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Autore: _Sherazade_    01/11/2016    5 recensioni
La cittadina di Sephijir è un luogo pacifico e monotono. I suoi abitanti non conoscono la guerra, la fame o la povertà... non conoscono neppure la morte.
Quando Kirjan ha riaperto gli occhi, si è ritrovato provato di tutti i ricordi. Vive in questo paesino sperduto conducendo una vita piatta e priva di sorprese, anche se da un po' di tempo continua a sognare una donna che lo chiama disperatamente.
Sempre più tormentato, Kirjan non aspetta altro che l'invito del saggio Altor, l'uomo che vive in cima alla Jikahar, una lunghissima scalinata che si perde oltre le nuvole.
Alcuni dicono che Altor sia un illuminato, che reca conforto a chiunque accetti il suo invito, altri invece sostengono che egli sia il demonio... su una cosa son tutti concordi: chiunque intraprenderà il cammino della Jikahar, non farà mai più ritorno al villaggio.
Kirjan ha un vuoto nel cuore, quella non è la sua vita, Sephijir non è la sua vera casa. Ha tante domande, e l'unico in grado di dargli ciò che lui cerca è solo Altor.
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2^ Classificata al concorso "Porte e Portoni" indetto da Najara87 sul forum di EFP.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Saṃsāra


Grazie a Najara per lo splendido Banner ♥


Kirjan prese un profondo respiro, guardò in alto e cominciò a salire lungo quella scalinata tortuosa che saliva così in alto nel cielo da sembrare senza fine.
Quanto tempo era passato da quando era giunto nel villaggio di Sephijir?
Kirjan non lo sapeva, così come nessun altro sapeva come o perché si fosse trovato proprio lì, in quello sconosciuto villaggio, con tutte quelle persone mai viste prima di allora.
Lui aveva solo un vago ricordo del momento in cui aveva riaperto gli occhi, del momento in cui si era risvegliato. Così chiamavano il momento in cui gli abitanti di Sephijir riprendevano conoscenza.
Di ciò che c'era stato prima di allora, cosa facessero per vivere, la loro città natale, i loro cari o anche il modo in cui avevano raggiunto il villaggio... tutto rimaneva un mistero.
Kirjan si fece delle domande, e provò a chiedere anche ai saggi abitanti, che di sicuro potevano saperne più di lui, ma nessuno sembrava in grado di dargli una risposta.
C'era solo quella sensazione di vuoto che la maggior parte di loro provavano incessantemente fino alla Chiamata.
La Chiamata era il momento in cui le porte della Jikahar, la grande scalinata del cielo, si aprivano per coloro che il saggio Altor, l'uomo che viveva nel tempio al di là delle nuvole, aveva deciso di convocare.
Tutti gli abitanti di Sephijir sapevano che un giorno Altor avrebbe mandato loro la lettera. Nessuno sapeva cosa il saggio avrebbe detto loro, ma sapevano che quello era un passo fondamentale da compiere in quella vita vuota e piatta. L'unica loro speranza per dare un senso a quella pesantezza, a quel vuoto che ogni giorno gravava sui loro cuori.
Ogni giorno infatti, Kirjan, come tanti altri come lui, si alzava, sapendo già che sarebbe andato nel campo ad arare, che il sole avrebbe illuminato la terra sotto di loro, che avrebbe fatto caldo fino a sera e che poi sarebbe venuto a piovere. Avrebbe cenato con la zuppa, e poi si sarebbe coricato, rigirandosi nel letto per momenti che sembravano interminabili fino a che non fosse giunto il sonno a dar sollievo a quel senso d'angoscia.
E così sarebbe stato anche il giorno successivo, e così quello dopo ancora, in eterno fino a che Altor non si fosse deciso a mandare la lettera.
Ogni giorno sempre uguale all'altro, un'esistenza condannata ad un limbo nel quale non vi era alcuna crescita se non quella delle piante. I bambini non invecchiavano, né nel corpo né nella mente, le donne gravide non partorivano, gli anziani non morivano... nessuno di loro poteva morire in realtà.
Uno poteva accogliere l'invito di Altor, e scoprire la verità di quel mondo e di quello strano villaggio nel quale erano stati confinati, o tentare di uscire dai confini di Sephijir.
In entrambi i casi, nessuno era mai tornato indietro per raccontare cosa ci fosse oltre i loro boschi, oltre quella scalinata a chiocciola che spariva oltre le nuvole.
C'era chi sosteneva che Altor donasse l'illuminazione ai puri di cuore, mentre altri erano certi che dietro ad Altor si nascondesse la figura di una creatura maligna che s'impossessava dell'anima degli stolti che arrivavano stremati al suo cospetto.
A volte venivano convocate anche due persone insieme, ma il più delle volte era solo una la persona chiamata a compiere il lungo viaggio verso il cielo.
Kirjan lo aveva aspettato per lungo tempo, sperando che il saggio Altor potesse dare una risposta ai tanti quesiti che tormentavano il suo cuore afflitto.
«Non andare, figliolo.» provò a dissuaderlo il vecchio Casper, uno degli anziani convinto della malvagità di Altor. «Se tu vai non potrai più tornare indietro.» Questo Kirjan lo sapeva benissimo, ma non voleva perdere quella che lui riteneva essere la sua unica possibilità di poter finalmente scoprire il motivo per il quale si era ritrovato laggiù. Lui ne era assolutamente certo: non era quello il luogo dal quale era venuto, e a volte pensava che quello non fosse nemmeno il suo mondo.
Kirjan sentiva che era giunto il momento di dissipare le nebbie e le ombre dalla sua mente.
Da mesi, nei suoi sogni, continuava a sentire una voce di donna chiamarlo, anche se il nome che usava per richiamare la sua attenzione era diverso. Quando si svegliava, non ricordava quasi nulla di ciò che aveva visto: tutto era come avvolto da un manto spesso di nebbia, ma conservava il ricordo di ciò che aveva provato, delle emozioni che avevano scosso la sua anima.
Lei era triste, anzi no, disperata. Lo chiamava e piangeva, come se fosse accaduto qualcosa di orribile e inimmaginabile. Lui si sentiva debole, triste e preoccupato. Non tanto per la propria sorte, ma per quella di lei. Sentiva che quella donna era importante nella sua vita. Doveva scoprire chi era e ritrovarla ad ogni costo; sentiva che quella era la sua missione nella vita.
Oramai la sognava tutte le notti, e questo rafforzava ancora di più i suoi sospetti.
Altor gli avrebbe di certo dato le risposte che lui stava cercando.
«Addio, Casper. Grazie di tutto.»
L'anziano provò ancora a dissuaderlo, ma Kirjan era determinato a seguire il proprio istinto anche se non aveva la certezza che quel viaggio gli avrebbe realmente dato ciò che cercava. Casper, in passato aveva rifiutato l'invito di Altor, e da allora non era mai stato più chiamato. Era passato così tanto tempo, che Kirjan non avrebbe saputo nemmeno quantificarlo. Se si fosse lasciato convincere a rinunciare, probabilmente sarebbe rimasto assieme a lui, confinato a Sephijir per sempre.


