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Autore: VelenoDolce    28/10/2016    4 recensioni
Tino ritorna al paese dopo vent'anni vissuti in america. Il posto non è cambiato, e lui ripensa al suo vecchio amico d'infanzia con cui aveva scambiato promesse e sogni. Cosa ne sarà stato di lui?
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi siedo sul muretto di pietre e sospiro. Da quanti anni non venivo più qui, quante cose sono cambiate in me. Guardo la pineta oltre la strada. L'ultima volta che sono stato qui era estate, ricordo il grano maturo nel campo e le urla di noi bambini. La corsa nella pineta per andare a vedere il puledrino appena nato. Allora ridevo spesso. Ora non ho più nulla per cui ridere. Sono partito quando ero un bambino, ora che sono un uomo sono tornato, ho sempre la mia valigia di cose vecchie, le foto sono solo aumentate e i vestiti si sono ingranditi, ma continua ad essere sempre una valigia di perdita. Alzo gli occhi al cielo limpido del pomeriggio. Ero solo quando sono partito per raggiungere mio padre, sono solo ora che sono tornato per seppellire mio nonno. Cosa dovrei fare adesso? Restare qui o tornare in un paese che non reputo mio e in cui non ho più nulla?

Sospiro e salto dal muretto, la strada mi sembra sempre la stessa, l'avranno asfaltata negli ultimi vent'anni? Ne dubito. Mi sembra di essere tornato bambino quando giocavamo con i miei cugini e i pochi amichetti che venivano, come noi, a trovare i nonni in campagna. Entro nella pineta, me la ricordavo più spaventosa, più pericolosa, ma in fondo avevo solo otto anni, ora ne ho quasi trenta e ho perso i miei sogni di bambino.

Ho perso il mio migliore amico, il piccolo Marco, con cui facevo sogni e correvo a perdifiato tra questi alberi. Ricordo le nostre promesse di bambini: ti scriverò; verrò a trovarti... ci sposeremo. Ora rido a quella affermazione, ma allora ci credevo. Eravamo innocenti, non sapevamo nulla del mondo. Un mondo che mi è sempre crollato sotto i piedi. Accarezzo la corteccia di un albero, sento il profumo della resina. Chi voglio prendere in giro domandandomi cosa farò? Il mio cuore ha già deciso. Amo questo posto, il suo profumo, il calore, l'aria limpida.

Ritorno indietro, prima di entrare dal cancello mi volto a guardare il sole tramontare sulle campagne. Domani c'è il funerale, poi devo cercare un impresa per sistemare la vecchia casa, non so se questa o quella del paese. Dove sarà meglio vivere? Quando entro in casa mi accoglie la lenta litania funebre, il pianto delle donne che, da secoli, accompagna i defunti. Non ho pagato nessuna, ma sono venute lo stesso, in onore di 'tia' Maria, hanno detto, mia nonna teneva a queste tradizioni. Domani piangeranno e urleranno per un uomo che le ha sempre trattate come inferiori, ma in fondo loro sanno che era solo una copertura la sua, un modo di fare tramandato dalla cultura contadina che ancora aleggia in questo paesino del nord Sardegna. Come quando, da piccolo, mi metteva sul suo cavallo e diceva: così si cresce un uomo, non sui libri. Era un uomo di altri tempi, che non saprà mai cosa è suo nipote.

Vado nella camera che hanno sistemato per me, quasi uno sgabuzzino. Apro la mia valigia, accendo il pc, controllo le mail. La mia ex ci tiene a farmi sapere che è dispiaciuta per mio nonno, perchè non l'ho raggiunto. Fino a quando era lei a tradirmi tutto andava bene, ma quando ho dato un bacio a un tipo di cui ora non ricorderei manco l'esistenza, se non fosse per lei, è andata in bestia. Ho cercato di spiegarle che ero talmente ubriaco da non ricordare nemmeno il mio nome, ma lei continua ad augurarmi la morte. Per fortuna non eravamo sposati, non avrei sopportato un divorzio senza fare qualche gesto stupido, tipo cercare di strangolarla. Mi sdraio sul letto, chiudo gli occhi, sono stanco.



