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Autore: Importantbusinesseu    29/10/2016    1 recensioni
[Monsta X]
Dire addio, in fin dei conti, non è mai stato così facile.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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"걸어"

 
I wanna hold your hand
And show you the blue sky
I wanna walk with you
I wanna tell everyone that I like you
That’s what I wanna do
 
 
Ho amato l’anima insieme al corpo, mi sono legato a te, e ho aspettato che diventassimo anima e corpo. Non ho paura della morte se sei tu a stringermi la mano portandomi verso il fondo. Dire addio, in fin dei conti, non è mai stato così facile.
 
Non c’è vita dove non splende il sole. Avevo sempre desiderato vedere un tramonto o un’alba in tua compagnia.
Chiusi in un intimo silenzio, avremmo potuto guardare in alto le mille sfumature che il cielo ci regalava, la mia testa poggiata sulla tua spalla, il battito dei nostri cuori ci avrebbe fatto arrossire, e avremmo potuto scambiarci quelle parole sdolcinate che vogliamo sentirci dire anche se non ci piacciono.
Il sole è sempre stato protagonista di quelle leggende proibite che ci raccontavano quando eravamo bambini, e che adoravamo per il semplice fatto che non era ammesso colmare le menti dei giovani di speranze, ma non è forse ciò che è proibito che più desideriamo?
In un luogo dove non c’era giorno, la speranza era stata la prima a morire.
 
Non avremmo mai visto la luce fino a quando non sarebbe giunta la nostra morte, era questo che ci insegnavano.
Ma non stavo forse morendo?
 
Dicono che prima di morire, nell’esatto istante in cui la vita ti abbandona, e i tuoi sensi di colpa ti uccidono lentamente, tutti gli eventi della tua vita si succedono davanti ai tuoi occhi in quello che appare un attimo, un piccolo arco di tempo in cui la tua mente sembra voler convincerti a non rinunciare alla tua vita per un dispetto d’amore. Mi sembra quasi di affogare nel mio respiro, mentre a poco a poco i miei battiti si spengono, lasciandomi in un vortice di ricordi.
Ricordi che incidono la loro lama, spingendosi fastidiosamente nel mio petto, colmando la mia agonia di immagini che non vorrei vedere. Ma, ricordare ogni nostro tormento e sofferenza, anche se è solo figura del mio subconscio, è l’unica cosa reale in un mondo costruito sull’inganno.
 
 
Vivevamo in un’era in cui non regnava né il bene né il male. Non c’era emozione, non c’era colore, quel che nasceva giusto era ormai sbagliato, lasciando spazio a valori che vanno contro la nostra natura.
Sapevo di avere qualcosa di sbagliato nell’esatto istante in cui mi inoltrai per la prima volta nella radura.
Sapevo di avere qualcosa di sbagliato dal primo momento in cui ti avevo visto. Stavi morendo, e salvarti significava andare contro le regole, poiché nessuno può interferire con il destino.
Mi ero avvicinato assicurandomi che nessuno ci stesse vedendo. Il mio cuore batteva così forte da far male, ed è così che scoprii che cosa fosse la paura.
 
Avevo visto luce, in un mondo dove dominava solo il buio.
Avevo visto luce nei tuoi occhi, ma è stata quella luce a dannarmi.
 
 
 
 
 
-Minhyuk dobbiamo andare, gli altri ci stanno aspettando- mi avevi detto quella mattina.
 
Ricordo di aver aperto gli occhi lentamente, e di essermi rassicurato vedendo la sagoma della tua schiena. Eri seduto sul bordo del materasso che condividevamo, in quella camera buia di uno scantinato. Contemplavi un punto indefinito davanti a te di quella parete spoglia, le cui mura erano le uniche a darmi sicurezza, o almeno mi illudevo che vivere nell’oscurità, nascosto dalla crudele realtà che ci attendeva al di fuori di quella stanza, fosse l’unica maniera per tenermi stretta la mia vita. Eri sempre tu a svegliarmi al mattino perché ti piaceva riflettere e prenderti un po’ di tempo per te stesso. Ogni tuo sospiro era peggio di una pugnalata al cuore, e stringevo forte gli occhi per paura che mi sorprendessi a guardarti.
Ho sempre avuto paura, paura di perderti. Ogni cosa che facevo sembrava ferirti, e so che ogni tuo sospiro era causa della mia vicinanza.
Tu eri coraggioso, e sembrava che niente ti spaventasse, eppure ti sei sempre ostinato a tenermi lontano, a lasciare che quella freddezza ci consumasse poco a poco.
 
 
-Nascere non è errore, ma non vivere lo è. Noi abbiamo un dono Minhyuk, non sappiamo quanto tempo abbiamo prima che ci scoprano-
 
Mi avevi baciato così all’improvviso, lasciando che le nostre lacrime si confondessero. Ci stringevamo così forte da farci male, eppure mi sembrava ancora di essere così distante da te.
 
Amarci è sempre stato un errore.
Non abbiamo mai smesso di sentire il bisogno di stare vicini, come se ci fosse un enorme forza gravitazionale che non ci permettesse di separarci, eppure entrambi abbiamo sempre avuto paura di lasciarci andare alle nostre debolezze.
Non potevamo darci le colpe, non potevamo nasconderci da noi stessi, perché siamo nati diversi e tali saremmo rimasti.
 
