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Autore: kateausten    26/10/2016    6 recensioni
“Un mio amico… un mio amico mi chiamava così, ma non lo vedo da un po’ di tempo”.
“Oh”, disse Dean. “Ti chiamava Cas anche lui?”.
“Già”.
Uno strano silenzio cadde sul tavolo.
“Ti manca?”, chiese piano Dean, proprio mentre arrivavano le ordinazioni.
Castiel attese che il piatto di Dean e le loro tazze di caffè fossero posate sul tavolo prima di rispondere una cosa che al ragazzo, anche se non seppe perché, spezzò il cuore.
“Più della mia stessa vita”.
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bobby, Castiel, Dean Winchester, Sam Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Quinta stagione
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Era ottobre inoltrato e Lewiston, tranquilla cittadina del Maine, era nel pieno di un esplosione di colori caldi e avvolgenti tipica delle zone del New England durante l’autunno.
Una foglia gialla si staccò da un ramo e cadde dolcemente sul cappotto nero di Dean Winchester. Il ragazzo stava camminando lentamente digitando un messaggio al cellulare e in un primo momento non si accorse dell‘accaduto; continuò a camminare per il parco riuscendo a evitare per un pelo di spiaccicarsi contro una panchina ed evitare di essere travolto da un bambino in bicicletta.
Scusa bambola, ma non credo di farcela per stasera. Riunione importantissima. Mi dispiace”.
Dean inviò il messaggio e sospirò stancamente, rimettendosi il cellulare in tasca: Lydia era bellissima, per carità, ma gli sembrava leggermente ossessionata dal suo conto in banca piuttosto che dalla sua persona.
Lo era stata anche Bela, ma almeno con lei il sesso era stato qualcosa di selvaggio e c‘era un evidente vena psicopatica in lei che a Dean piaceva. In fondo, gli era dispiaciuto venire a sapere che era finita in prigione per contrabbando di beni artistici e di soldi falsi.
Mentre si sedeva su una panchina poco lontana da quella precedente, ancora con il bambino in bicicletta che pedalava davanti a lui, la foglia gialla scivolò dalla sua spalla, posandosi sulle stecche di legno. Dean guardò stancamente il bambino e il piccolo laghetto davanti a lui senza vederli veramente: non c’era nessuna riunione perché si era licenziato.
Fare il manager non lo divertiva e non era proprio nelle sue corde; avrebbe voluto un lavoro più attivo, più.. pericoloso? Dean sorrise lievemente.
No, il pericolo non era il suo genere. Ma neanche fare il manager, ne era totalmente sicuro. “Qualcosa mi inventerò”, pensò. “In fondo non sono mica andato a Stanford per nul..”.
Il pensiero si interruppe mentre, come al rallentatore, vide il bambino in bicicletta avvicinarsi troppo al laghetto. Si alzò prima che il cervello avesse elaborato il pensiero di farlo e corse come un razzo verso il bambino. Lo acchiappò al volo, prima che cadesse insieme alla piccola bicicletta. Il piccolo sobbalzò spaventato e cominciò a piagnucolare.
“Va tutto bene”, mormorò Dean senza fiato. “Tutto, tutto bene..”.
Il bambino smise di lamentarsi e guardò Dean, senza dire niente. Dean se lo aggiustò meglio in braccio e si guardò attorno.
“Dovremmo trovare la tua mamma, perché comincia a farsi tardi e..”.
Un grido squarciò l’aria.
“Lucas!” .
“Problema risolto”, commentò Dean sorridendo alla donna bruna che correva verso di lui.
“Lucas! Oddio.. Ero a parlare con.. Con quelle donne e..”, cominciò a rantolare la donna, che sembrava essere sul punto di svenire. “Non ho visto.. Dio, come ho fatto a non vederlo? Lo tengo sempre d’occhio e quando l’ho visto vicino al lago era troppo tardi e..”.
“Non si preoccupi”, la interruppe Dean. “Cose che succedono”.
“Se non fosse stato per lei..”.
“Davvero, non..”.
“No”, disse lei interrompendolo. “Davvero non capisce. Lucas ha difficoltà a parlare. Non credo avrebbe urlato o chiesto aiuto e io forse non avrei potuto..”. Fece un sospiro enorme. “Grazie, davvero”.
Dean sorrise, passandole il bambino che intanto si era accoccolato tra le sue braccia.
“E lei non si preoccupi, davvero”, disse. “E’ il mio lavoro”.
Dean sembrò interdetto quanto la donna dopo aver pronunciato quelle parole.
“E’ un poliziotto?”, chiese cullando il figlio.
“Ehm.. No”.
“Un pompiere?”, tentò.
“No”.
“Un.. Un..”.
“No.. Era una battuta”, la interruppe precitosamente Dean. “Solo una battuta”.
“Oh”, disse la donna.
Poi sorrise e Dean notò quanto madre e figlio si somigliavano. “Allora.. Grazie di nuovo. Se la rivedrò posso offrirle un caffè?”.
“Con piacere”, rispose Dean facendole l’occhiolino.
Si girò e tornò alla panchina dove aveva lasciato la sua valigetta nera, sentendosi ancora strano per le parole che aveva pronunciato pochi minuti prima. Aveva fatto una buona azione e si sentiva meglio ma il suo desiderio principale era quello di mettersi a sedere dove prima e continuare a pensare allo schifo della sua vita.
Peccato che la panchina fosse già occupata.

