta si fermava ad aspettare che lo raggiungessi, e colmassi le distanze tra noi. Nel suo silenzio, nelle mie esclamazioni e grida di stupore, Sasuke mi accompagnava alla scoperta di un nuovo mondo. Alla scoperta della libertà.
I panorami che potevo osservare non erano disturbati dalle grate delle finestre e non esisteva nessuna rete di metallo a dividere l'orfanotrofio dal resto dell'universo ed a impedirmi di correre e rotolare nella reale inconsistenza dell'erba ingiallita dal sole, accarezzare la ruvida corteccia degli alberi che incontravo lungo il nostro cammino e sgranare gli occhi, indicando estasiato quella città irreale, protetta alle sue spalle da volti immensi intagliati nella roccia – montagne rossastre incise nel loro animo da grandi uomini che le hanno governate.
All'orfanotrofio, quando calava la sera e le luci venivano spente, molti bambini tremavano di paura dentro i loro letti freddi, suggestionati da quelle tante storie che ci raccontavano prima di andare a dormire; io ero uno dei pochi a non temere dell'arrivo della notte, e non avrei avuto alcun motivo per essere spaventato dall'assenza dei colori: sapevo distinguere il nero del buio dal nero degli occhi di Sasuke e quel senso di felicità e famigliarità che mi erano stati negati fin dalla nascita, ma che inaspettatamente avevo trovato in quell'oscurità.


Quando l'orfanotrofio venne chiuso a causa della mancanza di fondi e di aridi contrasti interni all'amministrazione, nessuno sembrava troppo interessato ad un bambino di una decina di anni, già così ribelle e definito educatamente troppo vivace.
Ero un problema, ed è per questo che avevo vissuto per mesi con uno zaino sempre sulle spalle: non avevo mai il tempo per svuotarlo dai miei pochi averi che ogni volta arrivava il momento di trasferirsi in un'altra casa e ringraziare quella non – famiglia che mi aveva ospitato.
Trovai in Iruka, il mio maestro delle elementari, e nel suo compagno di vita e di guai, Kakashi, quello che non avevo mai ricevuto fino a quel momento: l'affetto sincero, accompagnato ogni giorno da una carezza fraterna tra i capelli, mentre mi veniva posato sotto il naso del ramen fatto in casa apposta per me.
Finalmente possedevo un posto da poter chiamare casa; un luogo in cui io, il pigiama arancione, il mio unico peluche a forma di volpe e la foto dei miei genitori non eravamo mai di troppo, né occupavamo prezioso spazio.
Legalmente Iruka non era idoneo per portare avanti un'adozione, ma Kakashi era un uomo stimato e fin troppo intelligente per lasciarsi sconfiggere dalla pura burocrazia e lasciarmi ancora una volta riempire quello zainetto che avevo felicemente svuotato e riposto in un luogo che avevo già dimenticato.
Iruka lo sentivo come un fratello maggiore che perdonava e minimizzava ogni mia marachella, mentre Kakashi diventò la mia guida, insegnandomi quello che aveva faticosamente appreso dai suoi sbagli che ancora pesavano sulle sue spalle.
Tentò di iniziarmi alla lettura della serie dei suoi romanzi preferiti, ma Iruka arrivò sempre in mio soccorso millantando scioperi e prodigandosi in lunghe spiegazioni pedagogiche, risparmiandomi per un paio di anni il concetto di romanticismo appartenente a Jiraiya.
Sasuke continuava a vegliare i miei sogni e farmi scoprire durante il nostro cammino quel mondo di cui sembrava fare parte e a cui anch'io ormai ero legato.
Lui sembrava approvare la mia nuova famiglia e proprio nell'occasione in cui mi venne ufficializzato che l'unico metodo per uscire dalla mia nuova casa era fuggire lontano e fare in modo che Iruka non seguisse le mie tracce, Sasuke parlò e per la prima volta ascoltai la sua voce.