 
Noi costituivamo una anormalità, una virgola di cui la fazione negava l’esistenza, ma su cui inventava racconti per poter spaventare i bambini e tenerli lontani da ogni tipo di violazione.
Non c’era la morte per coloro che non rispettavano la legge, perché avrebbe significato raggiungere la pace che tutti siamo predestinati a raggiungere. Sembrava così strano pensare che saremmo invecchiati insieme, ricordo che avevi trattenuto una risata, e mi avevi scompigliato i capelli affettuosamente lasciandomi intuire la tua risposta.
C’erano diverse possibilità, e nessuna di queste, prevedeva un ipotizzabile futuro.
Si narrava che anime peccatrici fossero destinate a creare il disordine all’interno della comunità, e solo la perseveranza e la freddezza di un governo dispotico avrebbe permesso a tutti noi di proseguire il nostro sentiero finché la morte non ci avrebbe ricompensato. Tuttavia, era quasi inevitabile che un cuore innocente sarebbe caduto nell’imminente errore.
 
È così, siamo nati deboli, ci siamo lasciati travolgere dai sentimenti, dalla voglia, dalle sofferenze, dal pianto. Ciò che amiamo è in realtà ciò che dovremmo odiare.
 
 
 
Ogni sentimento è propaggine dell’amore, e per secoli gli Inquisitori avevano cercato di evitare, e contenere le debolezze a cui esso persuadeva, poiché queste avrebbero portato al disfacimento dell’ordine che si era ristabilito. L’uomo aveva distrutto tutto ciò che in passato era in suo possesso, trasformando la vita in dispiacere e sofferenza per chi abitava il nostro mondo, ma era stata proprio la passione ad aver convertito ogni atto di bene in un lenta e progressiva via verso la distruzione.
Ma, nel fior della giovinezza, animi sfortunati sarebbero caduti in tentazione, lasciando che il sentimento riemergesse conducendo tutti noi alla definitiva rovina, ma nessuno si sognava che una simile fatalità fosse già in procinto di avverarsi.
 
Dicono che il primo sentimento che si prova è quello che più ci distingue, e dal momento del nostro incontro, la paura di non averti al mio fianco è diventato l’unico pensiero che mi teneva sveglio la notte.
Mi giravo, e mi rigiravo di continuo nel nostro stretto letto per controllare che tu fossi ancora accanto a me, per poi calmarmi non appena sentivo la tua voce rimproverarmi per averti svegliato ancora una volta. Mi lasciavo cullare dal rumore del tuo respiro, sperando che ciò bastasse per farmi addormentare.
 
C’erano notti, in cui il freddo alleggiava nella nostra stanza, rendendo il mio inutile tentativo di prendere sonno, sempre più irrealizzabile.
Ma, in quella stanza, in quello stesso letto, ti stringevi a me, avvolgendomi in un abbraccio affettuoso. In quelle gelide ore notturne, appariva un gesto così innocuo, uno sforzo che entrambi dovevamo fare, perché diciamocelo, morire d’ipotermia è forse una delle morti più stupide se si ha un corpo di trentasette gradi centigradi a non meno di venti centimetri di distanza.
 
Tuttavia abbiamo sempre cercato ogni scusa possibile per poter avvicinarci quanto bastasse per percepire il calore l’uno dell’altro. Adoravo il modo in cui nascondevi il tuo volto nella mia spalla, e come i battiti del tuo cuore aumentassero ogni qual volta che sfioravo la tua mano, ogni qual volta che baciavo i tuoi palmi, ogni qual volta in cui la stanchezza mi prendeva alla sprovvista, lasciandomi sfuggire dalle labbra ogni mio pensiero in un sussurro.
 
Avrei voluto somigliarti. Ripetevo le tue parole in silenzio, nella mia mente, sperando che ciò bastasse a infondermi un po’ del tuo coraggio. Tante cose ci differenziano, ciò nonostante la nostra debolezza è proprio questa, non possiamo vivere senza che le nostre mani si sfiorino. Non possiamo vivere senza quegli sguardi rubati, e la tentazione che accende i nostri occhi.
Se la mia piccola luce si spegnesse, allora mi spegnerei con essa.
 
 
 
 
 
 
L’odore di fumo mi invadeva il naso, quella stessa mattina, provocandomi un leggero fastidio. L’aria pesante, creava la sua nebbia perenne, la quale lasciava la sua colorazione livida sulle mie vesti bianche.
Percorrevamo, tra le nebbie, quelle strade che ormai conoscevamo a memoria, per raggiungere il rifugio: un vecchio ospedale abbandonato nel bel mezzo della radura, luogo che faceva da nascondiglio a tutti i nostri simili, a tutti coloro che la società condannava. Un gruppo di ragazzi sventurati la cui vita era solo fatta di sopravvivenza.
Come potevamo chiamarla se non vita? Era un stretta linea, un sottile limite, che ci separava dalla vera esistenza ad un cumulo di ceneri.
 
Avrei voluto stringere forte la tua mano senza dover temere di aver un fucile puntato alla testa.
 
Avrei voluto stringere la tua mano e non lasciarla più, ma non ci è concesso.
 