 
*


Sulla panchina, seduto nel punto esatto che Dean aveva lasciato libero, c’era un uomo. Indossava un trench beige sicuramente troppo leggero per quella stagione; la schiena era curva, teneva i gomiti poggiati sulle ginocchia e i capelli neri erano scompigliati dal leggero vento che stava cominciando a soffiare. Giocherellava con una foglia e aveva l’espressione più triste che Dean avesse mai visto sul viso di un’altra persona.
Non sembrava un tizio molto incline a farsi disturbare da un estraneo quindi Dean cercò con la coda dell’occhio la valigetta per prenderla e poi defilarsi silenziosamente. L’adocchiò proprio accanto al tizio e fece per afferrarla quando questi alzò quegli occhi incredibilmente tristi e incredibilmente blu e Dean si bloccò.
Lo conosceva. Lo conosceva?
“Ehi amico, scusa ma questa è la mia valigetta”, borbottò. “Non sto cercando di fregarla o cose così”.
L’uomo non rispose e continuò a giocare con la foglia.
“Stai bene?”, chiese Dean dopo un momento.
L’uomo continuò a non rispondere e Dean sospirò, maledicendo la sua tendenza a voler aiutare persone palesemente svitate.
“Ehi, dico a te”, disse. “Potresti anche rispondermi e non stare li come un..”.
“Hai salvato quel bambino”, disse improvvisamente l’uomo con voce roca. Sembrava non parlasse da giorni.
“Uhm..”, borbottò Dean passandosi un mano sulla nuca. “Nulla di che”.
Il volto dell’uomo si aprì in un debole sorriso e Dean si sentì stranamente orgoglioso di se stesso; qualcosa gli diceva che far sorridere quello strambo ragazzo era un’impresa difficile.
“Non è vero che non è nulla di che”, ribattè. “E’ stato un gesto di enorme altruismo e coraggio”.
Dean sentì la guance scaldarsi e tingersi di rosso mentre, per qualche motivo a lui del tutto sconosciuto, si sedeva accanto all’uomo.
“Stai esagerando”, mormorò. “Lo avrebbe fatto chiunque”.
Il tizio strambo piegò la testa e Dean trovò quell’azione talmente familiare che sentì quasi una fitta allo stomaco. Che diamine..?
“Credimi se ti dico che solo pochi sarebbero corsi immediatamente a salvare quel bambino. Molti avrebbero tentennato fino all‘ultimo prima di fare qualcosa”.
Sembrava così sicuro delle sue parole che Dean non se la sentì di contraddirlo.
“Non hai risposto alla mia domanda”, disse Dean dopo qualche secondo di silenzio.
“Ovvero?”.
“Stai bene?”, ripeté Dean. “Senza offesa amico, ma hai l’aria di chi non dorme da giorni”.
“Io non dormo mai”, ribattè tranquillamente l’altro.
“Appunto”, disse Dean dopo un momento di sconcerto. “Magari una nottata di sonno ti rimetterebbe in sesto”.
Il ragazzo scrollò le spalle e tornò a guardare davanti a se.
“Dean”.
Quegli occhi blu lo colpirono come una mattonata allo stomaco, quando lo guardarono sorpresi.
“Come?”chiese. “Dean. Il mio nome, sai”, spiegò con una risata imbarazzata. “E’ così che fanno i normali esseri umani. Si presentano”.
“Perché, secondo te non sono un normale essere umano?”.
Dean ridacchiò.
“Di nuovo senza offesa, ma sembri provenire da un altro pianeta”.
Il ragazzo sembrò non prendersela e sorrise quietamente. Dean si sentiva calmo accanto a lui, come se fosse sul molo di un grande lago a pescare e lui era dietro Dean e gli stava dando un biglietto prima che..
“Castiel”.
Dean sobbalzò alla voce dell’altro. Aveva in mente un’immagine talmente vivida che per un attimo si scordò dove era e con chi stesse parlando.
“Come?”, chiese sbigottito. “Il mio nome, sai”.
Castiel sbuffò quella che Dean classificò come risatina. “E’ quello che fanno i normali esseri umani”. “Ah, ah”, finse di ridere Dean, tirandogli un leggero pugno. “Simpatico”.


