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Autore: Fajander    27/10/2016    0 recensioni
Dragon Ball Vengeance è un universo alternativo all'originale dove Gohan, per una serie di motivi, rimane l'ultimo discendente della stirpe Saiyan in vita. Furioso e guidato dalla sete di vendetta, si ritroverà ad affrontare in una lotta perpetua l'essere che gli ha portato via tutto ciò a cui teneva, cambiando radicalmente la sua personalità. Nel corso della storia egli troverà però dei fidati alleati, con i suoi stessi interessi, che lo aiuteranno in quella che si trasformerà pian piano in una battaglia per la sopravvivenza dell'intero universo.
Genere: Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Cooler, Freezer, Gohan, Nuovo personaggio
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Vengeance's Spin Off

La storia di Meyra

Mi chiamo Meyra. Sono una soldatessa dell'esercito di Cooler. La migliore tra tutti. Nessuno sa nulla circa le mie origini, nessuno sa nulla del mio passato, del mio pianeta o del mio popolo. Non ho mai condiviso i miei dolori e i miei ricordi con qualcuno, neanche con Cream, che in un certo qual modo è la persona che mi è più cara. Certo, è a conoscenza dell'evento scatenante che mi ha portato ad essere quello che ora sono, ma non conosce tutta la storia. Potremmo dire che a lui ho raccontato solo l'evento più drammatico della mia vita. Ma oggi voglio aprirmi completamente, voglio togliermi di dosso la sensazione di essere una persona diversa da quella che appaio.
Perchè prima che diventassi la guerriera forte, coraggiosa e impavida che tutti conoscono, vi era una personalità fragile come un vaso di cristallo, una ragazzina spaventata del mondo in cui viveva che si rintanava sovente nel suo letto sotto le calde coperte che sua madre aveva ricamato per lei.
Ecco, oggi vi racconterò di quella fanciulla, la bambina che ero. Cominciamo col dirvi che vi ho mentito ben due volte!
"Quando ci ha mentito?" vi starete chiedendo.
Esattamente all'inizio! Devo infatti precisare che il mio vero nome non è Meyra e che non sono più una soldatessa dell'esercito di Cooler, dato che ho appena disertato. Io mi chiamo Shuyra, il cognome non ve lo dico neanche, dato che sarebbe impronunciabile per la maggior parte di voi.
Perchè ho cambiato nome? A tempo debito lo saprete.
Il mio pianeta di origine si trova in un punto molto trafficato della galassia. Si chiama Ogirin, o meglio si chiamava. Adesso è Cooler 13, e già da qui potrete capire che ne è stato di esso. Ma torniamo indietro di diversi anni, quando è cominciato (o è finito) tutto. All'epoca il mio pianeta era molto famoso in ogni settore della galassia poichè tutti i commercianti vi giungevano da ogni angolo di essa. Il motivo? Ogirin è ricco di un minerale estremamente prezioso e bello, l'angleam.
Quando fu scoperto millenni fa, esso si trovava praticamente ovunque: nelle rocce in superficie, nei fondali degli oceani abissali, ai piedi delle montagne e negli strati più profondi della crosta terrestre. È un minerale molto particolare, luminescente, brillante ma anche resistente. Una volta resisi conto del suo valore ed immessi nella società interstellare, i capi di governo del mio pianeta iniziarono a spargere la voce circa la sua immensa bellezza ed inestimabile valore. Migliaia, se non milioni di persone cominciarono a dare fior di quattrini ai nostri politici pur di averne anche un piccolo pezzo, e così in pochissimo tempo le civiltà di Ogirin divennero ricche.
Le città iniziarono a ornamentarsi di enormi grattacieli scintillanti fatti d'oro e angleam, di statue in marmo e di altre costruzioni maestose.
Fu un'epoca di forte sviluppo per il mio popolo, ma ovviamente tutto questo sfarzo attirò l'attenzione di altre civiltà invidiose e avide che tentarono di conquistarci.
Per questo motivo gran parte della nostra ricchezza fu investita in tecnologia avanzata in grado di permetterci di costruire armi e macchine atte a difendere le nostre case, le nostre città. E funzionò. Funzionò per secoli, finchè non arrivò lui, il grande e potente Lord Cooler, che sia maledetto.
Ma prima di arrivare al giorno che cambiò per sempre la mia vita e quella del resto della mia specie voglio parlarvi ancora un po' di quel fantastico periodo di pace.
Ora che sapete più o meno cosa ha reso famoso Ogirin, vorrei descrivervelo per come lo vedeva una semplice bambina quale ero.
