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Autore: pi8f    30/10/2016    1 recensioni
Il silenzio che mi terrorizza non è quello degli altri.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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I write for fear of silence

Ci sono pensieri piccoli e stupidi che hanno il potere di tormentarti tutta la vita.
Un minuscolo coccio, simbolo di sbagli e caos,  è sufficiente a scavarti la carne se non lo maneggi con attenzione.

Il chiodo fisso di Matthew era il bianco. Aveva sempre pensato che fosse una fregatura che se provi a circondarti di colori, se li cerchi nelle strade,  se arrivi a sommarli tutti insieme quello ritorna. Prepotente. Per inghiottirti l’esistenza. Quel colore che non era neanche un colore lo faceva sentire così.
Inghiottito.
Fagocitato.
Annichilito.

Matty aveva trovato la vocazione della sua vita. Riempire tutti gli spazi bianchi.
Almeno, così pensava all’inizio. Quando ancora questa missione suicida lo faceva stare bene, lo faceva sentire vivo.


Ma le cose erano ben presto cambiate. Precipitate.
Prima le sue serate, le sue intere giornate poi avevano assunto una silhouette ben precisa. Un rettangolo bianco luminoso.

E quel fottuto trattino lampeggiante che sembrava sfidarlo beffardo.
Come a chiedergli se la sua misera materia grigia credeva di poter ancora annullare tutto quel bianco abbacinante con qualcosa di sensato.

Sarebbe già stato abbastanza folle voler dedicare tutto il proprio tempo a riempire fogli elettronici di caratteri insensati, lettera dopo lettera, numero dopo numero, bit dopo bit.
Ma Matty era un compositore, e bravo anche. Almeno prima di sviluppare quell’ossessione malsana di scrivere per combattere il vuoto.







“Si può sapere cosa scrivi ancora a fare?”
Era stato George a risvegliarlo da quell’empasse in cui era caduto.
“Metti insieme tante belle parole, ma per te cosa vogliono dire? Niente.
E se sono prive di significato per te, come ti aspetti che ne abbiano per qualcun' altro ?”
Le sue urla di quella sera rimbombavano ancora nelle orecchie di Matty ora che nell’appartamento era calato il silenzio.
Il bianco dei rumori.


“La verità è che ti rode perché io ho capito che cosa voglio fare della mia vita, mentre tu continui a fare dentro e fuori dal tuo cazzo di corso di produzione elettronica. Perché hai paura di voler veramente qualcosa.”
George era semplicemente uscito. Lui non urlava. Era lui quello che non aveva paura, Matty se ne rendeva conto solo adesso. Non aveva paura di quella cortina ovattata che era calata tra loro.

Matty invece in quel silenzio stava annegando.

L’aria buona riempiva i suoi polmoni. Quanto tempo era che non saliva sul tetto? E dire che una volta era il suo rifugio preferito. Sapeva che tre piani sotto di lui il foglio vuoto era lì, sullo schermo del suo portatile che aveva lasciato acceso. Matty se lo figurava ridere maligno, contento di aver vinto lui quella volta, senza che neanche un punto nero lo trafiggesse. Sì, trafiggesse. Perché ormai Matty quando digitava provava un piacere sadico, come se stesse infliggendo delle ferite a quel foglio.
Quando quello vulnerabile era lui.
La città non sembrava cambiata di molto, come se si fosse sforzata di rimanere il più possibile l’agglomerato di edifici che abitava i ricordi del riccio. Era sempre una fitta rete di puntini luminosi. Matty si ricordò di quando per scrivere giocava a unire quelle fluorescenze, come se infilasse le perline di una collana.
Ricominciò quel gioco da dove lo aveva interrotto troppo tempo prima.

L’appartamento più lontano che poteva scorgere non era più occupato dall’anziana signora che aveva visto sera dopo sera dormire rivolta alla foto del marito sul comodino. “Spero che tu ora sia con lui, vecchia amica”. La stanza era ora stata tinteggiata di fresco, in una delicata sfumatura di verde. Due neonati dormivano tenendosi per mano, fronte contro fronte. Quelle quattro pareti vedevano una nuova storia di anime gemelle.