Kirjan camminò a lungo, tanto da perdere il conto del tempo trascorso da quando aveva cominciato l'infinita salita. Aveva il fiatone, le gambe gli tremavano e i muscoli erano così rigidi da sembrare di marmo. Ad ogni passo sentiva come una stretta spira che gli si attorcigliava attorno ai polmoni, rendendogli doloroso persino il semplice respirare. Aveva camminato a lungo, sempre più su, girando in tondo in quella scala a chiocciola la cui fine era ancora molto lontana. Era arrivato così in alto da aver superato già le nuvole da un bel po' di tempo. Il giovane si fermò, prendendo un po' di fiato, e si voltò, scoprendo così che che dietro di sé la scalinata si era sgretolata.
«Ma che sta accadendo?» trasalì lui, cadendo su uno dei gradini in cui poggiava. Aveva il timore che, da un momento all'altro, anche quegli stessi gradini su cui era seduto potessero scomparire, facendolo cadere da quell'altezza vertiginosa.
«Una volta imboccato il cammino della Jikahar non si può più tornare indietro, Kirjan.» gli disse una dolce voce di donna.
Il ragazzo si guardò intorno, ma non vide nulla, fino a che non sentì una risata, e si affacciò dal corrimano della scala a chiocciola che saliva sempre più verso le nuvole, e la vide.
Vide uno spirito fatto d'acqua che si muoveva veloce come un'onda. Rideva, sembrava volersi nascondere da lui, eppure pareva anche che volesse farsi notare.
«C-chi sei?» chiese lui titubante. E se Casper e gli altri anziani avessero avuto ragione? Se la cima della Jikahar altro non fosse che la dimora delle creature maligne?
«Non devi avere paura di me. Io sono Mijar, sono lo spirito che vive in cima alla scalinata, assieme ad Altor.» Kirjan fissò prima lei e poi quel vuoto dietro di lui dove poco prima c'era la scalinata che aveva salito.
«Bene, Mijar... se sei al servizio di Altor, mi sai dire perché le scale si stanno sgretolando?»
«Non è ovvio?» chiese lei piroettando accanto a lui. «Salendo sul primo gradino hai preso un impegno con noi. Non puoi più tornare indietro, adesso.» Lei lo guardò con solennità, quasi come se avesse voluto dirgli: “Ora sei in mano nostra”, ma la sua espressione cambiò e scoppiò a ridere dopo pochi secondi.
«Scusami,» rideva così divertita che anche Kirjan si lasciò scappare una risatina, nonostante non ne capisse il motivo, «avevi una faccia così spaventata che non ho saputo resistere.»
«Meno male. Stavo veramente cominciando a temere che ciò che dicevano Casper e gli altri anziani fosse vero.»
«Ma in parte lo è... Del resto lo sai anche tu: chi sceglie di incontrare Altor, non tornerà più indietro.» Il viso d'acqua di Mijar si fece serio. «La scalinata scompare non tanto per non far tornare te indietro, ma per non far salire nessun altro. Questa è una cosa che riguarda solo chi viene convocato.» Kirjan guardò in basso cercando di scorgere il villaggio, temendo che qualche detrito fosse caduto su una delle case, ma da lì non riusciva a scorgere nulla.
«Se sei preoccupato per i tuoi amici, non serve... Stanno tutti bene.» lui la guardò incerto se crederle realmente o meno. Non sapeva nulla di lei, se era una sua amica o se invece lo stava conducendo verso la sua inevitabile fine. «Se non ti fidi, io posso farti tornare indietro per verificarlo...»
«Io credevo che non si potesse tornare indietro una volta cominciata la salita. Ho forse capito io male?» Mijar scosse la testa.
«Non si può tornare indietro, infatti. Io ti posso mostrare cosa sta accadendo laggiù, ma una volta che li avrai visti, non potrai né vedere il saggio Altor, né tornare a casa. Verrai spedito lontano, in un luogo sconosciuto...»
«Ho capito. Se tu mi assicuri che stanno bene, ti crederò... E spero che Altor possa aiutarmi.» il ragazzo era sempre più in tensione.
Accompagnato da Mijar, continuò a camminare incessantemente, arrivando ben oltre i limiti del cielo, osservando i pianeti distanti, e le stelle luminose.
