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Autore: mxrlynians    26/10/2016    1 recensioni
Una What if? Grande quanto una casa, o il castello di Camelot se si preferisce....
Dalla storia:
Il fuoco divorava il legno accatastato tutt’intorno a Merlin.
Le fiamme cominciarono a bruciare anche il corpo dello stregone, prima i vesti, poi le viscere.
La puzza di carne bruciata si estese per tutta la radura, un soffio di vento spinse a destra le fiamme, e sciolse il ridicolo fazzoletto che Merlin portava sempre e comunque al collo, lo fece atterrare a pochi centimetri da Arthur, che lo raccolse, per poi stringerlo al petto, e annusò, il profumo del suo amato.
Le lacrime gli bruciavano il viso, stava annegando e nessuno lo avrebbe aiutato, nessuno lo avrebbe salvato.
Genere: Angst, Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: I Cavalieri della Tavola Rotonda, Merlino, Principe Artù | Coppie: Gwen/Artù, Merlino/Artù
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Quarta stagione, Nel futuro
- Questa storia fa parte della serie 'Towards The Sun '
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Stronger Than You

 

“Un giorno

il diavolo

mi sussurrò

all’orecchio

<< Tu non sei abbastanza forte per affrontare la tempesta  >>

Oggi sussurro io al suo orecchio

<< Sono io la tempesta  >>.”

 

 

 

Arthur sapeva solo due cose sul conto di Merlin.

Uno, non era assolutamente portato per la guerra, o le battaglie in generale.

Due, Merlin non poteva, categoricamente, possedere poteri magici.

Seno se ne sarebbe accorto vero?

Merlin glie l’ho avrebbe detto vero?

Perché erano amici vero?

Le domande gli sorgevano spontanee nella sua mente, mentre il corvino si ergeva in tutta la sua potenza davanti lui. Emanava una strana aurea, di calma, di potere, si superiorità.                         

I suoi occhi brillavano di una tonalità accesa d’oro che incorniciavano quei zaffiri, meravigliosi zaffiri con contorni di quarzo.

Arthur l’ha sempre pensato.

Aveva dei begli occhi.                                                                                                                                 

Ti scrutano dentro, leggono ogni tua bugia, scoprono ogni tuo segreto.

“Pensavo fossi scappato, Emrys” la voce di Mordred lo riscosse dai suoi pensieri.

“Non sei così codardo allora” la sua spada fendeva l’aria, si sentiva la magia che scaturiva da ogni parte della lama e dell’elsa, aveva ancora quella lucentezza caratteristica di una lama magica, anche dopo aver ucciso così tante persone.

“Molte persone mi hanno chiamato così, Mordred” la sua voce, di solito alta e squillante, è ora bassa e seria.                                                                                                                                     
Rare volte usava quel tono.

Il suo sguardo freddo come il ghiaccio, e tagliente come l’acciaio, metteva in soggezione Arthur.

“Non si può sfidare il Destino, e tu, Emrys, lo sai più di tutti qui presenti…” continuò con quel sorriso così sfacciato, sicuro di avere la vittoria in mano, “hai cercato di salvare più persone possibile…Ma sai, non tutti possono essere salvati, ogni vita ha un prezzo” strinse l’elsa della spada, si avvicinò di qualche passo, ma Merlin non indietreggiò

“Non tutto appartiene al Destino Mordred, ci sono punti del passato che possono essere cambiati, modificati, tramutati in meglio, per me e per te.”                                               

Fece un passo, “ma forse avrei fatto meglio a non salvarti quel giorno… Il tuo cuore non è abbastanza forte per il grande potere che hai dentro di te” il druido fece roteare la sua arma, gli tremavano le mani, era stanco, ma ancora un ultimo sforzo, un ultimo sforzo e Morgana sarà liberà di governare questo posto.

“Merlin…” Arthur si alzò con fatica, era al limite, voleva crollare lì e fregarsene altamente di quello che stava per accadere, ma non poteva, il suo corpo era ferito e malconcio, i lividi e le ferite della battaglia gli bruciavano, ma le labbra si mossero d’istinto, “tu…”.