Contrariamente a ciò che si può pensare, molti membri del popolo non erano benestanti. Questo perchè molta della ricchezza finiva nelle sfarzose città capitali dei Paesi più ricchi di angleam o nella costruzione di armi.
Il mio, d'altro canto, non era uno di questi. Per carità, era un bellissimo posto, e nessuno soffriva veramente la fame, ma di certo non vivevamo nel lusso, ecco.
Come vi ho già detto, quando il nostro minerale fu scoperto si trovava praticamente dappertutto, ma, dopo secoli e secoli, la sua quantità si era estremamente ridotta, per cui esso veniva estratto tramite dei macchinari che facevano enormi voraci nel terreno. Ovviamente il tutto accadeva a migliaia e migliaia di chilometri di distanza dalle città principali, che erano circondate da boschi molto fitti e da sinuosi fiumiciattoli. La mia famiglia invece viveva in campagna.
A noi non piaceva il fracasso e l'inquinamento tipico delle grandi città, per cui avevamo una casetta modesta di fronte a un lago meraviglioso, con tutta attorno una foresta. Amavo quel posto. Dovete sapere che il clima del mio Paese era tra i migliori di tutto il globo, ovvero vi era una temperatura piacevole in ogni periodo dell'anno, e questo secondo me valeva molto più dei soldi.
Ogni giorno, quando tornavo da scuola, correvo nella mia stanza, buttavo per terra la cartella, i vestiti, mi mettevo il costume e mi lanciavo letteralmente nel lago.
Le sue acque erano tiepide e rilassanti, le alghe che si trovavano sul fondo emanavano un profumo che inebriava i sensi.
A volte, quando non avevo scuola, passavo intere ore distesa in quell'acqua limpida e piatta, osservando i vari animaletti che nuotavano avanti e indietro con i loro cuccioli. Era la mia piccola oasi, il luogo in cui mi sentivo in assoluto più sicura, poichè nessuno mi disturbava. In generale non avevo molti amici, ero abbastanza timida e non riuscivo a sostenere una conversazione per più di un minuto con quei pochi bambini che mi parlavano.
Molti mi temevano, non mi si avvicinavano neanche. Mi consideravano un mostro, un'aberrazione, e ciò mi aveva reso schiva e diffidente. Questo loro atteggiamento però devo ammettere che era giustificato. Un paio di anni prima era accaduto un incidente. Prima di raccontarvelo devo però dirvi che io non ero una bambina normale. Avevo, infatti, quelli che possono essere definiti dei "poteri". Essi mi sono stati passati geneticamente da mia madre, così mi è stato detto. Ella infatti non era natìa di Ogirin, bensì di un altro pianeta molto lontano, Yardrat. Gli yardrattiani hanno delle particolari abilità psichiche, alcuni addirittura possono effettuare il teletrasporto, ovvero spostarsi in un altro luogo soltanto percependo con la loro mente l'energia di persone familiari.
Io ovviamente non posso fare tutto questo, però posso utilizzare la telecinesi e la telepatia e posso controllare la gravità, cosa che ho imparato a fare dopo anni di allenamento. I miei poteri inoltre hanno la capacità di "schermare" le aure di chi mi sta vicino, e ciò mi è stato utile in innumerevoli missioni. Gli ogiriniani mi hanno sempre temuto per questo, ma mia madre e mio padre mi hanno protetta. Mia mamma mi ha insegnato a controllare i miei poteri in modo da non fare del male a nessuno involontariamente, ma specialmente all'inizio ho avuto molti problemi. Tutto questo, unito al fatto che sono fisicamente diversa dagli altri, mi ha dato non pochi grattacapi con i miei coetanei. La gente del mio pianeta ha la pelle azzurra ed è abbastanza bassa (in media 1,40 metri) mentre gli yardrattiani appaiono slanciati, con le orecchie a punta e con la pelle di un rosa chiaro. Io, d'altro canto, ho preso delle caratteristiche intermedie: da bambina infatti ero già più alta degli altri, avevo le orecchie a punta e la pelle azzurra. Il giorno in cui successe quell'incidente di cui parlavo prima ero a lezione in classe. La maestra ci stava spiegando l'anatomia del corpo ogiriniano e ricordo che man mano che andava avanti con le svariate nozioni tutti si giravano e mi guardavano, sorridendo e ridacchiando.
Ciò mi provocava non poco imbarazzo, ma tutto sommato riuscivo a controllarmi. Ad un certo punto accadde l'inevitabile.
Quel giorno riuscii per la prima volta a percepire nella mia testa i pensieri degli altri.