Dalle sue labbra sottili non era fuoriuscito niente di particolare, solo un commento sprezzante sulle letture di Kakashi. Appariva quasi soddisfatto di quella sua constatazione, come se non si aspettasse niente di diverso da lui, come se fosse stato sicuro che finalmente ero in buone mani.
Non mi sono mai preoccupato di chi o cosa realmente fosse Sasuke, se un fantasma, un'anima intrappolata nel mondo o il frutto della mia fervente immaginazione... Ero egoista nei suoi confronti e non volevo scomparisse nel nulla perché finché lui esisteva, ogni cosa andava bene, io funzionavo ed esistevo con lui. Avevo Sasuke e sentivo che bastava a completarmi.
Nonostante avessi una famiglia, ero consapevole che la solitudine continuava ad intrappolarmi e ferirmi come un filo spinato che ormai aveva scavato la pelle in profondità – l'avevo accettata e allo stesso tempo la rinnegavo; ignoravo il vuoto intorno, lo riempivo con le illusioni che Sasuke mi regalava ogni notte, perché sapevo che la solitudine non faceva parte di me.
Sasuke, reale o meno, era una persona di cui potevo parlare con entusiasmo o un broncio indispettito ogni volta che tornavo a casa da scuola.
Non dovevo mentire a Kakashi e Iruka, potevo parlare liberamente di quel mio amico ancora senza nome con cui trascorrevo il tempo, anche se nella realtà passavo l'intervallo in compagnia di un ragazzino sempre assonnato ad immaginare quanto sarebbe stato bello se gli altri miei compagni di classe avessero fatto spazio anche per me noi nei loro giochi.
Il giorno in cui Sasuke mi rivelò piccato il suo nome, perché ero un dobe maleducato e a suo dire privo di un intelletto degno di nota, gli chiesi il motivo per cui me lo avesse svelato solo dopo così tanto tempo. La prima risposta menzionava un mia evidente stupidità di cui era già a conoscenza e che continuava spiacevolmente a stupirlo; immaginavo che uno dei motivi per cui era arrivato a palesare alcune delle sue generalità, risiedeva nel non poter più sopportare alcuni dei nomignoli che gli avevo affibbiato e che divertivano tanto Kakashi e Iruka quando li ascoltavano. La seconda risposta fu mugugnata tra i denti e mi meravigliò abbastanza da non dimenticarla mai: «Perché siamo amici. In qualche modo lo siamo sempre stati.»



Con il passare del tempo, cominciai a vedere Sasuke ad occhi aperti.
Ovunque.
A casa se ne stava appollaiato sul cornicione della finestra; fissava spesso il cielo pensieroso con occhi socchiusi, lucidando con maestria la sua katana.
A scuola sembrava seguirmi come un'ombra silenziosa, borbottandomi nell'orecchio lamentele sulla mia scarsa concentrazione durante le lezioni, oppure facendomi sobbalzare durante le verifiche quando nel pieno del mio massimo impegno, improvvisamente sibilava velenoso che in tutta la classe non esisteva uno più idiota del sottoscritto, perché, a quanto pare, ero l'unico in grado di aver sbagliato l'esatta metà delle risposte di un test, altrettanto, se non più stupido di me.
Ogni tanto, preso da uno spirito magnanimo, mi suggeriva qualche risposta esatta, giustificando il suo essere andato contro natura come un involontario movimento delle corde vocali, continuando ad affermare con ostinazione che il mio essere Usuratonchaki aveva irrimediabilmente compromesso alcune delle sue funzioni vitali.
Anche se potevo vederlo, non potevo toccarlo; appariva nitido e definito in quei suoi vestiti da guerriero appartenente ad un'epoca estinta, ma in controluce sembrava dissolversi, diventare evanescente, come un fantasma, anche se non lo era.
Poteva essere stata la mia immaginazione a crearlo, ma non si trattava nemmeno di questo.
Tutti i giorni lo tormentavo con le stesse ripetitive domande: cosa fosse, o chi fosse, perché era venuto da me. Conoscevo il suo nome e avevo visto i luoghi da cui probabilmente proveniva, ma non conoscevo molto altro.