«Dopo che avrò parlato con Altor, cosa mi accadrà?»
«Solo Altor lo sa, amico mio.» gli rispose lei, muovendosi veloce verso l'alto, sparendo alla sua vista.
«Aspettami, Mijar!» gridò Kirjan.
«Muoviti, ce l'hai quasi fatta!» sentì l'eco della voce dello spirito dell'acqua così lontano che temeva non sarebbe mai giunto in cima, se non allo stremo delle forze e pronto alla morte.
Le scale a chiocciola si stavano facendo sempre più strette e ripide. Kirjan guardò ancora una volta verso il villaggio, ma sotto di sé scorgeva solo le nubi e ciò che rimaneva della scalinata andata in frantumi.
«Oramai son qui, sarebbe sciocco mollare.» e Kirjan si appoggiò tremante al corrimano, con le gambe che a stento lo reggevano, ma determinato più che mai a giungere al traguardo.
Stremato, il ragazzo si accasciò davanti a un grosso portone, mentre la sorridente Mijar lo osservava dall'alto di esso: “Ce l'hai fatta, finalmente.”
Il giovane non riusciva quasi più a respirare, tanto era stato lo sforzo.
«Benvenuto, Kirjan.» disse una profonda voce maschile, «Hai faticato molto e, nonostante la proposta di risparmiarti la fatica, tu hai continuato.»
Kirjan alzò lo sguardo, faceva fatica a mettere a fuoco il grande portone a pochi metri da sé, ma non vide il saggio Altor, sebbene sentisse la sua voce molto vicina a sé.
«Stai guardando dalla parte sbagliata.» Kirjan si alzò e cercò di osservare con attenzione ciò che lo circondava.
Finite le rampe delle scale, vi era una grossa altissima volta, un orologio, un gufo meccanico e un portone chiuso. Dove poteva essere Altor? Che fosse dietro alla porta?
«Più su, figliolo.» Kirjan guardò con maggior attenzione. Il gufo appollaiato sopra l'orologio gli sorrise e volò sul trespolo posto davanti al portone.
«Siete voi... Altor?» chiese il ragazzo stupito.
«Sì, sono proprio io. Ti aspettavi forse un vecchietto raggrinzito, con lunga barba bianca e magari vestiti delle terre dei dragoni?» Kirjan arrossì: era proprio quello a cui aveva immaginato. Altor rise di gusto: «È quello che credono tutti... beh, quasi. Per gli altri sono una specie di bestia metà uomo e metà capra, dalla pelle rossiccia col forcone e talvolta con le ali da pipistrello... Voi umani avete una fantasia senza pari.» il ragazzo non sapeva cosa rispondergli, se ringraziarlo o se vergognarsi per essere stato così prevedibile.
«Saggio Altor...»
«Chiamami pure solo Altor.» disse il gufo, incoraggiando poi il ragazzo a continuare.
«Bene, Altor, perché sono stato chiamato qui? Cos'è questo posto? Perché non ricordo più nulla della mia vita prima del risveglio? E chi è quella donna del mio sogno?»
«Tante domande, ragazzo mio. Tante.» il gufo chiamò Mijar, che scese dalla volta, e si portò al suo fianco. «Mia cara, sai già cosa fare.»
Lo spirito dell'acqua vorticò su se stesso, fino a che non divenne uno specchio, uno specchio che rifletteva una cittadina che Kirjan non aveva mai visto.
«Ragazzo, guarda bene questo paese... non ti dice nulla?» Kirjan osservò con attenzione, ma nulla di quei dettagli, nulla delle strade o delle palazzine, nulla della gente che lo abitava gli rammentava qualcosa. «Mi dispiace, ma... Un momento.» Qualcosa in lui scattò, e la vista di una casa, una villetta fuori dal caos cittadino, gli fece passare davanti agli occhi un ricordo d'infanzia.
«Quella è la casa che i miei nonni avevano a Lurisha!» si ricordava di Pam e Nestore, i suoi nonni materni. Da piccolo era solito passare le estati con loro mentre i genitori lavoravano.
«E questa?» chiese ancora il gufo, mostrandogli un altro paese. Kirjan riconobbe la sua città natale, la stessa dove stava abitando prima del suo risveglio nel villaggio di Sephijir.