"Lei non è fatta così, è davvero strana!" ,"Chissà cosa ha, forse ha una qualche malattia rara..." , "Avrà preso da sua madre, ricordo di averla vista una volta, è quella con la pelle diversa, forse è una sottospecie inferiore alla nostra". Questi furono solo alcuni dei pensieri che sentii, ma bastarono a farmi perdere la pazienza.
Come si permettevano, come osavano prendere in giro mia madre e me? Ricordo chiaramente come prima il mio, poi quelli vicino a me e poi tutti i banchi iniziarono a tremare, smossi da una qualche forza invisibile.
«Il terremoto?!» chiedevano spaventati i bambini alla maestra, che non sapeva cosa dire. «Adesso basta! Vi odio... Mi fate schifo!» urlai in preda alla collera, mentre mi si inumidivano gli occhi. Alcune sedie si sollevarono di un paio di metri con i miei compagni ancora seduti sopra, terrorizzati a morte, mentre la maestra mi intimava di calmarmi, anche se era più spaventata dei bambini stessi: potevo sentirlo, nella mia mente.
Alla fine alcuni caddero dalle sedie sbattendo anche la testa e finendo all'ospedale, altri fuggirono sbraitando. Rimasi sola, al centro della stanza, con i capelli argentati ancora sollevati grazie ai miei poteri. Non mi mossi di un solo centimetro per paura di combinare qualche altro guaio. Dopo un paio d'ore mio padre venne a prendermi, abbracciandomi e portandomi via in braccio. Da quel giorno cambiai scuola e mi allenai ogni giorno per controllarmi. Il primo allenamento fu disastroso: ero in riva al lago, con mia madre.
«D'accordo Shuyra, prova a sollevare DELICATAMENTE quel sasso laggiù.» disse, sorridendomi.
Mi concentrai più che potei e dopo qualche secondo ci riuscii. Il problema è che insieme ad esso avevo innalzato l'intera zolla di terreno sottostante. Dopo qualche settimana però avevo già una buona padronanza e gli incidenti furono ridotti al minimo. E così, passando le giornate tra la scuola, gli allenamenti e le nuotate la mia infanzia scorse velocemente. All'età di nove anni imparai a volare, e fu meraviglioso. Capii che potevo manovrare la gravità, aumentandola impedivo alle persone di muoversi, diminuendola potevo sollevarmi in aria. Andavo sempre più su, sempre più in alto. Toccavo le nuvole con un dito, riuscivo a vedere l'intera regione in cui vivevo: la distesa verde di alberi, il lago di casa mia, i sentieri che portavano in città, era tutto lì, così vicino eppure così distante.
I miei genitori avevano paura che mi facessi male e dopo un po' mi proibirono di volare via. Pensavano che avessi potuto fare del male a qualcuno, di nuovo. Non ero arrabbiata con loro per questo, in fondo li capivo. Nemmeno mia madre era riuscita a sfruttare così bene i suoi poteri, in poche parole i miei erano già più potenti dei suoi, e questo la spaventava. Comunque, per farli contenti obbedii loro, almeno all'inizio. La tentazione era troppo forte, mi piaceva troppo andare lassù e così una notte mi decisi.
Aspettai che si fossero addormentati, saltai giù dalla finestra e mi librai in aria, volteggiando allegramente su me stessa. Toccai con le punta delle dita dei piedi l'acqua fresca del lago, increspandola leggermente, poi mi sedetti sul ramo di un albero. Osservai le stelle e il cielo scuro e mi lasciai catturare da esso. Sognavo di arrivare fin lassù, ma ovviamente non potevo, non senza una navetta spaziale. Immaginai di rubarne una, decollare e visitare nuovi mondi, incontrare nuove civiltà.
Non avrei mai potuto sapere che di lì a qualche anno lo avrei fatto veramente, in circostanze molto diverse però. Avrei portato morte e distruzione proprio in quei mondi e in quelle civiltà che tanto sognavo di raggiungere. Alcune se lo meritavano, altre no.
Poi però, puntualmente, la paura di stare da sola in qualche pianeta sperduto mi faceva ricacciare tutto indietro. Dopo qualche minuto passato a vagare con la mente, mi sollevai nuovamente in aria e feci un giro lì intorno. Adoravo il vento che mi accarezzava il volto e le braccia scoperte, o il silenzio notturno interrotto a tratti dai versi di alcuni insetti.