Nessuno si inoltrava nella radura, poiché la sua oscurità avrebbe corrotto le menti, e chi si inoltrava in essa non ne faceva ritorno, ma questa era l’ennesima avvertenza per tener lontane le persone dal dolore che la terra trasmetteva. Nessuno poteva rimanere indifferente di fronte alla manifestazione di tanta sofferenza e angoscia.
Ogni cosa intorno a noi moriva lentamente, e nel silenzio, mi sembrava di udire i sospiri, i lamenti di coloro che supplicavano la fine.
Ma, in un luogo dove non c’era pace, la Terra aveva offerto agli uomini il suo ultimo dono, per regalare speranza a chi, solo nascendo, era condannato. Un motivo di consolazione per chi, come noi, non avrebbe vissuto a lungo. Guardaci adesso, siamo più vicini alla morte di quanto possiamo immaginare.
La chiamavano “Erba del Sole”, un fiore dalla colorazione azzurra, il quale aveva messo radici laddove il sole aveva smesso di splendere, costituendo l’unica fonte di vita in un luogo dove prevaleva la morte. La sua nascita la interpretavamo come un regalo dal cielo, poiché le sue sfumature celesti ne ricordavano il colore, che in pochi decenni aveva colonizzato tutta la radura. Era quasi paradossale pensare che qualcosa di apparentemente così delicato avesse superato i limiti del possibile. Era l’unica fonte di vita, e ci derideva dall’alto del suo fusto.
Non è appariscente, non è chiassosa, ma i doni che nasconde, sotto il suo aspetto semplice, sono grandissimi. Non si tratta solo di facoltà curative, ma il suo effetto collaterale prevede il continuo susseguirsi di tutte le emozioni, dalla più nobile alla più oscura.
 
 
Ricordo la prima volta che ne avevo assunto il liquido bluastro.
Il Clan si radunava, al calar del sole, al riparo di quella serra buia, alla sola luce violacea che il fiore rifletteva.
Ricordo la prima volta che bevemmo insieme, erano stati i tuoi occhi a trasmettermi fiducia, ma una parte di me desiderava che quel gesto fosse sufficiente a renderti fiero di me. Non facevi altro che guardarmi con quello sguardo di insufficienza, e talvolta pensavo veramente di apparire così ai tuoi occhi: qualcosa di estremamente insoddisfacente. Ti ho odiato.
Ti ho odiato davvero perché sapevo che volevi ferirmi.
 
Hai sempre voluto vedermi cedere davanti ai tuoi occhi, e tal volta, sembrava quasi che la cosa ti divertisse. Ti ho odiato per questo, e mi sono sentito in colpa. Non posso spiegare l’inspiegabile, ma non è forse l’amore ad essere sconsiderato? Perdoni l’imperdonabile, fai quello che non vorresti, diventi ciò che non volevi essere, e ami ciò che odi. Niente di tutto questo deve per forza avere senso.
 
 
Avevo pianto, colpito dall’intensità di quel momento, dall’intensità che ogni singolo pensiero, ricordo e sentimento avevo represso. Mi sembrava quasi di svegliarmi per la prima volta, ed ero stato colpito così violentemente dalla realtà che era sempre stata davanti ai miei occhi, senza mai percepirne la propria energia. Mi sembrava quasi di essere impazzito, di essere stato cieco fino a quel momento, e di vedere cose che gli altri non potevano scorgere. Le lacrime scendevano impetuose rigando il mio viso, lasciando che il calore mi avvolgesse.
Per la prima volta mi ero sentito in pace.
Percepivo la quiete in un turbine di emozioni.
Mi sono voltato verso di te,  avevo riconosciuto i tuoi lineamenti, ammirandone la perfezione. Una perfezione che non aveva niente a che vedere con il terreno.
Avevo peccato nel momento in cui il mio sguardo si era posato sulle tue labbra piene, ispirandomi al desiderio.
Mi ero soffermato ad osservare l’evidente graffio sotto il tuo occhio, illudendomi che bastasse solo una mia carezza per far sì che esso scomparisse.
Avevi stretto forte la tua mano intorno la mia, e rilassato la tua guancia sulla mia mano tremante.
I tuoi occhi incavati, le cui ombre scure ne contornavano la bellezza, avevano incontrato i miei ancora una volta, ed è stato in quel preciso istante che scoprii cosa fosse amore.
 
 
 
-Ci stiamo preparando a qualcosa di grande- aveva detto Hyunwoo rivolgendo il suo sguardo verso Jooheon, il quale aveva annuito in risposta.
 
I due fratelli cercavano sempre l’uno l’approvazione dell’altro, ma anche se Hyunwoo era il maggiore, non faceva mai nulla contro la volontà del fratello più piccolo. La loro fratellanza era quella che li aveva condotti alla debolezza, ma ciò che li rendeva più uniti era il loro amore verso il padre.
La loro era quasi divenuta un’ossessione, cercavano di mantenerlo in vita al costo di rischiare la loro e anche la nostra.
 
-Abbiamo bisogno di quelle medicine, è l’ultima possibilità che abbiamo- ammise il minore, risistemando il berretto scozzese sulla sua testa.
 
-Vuoi ucciderci tutti Hyunwoo?-
 
Changkyun aveva esortato con il suo solito tono scontroso di chi aveva scoperto la rabbia prima di ogni altra emozione.
Era un ragazzino indomabile, e non ti piaceva come i suoi sbalzi d’umore ti condizionassero, ma per la prima volta eri rimasto in silenzio, e così anche io.
Il motivo della sua irritazione era lo stesso che aveva fatto riaffiorare il mio senso di paura.
 