«Cosa significa tutto questo? È un esperimento alieno? Ci prelevano e portano via dalle nostre case privandoci dei ricordi?» c'erano ancora molte cose che non ricordava della sua vita precedente, ma era certo che allora stesse trascorrendo un'esistenza serena.
«Questo è il momento più difficile, quello in cui vi dobbiamo far ricordare cosa è capitato.» il gufo si schiarì la voce e cominciò a raccontare a Kirjan la verità. «Mio buon ragazzo, nei villaggi voi chiamate questi passaggi Jikahar, ma la traduzione che gli avete dato è errata. Per voi è “le scale che portano al cielo”, ad una ricompensa celeste, a delle risposte. In realtà la traduzione corretta è “le scale che portano oltre”, perché questo è solo un mondo di passaggio. Mi hai chiesto perché sei stato portato qui, e la risposta è che il tempo per te è giunto.»
«Il tempo è giunto? Il tempo per cosa?»
«Per passare oltre, appunto. La tua anima è stata purificata, ed entrambi siete pronti, anzi, lei lo è da molto più tempo di te.» disse il gufo sorridendo, mentre le porte si aprivano mostrando una luce eterea e una ragazza che li fissava sorridente.
«Chi è?» chiese Kirjan.
«Non mi dire che ancora non ti ricordi di me.» la ragazza si fece avanti, sembrava quasi un angelo con quella veste azzurrina, morbida e fluttuante che le arrivava ai piedi e la coroncina di fiori variopinti che spiccavano fra i capelli ondulati e castani.
«N-Natasha.» balbettò lui, ricordando in quel momento chi era lei, e chi era lui. Lui non si chiamava Kirjan, ma Dorian. Faceva l'architetto, e si era sposato con Natasha da pochi mesi. Erano felici insieme, avevano fatto molti progetti, una famiglia, un futuro radioso... ma poi? Cos'era successo?
Era lei la donna nel sogno che lo chiamava disperata, ne era certo, ma questo ancora non spiegava perché loro si trovassero lì.
«Natasha, che cosa è capitato? Perché siamo qui?» lei sorrise e gli accarezzò la testa scompigliandogli i cappelli come era solita fare.
«Amore mio, non ricordi ciò che è accaduto?» Dorian prese la mani di lei fra le proprie ed ebbe come l'impressione di ritrovarsi a casa per qualche istante. Era una domenica pomeriggio come tante altre, cominciava a fare caldo, era Maggio, e ne avevano approfittato del tempo libero per andare al lago.
Sembrava che tutto fosse perfetto, ma accadde qualcosa di imprevisto: il cielo si oscurò, mentre la terra cominciava a tremare. Sopra le loro teste notarono molte sfere luminose, e una a una piovvero contro di loro, distruggendo tutto quello che trovavano sul loro cammino.
Una pioggia di meteoriti come mai si era vista prima.
E loro erano morti.
Loro erano morti mentre stavano scappando. Avevano trovato riparo dietro un'auto parcheggiata, ma sfortunatamente, uno dei meteoriti cadde proprio su quel veicolo, e l'impatto che ne derivò provocò un'esplosione che li colpì con grande violenza.
Lui se n'era andato per primo, e lei poco dopo di lui.
Ricordandosi di ciò che avevano subito, Dorian cominciò a tremare.
«Oltre metà della popolazione del vostro mondo è morta.» spiegò Altor, «Questa dimensione ultraterrena, è un luogo dove le anime possono purificarsi, e vivere in pace. Qui le vite sono serene, ma statiche. Non c'è crescita, non c'è mutamento, solo esistenze prive di ricordi. Quando giunge il tempo, noi vi richiamiamo, pronti per darvi una nuova opportunità.»
«Io ho vissuto nel villaggio di Arsuna, dall'altra parte del pianeta.» gli rivelò Natasha. «Quando ho scoperto la verità ero scettica, ma poi ho capito che Altor mi stava raccontando il vero, così ho pregato affinché mi concedesse di restare fino a quando non fossi stato pronto anche tu.»
«Pronto per cosa?» chiese Dorian ancora scioccato da ciò che aveva appreso.
«Per ricominciare.»
