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Autore: Morgana89Black    27/10/2016    1 recensioni
E se Lily Potter avesse avuto un secondo figlio, poi dato in adozione?
Dal capitolo 2:
"Ti lascio queste poche parole, nella speranza che quando le leggerai non mi odierai per essere stata codarda e non aver avuto la forza di tenerti con me. Purtroppo temo che non vivrò comunque abbastanza per vederti raggiungere i tuoi undici anni, il perché forse un giorno lo scoprirai da sola, per ora ti basti sapere che io e tuo padre siamo una strega ed un mago".
Dal capitolo 22:
“Draco... Draco... svegliati”. Le ci vollero diversi minuti per convincere il ragazzo ad aprire gli occhi ed inizialmente lui parve non notarla neanche mentre sbatteva ripetutamente le palpebre nella vana speranza di comprendere cosa fosse successo.
“Nana...”, la ragazza sorrise della sua voce impastata dal sonno. Era quasi dolce in quel momento e sicuramente molto diverso dal solito Malfoy, “è successo qualcos'altro?”. Parve svegliarsi di colpo, al sentore che doveva essere accaduto qualcosa di grave se lei lo svegliava nel pieno della notte.
Dal capitolo 25:
Prima che attraversasse l'uscio per scomparire alla sua vista, udì poche parole, ma sufficienti a gelargli il sangue nelle vene, “lei è un mangiamorte”.
Genere: Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: James Potter, Lily Evans, Nuovo personaggio, Un po' tutti | Coppie: James/Lily
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Durante l'infanzia di Harry, Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
Capitoli:
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Incontri e comprensioni.

 

26 settembre 1993

 

Le prime settimane di scuola erano state tranquille, anche se piene di novità. I dissennatori, posti ai confini della scuola, non avevano creato particolari problematiche, ma comunque gli studenti evitavano di trascorrere troppo tempo fuori dal castello.

Quella domenica mattina la giornata prometteva di essere splendida, probabilmente l'ultima con temperature miti, sino alla primavera. Erano pochi gli studenti che, essendosi svegliati presto, stavano facendo colazione nella sala grande, quando Morgana si era seduta al tavolo di corvonero.

Non le dispiace affatto mangiare da sola, solo in quel modo riusciva a rilassarsi estraniandosi dalla confusione della scuola.

“Belmont. Tutta sola? Come mai?”, non aveva riconosciuto la voce calda che l'aveva raggiunta mentre le sue dita stringevano la tazza del suo tè mattutino con l'intenzione di portarlo alle labbra. Solo dopo essersi voltata per individuarne il proprietario aveva avuto modo di sorprendersi. Mentre il ragazzo si avvicinava per sedersi di fianco a lei, la ragazzina continuò ad osservarlo confusa.

“Ti sembra così strano che ti rivolga la parola? Sbaglio o hai passato l'estate col mio migliore amico?”, sorrideva in modo sincero mentre le parlava. La confusione di Morgana era sempre più visibile sul suo giovane volto.

“Non mi hai più rivolto la parola dal viaggio in treno per arrivare a scuola. Sono passate quattro settimane”, la sua obiezione non parve scalfire l'espressione sicura ed altera del ragazzo.

“Non abbiamo avuto molte occasioni per chiacchierare. Sei anche un anno più piccola di me, quindi non ci vediamo neanche a lezione”. Lo guardava con un sopracciglio alzato, ma dentro di se non poteva non ammettere che avesse ragione.

“Ti va una passeggiata sul lago, Morgana? Oggi è una splendida giornata”.

“Vuoi passeggiare con me, Theodore?”.

“Non fraintendere, sono un amico leale”, fece una pausa dopo quelle parole, come aspettandosi una replica da parte di lei, che voleva davvero chiedergli cosa intendesse, ma, forse, temeva la risposta, “i serpeverde tendono ad alzarsi tardi la domenica mattina, soprattutto dopo un sabato sera impegnativo, e tu mi sei simpatica. Quindi, perché non approfittare della reciproca compagnia, visto che anche le tue amiche non mi sembrano molto mattiniere”.

Le sorrise ancora alzandosi e lei dovette seguirlo, senza possibilità di alcuna replica. Mentre si dirigevano verso l'esterno continuò ad osservarlo. Non si era mai soffermata troppo su Nott, lo aveva sempre visto come un amico di Draco, un membro della sua banda. Nulla di più.