Gli occhi di Merlin incontrarono i suoi, e un brivido gli salì dalla schiena, lo scosse, Merlin aveva paura, tremava, il respiro irregolare e la pelle pallida.

“Avevo ragione sei un codardo! Lascia morire lui! Tu non puoi nulla contro il Destino!” La voce di Mordred fece girare Merlin, “la profezia è chiara, è scritta su pietra, accettalo” terminò alzando la lama e puntandola al collo di Merlin.

“Nulla è scritto su pietra ma tutto può essere cambiato, anche il tuo cuore… Puoi ancora tornare in dietro, posso ancora perdonarti, basta che rinunci hai tuoi peccati…” la voce di Merlin era rotta dalla fatica, il sudore che scendeva veloce sulle sue tempie, gli occhi pieni di pietà e di compassione.

“Merlin…” Ripeté Arthur, con un filo di voce, l’interpellato si girò e sorrise debolmente.

“Andrà tutto bene Arthur” disse con calma, e per un breve istante, il re credette di aver visto il suo migliore amico, sorridere come solo lui sapeva fare, si rigirò e fece un passo verso Mordred.

Verso l’inferno.

Verso l’impuro.

Verso la fine che Arthur non voleva vedere.

 

Ci fu un suono sordo, di carne che veniva colpita e di vita che veniva spezzata.                                    

Accade tutto a rallentatore, Arthur sentì il suo cuore battere all’impazzata, come la spada di Mordred oscillò verso il corpo, fragile del suo servo. E lo colpì.                                                                   

Si alzò e prese la spada, ad una velocità sorprendente, le mani che tremavano, ma questo non impedì alla lama di affondare nel petto del ragazzo druido, che durante tutto questo processo non si mosse, ma sussurrò solo un piccolo e debole “Grazie”.                       

Arthur si concesse solo un misero istante di gloria, vide Mordred crollare accanto a Merlin.

Merlin.

Il cameriere era impallidito, e le sue mani tremavano, cercavano di fermare il sangue che usciva dalla ferita al petto, ma era stanco, e non fece un buon lavoro.

Arthur cadde in ginocchio di fianco a lui, mise le sue mani sulla ferita e spinse, “Dio” sussurrò, “cosa hai fatto Merlin?” la sua voce tremava, ma si impose di rimanere calmo.

“Ah, niente è scolpito sulla pietra, tutto può trascendere il Destino” disse piano, poi alzò gli occhi e vide le sue mani piene di sangue, sorrise amaramente.                                                          

Lasciò libero un sospiro, e il ritmo del suo cuore rallentò.                                                                         

Per un primo momento Arthur pensò che quelle sarebbero state le sue ultime parole, ma quando gli occhi si mossero per cercare i suoi, il re si rilassò.

“Hai visto Arthur, pensavi che io non sarei mai venuto… Ma invece sono qui…” rise piano, e le palpebre lottavano per non chiudersi.                                                                                               

Arthur sentì lo stomaco che si stringeva a quella vista, sentiva il respiro fermarsi in gola, voleva urlargli di stare zitto per una buona volta, ma le sue labbra non volevano aprirsi.

“Ti darò tutti i giorni di riposo che vuoi Merlin…” lo stregone sorrise, “no, io voglio otto fette di manzo nella mia zuppa” disse ghignando, “te ne darò tredici se rimarrai sveglio!” incitò l’altro, ma il corvino scosse il capo.                                                                                                           

“No, io ne voglio otto!” disse alzando la voce, ma il viso assunse un’espressione di dolore, e il biondo annuì, tutto per farlo stare zitto.

 Alzò le mani dalla ferita.                                                                                                                          
Troppo.                                                                                                                                                        
Troppo liquido cremisi che sgorgava dal suo petto, troppo poco tempo per intraprendere un viaggio verso Camelot, troppa fatica nelle sue ossa, troppa poca luce negli occhi di Merlin.

“Arthur” la voce di Merlin era morbida.