 
*



“Non posso iniziare la giornata senza una dannata tazza di buon caffè”.
Dean aspettava la reazione di Castiel, soddisfatto della sua battuta, mentre l’altro era intento a leggere il menù della tavola calda nella quale erano entrati una decina di minuti prima.
“Cosa hai detto?”, chiese Castiel alzando lo sguardo.
Dean strabuzzò gli occhi.
“Amico, stai scherzando vero?”.
Castiel gli restituì uno sguardo sperso.
“Dale Cooper? Chi ha ucciso Laura Palmer?”, cominciò Dean. “I segreti della fottutissima Twin Peacks?”.
“Dean, non ho idea di che cosa tu stia parlando”.
Il ragazzo rise e prese anche lui il menù.
“Non ci posso credere, Castiel. Non conosci questo telefilm. Eppure dovremmo avere la stessa età”, esclamò Dean.
Poi lo guardò curioso.
“Quanti anni hai?”.
Castiel abbassò lo sguardo sul menù.
“Non mi dirai che ti vergogni, vero? L’età non si chiede alle signorine, non a dei mocciosi in trenchcoat”.
Castiel assottigliò lo sguardo.
“Perché mi hai dato del moccioso?”.
Dean deglutì e qualcosa nel suo cervello sembrò spingere, spingere, spingere per uscire fuori.
“Io..”, disse confuso. “Non lo so. Scusa. Ti sei offeso?”.
Ma Castiel sembrava quasi di buon umore e non rispose, leggendo il menù con un espressione quasi compiaciuta.
Dio, com’era strano.
Dean non aveva ancora trovato un lavoro, quindi faceva lunghe passeggiate per il parco e dopo qualche giorno il primo incontro si imbatté nuovamente in Castiel. E poi ancora e ancora e Castiel sembrava aspettarlo, seduto sulla solita panchina con il solito sguardo triste che si faceva più felice quando vedeva Dean arrivare. Parlavano sempre di cose generali, molte volte stavano in silenzio. E Dean, che non si era mai sentito a proprio agio neanche con se stesso, stava bene in quel silenzio con Castiel. Dopo aver ordinato (caffè Castiel; caffè, bacon e un pezzo di crostata da portare via Dean), Castiel guardò Dean.
Il ragazzo si fece subito rosso, perché Castiel aveva questo modo di guardarlo che.. E poi in pubblico! Fossero stati da soli o in una stanza di motel come quella volta che lo aveva visto nello specchio del lavandino e quando si era girato non si era ritratto perché voleva.. Voleva..
Sentì una fitta lancinante alla testa.
“Stai bene?”, chiese la voce ansiosa di Castiel. “Dean?”.
“Sto bene, Cas”, rispose il biondo massaggiandosi le tempie. “Tranquillo”.
Castiel rimase in silenzio e poi, molto cautamente disse: “Mi hai chiamato Cas”.
Dean alzò lo sguardo, sorpreso.
“Beh.. Si”, disse continuando a massaggiarsi le tempie. “C’è qualche problema?”.
Lo sguardo di Castiel si fece veramente luminoso e per un attimo Dean si sentì avvolgere da quegli occhi, che sembravano diventare più chiari e limpidi.
“Nessun problema”, confermò. “Un mio amico… un mio amico mi chiamava così, ma non lo vedo da un po’ di tempo”.
“Oh”, disse Dean. “Ti chiamava Cas anche lui?”.
“Già”. Uno strano silenzio cadde sul tavolo.
“Ti manca?”, chiese piano Dean, proprio mentre arrivavano le ordinazioni. Castiel attese che il piatto di Dean e le loro tazze di caffè fossero posate sul tavolo prima di rispondere una cosa che al ragazzo, anche se non seppe perché, spezzò il cuore.
“Più della mia stessa vita”.