La sorprese notare come, anche lui, allo stesso modo di tutti i serpeverse, sembrava camminare con innata eleganza e sicurezza. Invidiava loro quella capacità di muoversi come se il mondo gli appartenesse, come se fossero i padroni di tutto. Lei non avrebbe mai avuto quella stessa padronanza, quella baldanza quasi inconsapevole. Dentro di se si chiese se venissero educati in un modo particolare per essere in quel modo o se per loro fosse naturale sentirsi superiori.

Theodore era piuttosto alto per i suo quattordici anni, aveva il viso magro, ma l'aria di una persona a cui non è mai mancato nulla. I ricci biondo scuro incorniciavano il suo viso ovale, i suoi occhi marroni ti penetravano l'anima, come se potessero leggere anche i tuoi più oscuri pensieri. C'era qualcosa, però, in quegli occhi. Una luce malinconica, come se, nonostante la sua vita agiata, lui sapesse cosa significa soffrire. Una sorta di malinconia, un dolore sopito dal tempo, una tristezza che il proprietario aveva imparato da anni a nascondere, forse per paura di dimostrarsi debole, o, forse, perché il suo orgoglio purosangue gli impediva di palesare qualsiasi sentimento.

“Intendi fissarmi ancora a lungo?”. Non si era accorta di averlo guardato per tutto il tragitto dalla scuola sino alla sponda del lago Nero.

“Perdonami, non era mia intenzione...”, si sentì arrossire leggermente, colpevole della sua curiosità.

“Non scusarti. Sono consapevole del fatto di essere affascinante e di fare questo effetto sulle donne”, il suo tono era arrogante ora. Il pugnetto debole della ragazza lo raggiunse, imprevisto, ma poco efficace, sul fianco sinistro. Lo fece arretrare di un passo, prima che i suoi occhi si avvicinassero a quelli di lei ed il suo viso sorpreso scoppiasse improvvisamente in una risata fragorosa, sincera, che lo fece sembrare il ragazzino che in realtà era, scacciando l'aria dell'uomo maturo dal suo sguardo.

“Cos'hai da ridere in questo modo? Smettila!”, le labbra della ragazza erano imbronciate e la sua fronte corrucciata, mentre lui continuava a ridere sereno.

“Perdonami”, la sua voce era ancora scossa dal tentativo di trattenere le risa, “è che a volte dimentico che tu sei diversa”.

“Diversa?”, ora la ragazzina sembrava quasi offesa, e, senza lasciargli tempo di replicare aveva ricominciato a camminare lungo la riva.

Dovette correre per raggiungerla e prenderla per un polso, per costringerla a girarsi a guardarlo negli occhi prima di parlare ancora, “non era un insulto, Morgana. Sei diversa dalle mie compagne di casa. Sei sincera, anche se non vorresti. Le tue emozioni ti si leggono in viso, una per una, mentre le provi. Sei spontanea, a volte anche in senso negativo. Sei genuina... non è necessariamente un male. Può essere pericoloso, ma non è un male”.

Rimasero in silenzio a lungo, continuando a percorrere le rive del lago, lasciandosi cullare dalla brezza e scaldare dai tiepidi raggi del sole di settembre.

“Theodore”, al suono del suo nome lui si voltò a guardarla, senza dire nulla, in attesa che lei continuasse, “prima hai detto una cosa...”.

Non sembrava intenzionata a continuare, quasi sperasse che lui capisse da solo dove voleva arrivare, o, forse, incapace di esprimersi, di spiegarsi.

“Ho detto molte cose. Ti riferisci a qualcuna in particolare?”, in un'altra occasione lui si sarebbe divertito dinanzi all'imbarazzo di lei, costringendola a chiedere chiaramente cosa volesse sapere, ma quella volta non era così. Davvero non capiva cosa volesse da lui.

“Hai detto che sei un amico leale”, le sua guance si imporporarono ancora, provocando in lui un moto di tenerezza che raramente aveva provato in passato. Quella ragazzina era così cristallina, per uno abituato alle giovani serpeverdi, sempre rinchiuse dietro la loro corazza di gelido ghiaccio, che non poteva non farsi intenerire.

“L'ho detto”, non era sicuro di poter aggiungere altro, ma non avrebbe negato di aver pronunciato quelle parole.

“Che cosa intendevi dire?”.

“Nulla di più di quel che ho detto, Morgana. Sono un amico leale e sincero. Se sarai mia amica potrai sempre fare affidamento su di me, se sarai mia nemica avrò pochi scrupoli”.