Kihyun aveva sussurrato qualcosa nell’orecchio del ragazzino, mentre la sua mano percorreva, con dolci carezze, il suo braccio.
Vedevo come il tono della sua voce influenzava il più piccolo, in ogni loro movimento percepivo il loro amore, ed era quasi impossibile non accorgersi dell’intimità che i due ragazzi condividevano.
Nel vederli insieme avevo provato invidia. Mi sono sempre chiesto se per te fosse lo stesso, ma ho sempre avuto paura di quale potesse essere la tua reazione.
 
-Ascolta il tuo fidanzato ragazzino- aveva pronunciato la voce di Wonho, la cui figura era comparsa dall’ombra.
 
Sul suo volto era disegnata la solita espressione calma, ma i suoi occhi nocciola rispecchiavano la sua vera natura: un ragazzo che doveva affrontare il suo desiderio di vendetta.
Aveva visto la madre togliersi la vita davanti ai suoi occhi senza poter far niente per impedirlo.
Erano state quelle stesse persone che la governavano ad accendere l’orrore per aver scoperto di amare il figlio, ma nessun sentimento d’affetto è permesso, ed è così che la donna in un gesto disperato aveva cercato di proteggerlo.
 
Tu rimanevi immobile davanti a me, nemmeno sembravi accorgerti di tutti gli sguardi che ti rivolgevo. Il tuo volto era segnato dalla solita espressione assente, e avrei dato qualsiasi cosa pur di conoscere i tuoi pensieri. Tra di noi non c’era mai stato tanto dialogo, ma non avevamo bisogno di parole per esprimere ciò che provavamo ad ogni carezza, bacio, e sospiro. Amare era così doloroso, e il fiore mi rendeva ancora più possessivo nei tuoi confronti, vedendo chiunque ti si avvicinasse come una minaccia.
 
La loro convinzione lasciava intendere che niente avrebbe fatto cambiare loro idea, e a quel punto potevo solo sperare che niente andasse storto, ma soprattutto, temevo che questo piano suicida non ti coinvolgesse. Ma il tuo silenzio non prometteva nulla di buono.
 
-Andate- disse Wonho protendendo il braccio verso la porta, con noncuranza.
Nella stanza calò il silenzio. Coloro che erano rimasti non osavano aprire bocca, ma ognuno era colmato da un vortice di pensieri che aveva reso, improvvisamente, la stanza più fredda e inospitale, e pareva che ogni parete fosse in procinto di frantumarsi.
Udivo, sempre più vicino a noi, il destino ridere delle nostre sventure.
 
 
 
 
 
-Ti amo -  avevi sussurrato, carezzando la mia guancia con il tuo pollice, per poi colorare le tue dita e disegnare linee sul mio collo.
 
È stata la prima e l’ultima volta che udii quelle parole dalle tue labbra. Avevo cercato di risponderti, ma mi avevi zittito, dicendomi che non avrei dovuto commettere il tuo stesso sbaglio. La tua espressione era così serena, eppure percepivo una certa malinconia nel tuo sorriso, la quale non faceva altro che accrescere il mio desiderio.
Il desidero imprescindibile di fare qualcosa per strappare un sorriso dalla persona che ami.

Ti avevo costretto ad unire le nostre labbra, in un bacio così impacciato, dolce, e non c’era stata paura nei nostri movimenti. Avevo cercato di dimostrarti ancora una volta il mio amore, e tu mi avevi ricambiato, perché sapevi quanto le parole mi spaventassero.
Avevi pronunciato il mio nome sulle mie labbra per poi approfondire il bacio, soddisfando il bisogno di entrambi, e riempiendo il silenzio dei nostri sospiri.
Avevo accarezzato la tua pelle nuda senza esitazione, e baciato il tuo collo facendoti rabbrividire. Mi avevi fatto scoprire che cosa fosse il piacere, e mi avevi insegnato ad amarti ancora di più. Ci amavamo, sbagliavamo, e ci amavamo di nuovo, ma almeno lo facevamo insieme.
Avrei voluto stringerti e consumarti in quell’abbraccio, proteggerti da ogni male, sebbene fossi sempre stato tu quello a salvarmi, ma più ci avvicinavamo più ti sentivo lontano.
 
 
 