Vengo svegliato dal suono del cellulare, quasi cado dal letto per prenderlo e rispondere assonnato, ma l'interlocutore ha già riattaccato. Non conosco questo numero, poi lo chiamo, magari quando torno nel mondo dei vivi... Ci sarà del caffè? Mi alzo e barcollo fuori dalla stanza, alcune donne mi guardano e sorridono. Riesco ad arrivare fino al bagno, l'acqua fredda sul viso mi sveglia abbastanza per non barcollare fino alla piccola cucina.

“Tino?” Una donna bellissima mi sorride, spalanco gli occhi, è così simile a mia madre che non ho dubbi di chi si tratti, anche se l'ultima volta che l'ho vista aveva dieci anni.

“Manu.” Dico sorridendo, lei mi abbraccia. Il suo profumo è fresco, sa di mare.

“Quanto tempo... stai benissimo.”

“Mi sento uno straccio, c'è del caffè? Magari mezzo litro...” Sbuffo appena quando mi guarda e ride.

“Ti ricordo che sei in Italia, il caffè, c'è, ma non so se sei abituato a questo.” Lei prende una caffettiera minuscola e versa il liquido scuro in una tazzina.

“Zucchero?” Domanda prendendo un cucchiaino, annuisco.

“Credo di non ricordare nemmeno più che sapore abbia.” Prendo la tazzina, il profumo è magnifico, spero solo che riesca a svegliarmi.

“Devi cambiarti, la messa funebre è tra un ora, quelli dell'impresa arriveranno a minuti.”

“Ho dormito così tanto?” Guardo l'orologio appeso al muro, è fermo. Scuoto appena la testa, bevo il mio caffè, che mi conferma che è una delizia completamente diversa da quello a cui ero abituato in America.


Davanti alla chiesa mi sistemo la giacca, la messa sembrava non voler più finire, ora si và nel cimitero. Mia cugina è rimasta vicino a me, una gentilezza che non avrei mai trovato in America. Qui tutti mi fanno le condoglianze, alcuni mi dicono chi sono, sopratutto parenti, che posso fare se non annuire e ringraziare? Sono talmente tanti che non mi ricorderò di nessuno di loro.

“Manu, c'è Marco, lo devo mandare via?” Franco, il fratello minore di Manuela si avvicina e lo dice infastidito.

“Lascialo stare, magari pensa di chiedere scusa in questo modo.” Lei sospira e mi guarda.

“Ricordi il figlio dei vicini di tiu Juanni?” La guardo senza capire, poi ricordo che mio nonno è fratello del suo, quindi per lei è zio... Sussulto appena, Marco? Annuisco.

“Alcuni mesi fa è entrato nei campi con il trattore del padre, ha distrutto mezza coltura. Zio e nonno erano furiosi. Lui era completamente fatto. Almeno oggi è sano?” L'ultima domanda la fa al fratello, che annuisce con un sospiro.

“Penso sia malato, è un'ombra, ancora peggio di prima.” Franco indica vagamente verso qualcuno che non riesco a distinguere tra le altre persone. Vorrei vederlo, vorrei ritrovare il bambino che era un tempo, che ero. Ma se si droga sarebbe meglio non rivederlo, non infrangere il bel ricordo di quel bambino biondo e allegro che vive nella mia mente.


Chiudo gli occhi, silenzio. Che bello. Sospiro e mi guardo attorno. Questa sarà la mia casa? Domani chiamo un impresa. Cambiare le finestre, mettere le luci esterne, sistemare il muro di cinta... Mi fermo in mezzo al salone, domani, non ora. Prendo una delle sedie della cucina, sono ancora le stesse di vent'anni fa, forse anche di trenta. La porto fuori, nell'aia, come facevano gli adulti quando ero ancora un bambino. Mi siedo al tiepido sole di fine ottobre. La casa ha il riscaldamento? Mi viene il dubbio... c'è il camino, ma nessun termosifone. Domani controllo tutto. Mi guardo attorno, poche cose sono cambiate, ma tutto sembra molto più piccolo di come ricordassi. Con la coda dell'occhio lo vedo arrivare. Un ragazzo alto e magro, si ferma accanto al cancello, ma non entra. Per un po' fingo di non accorgermi della sua presenza, sarà Marco? Il cuore mi batte leggermente più forte.