Volai e volai, sempre più lontano, finchè, scrutando verso il basso, non la vidi: una piccola luce estremamente brillante proprio sotto di me, in mezzo alla foresta. Catturò immediatamente la mia attenzione e mi ci fiondai, sorridendo. Atterrai poggiando i piedi sull'erba, forse un po' troppo bruscamente, dato che svegliai un cucciolo di thanator lì vicino. Questi mi ululò contro, dopo scappò nella direzione opposta svanendo nell'oscurità.
Mi abbassai e guardai da vicino la luce, e scoprii che proveniva da un piccolo pezzo di angleam. Spalancai la mascella dalla sorpresa, non ne avevo mai visto uno! Eravamo troppo poveri per permettercelo.
«E tu cosa ci fai qua? Non ci sono siti di scavi qui...» mi dissi. Lo presi in mano e lo guardai da tutte le angolazioni possibili. Era la cosa più bella che avessi mai visto, sembrava riflettere la luce delle stelle stesse. Ad un certo punto udii degli scricchiolii dietro di me, mi voltai di scatto e vidi delle ombre avvicinarsi.
Mi misi il gioiello in tasca e mi guardai intorno, spaventata. Sentii ringhiare, ululare e zampettare, ma non vedevo niente.
Deglutendo ripresi in mano l'angleam per fare un po' di luce, e quello che vidi mi fece quasi urlare dallo spavento. Un branco di thanator, formato da vari cuccioli più la loro mamma mi roteavano intorno, pregustandomi. Sono animali molto feroci dall'aspetto canino, hanno la pelle traslucida che riflette appena la luce delle lune, sei zampe e dei denti spaventosamente affilati. Senza pensarci mi sollevai in aria, ma come risposta uno dei piccoli mi raggiunse con un balzo e si attaccò a me mordendomi la caviglia.
Non appena i suoi dentini, fortunatamente ancora poco sviluppati, affondarono nella mia carne, urlai di dolore e persi quota, sbattendo lateralmente contro il tronco di un albero e finendo a terra. Il minerale mi scivolò dalla mano e rotolò qualche metro più in là. Mi rialzai più in fretta che potei e capii che precipitando avevo ferito il cucciolo, e ora la mamma correva infuriata verso di me. Zoppicando mi appoggiai all'albero, sollevai il braccio destro e lo spostai rapidamente alla mia destra.
Il branco venne catapultato lontano nella stessa direzione, dopodichè udii un tonfo e poi più nulla. Mi girò la testa per lo sforzo, non avevo mai smosso così tanto peso in una volta sola.
Con passo incerto mi recai dal minerale, lo ricacciai in tasca e mi guardai la ferita. Non era profonda ma faceva comunque un male cane.
In quel momento ripensai al divieto che mi avevano dato i miei genitori e piansi dispiaciuta. Se solo li avessi ascoltati tutto questo non sarebbe successo.
Riposatami qualche minuto mi avviai volando verso casa. Con la stanchezza che avevo accumulato mi ci volle un'ora intera per raggiungerla.
Quando arrivai il sole stava per albeggiare, i miei genitori erano in giardino e correvano da una parte all'altra. Mi stavano evidentemente cercando. Quando mi videro da una parte emisero un sospiro di sollievo, dall'altra si spaventarono a morte vedendo tutta la mia caviglia e parte del vestito insanguinati.
Spiegai loro cosa fosse successo, e dopo essermi sorbita la loro ira mista a preoccupazione mi portarono in ospedale. Lì mi misero dei punti che tolsi qualche tempo dopo, anche se ho ancora la cicatrice di quel morso. Prima di partire però lasciai cadere l'angleam sul fondo del lago: avevo paura che qualcuno in città me lo potesse portare via. Dopo qualche ora eravamo tornati a casa, e, dopo i dovuti rimproveri e punizioni, mi tuffai in acqua e lo recuperai. Da quel momento non me ne separai mai, fino a quando non arrivò Cooler, un anno più tardi. Da qui in poi la mia storia prende quella svolta spiacevole e tragica che ho evitato fin dall'inizio.
Quell'anno era cominciato uguale a tutti gli altri, passavo le giornate giocando nella foresta, sul lago, a casa a fare i compiti. In uno di questi, presa dalla noia e dalla voglia di interrompere lo studio, uscii dalla mia cameretta, andai in salotto e accesi la tv coricandomi sul divano. Sbuffai cambiando canale di continuo, fin quando qualcosa non mi incuriosì. Era il telegiornale, il titolo scorrevole in basso recitava: "Visite inaspettate dallo spazio, emissario di Lord Cooler si incontra con il nostro Presidente". Sgranai gli occhi.