La testa del biondo scattò verso il suo viso, mentre spingeva ancora in basso la ferita, come se fosse l’unica cosa che teneva uniti, Merlin alla terra dei viventi.

“Tutto quello che ho fatto, l’ho fatto per te…” mormorò, incrociando lo sguardo del valoroso Arthur, “tutto quello che ho fatto, l’ho fatto per Camelot, per voi…” Arthur sentiva la sua gola chiudersi, e rispose con un ‘si’ strozzato e affaticato.

“Avresti dovuto dirmi della tua magia, ti avrei aiutato, ti avrei protetto” provò a ridere, ma tutto quello che uscì fu un singhiozzo di panico.

“Avresti ricevuto gloria e grazie, per aver salvate il re di Camelot” finì, aumentando la forza sul petto pallido del corvino.

“Non è questo che volevo…” Sussurrò, alzò le mani, macchiate di sangue, e si aggrappò alla cotta di maglia del cavaliere.                                                                                                               
Arthur poteva ancora sentire il tessuto della tunica rossa di Merlin, che emanava calore, e profumo di erbe selvatiche e cannella, il classico profumo del suo valletto. 

“Andiamo” Arthur si aggroppò al vestito di Merlin, le lacrime che scendevano liberamente sulle sue guance.                                                                                                                             
“Resta con me, fai qualcosa, usa la tua magia, guarisci la tua ferita”, chiese speranzoso mentre le mani del druido perdevano la loro forza.

“Non funziona…In questo modo…” mormorò, alzò il collo, e posò le sue labbra su quelle di Arthur.

Le sue calde e salate, mentre quelle di Merlin fredde e secche.                                                             
Si staccarono per mancanza d’ossigeno, e lo stregone sorrise.

“Chiedi scusa a tutti… da parte mia… p-per favore Arthur?” la voce di Merlin tremava, “digli che non ho potuto…” ma Arthur lo interruppe.

“Lo farò,” rispose con voce tremante “te lo prometto”.

La testa del valletto ricadde all’indietro, “grazie” sussurrò, strinse le mani di Arthur nelle sue.

“Sorgi e splendi è un nuovo giorno” annunciò, sorridendo.

Sorrise anche il re, un sorriso salato che svanì poco dopo.                                                                          
La luce era completamente sparita dagli occhi di Merlin, ancora aperti, con le pupille rivolte verso il cielo.

Arthur non sentiva più il cuore del mago che batteva sotto le sue mani, sentiva solo il freddo di un corpo senza vita.                                                            
Gli mosse le spalle, lo scrollò con leggerezza chiamando il suo nome.                                                       

Ma in fondo Arthur sapeva che Merlin era morto.

“Andiamo Merlin! Merlin!” sussurrò sporgendosi in avanti, prese il suo volto e gli accarezzò la guancia, in un segno d’amore.

“Merlin, torna da me, avanti, non fare l’idiota!” fece scendere le sue mani fino a farla arrivare al suo stomaco, che strinse con tutte le sue forze fino a crollare.

 

Torna, per favore.

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Arthur aveva pianto tutte le sue lacrime, e aveva urlato tutto il suo dolore, ma per qualche strano motivo, non si sentiva ancora stanco, forse perché Morgana era ancora viva, e invece Merlin no.                                                                                                                                                 
Forse perché il suo regno era, per buona parte, distrutto.                                                                            
Forse perché voleva solo vendetta.

“Il tuo cuore non dovrebbe cedere il passo all’oscurità di questo momento”, una voce femminile lo fece voltare.                                            

Una bellissima donna con lunghi capelli bianchi e occhi blu, era davanti a lui.                                       
Il suo vestito azzurro risplendeva alle prima luci dell’alba, le braccia erano piene di scritte e rune, era forse una druida?

“Prima che tu me lo chieda, io non sono una druida, pratico solo la magia, e il mio nome è Avalon, sono la custode di questo posto” il suo viso non lasciava trasparire nessun’emozione. Le sue mani erano piene di anelli, e i suoi polsi erano ricoperti di bracciali d’orati o fatti di spago decorato con qualche fiore selvatico, che Merlin era solito cogliere.