Mi ero svegliato di soprassalto. Paura, frustrazione, rabbia, e di nuovo paura si erano accese dentro di me come la passione che ci univa e che ora ci vedeva separati.
Il sudore imperlava la mia fronte, bagnando i miei capelli, facendoli aderire al mio viso. Un enorme peso sul petto mi impediva di respirare, e per quanto annaspassi, il mio respiro si faceva sempre più corto, e il sangue pulsava nelle mie vene seguendo il ritmo dei miei battiti, i quali esplodevano nel mio petto. Il rumore delle mie pulsazioni si riproduceva nelle mie orecchie, trasformando la sua vibrazione in un fragore troppo forte da poter sopportare.  Pareva che scandisse il tempo che, velocemente, ci stava sfuggendo.
Portai le mani intorno al mio collo, convinto che due mani si stessero stringendo introno ad esso, impedendomi di riprendere fiato. Due mani che mi convinsero a voltarmi laddove solevi riposare, al mio lato, ma non c’eri.
Ho visto il panico riflesso nei miei occhi, e ho urlato il tuo nome non vedendoti vicino a me. Ti avevo cercato, preso dalla disperazione, senza smettere di chiamarti. Le mie urla si perdevano all’interno delle stanze, le quali riproducevano l’eco del mio fiato strapparsi.
La mia voce era rotta dai singhiozzi, eppure continuavo a sussurrare il tuo nome attendendo una tua risposta. Le mie lacrime distorcevano ogni immagine reale, numerosi pensieri annebbiavano la mia mente, trasformando la mia confusione in pazzia. Sentivo la tua voce mormorare parole nelle mie orecchie che non riuscivo a comprendere. Correvo per ogni corridoio, voltandomi freneticamente, sperando che ti nascondessi alle mie spalle, non sapendo più dove cercarti.
Il luogo dove eravamo cresciuti, sulle cui scale ci eravamo rincorsi. Il nostro rifugio, dove ci nascondevamo dagli sguardi indiscreti.
Era l’unico posto che potevamo considerare casa senza sentirci fuori posto, perché per noi non c’è mai stato spazio in questo mondo.
Tutto si era improvvisamente trasformato in quello che pareva un labirinto. Per quanto andassi innanzi non avrei trovato i confini del reale, ma pareva che quella stessa casa mi stesse proteggendo da ciò che le mura nascondevano.
 
 
 
 
 
Ti avevo trovato.
 
 
Eri ricurvo su te stesso, seduto nel centro di quella stanza, la tua spina dorsale si intravedeva attraverso il tessuto della tua maglia. Avevi sentito il suono dei miei passi, all’improvviso, e la tua schiena si era contratta. Avevi smesso di respirare riconoscendone il suono.
Non esiste il coraggio, non è mai esistito. Pensavo che non avrei mai trovato la forza per avvicinarmi a te, perché ho sempre vissuto nella paura, e tu non ti sei mai aspettato che fossi io quello forte, perché lo eri sempre stato tu.
Noi sentiamo il bisogno di stare vicini, avevo detto così tante volte. Lo avevo ripetuto fino alla nausea per convincermi che non ci fosse altra spiegazione, perché alla fin fine, la forza d’attrazione che ci univa, ci riportava al punto di partenza. Avevi stretto di nuovo la mia mano intorno al tuo viso, senza riuscire a sostenere il mio sguardo. Mi ero accucciato davanti a te, e mi avevi permesso di vedere il tuo volto, sfilando quel piccolo strato di stoffa bianca che ti nascondeva ai miei occhi. Apparire debole, era questo che ti terrorizzava.
 
 
-Sei davanti a me, come pretendi che io non ti veda?-
Avevo mormorato, senza lasciar trapelare le mie emozioni, mostrandomi impassibile, immobile, attendendo la tua risposta, la quale non aveva tardato ad arrivare. Una parte di me non voleva sapere.
 
Tutti ci ostiniamo a trovare una risposta alle nostre domande, ma ci sono momenti in cui preferivo tenermi stretta la mia innocenza. Vivere nella completa incoscienza e in uno stato simile ad un sonno perenne.
Avevi alzato lo sguardo, e avevi puntato i tuoi occhi neri nei miei. Quei lineamenti perfetti, che tanto amavo, erano ormai una maschera di dolore.
I lividi, i tagli, il sangue rappreso intorno al tuo labbro. Il tuo dolore diventava automaticamente il mio.
 
Man mano che ti osservavo, ogni taglio, ogni ferita, la tua angoscia si trasferiva sulla mia pelle, e, nel profondo, sentivo nascere qualcosa dentro di me, qualcosa che avrei dovuto temere, ma quando la persona che ami soffre non ti accorgi nemmeno della sconsideratezza delle tue azioni.
Faresti qualunque cosa per quella persona, perché amarla, semplicemente, non sembra mai abbastanza.
Era la tua stessa espressione di sempre, incomprensibile, nemmeno i tuoi occhi mi suggerivano i tuoi pensieri, ma sembrava avessi spento ogni tua emozione.
Ero arrivato troppo tardi, mi ero abbandonato a quel sonno leggero di chi è innamorato. Mi ero addormento con il sorriso sulle labbra, e niente mi sembrava che potesse andare meglio di così. Stringevo forte la persona che amavo, e mi ero addormentato con il solo pensiero che niente potesse andare storto. Finché stiamo insieme, si ripeteva questo pensiero all’infinito nella mia mente.
Avevo sbagliato di nuovo. Sbagliamo, e ci amiamo di nuovo, non era forse così?
La scia delle tue lacrime, segnavano il loro percorso sulle tue guance. Erano lacrime che non avrei potuto asciugare, lacrime che non avrebbero bagnato la mia spalla, perché ero troppo impegnato a pensare a me stesso. Ero impegnato a pensare a come sarebbe stato bello risvegliarsi il mattino dopo, e poter sussurrare al tuo orecchio quanto ti amassi. Il coraggio non esiste.
 
-Ci hanno scoperti- avevi detto trasalendo.
 
 La tua voce si era trasformata in sussurro, facevi fatica solo a parlare. Tenevi tutto dentro, perché se avessi ancora pronunciato una qualsiasi parola, avresti ceduto.
 