Continuava a ripetermi che era un discorso troppo complicato per me e che non avrei compreso il significato delle sue parole.
Ammetto che non potevo dare torto a Sasuke e alla sua certezza che forse ascoltare una sola volta un discorso complesso non sarebbe bastato per farmi afferrare nuovi concetti astratti, teorici, noiosi e per me poco pratici, ma avrei voluto ascoltare lo stesso, come avrei voluto provare le sue armi, a volte prenderlo a pugni e toccare i suoi bizzarri capelli o una delle sue mani.
In compenso, per aggirare ricordi spinosi, Sasuke cominciava a raccontarmi brevemente della sua presunta epoca.
Parlava di ninja, tecniche e di quella città, poi definita villaggio, che avevo spesso visitato in sogno.
La sua voce si faceva tagliente, a tratti rabbiosa quando menzionava parte degli abitanti di Konoha.
Su se stesso non sprecava mai molte parole; aveva un passato che gli faceva incurvare le spalle dalla stanchezza e i suoi occhi diventavano improvvisamente spenti. Non mi guardava, mentre il tono della voce si trasformava in un sussurro e ripercorreva alcuni passaggi della sua vita e della solitudine dei suoi innumerevoli viaggi.
Al termine di una delle sue storie, provai ad avvicinarmi e toccarlo.
La sofferenza di quei ricordi narrati mi spinse ad accorciare le distanze e provare ad appoggiare la mia mano su parte del suo viso.
Sasuke chiuse gli occhi, e anche se non potei fare altro che afferrare aria, non rimasi deluso, perché il solo vedere la sua mano provava ad posarsi sulla mia, mi fece sorridere come non mai.
Inconsciamente capivo e sentivo che quel semplice gesto di vicinanza, avremmo dovuto ripeterlo più volte, in un altro tempo passato e a me sconosciuto.
Eravamo rimasti uno di fronte all'altro con le mani a mezz'aria, così vicini e irraggiungibili. Avevo promesso a me stesso che avrei cercato a tutti i costi altri frammenti di verità nascosti negli occhi di quell'anima che era venuta da me e non mi aveva mai abbandonato. Volevo liberarlo da quel dolore che sembrava non dargli pace tanto da tenerlo ancorato nel mio mondo, ma quando dopo quel contatto non realizzato, il giorno dopo mi svegliai nel mio letto, di Sasuke non c'era più traccia.
Trascorsi gli anni che mi restavano della mia dolce-amara adolescenza coltivando nuove amicizie.
Nessuno però era riuscito a sostituire e riempire lo spazio vuoto lasciato da Sasuke e a sanare quella ferita dilaniante che la sua assenza mi aveva provocato.



Alla soglia dei miei vent'anni, Sasuke non era ancora tornato.
Cercavo la sua immagine in ogni angolo e riflesso; tra la folla mi aspettavo di riconoscere la sua voce sarcastica all'improvviso, di sentirlo comparire da un momento all'altro alle spalle dandomi dell'Usuratonchaki mentre inciampavo sulle mie stesse scarpe, ma di lui nessun segno, nessun indizio.
Di notte stringevo gli occhi e mi rannicchiavo su me stesso nella stessa posizione che usavo da bambino all'orfanotrofio come quando lo incontrai per la prima volta.
Aspettavo l'arrivo dei sogni, e nel frattempo continuavo a chiedermi come una ninna nanna dov'era e come stava.
Sasuke era sparito nel nulla; niente sembrava portarmi da lui. Continuavo a non arrendermi, a cercarlo in ogni spazio, luogo e ricordo.
Iruka e Kakashi non sapevano darsi spiegazioni riguardo al mio comportamento altalenante, ma vedevano la disperazione muta dietro i miei occhi, il continuo non darmi pace alla ricerca di risposte, l'agonizzante sensazione di non sapere il perché.
Non ricordo esattamente il motivo per cui parlai di Sasuke a Jiraiya.