“Ciao.” Gli dico, lui sussulta, ma non risponde.

“Chi sei?” Domando ancora senza esito. Mi alzo, avvicinandomi a lui. Ha un bel viso, ma è davvero troppo magro, sembra tremare appena.

“E' da una vita che non venivo qui, mi mancava questa serenità, questo silenzio di campagna.” Mi fermo a pochi metri da lui, che mi guarda in modo strano.

“Devo riabituarmi all'Italia.” Sorrido e tendo la mano.

“Ti va un caffè?” Non è che non può parlare? Lo vedo mordersi le labbra, incerto, ma poi annuisce appena. Lo precedo in casa, portando indietro la sedia.

“Oh...” Mi fermo guardando le parti smontate della piccola caffettiera.

“Non ho idea di come si usi, tu lo sai?” Mi giro verso di lui, che è rimasto sulla porta della cucina. Si avvicina senza un fiato, le sue mani tremano talmente che penso che gli cadrà tutto, prepara in fretta la macchinetta e la mette sul fornello. Guarda ovunque tranne che verso di me, non capisco questo atteggiamento.

“Ti ricordi di me?”

Sussulto a sentire la voce incerta di Marco, sembra così fragile, come il suo corpo.

“Certo, sono ricordi preziosi.” Sorrido appena, lui si stringe il bordo del maglione.

“Mi impedivano di rispondere alle tue lettere.” Marco si toglie la borsa che aveva a tracolla e me la mette tra le mai.

“Leggile.” Mi guarda per la prima volta negli occhi, i suoi sono pieni di lacrime e rossi. Poi fugge via. Lo guardo superare il cancello dalla finestra della cucina, io sono rimasto fermo con quella cosa tra le mani. Il gorgoglio del caffè mi fa muovere, spengo il gas e me ne verso una tazzina. Apro la borsa, ci sono dei quaderni.

Per anni Marco mi ha scritto. Inizialmente erano le risposte alle mie lettere, risposte che si rifiutavano di fargli spedire. Quando io ho smesso, dopo un anno, lui ha scritto a me come al suo confidente. Quando finisco di leggerle tutte sono ormai le cinque del mattino, ho un tremendo mal di testa e gli occhi rossi dal pianto. C'è un numero di telefono nell'ultima pagina, una frase sotto di esso.

'Chiamami, se vuoi.'

Se voglio? Dopo tutto quello che ho letto vorrei fare ben altro...

“Pronto?” La voce che mi risponde è flebile e triste, ma non assonnata, lui non dormiva, aspettava, forse pregava, probabilmente piangeva.

“Vieni qui.” La mia voce sembra così sicura rispetto alla sua.

“Davvero?” Sussurra appena, incredulo.

“Verrei io da te, se non fossi certo di perdermi.”

“Arrivo.”

Sento dei rumori, la conversazione si chiude. Marco, il mio Marco, sta per raggiungermi.


**


Eccomi con una cosina ina ina per un piccolo contest sulla pagina fb EFP Fandoms. Il prompt lasciatoci era: 'perdersi e poi ritrovarsi'. Ne è nata una storia, il primo capitolo partecipa al contest, quelli dopo non so che farne, ma si stanno scrivendo da soli e pare brutto fermarli ^.^

Il titolo è una parola in lingua sarda, nel dialetto portotorrese e vuol dire lucertola. Tia e tio sarebbero zia e zio, non ho sbagliato a scrivere, qui chiamare gli anziani zii è una tradizione, un gesto di rispetto. Una cosa tipica è anche chiamare i cugini di secondo e terzo grado semplicemente cugini, Manu e Tino non sono cugini stretti ma figli di due cugini.

Spero sia tutto chiaro u.u nella mia testa lo è...

A presto

Veleno


   
 
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