“Cosa vuoi?” la voce di Arthur assunse un tono seccato, come osava quella donna arrivare lì da chi sa dove, e dargli ordini, “sai chi sono?” chiese alzandosi e fronteggiò la nuova arrivata.

“Certo che lo so,” la sua spavalderia traboccava dalle sue parole, “il tuo nome è Arthur Pendragon, e saresti dovuto morire più o meno tre clessidre fa” concluse alzando le spalle e sorridendo, come solo Merlin sapeva fare.                                                                                              

“Cosa vorresti dire!?” sguainò la spada e la puntò al petto della donna, che per sua risposta non si mosse, “voglio dire quello che ho detto, tu e il tuo amico siete riusciti a distruggere secoli e secoli di predizioni, sacrifici e guerre” si avvicinò, e la spada bucò il vestito azzurro, “dovresti dirgli addio, giovane Pendragon” continuò scostando la spada dal suo petto.

“Dirgli addio?” ripeté abbassando la lama, e cominciò ad immaginarsi tutti i momenti che aveva condiviso che il suo amico.                                                                                                            
“No, non lo farò” disse con fermezza, rialzando la spada.

“Dovresti invece, e dovresti farlo proprio qui, brucialo e dagli il tuo ultimo saluto” gli occhi cambiarono colore, il blu si trasformò in oro colato.                                                                                   
La spada sfuggì dalle mani di Arthur e cadde a pochi centimetri dal corpo di Merlin.

“Hai usato la magia!” urlò Arthur, mentre cercava di liberarsi dalla presa ferrea della magia di Avalon.

“Perché voi umani non potete usare la vostra testa?! Sai quante persone vorrebbero un lembo di carne, o una goccia di sangue del più grande stregone mai esistito!?” allentò la sua presa, “ci sono persone che sarebbero capaci di distruggere tutto quello che tu e Emrys avete creato in tutto questo tempo”.                                                                                              
La sua voce si abbassò di colpo, e Arthur riuscì a liberarsi dall’incantesimo.

“Ma non preoccuparti giovane Pendragon, Emrys tornerà quando ne avrai più bisogno. Quando Albione ne avrà più bisogno” una forte luce circondò la ragazza.

“Un’ultima cosa giovane Pendragon,” alzò una mano e se la portò al collo, da lì strappò una collana che lanciò al giovane.

“Proteggila a costo della tua stessa vita, e prima che tu me lo chieda, Morgana è ufficialmente morta. Congratulazioni Arthur Pendragon, nuovo re di Albione”, la luce si spense, e la ragazza scomparve.

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Il fuoco divorava il legno accatastato tutt’intorno a Merlin.                                                                         
Le fiamme cominciarono a bruciare anche il corpo dello stregone, prima i vesti, poi le viscere. La puzza di carne bruciata si estese per tutta la radura, un soffio di vento spinse a destra le fiamme, e sciolse il ridicolo fazzoletto che Merlin portava sempre e comunque al collo, lo fece atterrare a pochi centimetri da Arthur, che lo raccolse, per poi stringerlo al petto, e annusò, il profumo del suo amato.                                                                                                    
Le lacrime gli bruciavano il viso, stava annegando e nessuno lo avrebbe aiutato, nessuno lo avrebbe salvato.

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“È tutta colpa tua Arthur!” la voce di Gwein si estese per rutta la sala del trono, la riunione dei cavalieri era iniziata da pochi minuti, “lo hai lasciato morire!” le urla del cavaliere aumentarono, e in più si aggiunse il mormorio degli altri cavalieri.                                                           

“Ora smettetela Sir Gwein” la voce di Leon sovrastò il brusio di sotto fondo, e lo spense con prudenza, “lo stai forse proteggendo Leon?!” il moro si alzò di scatto facendo così rovesciare la sedia.