Lei continuava ad osservarlo come soppesando le sue parole, “stai cambiando argomento”, non era una domanda, “ma lo capisco. Non puoi dirmi altro”.

“Complimenti, Belmont! Vedo che stai apprendendo come funziona una serpe”. Ora il suo sorriso sincero era stato spodestato dal tipico ghigno da serpeverde.

“Belmont...”, il suo cognome, uscito dalle sue labbra, sembrava quasi un ringhio. Lo aveva sputato fuori con disprezzo, come se lo odiasse ella stessa, “perché non fate altro che chiamarmi così?”.

“E' il tuo nome”.

“No. Non lo è. È il nome che mi hanno dato nell'orfanotrofio in cui sono cresciuta. Nulla di più”.

“Theodore. Eccoti...”, l'interruzione fu gradita alla ragazza, che si era resa conto solo in quel momento di aver perso il controllo e di aver mostrato, forse per la prima volta nella sua vita, quando odiasse quel nome e quell'orfanotrofio.

La ragazza che correva verso di loro indossava la divisa di serpeverde, ma per qualche motivo Morgana si ritrovò a pensar che non le si addiceva per nulla. I tratti del viso erano dolci e delicati, come quelli di una bambolina di porcellana. La pelle chiara e diafana, che contrastava con i lunghi cappelli castano scuro, acconciati in dolci boccoli che le ricadevano sulle esili spalle. Gli occhi, di un caldo color nocciola lasciavano trasparire una dolcezza che in pochi potevano trasmettere solo con uno sguardo. Le forme di una bambina, ancora acerba, contrastavano con l'altezza del giovane corpo. Morgana non ricordava di averla mai vista a scuola, doveva essere del primo anno, ma sembrava conoscere bene Nott.

“Asteria... posso presentarti Morgana?”, il suo atteggiamento da giovane lord, che si era momentaneamente sopito quando erano rimasti da soli, si era improvvisamente risvegliato.

“E' un piacere conoscerti, Morgana”. La ragazza le porse la mano con fare regale e lei si sentì terribilmente impacciata mentre rispondeva al saluto, “avevi detto che mi avresti accompagnata a fare un giro per il castello questa mattina. Ti ho cercato ovunque”.

Sembrava imbronciata e, per qualche strana ragione, Morgana si sentì di troppo in quel momento, forse a causa dello sguardo gelido che, seppur per un solo secondo, aveva intravisto in quegli occhi di mogano, o forse perché, dopo le parole della ragazzina, un'aria fredda si era espansa intorno a loro.

In quel momento comprese quanto l'apparenza può ingannare. Asteria poteva sembrare inadatta alla casa di serpeverde, troppo dolce, troppo bambola per far parte di quelli considerati come i cattivi, ma dentro nascondeva un animo verde-argento che in pochi avevano.

“Mi ha fatto piacere conoscerti, Asteria. Ora però devo proprio andare. A presto Nott”, dopo un breve sguardo al ragazzo si diresse sicura verso l'ingresso del castello.

Mentre girovagava per i corridoi della scuola alla ricerca delle sue amiche, non poté smettere di pensare, neanche per un secondo, agli avvenimenti della mattina. Theodore Nott che l'avvicinava e l'invitava a fare una passeggiata con lei, facendola sentire quasi accettata, Asteria Greengrass che si avvicinava a loro e le salutava con quella finta aria gioiosa. C'era qualcosa in quella ragazza che la spaventava. Non le era simpatica, era evidente, ma proprio non riusciva a comprenderne il motivo. Infondo neanche si conoscevano, come poteva giudicarla senza darle neanche una possibilità. Anche se, infondo, era quello che facevano tutti in quella scuola.

“Morgana”, era ancora sopra pensiero quando si sentì chiamare per nome e ci mise qualche minuto prima di voltarsi.

“Harry. Ehm... ciao!”, non si vedevano dalle vacanze estive e lei davvero non aveva idea di come comportarsi con lui. L'ultima volta non era propriamente andata bene e, ad essere sincera, ancora si sentiva ferita dal ragazzo e dai suoi amici.

“Ciao. Come stai?”.

“Io bene, tu?”.

“Bene... anche io. Stavo andando in biblioteca a finire una relazione per pozioni. Tu che fai? Magari potresti accompagnarmi, se ti va”.

Si guardarono per qualche secondo l'un l'altra, lui sembrava davvero sperare in una risposta affermativa.