 
*



“Hai trovato lavoro?” chiese Castiel un giorno mentre Dean dava da mangiare del pane raffermo alle anatre del laghetto.
“No”, sospirò. “Non riesco a trovare niente”.
“Niente?”.
“Niente che mi piaccia davvero”, chiarì Dean.
Guardarono le anatre cercare di rubarsi il pane a vicenda e Dean si grattò la tempia.
“Ehi, Cas. Ma tu che lavoro fai?”.
Castiel continuò a guardare le anatre.
“Perché sai, sei qui con me praticamente tutti i giorni e non sembra che tu abbia scadenze o impegni o.. beh”, Dean si strofinò le mani fredde. “Neanche una casa”.
Castiel alzò lo sguardo su di lui.
“Non sei un senzatetto, vero?”, chiese Dean preoccupato.
Castiel gli donò un leggero sorriso che fece perdere qualche battito al cuore di Dean.
“No, non sono un povero Dean”, rispose.
“E.. non lavori”.
“Non esattamente”.
Dean stette un attimo in silenzio.
“Lo sapevo”, esclamò convinto. Castiel lo guardò. “Sei uno di quei tizi megaricchi che non hanno bisogno di lavorare e che cercano un diversivo per passare le giornate”.
Cas sospirò con quella che a Dean sembrò insofferenza e scrollò le spalle.
“Già”, disse. “Più o meno”.
“Oh beh”, disse Dean dandogli una pacca sulla spalla. “Buon per te!”.
Ripiombarono nel silenzio, ma andava bene. Tutto andava bene con Cas accanto.
“E a te cosa piacerebbe fare?”.
Dean sobbalzò.
“Non ne ho idea”, rispose sinceramente. “E’ come.. Come se in questo momento non stessi ricordando cosa mi piace fare”.
Castiel si girò verso di lui.
“Ti piacciono le macchine?”, chiese.
Dean sgranò gli occhi.
“Beh.. Si. Amico, a chi è che non piacciono le macchine?”.
Probabilmente i soldatini sono ancora incastonati lì.
Dean ignorò una delle solite uscite strambe del suo cervello e si concentrò sull’amico. Aveva lo sguardo febbrile.
“Quindi, se io riuscissi a rimediarti una vecchia Impala del ‘67 cosa diresti?”.
A Dean si mozzò improvvisamente il fiato.
“Direi che, se fosse legale, ti sposerei”.
Castiel fece una risata, una vera risata, e a Dean il cuore si bloccò completamente.



 
*

 


Lavorare sull’Impala che Castiel gli aveva rimediato fu bellissimo.
“Ciao piccola”, disse Dean mentre sentiva dentro di se una felicità quasi sconosciuta.
Ti sono mancato?
Castiel lo seguì con lo sguardo senza mai lasciarlo andare. Mentre accarezzava il cofano, mentre smontava il motore, mentre si levava il grasso dalle mani. Lo guardò tutto il tempo con impazienza. Ma a fine giornata, quando la macchina splendeva come un gioiello, Castiel aveva solo un’espressione frustrata e sconsolata.