Una finestra che Matty aveva spesso visto illuminata fino al sorgere del sole era ora buia. Si augurò che il giovane che ora riposava accanto alla ragazza dal cuore in frantumi di tempo addietro non le scaldasse solamente il letto.

Una luce che non si era spenta era quella del ragazzo dell’ultimo piano.
Sempre chino su un libro che Matty si chiese se fosse ancora lo stesso. Doveva essere particolarmente tardi in quella notte di ottobre, perché il capo dello studente era già abbandonato sulle pagine, le palpebre serrate come le saracinesche dei negozi.

Matty scorse un unico paio di occhi aperti come i suoi. Tre piani sotto di lui, dunque proprio di fronte al suo appartamento, una ragazza era appoggiata a un davanzale. Ciglia dietro una corolla color scarlatto. Lunghe dita ceree. Questi erano gli unici dettagli di lei che illuminava la luna, ma già raccontavano una storia. Le ciglia erano umide, le dita tremavano leggermente nel tenere il fiore. Tanto che a un certo punto questo scivolò, e la ragazza lasciò che si adagiasse sul davanzale. I suoi occhi si levarono, e nel lampo che li attraversava, anche da quella distanza, Matty lesse tutta la speranza, la trepidazione, l’attesa che quel bocciolo racchiudeva.
E si chiese da quanto tempo non provasse nulla di simile.

Le esistenze delle persone sono le tessere di puzzle più duttili mai create.
Si adattano a tutto. Anche a una melodia che vuole raccontarle.

Quella notte il pc rimase solo nel suo sterile trionfo. Matty la sua battaglia l’aveva vinta. Sentiva la sua vita fluire insieme all’inchiostro con cui delicatamente la sua penna accarezzava la carta.

La luce ora stava inondando la casa. George rientrava in punta di piedi. Notò subito che qualcosa era diverso nell’appartamento. Il suo coinquilino non era dietro al computer come lo trovava tutte le mattine da mesi. Dormiva abbandonato sul divano, il volto sereno. Lì vicino un vecchio taccuino era aperto su una pagina minuziosamente ricoperta.
Tra le dita dell’addormentato c’era un foglio ripiegato. George lo sfilò delicatamente e lesse.

Mi hanno chiesto perché scrivo e mi è crollato il mondo addosso. Perché non sapevo la risposta. Non più. Non trovavo più una risposta a quella che credevo fosse la motivazione stessa della mia vita. Si possono riempire pagine di frasi senza dire assolutamente nulla. Si può dire una parola e cambiare un’intera esistenza. Da troppo tempo io mi limitavo a fare la prima cosa. Ero così spaventato da non accorgermi neanche che nel modo in cui credevo di combattere la mia paura le stavo facilitando il compito.
Perché io ho paura. Ho una fottuta paura del silenzio. Delle pagine che restano bianche. O almeno, così credevo. Il silenzio che mi terrorizza non è quello degli altri. È il mio.
Voglio che il mondo mi senta. Voglio che si sappia che ci sono. Che ho qualcosa da dire. Anche piccolo. Ma che ha un valore. Ed è molto meglio di lunghi discorsi senza significato.
Quello che ho da dire è che ora che ho trovato la risposta alla mia domanda me la tengo stretta, insieme a chi me l’ha fatta. Perché tutti hanno bisogno di persone così nella loro vita. Di veri amici. E voglio chiedergli di insegnarmi a stare bene nel silenzio, come fa lui, che ha dovuto sopportare troppe delle mie urla insensate.
So che un passo alla volta troverò il mio equilibrio tra colore e bianco, che mi sono reso conto essere necessario.
Nel mentre, scrivo. Ma col cuore.



F’s spot:
Ehilà! Questa è la cosa più lunga che abbia mai scritto finora. Mi farebbe infinitamente piacere sapere che qualcuno ha deciso di spendere due minuti della sua giornata leggendola, soprattutto se gli ha suscitato anche solo una piccola emozione. O per dirmi dove devo migliorare, sono alle prime armi e ogni consiglio è più che benvenuto :)
   
 
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