“Lui è il Re, e esigo che gli si ponga rispetto!” si alzò anche lui, il silenzio che governava la stanza, in tutta sincerità ad Arthur non importava granché del casino che i suoi cavalieri stavano facendo, aveva la testa china, posata sulle nocche della mano sinistra, fissava un punto non preciso della grande tavola rotonda.                                                                                         

Aveva cominciato a chiamarla così da quando lui era morto.                                                                      
Ogni volta che Arthur faceva consiglio, il suo valletto urlava per tutto il castello sempre la stessa frase, << Per tutti i cavalieri del regno di Camelot, è stato fissato consiglio con il re alla Tavola Rotonda >>, Arthur pensava sempre che si divertisse ad urlarlo ai quattro venti.                                                                                                                                                             
I ricordi che aveva soffocato da quel giorno, stavano riaffiorando, e facevano male.                                
Il suo sorriso, il suo sguardo, il suo sarcasmo pietoso, la sua risata, il suo ridicolo straccio che Arthur stava conservando in segreto da tutto e da tutti.

 “… Arthur?”

“Sire?” la voce di Leon lo riscosse dai suoi pensieri, alzo il volto pallido, e concentrò il suo sguardo in quello di Leon, le occhiaie che circondavano gli occhi del suo re, lo fecero sussultare, cercò di formulare una frase ma Gwein fu più veloce;                                                             

“Ti senti in colpa?” La domanda arrivò dritta, senza giri di parole, il dolore al petto di Arthur si fece più forte delle altre volte, boccheggiò in cerca di aria, voleva parlare dire loro che aveva cercato di salvarlo con tutte le sue forze, ma non ci riuscì.                                          

Disse solo che Mordred lo aveva pugnalato e per lui non c’era stata via di scampo.

Il silenzio tornò a regnare sulla stanza, la tempesta fuori infuriava, il vento faceva sbattere le foglie e i rami contro le finestre, era davvero insolito una simile tempesta nel bel mezzo dell’inverno.

“Quindi lo hai lasciato morire” disse piano Gwein, i pugni stretti sui fianchi, “quindi lo hai fatto apposta!” urlò poi sbattendo le mani sul tavolo di legno, “guardami Arthur!” il respiro del cavaliere divenne lento e regolare, “guardami, no, guardati! Non riesci nemmeno più a farti rispettare, questa cosa sta andando avanti da troppo tempo!” la rabbia nella voce di Gwein fece allarmare Percival.

“Sai da quanto tempo se ne è andato Arthur?”

“Non dirlo” la supplica arrivò debole alle orecchie del cavaliere, ma scelse di cancellarla.

“Due anni Arthur”

Due. Anni.

“Non è vero” la voce del re risuonò in tutta la stanza.

“O si che è vero, da due anni vai avanti così, sai lui non avrebbe mai voluto vederti in questo stato”

“Smettila” lo supplicò, stava affogando e nessuno lo avrebbe aiutato.

“Ed è tutta colpa tua Arthur” continuò imperterrito, adesso anche gli altri cavalieri lo avevano abbandonato, prima lui poi loro.

“Basta, te lo ordino come tue re, smettila” fece la voce grossa.

“Sei un codardo ecco tutto, non dovresti stare nemmeno su quel trono, è opera sua se tu sei ancora vivo, lo dicono molto spesso sai, non sai mai cos’hai finché non lo perdi”.

Si sentì un forte sbattere di porte.

Erano rimasti solo loro lì.

Arthur.

Percival.

Lance.

Leon.

Elyan.

Gwaine.

Compagni di tante avventure, di tante disgrazie e di tanti dolori.   

Gli altri cavalieri non dovevano vedere le lacrime del loro re.    

Ma per loro era una consuetudine.                                                                                                                

“Pensavo di poterlo salvare… Pensavo che sarebbe tornato tutto come prima, alle nostre solite conversazioni, ai nostri sguardi, ma a quanto pare mi sbagliavo” la voce del re tremava ad ogni parola, cacciò la mano nella tasca destra del pantalone, e ne tirò fuori un pezzo di seta rosso, ormai il suo odore era scomparso, ma guardarlo gli dava sempre piacere, anche nelle spedizioni, quando lo stringeva a sé, sentiva la sua presenza che lo rassicurava.