 
*




Certe volte Castiel lo guardava come se fosse un’opera d’arte e questo metteva Dean a disagio e in soggezione, ma lo faceva sentire anche estremamente compiaciuto.
Certe volte, Cas gli faceva domande assurde.
“Sei mai stato a Lawrence?”.
“Intendi in Kansas? No, perché?”. Dean guardava la neve vorticare dalla finestra del suo appartamento dove aveva invitato Castiel, quando ormai era troppo freddo per potersi sedere su una panchina del parco.
“Così”. Dean annuì e continuò a guardare la neve.
“Hai famiglia, Cas? Non ne parli mai”.
Gli occhi di Castiel si scurirono. “Ho molti fratelli. Ma ultimamente abbiamo avuto tremendi dissapori”.
“Oh”, disse Dean alzandosi per prendere un po’ di wiskey che teneva per le occasioni speciali. “Mi dispiace”.
Castiel fece un breve cenno col capo, prima di guardarlo intensamente.
“E tu?”.
“Figlio unico socio”, rispose mentre versava il liquido in due bicchieri. Poi si accigliò: gli sembrava di aver detto una bugia bruttissima, una di quelle che ti lasciano un peso sul cuore e un sapore amaro in bocca.
“Cioè..”, disse ma si interruppe.
“Si?”, chiese concitatamente Castiel.
Dean scosse la testa.
“Nulla, nulla”.
Castiel sospirò e prese il bicchiere che Dean gli offriva.
“I nomi..”, Castiel sembrò esitare e combattere contro se stesso. “Lisa e Ben ti dicono qualcosa?”. Dean aggrottò la fronte. Una volta lui.. Era sicurissimo, aveva.. No, niente.
“No”.
“Mary? John?”. Dean scosse la testa incuriosito, bevendo un sorso.
“Bobby? Ellen?”. Dean alzò lo sguardo, sorpreso. “Sono i nomi dei miei genitori”, esclamò. “Come diamine fai a saperlo?”.
“I tuoi genitori?”, ripeté Castiel con sguardo addolorato.
“Cas, credimi, so quali sono i nomi dei miei vecchi”, disse Dean ridendo ma provando un lieve disagio.
Che senso avevano quelle domande? Anche Castiel prese un sorso di wiskey e fece una smorfia.
“E’ forte”, disse.
“Il migliore, Cas”, lo elogiò Dean guardando con orgoglio la bottiglia.
Ne prese un altro sorso e si mise a sedere accanto a Castiel. Il suo nuovo amico aveva le guance arrossate e i capelli scompigliati.
“Perché non ti levi questo affare, Cas? Avrai caldo”.
“Io non ho mai caldo, Dean”.
“Ci rinuncio”, affermò Dean con affetto. “Mi piaci lo stesso”.
Avrebbe voluto rimangiarsi quelle parole appena pronunciate. Castiel lo stava guardando come quella volta che..
Non cambiare mai”.
Dean guardò Castiel avvicinarsi un po’, invadendo il suo..
Oh! Spazio personale, Cas!”
“E’ strano Cas, sai?”.
“Cosa?”.
“Mi sembra di conoscerti già. E’ stata la prima cosa che ho pensato quando ti ho visto”.
Castiel non rispose e prese un altro sorso.
“E adesso è come se stessi vivendo quello che non mi è stato mai concesso”, continuò. E dopo un impercettibile pausa aggiunse: “Anche con te. Soprattutto con te”.