Molto probabilmente ricalcava in modo più fedele l'idea che mi ero costruito dell'immagine di un padre. Jiraiya lavorava come spia per il governo in modo del tutto indipendente e nel frattempo era un autore di famosi romanzi erotici, gli stessi che catturavano la totale attenzione di Kakashi.
Era il proprietario una libreria in centro città che condivideva con il suo amico Orochimaru e al termine delle lezioni universitarie, mi recavo sovente da loro per ascoltare le ultime novità della città e magari contrattare ripetizioni con quella serpe pallida. Orochimaru era troppo geniale per non riuscire a svolgere i miei esercizi a occhi chiusi.
Come sempre, quando andavo a trovarlo, Jiraiya non dimenticava di dispensare consigli non richiesti sull'abbordaggio e la conquista di ragazze carine.
Lo ascoltavo con interesse più per prenderlo in giro e confutare animatamente le sue teorie; ma non avrei mai e poi mai seguito quelle tecniche a suo dire portentose, soprattutto se il risultato, in genere, consisteva in un occhio nero e un amore platonico decennale nei confronti di nonna Tsunade.
Guardando tra gli scaffali ricolmi di libri, mi venne in mente di chiedere qualcosa a proposito di Konoha e Sasuke. Jiraiya sembrò non ascoltarmi, mentre Orochimaru si avvicinò con avida attenzione, guardandomi con un'espressione decisamente inquietante e mostrandomi una parte della libreria poco frequentata e ricoperta di polvere.
Osservai confuso e sconsolato le dimensioni spropositate dei tomi di ogni volume storico, ma per fortuna nel mio campo visuale apparvero le dita nodose di Orochimaru che stringevano un libricino ingiallito senza nome e copertina.
Prima di lasciarmi da solo, mi indicò in che modo e ordine proseguire le mie letture, complimentandosi per l'ottima scelta, perché Sasuke Uchiha era un ninja di forza indescrivibile che rasentava la perfezione fisica, le cui abilità e storia della vita meritavano di essere studiate con passione.
Rimasi ore a leggere di Sasuke, della sua vita, a collegare quei racconti frammentati con quelli del Sasuke descritti nei libri.
Continuai per giorni interi, fino a quando Jiraiya non si sedette al mio fianco e ascoltò la mia storia, quella che condividevo con Sasuke. Non si stupì, né mostrò qualche perplessità mentre raccontavo dei sogni e della sua presenza costante per anni.
Seguiva le mie ricerche con interesse, e nel frattempo portava avanti le sue, cercando corrispondenze tra illustrazioni e le date di ogni evento menzionato in quel migliaio di pagine.
Dopo mesi di frenetica lettura, riuscii a colmare parte dell'assenza di Sasuke, attraverso quello che sembrava un diario di viaggio: Orochimaru aveva tradotto parte degli scritti e se ne era separato di malavoglia, in cambio della copertura dei suoi turni delle pulizie in libreria praticamente per l'eternità.
Guidato dalle memorie e i suoi sintetici appunti, trovai un luogo che somigliava a quelle descrizioni.
Mi illudevo che avrei trovato il suo volto riflesso dell'acqua del fiume, di vederlo riposare con la schiena appoggiata contro il tronco di un albero o che la sua voce tinta di tagliente sarcasmo mi suggerisse che ero un completo idiota e stavo cercando dal lato sbagliato.
Non incontrai Sasuke, ma giorno dopo giorno, capii che quello era il posto giusto per ricordarlo, forse in qualche modo rivederlo.
Festeggiavo i miei successi e anche le mie delusioni con le gambe affondate in quel fiume, parlavo al vento e continuavo a rileggere le parole di Sasuke, delle sue sofferenze dell'infanzia, di quel luogo dove non è mai davvero tornato e di quella persona importante che aveva abbandonato più volte nel tempo e cui aveva dolorosamente rinunciato. Quel legame che lo aveva tenuto in vita, anche dopo la morte.
Io. Naruto.