“Veramente, io ho finito i compiti ieri e... ecco... non ho neanche dietro i libri...”, si sentì così impacciata, soprattutto quando notò lo sguardo deluso di lui, “però potrei aiutarti in pozioni. Mi piace molto la materia”.

Harry sembrò sollevato, nonostante l'aria dubbiosa sentendole dimostrare il proprio apprezzamento per la materia. Aveva sentito dire che il ragazzo ed il professore Piton non andavano particolarmente d'accordo, perciò non era affatto sorpresa della sua mancanza di voglia nell'affrontare quel compito.

Rimasero seduti in un tavolo appartato a studiare per tutta la mattina, sino a metà del pomeriggio, completamente dimentichi del pranzo. Morgana talvolta si sorprese a riflettere su quanto fosse semplice trascorrere del tempo con lui e quanto si sentisse bene insieme a Potter, nonostante tutto. Avevano avuto le loro discussioni e qualche incomprensione in passato, ma quella domenica sembrarono essere tornati all'inizio dell'anno precedente, quando ancora non vi erano stati litigi.

“Non mi ero accorto che era così tardi. Perdonami, ti ho fatto saltare il pranzo”.

“Non fa nulla, tranquillo. Che ne dici se andassimo a prendere qualcosa da mangiare nelle cucine e poi facessimo una passeggiata sul lago, visto che hai finito la relazione ed è una bella giornata?”.

“Nelle cucine?”, sorrise all'espressione scettica del ragazzo. Era evidente che non aveva mai messo piede nei sotterranei per andare a sgraffignare del cibo dagli elfi domestici. Non gli rispose, limitandosi a prenderlo per mano e trascinarlo verso le scalinate.

Arrivarono dinanzi ad un quadro raffigurante una natura morta: una bella coppa di frutta, che doveva essere stata dipinta in colori cangianti ed allegri, ma, con il trascorrere del tempo aveva perso parte della brillantezza originale.

Con la coda dell'occhio intravide il ragazzo guardarla con aria sconcertata, mentre lei solleticava con le dita della mano destra la pancia della piccola pera posta al centro del quadro. Solo qualche secondo dopo, una maniglia in ottone comparve nel punto centrare della composizione.

Morgana aprì la porticina nascosta nella parete, come aveva fatto molte altre volte l'anno precedente, entrando nella grande stanza seguita da Harry, che si guardava intorno sorpreso quanto un bambino che si trova per la prima volta in un negozio di balocchi.

Se non avesse conosciuto Dobby l'anno prima, probabilmente ora sarebbe stato sconvolto dalla vista di quelle piccole e buffe creaturine.

Si ritrovarono circondati dagli elfi domestici, tutti ansiosi di poterli servire.

“Scusateci per il disturbo. Potreste, per piacere, portarci qualcosa da mangiare?”. Lo sorprese il tono gentile con cui Morgana si rivolse loro. Era abituato alla sua acidità ed ai suoi modi bruschi, ma gli fece piacere notare che sapeva essere anche cortese. Gli fece capire quanto, infondo, c'era da scoprire in quella ragazzina così strana e dalla corazza spessa. Per la prima volta si chiese se, un giorno, sarebbe riuscito a scalfirla quella gelida armatura che si portava dietro e con cui si difendeva da tutti, compresi i suoi amici.

Presero panini, succo di zucca, torta alla melassa e al cioccolato e si diressero col loro bottino sul lago, per un picnic sulle rive erbose dello specchio d'acqua, in quella che prometteva di essere l'ultima bella giornata dell'anno. Rimasero a lungo a chiacchierare da soli, scoprendo di avere in comune molto più di quel che avevano immaginato.

Lui le aveva raccontato degli anni trascorsi nel sottoscala dei Dursley, delle angherie sopportate dai suoi zii e da suo cugino, della solitudine provata prima di scoprire di essere un mago, di partire per Hogwarts e incontrare prima Ron e poi Hermione. Le aveva narrato le loro avventure al primo anno, la solida amicizia nata con Hagrid, l'affetto della famiglia Weasley (sui racconti delle estati con loro lei aveva un po' storto il naso, ma non aveva fatto alcun commento).

Lei aveva descritto la vita in orfanotrofio, i ritmi frenetici e scadenzati delle suore, le incomprensioni con gli altri bambini, la sua solitudine. Aveva rammentato il suo undicesimo compleanno, i ricordi che Suor Anna le aveva fatto avere da parte di sua madre, l'incontro con la professoressa McGranitt. Per qualche ragione, forse il timore di rovinare quel pomeriggio perfetto non gli aveva detto nulla dell'estate appena trascorsa a Malfoy Manor. Sentiva che lui avrebbe reagito male e non voleva discutere. Stavano bene insieme in quel momento.