Dean rise cupamente, prima di prendere anche lui un altro sorso.
“Scusa, sto dicendo un sacco di stronzate”.
Castiel lo guardò e Dean ricambiò il suo sguardo, sentendo qualcosa di feroce nel petto che gli urlava che era tutto giusto, perché Cas era suo, cazzo, suo.
Continuò a guardarlo mentre si avvicinava sempre di più e il cuore cominciava a battere veloce veloce veloce, come tutte le volte che lui era nelle vicinanze o compariva improvvisamente perché c’erano dei problemi in Paradiso e..
“Dean”, mormorò Castiel come una supplica. Aveva perso il suo aspetto composto. “Ti prego”.
Dean non rispose, si limitò a guardarlo con gli occhi lucidi e le labbra dischiuse. Non capiva cosa stesse succedendo.
“E.T. torna a casa”.
“Cas..”, riuscì a dire.
Ho fatto tutto quello che mi hai chiesto di fare! Ogni cosa!”
“Dean”, disse nuovamente Castiel con urgenza, senza staccare gli occhi dai suoi. “Ricorda, ti prego”.
Castiel? Vedi, ha una debolezza. Gli piaci”.
“Ci sei quasi”, ringhiò Cas. “Lo vedo, ti prego, concentrati!”.
Erano vicini, troppo vicini e Dean non sapeva se era il wiskey che suo padre Bobby gli aveva dato, ma non era Bobby suo padre, no era John, che guidava ed era lui suo padre e c’era un tassello che mancava, una persona..
Non sapeva se era quello o l’agognata vicinanza di Castiel perché lui lo sapeva che aveva pregato il cielo per quella vicinanza, per avere quell’odore su di se e.. Le labbra di Castiel erano morbide e Dean le baciò senza un attimo di dubbio o incertezza. Quando Cas dischiuse le labbra Dean ne approfittò subito e infilò la lingua in bocca al suo amico, perdendosi in quel bacio come mai aveva fatto prima. Ne era sicuro.
Aveva baciato tante, tante persone, ma mai, mai così.
Castiel ricambiò con quel genere di energia e ferocia che fece capire a Dean quanto avesse anche lui aspettato un contatto del genere e.. anni? Cas aveva aspettato anni per lui?
Forse secoli.
Forse da quando lo aveva salvato e l’impronta, Dio come bruciava la sua spalla adesso, ma non importava, poteva andare tutto in malora perché Cas lo stava praticamente mangiando e Dean era a corto di fiato, ma anche di questo non gli importava, Dio, non gli importava.
Castiel si staccò, prendendolo per il bavero della camicia e l’espressione era la stessa in quel vicolo, ma stavolta non lo avrebbe picchiato a sangue ma, ma..
“Ricorda”, ripeté Castiel con un’enfasi disperata. “Ricorda la tua vita, Dean. Ricorda Sam”.
Dean ebbe un piccolo sobbalzo mentre quel nome scavava, scavava e stava uscendo..
Castiel se lo tirò ancora più vicino, fino a quando in pratica non gli mormorò sulle labbra:
“Ricorda me”.


