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Autore: Egle    04/04/2005    7 recensioni
Chiuse gli occhi, inalando una rigenerante ondata della notte. Era ancora troppo presto per il sonnolento frinire delle cicale e troppo tardi per lo scroscio della pioggia. La notte era silenziosa e incredibilmente cupa. Si appoggiò al davanzale, abbassando gli occhi, senza vedere nulla di ciò che aveva davanti. Non vedeva niente. Non sentiva niente. Era vuoto. Inesorabilmente vuoto. Nessuna emozione, nessun pensiero...
Genere: Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Potter
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Si mise a sedere sul letto, abbandonando le mani tra le ginocchia

Ho scritto questa brevissima fanfic un po’ di tempo fa…in realtà, non so nemmeno io con esattezza che cosa volessi dire…o se è conclusa oppure no. So solo che dovevo scriverla…

Le tematiche potrebbero essere un po’ forti o offensive, perciò se non avete voglia di qualcosa di un po’ “pesante” è meglio che non la leggiate.

 

 

 

Vuoto

 

Si mise a sedere sul letto, abbandonando le mani tra le ginocchia. La stanza era pregna di un calore opprimente, denso di odori nascosti e proibiti, leggermente speziati. Odori che davano alla testa, intorpidendo i sensi e le percezioni. Raggiunse la finestra, lasciando impronte umide sul pavimento, e la spalancò. Un fiotto d’aria fresca accorse a scacciare la sensazione appiccicosa e vischiosa sulla sua pelle. Chiuse gli occhi, inalando una rigenerante ondata della notte. Era ancora troppo presto per il sonnolento frinire delle cicale e troppo tardi per lo scroscio della pioggia. La notte era silenziosa e incredibilmente cupa.

Si appoggiò al davanzale, abbassando gli occhi, senza vedere nulla di ciò che aveva davanti. Non vedeva niente. Non sentiva niente.

Era vuoto. Inesorabilmente vuoto. Nessuna emozione, nessun pensiero.

Anche la rabbia che l’aveva sostenuto per tanti mesi si era dissolta. La tristezza…forse quella non l’aveva mai provata. Gli sarebbe piaciuto potersi dispiacere per i morti, per la distruzione, per lo sgomento che leggeva negli occhi dei suoi amici, ma non poteva. Lui continuava a prendere decisioni, a combattere, a respirare, a fingere di vivere, ma non sentiva realmente nessuna emozione. La colpa. Quella c’era stata per un po’. Un forte, profondo e rassicurante senso di colpa, che lo faceva sentire ancora un essere umano. Almeno finchè non si era scoperto troppo stanco anche per quello. Troppo sfinito. Troppo vuoto.

E alla fine era rimasta solo l’abitudine. Il non voler essere costretto a riflettere per cambiare, per agire in modo diverso rispetto a come si comportava di solito.

E il desiderio che tutto finisse al più presto. Ormai non gli importava più in che modo.

A volte sperava che Ron, Hermione e tutte le persone a cui voleva bene venissero uccise, l’una dopo l’altra. Immaginava i loro corpi straziati, le loro membra fatte a pezzi, i loro occhi sbarrati in una muta richiesta d’aiuto o invasi da un senso d’incredulità per quanto era capitato. Immaginava il loro funerale, compito e doloroso. Immaginava le strette di mano, le pacche sulle spalle, gli incoraggiamenti, le frasi di circostanza mentre la guerra proseguiva. Immaginava una fossa vuota e lui e tutti gli altri lì intorno, in piedi sul ciglio. Ma pian piano i suoi amici sparivano, finchè non si ritrovava solo. E allora poteva affondare anche lui nel baratro nero. Sarebbe stato giustificato. Sarebbe stato…niente. Harry Potter non sarebbe più esistito. Il suo nome sarebbe sbiadito lentamente, in un alone di ricordi confusi, e sarebbe stato consegnato alla leggenda. E lui sarebbe stato libero. Morto, probabilmente, ma libero. Sarebbe stato vento, mare, pioggia. Sarebbe stato pieno, vivo, concreto. Sarebbe stato diverso.

Ma gli altri non morivano, non smettevano di lottare, di pianificare, di incoraggiarlo. Lo guardavano pieni di fiducia, pronti a dargli il loro sostegno, quando lui non desiderava altro che Voldemort li ammazzasse, li cancellasse per sempre così da non avere più obblighi verso nessuno.

Si passò una mano tra i capelli, mentre da dietro di lui proveniva un leggero fruscio di un corpo che si rigirava tra le lenzuola. Il cambiamento impercettibile del ritmo della respirazione. Un mugolio sommesso.

“Vattene” disse solo, continuando a voltare le spalle alla ragazza senza nome.

“Sei proprio uno stronzo” fu la risposta atona. Rumore di vestiti indossati, di tacchi appuntiti sul pavimento e di una porta sbattuta.

Non si ricordava il suo nome, nemmeno i lineamenti della sua faccia. Andare in un bar, rimorchiare una ma-sei-davvero-Harry-Potter, fotterla finchè non riusciva a concentrarsi su nient’altro a parte il dolore che gli martellava l’uccello e alla fine raggiungere un orgasmo triste e…vuoto. Fottere una ragazza diversa ogni sera, dimenticando presto le fattezza del suo viso, se mai le aveva viste. Corpi, nient’altro che corpi. Non gli interessava il piacere, il calore, la necessità di avere pareti di carne intorno al suo membro. Anche il sesso era diventato vuoto, monotono, solo un’abitudine a cui non riusciva a rinunciare per non dover pensare.

Continuare così, senza scopo, senza programmi. Combattere, combattere, combattere.

Uccidere Voldemort. Fermare Voldemort.

Andare da Voldemort e digli: senti, amico, fa’ come ti pare. Io me ne tiro fuori. Troppa fatica. Troppa fatica. Sperare che tutti vengano uccisi. Sperare di essere ucciso. Troppo facile, troppo comodo. Troppo senza senso. E allora indossare una faccia diversa ogni mattina, una voce diversa ogni mattina.

Sì, ragazzi, andiamo a rompere il culo a quel bastardo.

E sperare di vedere la marea scura dei Mangiamorte fare irruzione nella sua camera. Voldemort incede verso di lui, come una sposa verso il talamo nuziale nella sua prima notte di nozze. E ucciderlo. Assaporare il dolce sapore della morte riempirgli la bocca. Morire, sentendosi forse vivo per la prima volta.

Ma Voldemort non arrivava, non lo ammazzava. E lui era costretto a morire ogni giorno. A annegare in quel vuoto cosmico che si annidava dentro la carne, che divorava il cervello.

“Vieni…vieni a prendermi” mormorò alla notte bugiarda. Gli rispose solo il compatto silenzio della stanza.

Abbassò la testa, incapace perfino di incazzarsi. Lo sapeva che non sarebbe venuto. Lo sapeva che avrebbe dovuto continuare a lottare.

Harry

La voce di Ron proveniente dal caminetto.

“Sì?” rispose senza voltarsi.

“Un attacco al San Mungo. C’è bisogno di te”

“Andate avanti”…e cercate di morire. Di morire tutti.

Raccolse i pantaloni dalla poltrona e li indossò con calma.

La sua mente vuota. Il suo corpo vuoto. La bacchetta assicurata alla cintura.

Uccidili, uccidili tutti, pregò, ma sapeva che la sua preghiera sarebbe rimasta inascoltata.

 

   
 
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