Lord Cooler ha detto? Sapevo molte cose su di lui e sulla sua razza grazie ai libri di storia. Ero a conoscenza delle guerre imperiali e del terrore che la sua specie aveva portato in tutta la galassia. Si diceva in giro che lui fosse il più razionale ed equilibrato della famiglia, che fosse un buon imperatore insomma. Io so solo che la sua potenza leggendaria mi spaventava terribilmente. Ricordo che tremai.
Anche se avevo soltanto dieci anni ero una bambina fin troppo sveglia. Che cosa voleva dal nostro pianeta? Che volesse conquistarlo? L'angleam attirava da sempre i conquistatori, ma le nostre difese avevano sempre retto. Forse volevano soltanto parlare, dopotutto. Avvicinandomi alla televisione, alzai il volume e ascoltai. Il cameraman stava riprendendo l'astronave imperiale da cui erano appena usciti almeno una cinquantina di soldati. Indossavano tutti la stessa armatura e uno strano apparecchio di vetro colorato che gli copriva uno dei due occhi. Dopo che questi si misero in fila sull'attenti, un uomo alto, con la carnagione chiara e i capelli raccolti in una lunga treccia nera si fece avanti.
Aveva lo stesso abbigliamento dei suoi sottoposti, ma portava anche un lungo mantello bianco. Si guardò intorno ghignando. Mi metteva i brividi. Anche se non sapevo ancora percepire le aure potevo capire che era molto potente, più di qualunque ogiriniano. Il Presidente, scortato dalle sue guardie del corpo armate fino ai denti, gli andò incontro stringendogli la mano. Lo straniero lo ignorò, tirò fuori dalla tasca del pantalone un foglio di carta con il simbolo imperiale e lo porse al politico. Fatto questo egli si voltò, risalì sulla sua astronave e se ne andò insieme ai soldati.
Tutti rimasero attoniti. Ma come? Già finito? Cosa c'è scritto su quel pezzo di carta? Gli interrogativi erano tanti. Il Presidente scomparse immediatamente dall'inquadratura. La giornalista disse che alle prossime notizie ci avrebbe informati.
«Ehi tesoro, che ci fai così vicina alla tv?» mia mamma era tornata dal lavoro.
Tornata in me mi accorsi che effettivamente ero incollata allo schermo. Ed ero sudata. Possibile che quell'alieno mi avesse trasmesso tutta quell'ansia? Sorrisi in modo forzato a mia madre ed uscii. Perchè mi aveva spaventata tanto? Forse quel suo ghigno, o la sua stazza? Era letteralmente l'uomo più grosso che avessi mai visto, abituata com'ero alla mia gente. Quella sera, ad ora di cena, mio padre accese la tv e il telegiornale finalmente ci spiegò quanto successo. Era il Presidente in persona a parlare. Appariva chiaramente nervoso e preoccupato.
«Oggi pomeriggio un emissario di Lord Cooler ci ha fatto visita. Il motivo è semplice: vogliono una parte considerevole del nostro angleam, il 95% per l'esattezza, o conquisteranno l'intero pianeta radendo al suolo le nostre città. Dopo una lunga assemblea con gli altri capi di governo siamo giunti alla conclusione che noi non ci piegheremo a simili ricatti e non cederemo a questi invasori! Li sconfiggeremo come tutti quelli che sono venuti prima di loro, pertanto pochi minuti fa abbiamo inviato una navicella che raggiungerà l'astronave imperiale, attualmente in orbita su Ogirin, per comunicargli la nostra decisione e intimarli ad andarsene, o provvederemo a fare fuoco. Chiedo a tutta la popolazione di stare calma, la situazione è sotto controllo. Vi prego di continuare le vostre vite come se nulla fosse, grazie.» la trasmissione si interruppe. Quelle parole mi sconvolsero tanto che smisi di mangiare e mi passò la fame. Il panico avvolse il mio cuore in un inquietante abbraccio.
«Papà... Hai sentito? Cosa faremo adesso?! Io conosco Lord Cooler, l'ho studiato a scuola, non si fermerà... Lui sa solo distruggere!» singhiozzai.
Come ho già detto prima, ero fin troppo sveglia. Mio padre si alzò dalla sua sedia e mi venne ad abbracciare in un vano tentativo di rassicurarmi.
«Shuyra, amore, stai tranquilla. Il nostro pianeta è ben protetto e l'universo è pieno di tesori. Fidati di me, Cooler andrà da un'altra parte, ne sono sicuro.» mi disse sorridendomi e scompigliandomi i capelli affettuosamente.
Mai cosa fu più falsa. 

   
 
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