 
*



“Dannazione, ragazzo!”.
“Dean?”.
“Sta riposando”.
Dean aprì lentamente gli occhi e sempre molto lentamente mise a fuoco le figure che aveva davanti. “Sammy?”, chiese subito, dopo aver deglutito un paio di volte.
“Sono qui, Dean”, rispose immediatamente il suo fratellino.
Dean si tirò su facendo forza sulle braccia ma la stanza, la piccola e soffocante ma incredibilmente familiare biblioteca di Bobby, cominciò a girare e dovette sdraiarsi.
“Oddio”, mugugnò. “Questo è il peggior post- sbronza della storia”.
Sentì Sam ridacchiare e lo guardò. Gli sembrava di non vederlo da secoli. “
Anche se è incredibile per te, nessun dopo sbronza”.
Dean sospirò massaggiandosi le tempie.
“Ok”, disse. “Cos’è successo?”.
Per un attimo ci fu silenzio, poi Bobby prese la parola.
“Voi due idioti, siete andati a un appuntamento con Zaccaria nonostante fosse palese che fosse una trappola. Nonostante io vi avessi detto che era una trappola”.
Dean gli lanciò uno sguardo stralunato: aveva un grosso buco nero in testa.
“E come mai siamo caduti in questa evidentissima trappola?”, chiese bruscamente.
Il silenzio fece nuovamente capolinea, fino a quando Castiel non si schiarì la voce.
“Temo sia stata colpa mia”, disse senza guardare ne lui ne Sam. “Non mi facevo vedere da un paio di settimane e Zaccaria vi ha detto che ero stato catturato, quindi voi siete corsi da..”. La voce dell’angelo si affievolì.
“Lui”, terminò Sam, che sembrava molto più in salute di Dean.
“Quando abbiamo intuito che Cas non era li non siamo riusciti a scappare in tempo”.
Dean annuì.
“E cosa voleva fare? Farci fare un bel sonno di bellezza?”.
“No”, spiegò Castiel seriamente. “Nel tempo che voi due eravate fuori gioco avrebbe trovato un modo per farti dire si a Michele”.
“Sempre la solita vecchia storia”, brontolò Dean. “E perché mai Sam sembra più in salute di me?”. “Beh, scusa sai”, disse Sam lanciandogli un’occhiataccia. “Io mi sono svegliato prima di te”.
“Già”, confermò torvo Bobby. “Cenerentola non voleva lasciare il ballo”.
Dean fece una smorfia, chiedendosi perché mai Bobby sapesse la stoia di Cenerentola.
Poi il suo sguardo cadde su Castiel, il quale sembrava profondamente scosso.
“Ehi, Cas”, disse Dean puntellandosi sulle braccia. “Non è mica colpa tua”.
Cas si girò dandogli le spalle e Sam e Bobby si scambiarono un’occhiata.
“Andiamo in cucina, Dean”, disse Sam. “Ti preparo qualcosa da mangiare”.
“Crostata”, disse Dean.
“No. Qualcosa di sano”, replicò Sam uscendo dalla stanza senza dargli il tempo di lamentarsi.
Dean sbuffò e si accomodò meglio sui cuscini. Guardò le spalle contratte di Cas e qualcosa scattò nella sua testa.
“Tu c’eri”, disse e Castiel si girò con un’espressione sorpresa.
“Ti ricordi?”.
“Non esattamente”, confessò Dean. “Ma ricordo che tu c’eri”.
“Si”, confermò Castiel.
“Mi hai salvato il culo per l’ennesima volta, Cas. Grazie”.
“Non dire così”, scattò l’angelo con rabbia. “Se non fosse stato per me non sareste stati intrappolati in quella dimensione parallela!”.
“Cas”, disse Dean infastidito. “Eravamo preoccupati e siamo venuti a cercarti. E’ così che si fa tra amici”.
“Se io avessi risposto ai vostri richiami non sarebbe successo nulla di tutto ciò”.
“Avrai avuto da fare con gli altri pennuti”, disse Dean scrollando le spalle.
Cas rimase in silenzio.
“In realtà.. Non volevo vederti, Dean”. Il ragazzo sentì un colpo allo stomaco.
“Oh”, esclamò cercando di mantenere un espressione neutrale. “Devi lavorare sulla delicatezza Cas”.
“Tu non capisci”, disse Castiel, che sembrava in preda a una dolorosa lotta interiore.
“E allora spiegami”, esclamò Dean. “Avanti, sono qui”.
Castiel si sedette sul divano e Dean gli lasciò istintivamente un po’ di spazio.
“Mi sto affezionando troppo a Sam”, disse cautamente. “E a Bobby. E.. alla razza umana”.
“Ok”, disse Dean lentamente. “E questo non va bene?”.
“Ovviamente no”, rispose. “Sono un soldato. Un angelo del Signore. Dovrei amare solo mio Padre”. Dean lo guardò e gli sembrò di dover capire qualcosa. Ricordare qualcosa.
Forse..
“A me non ti sei affezionato, Cas?”, chiese a bassa voce.
Castiel inchiodò gli occhi nei suoi.
“Con te ho fatto peggio, Dean”, affermò dopo un attimo di silenzio. “Molto, molto peggio”.
Dean deglutì e sentì il cuore battergli violentemente nella cassa toracica. Come prima, quando loro.. “E’ successo qualcosa nella realtà parallela, vero?”. Castiel annuì senza guardarlo, come se si vergognasse profondamente.
Ma, improvvisamente, sentì la mano di Dean cercare la sua. Alzò lo sguardo sorpreso su Dean, che adesso stava sorridendo e fissò i suoi occhi, che sembravano diversi. Più calmi, più luminosi, più verdi..
“E allora che fai? Non me lo racconti?”.



Note:
Mi sembra superfluo sottolinearlo, ma molta ispirazione per la storia mi è stata data dalla diciasettesima puntata della quarta stagione, "Is's a terrible life" dove Dean e Sam erano stati catapultati da Zaccaria e compagnia bella in un insignificante mondo parallelo (Dean che mangia cibo sano? Ma dai!). Adorabile guest star, stavolta, l'angelo che tutte vorremmo.
  
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