“Quindi tua madre era una strega?”, aveva appena terminato il suo lungo racconto.

“E' così. In realtà nella lettera lei mi ha scritto di essere una strega e che anche mio padre è un mago. Quindi entrambi i miei genitori appartenevano al nostro mondo”.

“Non ti ha spiegato come mai non ti hanno tenuto con loro?”, c'era una strana luce nei suoi occhi mentre pronunciava quelle parole. Morgana lo guardò a lungo. Pensava di sapere cosa stava pensando: i suoi genitori erano morti per proteggerlo, mentre sua madre non era stata capace di amarla a sufficienza per tenerla con sé.

“Non mi ha detto perché mi ha abbandonata, ma ha scritto che non sarebbe vissuta sino ai miei undici anni. Mentre di mio padre nella lettera non era scritto altro”.

“Pensi che lei fosse... malata?”, le sembrò quasi che cercasse una scusa per giustificare un gesto così incomprensibile come l'abbandono di un figlio. Lei, infondo, si chiedeva da più di un anno cosa avesse spinto quella donna a lasciarla nell'orfanotrofio, ma non era ancora riuscita a trovare una risposta soddisfacente.

“Sinceramente non ne ho idea, Harry. Forse, semplicemente, i miei genitori non mi volevano...”, era un pensione che l'aveva sempre tormentata, ma dirlo apertamente le aveva creato un nodo in gola. Sentì le dita del ragazzo sfiorarle la guancia, per asciugare un piccola lacrima solitaria che era scesa dai suoi occhi. Neanche si era accorta di aver pianto.

“Non devi pensarlo neanche. Io penso che nessuna madre potrebbe abbandonare volontariamente suo figlio. Lei deve aver avuto una motivazione più che fondata per lasciarti in quell'orfanotrofio”, sembrava che cercasse di convincere se stesso, più che lei.

“Tu sei stato fortunato, Harry. I tuoi genitori sono morti, è vero. Sei cresciuto insieme a persone orribili, ma sei consapevole di essere stato amato. Tua madre e tuo padre sono morti per salvarti”, non riusciva a guardarlo negli occhi, il suo sguardo era perso in un punto lontano del lago, la sua mente rivedeva come se fossero scolpite su una roccia, le parole contenute in quella breve missiva, “mia madre... lei è riuscita solo a chiedermi perdono ed a dirmi che mi ha amata”, si voltò di scatto, per fissare i suoi occhi in quelli di lui, verde nel verde, “tu potresti crederle al mio posto? Potresti perdonarla per non aver avuto la forza di accogliermi nella sua vita?”.

La fissò a lungo, senza riuscire a staccare gli occhi da quelli di lei. Non sapeva spiegare quella sensazione, ma perdersi nel suo oceano verde lo faceva sentire a casa, come se non stesse guardando una compagna di scuola, ma una vecchia amica di cui si aveva perso, ormai da tempo la memoria. Non riusciva a trovare una risposta alla sua domanda. Lui non lo sapeva. Non sapeva se avrebbe perdonato, non sapeva se avrebbe compreso. Non riusciva neanche ad immaginare di essere abbandonato dai suoi genitori. Era abituato a sentirsi dire che erano persone splendide e che lo avevano amato a lungo e si erano sacrificati per proteggerlo.

“Lei... lei...”, lei cosa? Cosa poteva dirle? Abbassò gli occhi, incapace di sopportare ancora a lungo quello sguardo in cerca di rassicurazioni, “lei deve aver avuto un buon motivo. Deve!”, sembrava una supplica la sua. La stava pregando di credergli.

“Harry. Ti stavo cercando. Sapevo che non eri andato ad Hogsmeade e speravo di incontrarti”, aveva dimenticato la visita al villaggio ed il fatto che lui non aveva il permesso di andarci, preso a chiacchierare con la corvonero, ma fu comunque felice per l'interruzione del professor Lupin, che gli permise di alzarsi e voltarsi verso di lui.

“Buon pomeriggio, professore”.

“Signorina Belmont, c'è anche...”, l'uomo si era bloccato di colpo ed era impallidito, come se di fronte avesse avuto non due suoi studenti, ma due fantasmi sanguinari. Il suo sguardo sconvolto fece preoccupare Harry, che si voltò verso Morgana, rivedendo in lei la sua espressione intimorita.