«Oh, intendi rinascere, passare se non un'infanzia, un'adolescenza terribile, patire fino al momento in cui ci ritroveremo, faticare per costruirci una vita serena e poi veder spazzare via tutto e tornare qui?» lui era arrabbiato. La loro morte era stata improvvisa, violenta, orribile. Tutta una vita di sacrifici e progetti spazzati via da un meteorite venuto dal nulla che aveva stroncato chissà quante altre vite. «Perché vivere ancora se tanto poi torneremo ancora qui? Qual è il senso di tutto ciò?»
Altor sembrò sorridere, come se si aspettasse da lui quelle parole. La risata di Mijar, che aveva assistito allo sfogo di Dorian, risuonò dolce intorno a loro. Il volto di Natasha si illuminò, e avvicinandosi al marito lo baciò teneramente, con gli occhi ricolmi di lacrime; e le parole che uscirono dalle sue labbra furono come un'illuminazione per il consorte.
«Ogni volta che ci troviamo qui, mi poni sempre la stessa domanda. E io ti risponderò sempre come la prima volta: per poterci ritrovare ancora, per viverci ancora... per amarci come allora.»
Dorian la fissò, con la straniante consapevolezza di avere già assistito a quel momento, in quello stesso luogo, al cospetto del gufo meccanico. Fu allora che cominciò ad avere visioni di un mondo lontano, sconosciuto, in cui si vedeva accanto ad una donna meravigliosa, diversa da Natasha, ma che in cuor suo sentiva essere proprio lei.
E dopo quella si susseguirono altre immagini, in cui lui e lei erano lupi, creature marine o addirittura entità di sconosciuti piani dell'esistenza. Ma erano sempre loro, nel cuore e nell'anima. Sempre loro nel corso dei secoli, nel corso dei millenni. Si erano sempre cercati e trovati, non importava in quale mondo fossero rinati: le loro anime, come due calamite, li avrebbero fatti avvicinare anche se si fossero trovati su pianeti diversi.
«Perché vivere e rischiare?» chiese, quasi come fosse una battuta che stava ripetendo dopo tantissimo tempo, ben consapevole di quale sarebbe stata la risposta.
«Perché non posso immaginare una vita piatta, non posso immaginare di stare senza di te... Io voglio vivere, non mi importa dove o quando, non mi importa per quanto tempo... Voglio solo ricominciare una nuova esistenza, con l'unico uomo nell'intero universo che potrò mai amare.» Dorian fissò i profondi occhi color nocciola di lei, e sentì un fremito.
Ogni volta era la stessa storia: lui era quello titubante, preoccupato per cosa si nascondeva dietro a quel portone, e spaventato dalle difficoltà che avrebbero incontrato; mentre lei era quella coraggiosa e intrepida, certa che loro due si sarebbero di nuovo incontrati. E lui le credeva, perché non si era mai sbagliata.
In qualunque vita, era stata sempre lei a trovarlo.
«Allora, figlioli, avete deciso cosa fare?» chiese il gufo, già sapendo cosa i due gli avrebbero risposto.
«Siamo pronti.» risposero all'unisono.
«Molto bene! Ci vedremo nella prossima vita.» disse il saggio Altor.
«Cerca di ricordarti di noi la prossima volta.» Mijar ammonì Dorian, sorridendo dolcemente come era suo solito fare. Lei sapeva bene che Dorian non l'avrebbe mai riconosciuta, ma quella era diventata una frase di rito per lei. Il suo augurio per quella coppia così innamorata.
«Addio... e grazie di tutto.» dissero i due, emozionati e pronti a ricominciare.
Tenendosi per mano, Dorian e Natasha salirono fino all'ultimo gradino.
«Sei pronto?»
«Come ogni volta, mia cara.»
«Ti cercherò, amore mio, e ti troverò. È una promessa.» disse lei, baciandolo mentre le lacrime scendevano copiose.
«Sarà una lunga attesa.» lui le prese il volto fra le mani. «Sei tu quella coraggiosa, non devi piangere.»
«Lo so, Dorian. Ma non posso fare a meno di emozionarmi.» Loro sapevano bene che avrebbero potuto passare anche svariate rivoluzioni stellari senza rivedersi, ma era il rischio che volevano correre.
«Al mio tre?» lui annuì.
«Uno... due... tre...»
Senza lasciare l'uno la mano dell'altra, Dorian e Natasha sparirono avvolti dalla luce della Jikahar.