-Verranno a cercarci-
 
L’adrenalina scorreva nelle mie vene, preparandomi a qualcosa di cui non mi sarei mai pentito, perché intanto, la nostra fine era già segnata. Il nostro destino aveva tirato il filo, e aspettava solo che noi lo tagliassimo.
 
 
 
 
 
-Io e Hyungwon li abbiamo seguiti ieri notte -aveva aggiunto Wonho reggendosi ai bordi del tavolo, alla sola luce del lume al centro della sala.
 
Temevo quei occhi nocciola, la malizia che intravedevo in essi, la luce che vi si rifletteva, creando quel gioco di ombre che rendeva l’atmosfera più cupa di quanto realmente fosse. Ogni muscolo del mio corpo era in tensione nell’esatto momento in cui quei occhi mi scrutarono, facendomi sentire infinitamente piccolo e inutile.
 
Ma non le ero forse? Avevo lasciato che scappassero senza accorgermene. Se solo avessi saputo, se solo li avessi fermati in tempo non ci avrebbero scoperti, e forse, e dico forse, avremmo vissuto un giorno, o mesi, o quel poco in più per strappare un altro bacio dalle tue labbra, per sentire il suono della tua voce chiamarmi al mattino, e dormire l’uno accanto all’altro sentendo il continuo bisogno di abbracciarci. Ma, ancora, non potevo immaginare che non ne avrei mai avuto la possibilità. Ci ostiniamo ad aggrapparci a quelle speranze che non esistono, ed era proprio quello che avevo fatto.
Ero rimasto in piedi, le braccia incrociate al petto, per trattenere la rabbia e quella sensazione di chi aveva appena tradito la mia fiducia.
 
-Hyunwoo e Jooheon si sono fermati più del dovuto, ed è stato inevitabile- aveva aggiunto Wonho. Nella sua voce non c’era alcuna nota di dispiacere.
 
 
-Faceva tutto parte del tuo piano non è vero?- si era intromesso Chankyung, mentre cercava di combattere con l’ennesimo attacco di rabbia.
 
Stringeva forte le mani in due pugni pronti a sferrare un gancio dopo l’altro sul naso di Wonho, se non fosse stato per Kihyun.
 
Quei due non potevano stare separati, quei due erano una reazione di chimica perfetta: senza l’uno non poteva esserci l’altro. Kihyun premeva la fronte contro quella del più piccolo, lasciando carezze sul collo del ragazzo. Era sempre stato così, non c’era niente che potesse calmare la furia di Chankyung se non la stessa persona che lo rendeva debole.
E più le sue parole si ripetevano nella mia mente, e più la verità appariva nel suo orrore di fronte ai miei occhi.
-Come poteva essere qualcosa di organizzato? Sono così crudele secondo te?-
 Le parole uscivano dalle sue labbra, ma erano i suoi occhi a parlare per lui.
 
 
-Non mi sembra il momento per discutere, vi voglio ricordare che là fuori ci stanno dando la caccia- avevo detto, stupendomi del fatto che una simile affermazione potesse venir fuori con tanta facilità.
 
Ero sempre stato schivo, riluttante, non mi ero mai posto il problema di dover fare qualcosa, di muovere un solo dito, sebbene appartenessimo tutti allo stesso Clan, e in esso tutti eravamo ugualmente importanti. Eppure, inconsapevolmente, ci eravamo sottomessi ad un’unica e sola opinione: quella di Wonho. Ero rimasto in silenzio sapendo che ci saresti stato tu a guidarmi, perché io mi fidavo ciecamente di te.
 
Non ero mai stato capace di distinguere cosa fosse giusto e cosa non lo fosse, ma tu, tu dicevi sempre quello che pensavi con una sincerità che ti faceva onore, e ogni tuo pensiero diventava automaticamente il mio, come se fossi stato io stesso a realizzarlo. Hai sempre avuto questa influenza su di me, e io non mi sono mai opposto, non mi sono mai chiesto quali fossero le mie idee, le mie necessità, forse per paura di non piacerti abbastanza, o forse, perché la mia fiducia nei tuoi confronti andava oltre alla fiducia che avevo in me stesso.
 
-Avete sentito? Ci stanno dando la caccia, e sapete benissimo cosa significa- aveva detto il ragazzo, camminando avanti e indietro per la stanza.
 
Un passo nell’oscurità, un passo alla chiarore della piccola torcia che illuminava la stanza.
 
-Dobbiamo morire-
 
 Ogni cosa di lui, ogni suo atteggiamento, movimento, era estremamente fastidioso. Per la prima volta, avevo sentito le guance in fiamme, i miei occhi rispecchiare odio, e le mie parole tingersi di una freddezza che sembrava appartenerti.
Dobbiamo morire. Non c’era altra soluzione.
 
Eravamo cresciuti senza provare paura per la morte, ma temendo la vita. Ci avevano scoperti, e non si sarebbero arresi finché non ci avrebbero trovati, ma era ciò che veniva dopo che dovevamo temere. Ci avrebbero ucciso lentamente, senza darci la soddisfazione di morire, ecco cosa avrebbero fatto. Ci avrebbero tormentati, torturati, e avremmo pagato per la sola colpa di esistere.
C’erano due opzioni fattibili: morire o pentirsi di non aver scelto la prima alternativa.
 
-E se scappassimo? Forse riusciremmo a trovare un nuovo rifugio- aveva parlato l’innocenza di Jooheon.
 