“Devi andare avanti Arthur” Gwein si calmò, girò la tavola, e quando arrivò dietro al suo amico, non re, gli posò una mano sulla spalla.                                                                                              
“Tutti quanti lo abbiamo superato Arthur, così stai solamente peggiorando le tue ferite, lasciale guarire, e qualche volta guardale e ditti 
<< Tutto questo non accadrà più>>” la voce del moro si fermò, un altro tonfo.

Ed ora era rimasto solo lui in quella stanza, fredda.

Come il mare in cui stava affogando.

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“Ti incorono Regina di Camelot, Ginevra” la voce del re rimbombò in tutta la stanza, in meno di pochi secondi le urla riempirono la sala e l’intero castello.

“Ti amo Arthur” la sua voce così soave, come musica, ma ti sembra stonata, perché l’unica melodia che volevi era la sua risata.

“Anche io Ginevra”.

Una bugia dietro l’altra, tu non la ami Arthur una voce risuonò dentro la sua testa, in fondo in un angolino, dove aveva confinato tutti i suoi ricordi con lui.

Era solo e solamente per il benessere di Camelot se l’hai sposata, devi avere un erede, testa di fagiolo.

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.

Erano passati anni da quel giorno di lutto per Camelot.

Ora la vita di tutti quanti continuava, senza intoppi, Camelot era diventata una città importante, tutti quanti ne parlavano, parlavano del suo castello, e delle leggende di un principe e del suo valoroso valletto. 

Ma c’era qualcosa che non andava, lo sentiva.    

Si toccò la tasca destra.

Le pupille che si dilatavano.

Dov’era?

Ne era sicuro, lo aveva messo nella solita tasca, ogni mattina sempre la solita routine.

Sveglia.

Colazione.

Si avvicina al comodino e prende il fazzoletto di Merlin.

Lo mette in tasca.

E affronta la bestia chiamata ‘Vita’.

                                                                                         

Ma per qualche stupido scherzo del destino, ora non lo ha con lui, mentre Ginevra sta morendo, sul quel letto che avevano condiviso così tante volte.

Sono morti anche gli altri, uccisi dal tempo.

Leon, da un affondo di spada.

Percival, una frana di rocce.

Elyan, torturato.

Gwein, avvelenato.

Lance, sacrificio.

 

E lui?

Quando sarebbe toccato a lui?

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Si accarezzò il volto nel buio della stanza.

Tutti lo avevano abbandonato, aveva assistito alla morte di tutti quanti, ma della sua ora ancora nessuna traccia. Strinse la collana che quella donna gli diede tempo fa. Il pallore della luna illuminava il castello abbandonato, così lo chiamano gli abitanti delle città vicine.

Certi dicono che dentro ci abiti ancora il suo re, che aspetta, con devozione e dolore, il ritorno del suo amato.

Ma chissà, magari sono solo voci, leggende popolari nate dalla voglia di segreti della gente, nate per divertimento e costrette a vivere contro il loro volere, confinate in quella realtà che non gli darà mai la pace.

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.

 

 

To be Continued….   

 

 

Buco d’autrice!

Sono tornata! AHAHAH, sono ancora viva per la vostra (s)fortuna (?).                                                                                                           

Il mio computer ha minacciato seriamente di lasciarmi a piedi per il resto della mia vita da scrittrice, ma invece è ancora qui! EVIVVA!

No seriamente, allora questa “COSA” riferita al sotto specie di racconto che ho scritto tutto d’un fiato, che a dirla tutta non sembra tanto male…. 

AHAHAHAHAHAAH MA CHI VOGLIAMO PRENDERE IN GIRO!?

Basta ahah se no mi ammazzate.

Ora vi lascio!

 

Lasciate una recensione! Come sempre, sono graditi commenti, consigli e critiche (costruttive grazie :-P).

 

Grazie per aver letto (*-*)

 

Arcobaly_739

   
 
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