“Professore, si sente bene?”, al suono della sua voce gli occhi dell'uomo, lentamente, si voltarono verso il ragazzo, ma il suo corpo rimase rigido nella medesima posizione.

Lo videro andare dal viso dell'uno a quello dell'altra, senza dire una parola, per diverse volte.

“Io... perdonatemi. Ho dimenticato una cosa importante”, non diede loro il tempo di replicare che già si era voltato verso il castello, diretto di gran lena all'interno.

“Ma che cosa gli è preso?”.

“Non ne ho idea, Morgana”.

 

Si diresse senza riflettere e senza guardarsi intorno, verso lo studio di Minerva. Non seppe neanche perché stava andando da lei, forse perché era la sua ex capocasa, perché l'aveva ammirata, perché si era sentito un suo alleato.

Entrò nell'ufficio come una furia, senza accorgersi che il suo comportamento aveva destato qualche sospetto in corridoio. Senza curarsi del fatto che la donna non era da sola si avvicinò con aria minacciosa alla sua scrivania.

“Tu... Tu mi hai mentito! Mi hai ingannato, mi hai preso in giro. Come hai potuto?”, non si era neanche accorto di aver perso così tanto la pazienza da aver alzato la voce, probabilmente raggiungendo l'esterno della stanza. Non rivolse neanche uno sguardo a Severus Piton, che senza perdere il controllo si era diretto verso la porta, per chiuderla in modo tale da non attirare ulteriormente l'attenzione degli studenti.

“Credo che tu abbia perso il controllo, Remus”, solo in quel momento si rese pienamente conto che nella stanza erano in quattro: lui, Minerva, Albus e Severus.

“E' meraviglioso che siate tutti qui, così, forse, potrete spiegarmi come mai avete ritenuto di non avvisarmi che la mia migliore amica ha una figlia qui ad Hogwarts”, la sua frase fu seguita da un silenzio così carico di tensione da far quasi rabbrividire i presenti.

“Come lo hai scoperto?”, la voce di Minerva era più dolce di quanto si sarebbe aspettato, quasi temesse un altro scoppio d'ira da parte sua.

“Erano insieme. Lei ed Harry. Erano insieme nel parco. Erano l'uno di fianco all'altra”, tremava ancora dalla rabbia, “è bastato guardarli. Hanno i suoi occhi”.

“Hanno solo quello di lei”, la voce gelida di Severus lo colse alla sprovvista. Ogni tanto dimenticava che lui e Lily erano stati amici a scuola, prima del loro litigio, prima della guerra, prima che lui si avvicinasse ai simpatizzanti di Voldemort.

“Via, via, Severus. Tu ti ostini a fermarti alle apparenze. C'è molto di sua madre in Harry”.

“E in Morgana, Albus?”, non conosceva molto quella ragazzina, ma doveva ammettere che se non fosse stato per quegli occhi, non avrebbe mai immaginato che fosse figlia di Lily.

Il silenzio che seguì la sua domanda era così carico di tensione che fece scivolare il suo sguardo su ognuno dei presenti, in attesa di una risposta che tardava a venire.

“Lei”, era stata Minerva a parlare, “è una ragazza particolare. Non direi che somiglia a Lily. Non caratterialmente, almeno...”. Gli stavano nascondendo qualcosa, ne era certo.

Solo dopo altri venti minuti di discussione e forte insistenza da parte sua riuscì a farsi raccontare ogni cosa. Rimase in silenzio, cercando di assimilare le parole della donna, confermate tacitamente dagli altri due. Non disse nulla per molto tempo, incapace di esprimersi. Aveva bisogno di rimanere da solo, di schiarirsi le idee, di pensare.

“I ragazzi lo sanno?”, pose la domanda mentre si dirigeva alla porta, intenzionato ad allontanarsi da tutti almeno per quella sera.

“No. E pensiamo che sia meglio che non lo sappiano. Almeno per ora”.

Senza replicare uscì dall'ufficio, lasciandosi alle spalle i loro sguardi preoccupati e con in mente solo gli occhi verdi della sua migliore amica.


 

***




Sono un pò in ritardo con gli aggiornamenti, ma spero che apprezziate questo capitolo, di cui io sono piuttosto soddisfatta.
Mi piacerebbe sapere che cosa ne pensate dell'incontro fra Nott e Morgana ed anche del piccolo momento fra la ragazza ed Harry.
Ne approfitto per ringraziare tutti coloro che leggono, anche se in silenzio..

 

   
 
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