Quel tipo di innocenza per cui non potresti mai arrabbiarti. Quel tipo di innocenza che ti fa sorridere, e che ti obbliga a soffermarti sulla piccola fossetta che si forma sulla sua guancia quando accenna un sorriso. Un ragazzino che è dovuto crescere troppo in fretta, e che ha amato il padre più della sua stessa vita. Ora non avrebbe più avuto alcuna importanza quante medicine, quanta volontà, e speranza avesse di salvare il padre. Ormai eravamo tutti condannati.
 
-Ora che sanno di noi niente gli impedirà di trovarci, e sai benissimo che abbiamo i minuti contati. L’unica cosa che ci resta è la vendetta-
 
La vendetta non è mai la risposta migliore, ma una parte di me la bramava. L’immagine del tuo volto squarciato faceva accrescere il mio dolore, e una persona danneggiata non è mai razionale.
Saremmo morti comunque, ripeteva la mia voce, eppure ogni volta la mia convinzione cedeva sempre di più.
Avevamo agito sconsideratamente, ma, per lo meno, avrei potuto vendicare quello che ti avevano fatto. Avrei vendicato la vita che non abbiamo mai avuto, e sarei morto macchiando le mie mani di altro sangue. Viviamo in un’era dove quello che era giusto ormai era divenuto sbagliato, ma sarebbe bastata una piccola scintilla per accendere la speranza di chi solo nascendo l’aveva persa. Non sapevamo a cosa andavamo incontro, non sapevamo se la nostra fosse la scelta migliore, ma qualunque fosse stata la nostra decisione, il nostro destino era già scritto, stava a noi decidere in che modo compierlo.
 
 
 
 
 
Lenti, i passi tardi e lenti, riecheggiavano nelle mie orecchie. Passo dopo passo ci allontanavamo dalla radura, calpestando il terreno, lasciando le nostre orme dietro di noi. Avrei lasciato la scia del mio percorso, e mi sarei assicurato che la nebbia non mi avrebbe impedito di trovare la strada.
La luce si spegneva dietro i suoi confini, confondendo i nostri abiti scuri nella notte, e avvolgendoci nel suo silenzio. Mi ero accucciato per raccogliere l’ultimo fiore che ci separava dalla città, e mi ero fermato per contemplarne il colore.
 
Magari un giorno avremmo alzato il nostro sguardo e avremmo visto il colore del cielo. Ci saremmo soffermati a guardarlo finché i nostri occhi non ne avrebbero scovato la fine. Avrei stretto la tua mano, distogliendo lo sguardo dalla sommità che ci sovrastava. Avrei detto qualcosa di infinitamente stupido solo per farti arrossire e ti avrei ripetuto quanto ti amassi per paura che l'avresti dimenticato non appena avrebbe soffiato di nuovo il vento.
 
Avevo ammirato per l’ultima volta il colore dei suoi petali, portando alla memoria ogni ricordo di noi due. In quel momento mi era parso tutto così chiaro.
Un fiore così delicato, così innocuo all’apparenza, di cui avevamo sottovalutato gli effetti, ci aveva soggiogato nell’esatto istante in cui avevamo messo piede nella radura. Avevo scovato quel bagliore nei tuoi occhi intravedendo quella luce di chi guarda con gli occhi dell’amore.
Eravamo condannati ancor prima del nostro incontro.
 
Amarti è stato un effetto collaterale, uno sbaglio, una colpa di cui non potrò mai pentirmi.
Avevo infilato il fiore nella mia tasca, e non mi ero voltato indietro.
 
 
 
 
 
Il fumo si sollevava verso l’alto, portando dietro di sé le fiamme.
C’è sempre uno sfondo di verità nelle profezie. Anime peccatrici avrebbero trasformato ogni atto di bene in distruzione.
 Avevo ammirato le ceneri di ogni menzogna essere trasportate via dal vento.
Avevo tossito, cercando di recuperare più aria possibile, e nella confusione del momento, avevo tentato di trovare la strada del ritorno. Una nube cupa, livida, oscurava la mia vista, e le persone si spingevano contro di me, ostacolando la mia corsa. Urla, pianti, lamenti, era quello il disordine che avrebbe risvegliato le anime delle genti. Non avevamo alcuna garanzia che lo confermasse, non sapevamo se sarebbe stato l’inizio di qualcosa di nuovo, eppure, è proprio questo il piacere del dubbio. Avevo visto gli occhi della gente colmarsi di lacrime, lacrime vere. La luce si era innalzata, e aveva aperto gli occhi a chi non aveva mai visto.
 
La paura nasce dentro di noi, c’è chi sa gestirla, e chi invece si abbandona ad essa.
La paura è un sentimento primario, ispira ansia, panico, timore, ti induce alla follia, alla paranoia e alla irragionevolezza. Un sentimento opposto, ma così simile all’amore.
 
-Dobbiamo andarcene-avevo urlato, con le ultime forze che mi rimanevano, ai due ragazzi dietro di me.
 
Wonho, era rimasto immobile, guardava il palazzo di giustizia bruciare davanti ai suoi occhi. Quei occhi nocciola che tanto temevo, avevano incontrato i miei, sciogliendone il mistero.
 
-La vendetta non è mai stata tanto dolce - aveva detto in un singhiozzo.
 