A trent'anni continuavo ad essere il solito sognatore che non aveva perso le speranze perché Sasuke rimaneva una costante folle della mia vita.
Camminavo per le strade e sorridevo, provando ad immaginare che forse anche lui, tantissimi anni fa, le aveva percorse.
Ero ancora convinto che lo avrei ritrovato... e se non si decideva lui a tornare da me, ci avrei pensato io a stanarlo nel suo nascondiglio. Non poteva essere sparito nel nulla, aver abbandonato me e il mondo, senza prima avermi salutato definitivamente. Non avrebbe avuto senso, il passato non doveva ripetersi.
Sasuke doveva avere la possibilità di sentirsi libero e non relegato in un ruolo che gli impediva di amare. Pensavo a come Sasuke non avesse potuto vivere l'amore, ma io non ero messo meglio.
Il fidanzamento con Sakura era andato avanti per lungo tempo, fino a trasformarsi in un rapporto di profonda amicizia e fratellanza.
L'avevo lasciata quando cominciai a intuire che la persona di cui Sasuke aveva bisogno ero io.
Quando nel diario di Sasuke, trovai la conferma definitiva ai miei sospetti, ormai ero tornato single da un pezzo. Continuavo a vivere la vita, uscire con i miei amici, a deludere le aspettative di Jiraiya sull'arrivo di una nuova relazione sentimentale da cui prendere spunto per i suoi libri, ma non mi importava.
Volevo innamorarmi di una persona che avrebbe saputo darmi quel senso di completezza che non avevo mai provato con nessun altro che l'anima di Sasuke. Avrei riconosciuto subito quale sarebbe stata quella persona in grado di suscitare in me le stesse sensazioni di immotivata e improvvisa felicità e in grado di guardare nel profondo del mio sguardo e dell'animo – come faceva Sasuke – quel filo spinato che seppur avevo dimenticato, non era mai del tutto scomparso.
Avevo la convinzione che prima o poi l'avrei trovata quella persona, magari in uno scontro casuale o in un incontro fortuito tra amicizie comuni.
Invece mi aspettava sotto casa, con le braccia incrociate al petto e lo sguardo gelido, profondamente irritato come se avesse aspettato per ore il mio arrivo. Io avevo atteso una vita intera, ma non facevo quel muso lungo e imbronciato.
Sasuke mi spiegò brevemente che si era trasferito da poco nella mia città ed era un medico.
Lo trascinai dentro casa e mentre lo spogliavo mi confessò che era consapevole che lo avessi cercato, ma che fino a quando quel frammento di vecchia anima non fosse diventato un tutt'uno con quella appartenente alla nuova esistenza non era riuscito a tornare da me.
Ovviamente, come quel teme mi aveva predetto anni fa, non avevo afferrato del tutto il concetto al primo tentativo.
A differenza di Sasuke, non possedevo memoria della vita passata e sarebbe stato apparentemente più difficile per me capire i motivi per cui solo lui aveva tutti quei ricordi.
Quando Sasuke mi spinse sul letto, mi disse che tutto era accaduto perché non voleva che provassi di nuovo quella lacerante solitudine che aveva provato il bambino di Konoha e che nella nostra vecchia esistenza, le cose tra di noi, non si erano concluse nel migliore dei modi – separati e sofferenti, costretti a non poterci amare come avremmo desiderato davvero fare.
Bisognava assolutamente rimediare, gli dissi strofinando il naso contro il suo collo e Sasuke annuì, sorridendomi lievemente con nostalgia, per poi sfiorarmi le labbra con le sue e chiudere quella parte della nostra passata esistenza con un ultimo bacio.
Il primo della nostra nuova vita insieme.



«... noi» mormorai con la testa affondata contro il cuscino.
«Ho capito che in qualunque vita, abbiamo solo bisogno di noi.»
Sasuke si avvicinò al mio viso, premendo la sua fronte contro la mia, soffiandomi sulle labbra:
«Hai sempre parlato troppo, Usuratonchaki. Anche quando potevo concederti di avere ragione.»

  
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