Da qualche parte, in un tempo non precisato, si udì il vagito di una creatura appena nata, e una voce femminile che dolcemente sussurrava: “Dovr pojl'vad bmir, moi saul'nyshko.”

Benvenuto al mondo, mio raggio di sole”


L'angolo di Shera ♥

Anno nuovo, font nuovo. Mi sto riconvertendo al times XD.
Coooomunque, benvenuti e grazie per avere letto questa storia.
I contest forniscono sempre buoni spunti, che ci spronano anche a sfruttare cose che ci son sempre state nella nostra testa, ma che ancora non abbiamo avuto modo di sfruttare...  credo che questo ne sia un validissimo esempio.
Spesso e volentieri, io e il mio ragazzo parliamo di mondi paralleli, di realtà alternative e di epoche passate. Io sono sempre stata convinta che era già stato scritto nel nostro destino il fatto che ci saremmo trovati e che anzi, questa non era nemmeno la prima volta.

Nel contest di Najara c'erano un sacco di immagini fighe, ma fighe tanto, tuttavia, questa mi ha ispirata a tal punto che la storia era già quasi tutta nella mia testa. Certo, metterla poi su foglio è stata un'altra impresa, ma intanto son riuscita a completarla.
Spero che questa storia possa esservi piaciuta.
Come sempre, se avete pareri, consigli o critiche, sarò ben lieta di accoglierle ♥

Grazie ancora per avere scelto di leggere un mio lavoro.
A presto

Shera♥
  
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