Lacrime scendevano lungo il suo viso, lasciando trasparire la follia nel suo sguardo. Uno sguardo destinato a spegnersi. Aveva abbandonato la mano lungo il suo fianco, mostrandone il colore rosso, brillante. Un colore così vivo, così denso, che lentamente colorava ogni angolo della sua maglia.
Wonho si era accasciato a terra, emettendo gli ultimi sibili di una vita sempre più distante. Aveva desiderato la vendetta per un amore che gli avevano sottratto.
Il suo amore si era spento nel momento in cui gli occhi di quel bambino avevano visto il corpo inerme della madre tingersi dello stesso colore scuro che ora marcava le sue mani.
 
Nel momento in cui la freccia si scaglia nel tuo cuore, la ferita non si rimargina.
 
Senza voltarci indietro, avevamo percorso i segni del nostro cammino, seguiti dalle nebbie che provenivano dalla città. Il fumo nell’aria infastidiva la mia vista.
Mi trascinavo lungo il sentiero, caricando il corpo di Kihyun sulle spalle. Il ragazzo non riusciva a reggersi in piedi, e da poco aveva perso conoscenza, colto da un improvviso dolore. Mi spingevo in avanti con una forza che non sapevo di possedere e la mia sensibilità mi stava poco a poco abbandonando.
Avrei ceduto non appena avessi visto il tuo volto, era questo il mio obbiettivo. Eravamo destinati a morire, ma non mi sarei lasciato andare se non prima di aver stretto il tuo corpo un’ultima volta.
 
Avevo aperto la porta, abbandonando il ragazzo tra le braccia di Chankyung. Era l’ultima volta che li avevo visti, e avrei tanto voluto li vedessi anche tu.
Il più piccolo aveva poggiato la testa del ragazzo sulle sue cosce, e aveva cominciato a carezzare i suoi capelli castani, spostandoli dalla fronte umida. Aveva baciato la sua fronte, bagnando il suo volto con le lacrime. Kihyun stringeva forte la mano del ragazzino ripetendogli che sarebbe andato tutto bene. Non aveva mai smesso di rassicurarlo fino alla fine.
 
 
 
Ti avevo chiamato così tante volte, conoscevo a memoria il suono del tuo nome. La mia voce non si sarebbe mai stancata di pronunciare quel nome. Bastava il solo suono per farmi rabbrividire, bastava il suono di una sola parola ad attirare la mia attenzione.
Potevo detestarti, odiarti, promettere a me stesso di non voler più parlare di te, ciò nonostante non sarei mai riuscito ad impedire al mio corpo di reagire.
Il mio respiro sarebbe venuto meno, il mio cuore avrebbe cominciato a battere fino ad esplodere nel mio petto. Un turbine di emozioni che non sarei riuscito a gestire, per un solo nome: il tuo.
 
Ma le parole vengono meno, deglutire diventa difficile, così come respirare. La vista si annebbia, e una fitta al torace mi costringe a stringere la mano intorno ad esso per cercare di tirar fuori il dolore che lentamente si diffonde nel mio corpo. Mi ero appoggiato al muro dietro di me, per sorreggermi, sputando fuori l’aria dai miei polmoni, senza riuscire a fermare il tremore delle mie gambe che cedevano sotto il mio peso.
 
Si cade. Si ci rialza, e si cade di nuovo.
 
Volevo che finisse. Era già finita dal primo momento. Non riuscivo a pensare, percepivo ogni pulsazione del mio corpo trasportarmi verso il fondo, senza aver il coraggio di guardarti. Mi afferravo ai miei capelli ostinatamente, sperando che quel dolore fisico potesse distrarmi dalla vera sofferenza che provavo dentro il mio petto.
 
L’immagine nel tuo corpo pallido, spento, il cui riflesso si deformava sulla superficie di quelle acque. Pareva ti fossi addormentato, nel sonno profondo che accompagna la morte. Avevo lasciato che l’acqua fredda mi raggelasse, avevo cercato l’unica cosa a cui potessi afferrarmi: la tua mano.
Avevo portato la tua mano sulla mia guancia, così come facevi tu ogni qual volta che sentivi la necessità di confortarmi. Le mie guance si infiammavano in contrasto con la freddezza del tuo corpo. Avevo baciato il tuo palmo sussurrando quelle parole che avevo conservato così a lungo, le stesse parole che avevi sospirato mille volte nelle mie orecchie mentre facevamo l’amore.
Ti avrei amato fino alla fine, e la fine era giunta ancor prima di quanto avessi premeditato. Sarei andato incontro al mio destino senza paure, senza coraggio, senza alcun dolore, con la sola volontà di chi ama.
 
L’oscurità mi aveva accolto con un abbraccio, mi aveva stretto nella sua morsa, accompagnandomi verso il fondale.
Non mi sono mai sentito così vicino a te. Questa è la nostra fine, e l’inizio della nostra storia d’amore.
 
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May I steal your heart?
May I protect that heart?
If I fall several times and get hurt
Will you accept my surrender?
 
I swear on your name
I’m not playing around, I put my life on the line
I’ll protect you
 
Only to you, I’m all in
This isn’t a lie, from now on
I’m all in for you, my body and heart

 
 
난 네게 다 걸어
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Mi scuso per la confusione. Mi scuso per aver scritto il prima persona, ma questa storia era la mia ossessione e dovevo liberarmi da questo peso.
   
 
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